Inutile negarlo, ognuno di noi ha le proprie preferenze, i propri miti, i propri gusti, il proprio modo di vedere le cose e d'esprimersi. Chi mi segue lo sa ed apprezza il mio modo diretto e un po' fuori dalle righe di approcciarsi a chi ha fatto la storia dell'arte contemporanea. In questo blog ho cercato di far conoscere tecniche, artisti, opere, e sopratutto le vicende ed i racconti dei protagonisti del mondo dell'arte visiva; ho incontrato personaggi molto interessanti e tra i miei ricercati speciali avevo tre nomi: Kengiro Azuma, Pordenone Montanari e Paolo Gioli. I motivi che mi hanno portato a voler contattare questi artisti sono molto diversi e non starò qui a spiegarli adesso, la cosa importante è che nonostante io sia un signor nessuno, come direbbe l'amico Luigi Teruggi, vuoi, per fortuna o per caparbietà, sono sia riuscito ad intervistare sia colui che viene considerato il massimo scultore (artista) del Sol Levante (che è anche l'ultimo kamikaze), che proprio in questi giorni è stato ricevuto a Milano dall'Impertore del Giappone. Purtroppo non ho avuto uguale fortuna con Pordenone Montanari, ma riconosco che già la distanza che ci separa non lavora a mio favore. Ad ogni modo, poiché moltissimi addetti ai lavori leggono queste pagine, spero che ci sia qualcuno che possa aiutarmi a realizzare questo sogno e a contattare l'"Orso di Pordenone e di Biella". Per quello che riguarda Paolo Gioli, sto per raccontarvi qualcosa di molto strano, per me lui è forse il più importante artista italiano, colui che ha saputo fondere arte-cinema-fotografia con una grazia ed un gusto irraggiungibili e trovando sempre le soluzioni più appropriate, senza mai ricorrere a sotterfugi o a scorciatoie tecnologiche.
Paolo Gioli è veramente un grande uomo, umile, simpatico, divertente, geniale, è riuscito a fare e pensare cose inimmaginabili, eppure ai più risulta essere solo un nome come tanti. Incredibile. La vita è strana e ci sorprende ogni giorno, se non conoscete Gioli avete una possibilità unica: andate da PEEPHOLE in via Stilicone, 10, a Milano (lo stesso cortile dove si trova la famosissima Fonderia Battaglia), qui potrete vedere la più bella mostra mai organizzata al mondo su questo fenomenale artista. Fino al 28 maggio. Io sono stato all'inaugurazione che s'è svolta il giorno 9 aprile scorso, più di un mese fa e vi posso assicurare che la visione di certi lavori è stata un'esperienza mistica irrinunciabile. Vivete in Sicilia? In Alaska? Questa mostra vale il viaggio, non perdetela, non so se vi capiterà ancora qualcosa del genere nella vostra vita. Preferite andare a vedere Salgado a Genova? O Henri Rousseau al Musée d'Orsay a Parigi? Datemi retta, non c'è niente di meglio di PAOLO GIOLI, ve lo scrivo bello chiaro una volta per tutte, poi fate quello che volete, ma se andrete a vedere questa fantastica mostra gratuita al PEEPHOLE e poi non mi ringrazierete lasciandomi un commento su questa pagina, mi farete arrabbiare per davvero. In realtà, per me sarebbe meglio che le cose continuassero così come vanno adesso e come vi racconterà Paolo in prima persona. Volete continuare ad ignorarlo? Per me non ci sono problemi, così le sue opere migliori le compro io e le interviste ai personaggi più interessanti del mondo continuo a farle solo io. Sto esagerando? Guardatevi qualche suo lavoro, leggetevi l'intervista che mi ha concesso in esclusiva e poi mi saprete dire.
Ah, dimenticavo, ho parlato anche con Paolo Vampa, il maggior collezionista di Paolo Gioli, colui che possiede quasi tutte queste splendide opere, nei prossimi giorni pubblicherò anche la sua intervista.
Non ho esposto che pochi lavori fotografici di Gioli poiché l'occasione per vedere i suoi quadri realizzati ad olio negli anni '60 è pressoché unica. L'ho detto? Devo ripeterlo? Ci siamo capiti? Speriamo. TG
Tony
Graffio intervista Paolo Gioli
TG:
Ciao Paolo, sono Tony Graffio un documentarista indipendente
complimenti per la bellissima mostra, hai 5 minuti di tempo da
dedicarmi?
PG:
Ciao, ummm (guarda la ragazza che mi accompagna) sì, sì...
TG:
Noi non ci conosciamo, tu non lo puoi sapere, ma eri nella mia lista
dei 3 maggiori ricercati per le interviste di Frammenti di Cultura,
mi farebbe piacere farti qualche domanda...
PG:
Dipende da quello che uno chiede...
TG:
Ci mettiamo comodi?
PG:
Ci possiamo sedere qui, ma io non posso rimanere tantissimo, eh! Non
farmi domande difficili...Perché non ho molto da dire.
TG:
OK. Paolo, ti seguo dalla fine degli anni '70, quando per primo tu hai iniziato
ad occuparti di certe cose, tu facevi un po' scalpore, tutti
parlavano di te sulle riviste di fotografia e di arte...
PG:
Ah sì? Io non me ne sono mai accorto...
TG:
Beh, ti assicuro che era così...
PG:
Io però non andavo alla ricerca di echi e queste cose qui, tu me lo
dici adesso... Sapevo che i fotoamatori mi conoscevano ed io
stranamente credevo d'essere ignorato, ma quella monografia che io
avevo fatto con "Il Diaframma" di Lanfranco Colombo li
aveva un po' disturbati, diciamo così. “Ma come, lei fa tutta
quella serie d'immagini con un panino?” Mi sentivo dire. Loro si
soffermavano sul panino, sul bottone, eccetera. E' una microcamera,
dico io, con una distanza focale cortissima. Il viaggio dell'immagine
era il più breve che potesse esistere. Però dentro quel punto c'è
un'immagine. Tutto quello che c'è è un'infiltrazione. Bada, come ho
raccolto questa immagine l'ho restituita. Ando Gilardi era entusiasta
di questa cosa, ha scritto su di me una bellissima presentazione*,
centratissima, su un libricino che aveva fatto il Diaframma. Eh,
quello sì sarebbe materiale importante da reperire...
TG:
Hai ragione, vedrai ce la faremo a recuperarlo. Adesso che abbiamo
rotto un po' il ghiaccio io però vorrei farti una domanda
difficile...
PG:
Va beh, sentiamo.
TG:
Che cos'è la fotografia?
PG:
Questa non è una domanda difficile, ma folle. E' impossibile
rispondere. Magari Berengo Gardin ti risponde,Scianna, o gli altri
fotogiornalisti possono darti una risposta, ma sul piano creativo
puro è difficilissimo perché hai direzioni, rimugini un sacco di
cose, provi (sospira), osservi, guardi tutto e altre cose. La
fotografia non nasce dall'ottica... E' una domanda complicata perché
va su sponde diverse, non ha a che fare con la fotografia
tradizionale, ma sul mio lavoro non saprei cosa dirti. Mi sono sempre
rifiutato di dirlo perché non avevo e non ho parole. Che cos'è la
fotografia? E' come dire, va beh, perché sono nato... Che senso
ha...? Anche se, molte volte ce lo chiediamo tutti, prima o poi...
C'era un'amica che mi diceva: “Sai, sono incinta...” Ah sei
incinta? “Sì!”. Io a questa affermazione rispondevo sempre con
la battuta la più idiota che possa esistere, gravissima: “E poi
che cosa te ne farai?”. Oppure se il bambino era già nato: “E
adesso che cosa te ne fai?”. Perché questo atto ha creato un
morituro... Grazie a lei, morirà un altro... Ma allora ricadiamo
nella solita storia? Non facciamo i bambini perché un giorno
moriranno? E allora, stesso discorso, la fotografia è complessa...
TG:
Tu comunque sei un artista che si esprime con la fotografia, non uno
di quei fotografi che dice: io sono un artista...
PG:
Sì, io mi occupo anche di film e poi vengo dalla pittura... Ho
sviluppato molto il mio lavoro sui film e sulla fotografia e quindi
ho avuto 3 cose cui badare... Mi sono occupato di litografia,
serigrafia, eccetera, varie discipline. La fotografia è una delle
cose che ho portato avanti, ma è altrettanto importante aver fatto i
film che, tra l'altro, sono più richiesti all'estero che in Italia.
TG:
Anche il cinema e il video sono fotografia...
PG:
Beh, il cinema è meccanica e chimica, mentre il video è codice
binario, quello è elettronica. Tra la meccanica e l'elettronica ci
sono delle divisioni spaventose. E' come definire le differenze che
ci sono tra un pezzo di ghiaccio e un pezzo di polenta. Bisogna
separarli completamente. Ancora adesso non hanno metabolizzato questo
passaggio ed anche al telegiornale dicono: “Mandami il filmato!”.
Ma che filmato! E' una memoria che hai registrato. Non c'è neanche
più il nastro! E se stasera mostro dei video, mostro ancora la
pellicola perforata? Ma nel cinema il supporto era la pellicola, no?
Il film è un termine inglese, è il supporto! Dove c'era stesa la
materia... Materia ho detto, mentre là c'è la memoria, e basta.
Uhu? Bisogna stare attenti insomma... Sono due cose diverse.
TG:
Però si parte sempre dalla fotografia e dalla luce...
PG:
Dall'imagine diciamo, dalla riproducibilità dell'immagine. Eh beh
certo, la fotografia è luce, “photos”...
TG:
Scrittura con la luce.
PG:
Eh, dunque è diverso. Tu scrivi sì, ma è importante avere il pezzo
di pellicola in mano e avere le immagini in mano; nel video invece
devi avere il monitor e altre cose. Bellissimo, straordinario il
digitale, lo dico fino alla noia negli interventi che faccio. Il
terrore è questo: peccato morire! Con tutta la roba che c'è da fare
con quel mezzo... Madonna, ma pensa a tutta la roba che puoi passare
sul computer: i film di Antonioni io li riguardo come se avessi una
moviola a casa. Quando ti era data la possibilità di tornare
indietro anche 40 volte durante un film? Per vedere come ha staccato,
come va avanti la scena, poi la ripeti, la riguardi... E' un altro
film dopo, così impari a fare il cinema.
TG:
E' un po' un modo di uccidere il film guardandolo a quel modo...
PG:
Certamente, questo è un modo per studiarlo, per vedere il film devi
andare al buio, da solo, abbandonato in una grande sala. Poi, quando
accendono la luce scopri che affianco a te c'è un fascista molto
conosciuto in quel luogo, qualcuno che non hai mai voluto avvicinare
in vita tua eppure è lì. Anche quella è una punizione. Vai al
cinema e ti ritrovi in questa promiscuità, anche a quello devi stare
attento... Oppure, una ragazza bellissima con la quale tu non hai mai
parlato perché ti intimidiva, eppure te la ritrovi a due sedili da
te. Voglio dire, ancora si fa confusione e non è stata ancora capita
questa differenza tra il cinema ed il video.
TG:
Tra digitale e analogico.
PG:
Sì (un po' insofferente), anche sta parola analogico, scusa, perché?
Cosa vuol dire? Quando si dice analogico, perché non dire (pausa)
“fotografia meccanica”?
TG:
Io difatti il digitale lo chiamo fotografia elettrica...
PG:
No, elettronica. Beh certo, sempre c'è dentro dell'elettricità...
Però è elettronica, dai, sù! E l'altra è meccanica. Ana-logica?
E' complesso, dai! E' l'analisi di che? Auto-analisi? No, dai... Sono
gli industriali che mettono in giro questa roba qua, per distinguere
e importi le altre cose. Ho visto un mio amico, ma anche altri che
cambiano fotocamera ogni anno. Perché te lo impongono le
multinazionali dicendo che la pellicola è morta, mentre la Kodak ha
già risposto: “Senta signore, guardi che sono già uscite decine
di pellicole per i film ed altre cose". Il Super 8 mica per
niente è richiestissimo. L'elettronica ha ucciso la Polaroid ed è
riuscita ad uccidere in parte la Kodak.
TG:
Un po' è colpa anche della Kodak, però.
PG:
Io adesso non voglio entrare su questa cosa nel dettaglio, però
molta manualità s'è persa. Ho parlato spesso del pianista che ha
sempre lo stesso pianoforte, i tasti sono sempre quelli ed anche le
mani. Usa solo il cervello le mani le orecchie e basta, non ha
necessità di cambiare tipo di pianoforte ogni anno. Non cambia
niente. Svolge un lavoro manuale, no? Quando io stampo con
l'ingranditore devo mascherare un po' le luci, se c'è troppa luce di
qua, o di là, io la doso con le mani. Un mio amico m'ha detto: “Ma
prendi il Photoshop e lo fai subito!” Ah Photoshop,
sofisticatissimo, costoso, ed il mio intervento manuale? Forse il
pianista ha bisogno di Photoshop per suonare? Che cosa cambia il
pianista se vuole suonare qualcosa di diverso? Solo lo spartito! Ogni
volta si trova Aleksandr Nikolaevič Skrjabin o Alban Berg e ogni
volta la cosa è creativa. Come lo suono? Più veloce, meno veloce?
Chi era? Conosci la sua storia? Bello. E allora la scrittura nuova
nasce dallo spartito, ma lo strumento rimane sempre quello.
TG:
Ecco, proprio qua ti volevo: l'arte richiede un intervento manuale,
tecnico, o solo un'idea?
PG:
Questo discorso dà l'impressione che sia nostalgia, invece no! Dico
però che per fare un disegno prendo la matita? Sono superato perché
uso la matita? Un disegno lo fai con la matita. Lo fai anche con
l'elettronica, ma non sarà mai quello della matita. Fai altre cose,
no? Ecco, allora ci sono cose che non puoi più distruggere. Con la
matita scrivi, che ne so cosa vuol dire? Ieri, mi è arrivata la
lettera di una ragazza che ha fatto una tesi e c'era tutto un
articolo su questa storia su Repubblica, sul perché nessuno sa più
scrivere in corsivo...
TG:
Perché a scuola non lo insegnano più, ti insegnano solo lo
stampatello perché ci sono bambini di altre culture che scrivono con
altre scritture e alfabeti e mai saprebbero usare il nostro corsivo.
PG:
Lascia stare questa cosa, il problema arriva dal computer e dai tasti
che usi per scrivere.
TG:
Su questo punto non sono d'accordo, è un problema da Torre di
Babele, tra poco non ci capiremo più neanche tra di noi, ma già
quasi ci siamo arrivati, per questo avrà sempre più valore
l'immagine ed il linguaggio visivo.
PG:
C'è gente che non sa scrivere il corsivo e non sa distinguere tra
una L e una G! O la F. Uno mi ha detto: la F? La fe! La fe? Strano
paradosso, un po' alla Ionesco perché è un po' dialettale dire la
fe. La esse l'ha chiamate la se. La bi l'ha chimata “ebbe”.
Bellissimo. Queste due cose me le sono inventate, per voi. Però,
sono sicuro che lo fanno.
TG:
E questa mostra alla Fonderia Battaglia, che cosa rappresenta?
PG:
Non è la Fonderia Battaglia, cazzo! E' la Pinhole! No, scusa (Ride).
Pin è spillo.
TG:
Peephole!
PG:
Mi confondo sempre, Peephole! Mi confondo sempre col foro di spillo.
Peephole è lo spioncino sulla porta.
TG:
Lo spioncino dei guardoni?
PG:
Va beh dai, andiamo avanti...
TG:
Che cosa hai esposto in questa mostra?
PG:
Beh, non l'hai vista?
TG:
In parte...
PG:
Vuoi che lo dica io? Ci sono dei dipinti e tutto un'excursus sul mio
lavoro, non è un'antologica. Un'antologica è come quando ti danno
il premio alla carriera. Terribile. No? Uh? Come dire: beh da questo
momento mettiti da parte.... No, cioè: sei in pensione! Mi sembra
molto compatta. Chiedere all'autore della propria mostra, che cosa
vuoi che ti dica? Ma dai insomma, che cosa faccio, una cosa su di me?
O roba del genere? Non mi sembra sbagliata... Buona. Difficile come
mostra, bisognava mettere parecchie cose diverse insieme, diversi
anni... E' stato complicato e sono stati bravi. Io non ci sarei
riuscito.
TG:
Invece la tua mostra dell'anno scorso a Roma?
PG: Da Peliti?
TG:
Mi hanno detto che anche quella era molto bella.
PG:
Sì, io l'ho vista molto tardi, ma non ne parla nessuno.
TG:
Come non ne parla nessuno? Gli appassionati ne parlano.
PG:
Non scrivono, non si espongono, non sanno osare e certe cose non
sanno leggerle ed hanno paura di farle passare per qualcos'altro.
Parla con l'autore! Domandagli! Perché devi sapere tutto? Come è
stata fatta questa cosa? Chiedi! Come fai a sapere tutto? E se poi
dentro c'è un esperimento, o una prova? E' difficile sapere certe
cose, per un critico. Chiedi all'autore allora. Come fai tu adesso,
no? Loro si ritraggono e lasciano là, oppure dicono due sciocchezze.
In sostanza: è tutto sprecato, saranno ceneri buttate via. Non come
quelli che lo fanno sul fiume... O sulla terra, no, sono già buttate
via adesso. Per cui, quando qualcuno dirà qualcosa di decente su di
me, io non ci sarò. Anche se m'avrebbe aiutato per fare
qualcos'altro, nel lavoro, eccetera. Non è vero che non ti faccia
piacere, se le critiche sono centrate servono. Mentre gli stranieri
sono molto affezionati a me. Francesi, tedeschi e americani. Sto
partendo per gli USA e per Harvard, guarda caso su loro invito. Visto
che mi hai provocato, è un modo di dire. Mi hanno chiesto una
rassegna di film e dovrò fare lì un esperimento, con i loro soldi
americani. Questo mi consola e mi fa andare avanti, perché se
dovessi aspettare un italiano.... No, qui ti ignorano completamente e
poi sono molto prevenuti. Mi ricordo delle ragazze ad una mia mostra
di Fotofinish, venivano da una scuola d'arte. Guardano, si
avvicinano, sono tremende quelle delle scuole d'arte, sono tremende.
L'ho detto? Ecco, allora, no sono brave, ma sono gli insegnanti che
sono tremendi... E le rendono tremende loro. Si avvicinano a me,
immagino abbiano visto una Fotofinish un po' strana si rivolgono a
me, mi guardano e mi dicono: “Senta un po'... Un po' di Photoshop
l'ha fatto vero?”
TG:
(Rido).
PG:
Ho rischiato di provocare loro un'epistassi.
TG:
Con un pugno!
PG:
Eh certamente! Allora queste ragazze mi guardano ancora: “Epistassi?
Che cos'è?” Sangue da naso, ho detto. Vada via! Photoshop? Si
stampa, no? E' bellissimo stampare! Ce l'hai l'ingranditore? Io ce
l'ho vecchio, ma non me ne frega niente, basta che ci sia
l'obiettivo! C'hai la tua carta e esce da te! Non puoi dire che ha
sbagliato il laboratorio, oppure che è un problema di qualche altra
circostanza. No, tu! Esce da lì, se è una porcheria è proprio
tutta tua! Ma se la cosa è buona, l'hai fatta tu, è tua! La firmi
ed è finito, fai una tiratura, ne fai cinque sei, però la vedi
nascere, ti compri la carta, è tutta roba tua, fatta con i tuoi
soldi e le tue cose. Altro che aspettare che un gallerista ti dia
qualcosa e ti dica fai questo. Tanto poi ti lascia, ti abbandona:
ti sfrutta in quel momento lì, si tiene i soldi, non te li dà, te
li dà.... Voglio dire, è bellissimo lavorare in questo modo e non è
nostalgia! Poi, scusa, se uno non finisce chiede poi ad altri 10 di
finirgli il quadro? Non riesco a capire. Certo, gli aiutanti e gli
assistenti c'erano eccome, ai tempi di Michelangelo e via di seguito,
basta vedere il Giudizio Universale per capirlo. La parte sotto
sotto, andate a vederla da vicino... E' dipinta malissimo e la fanno
vedere poco. Chiaro che l'han fatta gli aiutanti. Lui era anche
stanco poi. Lui dipingeva su cartoni che trasferiva di sopra, no?
Mica poteva improvvisare là così! Va beh, comunque...
TG:
La prospettiva era molto difficile, andava vista da sotto...
PG:
Era lì che il disegno si curvava, la centinatura c'era già e si
dilatava in anamorfosi, secondo il punto di vista, lui veniva giù e
guardava... Lo dilatava quaggiù ed era giusto là sopra. In modo
diamorfo e anamorfico. Per cui, c'era una parte scientifica
interessante da rilevare. Tutti gli artisti del '500 usavano le
ottiche per distorcere e per vedere. Proiettavano anche per vedere,
non ti preoccupare... Vermeer usava la camera ottica, tutti usavano
la camera ottica, solo che ammettere questa cosa era uno sminuire
l'artista. Era come dire che facevano un disegnino e poi lo
proiettavano. Questo è un fatto risaputo di cui si parla poco, ma
era certo che si usasse la camera ottica per dipingere. Certo era un
aiuto, ma dopo bisognava saper fare l'opera! E Vermeer può
permettersi di fare una mostra con un'opera sola. Tutto vuoto con
un'opera sola.
TG:
Anche perché sembra che abbia fatto solo circa 36 opere in tutta la sua
carriera.
PG:
Ne ha fatte anche di più, ma lui aveva bisogno di soldi, aveva un
albergo, lo sappiamo tutti insomma... Beh forse in pochi... Aveva
debiti e altri problemi e pagava il fornaio con un quadro, tanto è
vero che qualcuno l'ha trovato non so chi. Pensa che lavori di
qualità che faceva! Anche senza volere lui faceva già allora un
omaggio alla fotografia e se ci fosse stata la fotografia Vermeer
l'avrebbe usata subito! Non avrebbe dipinto neanche un quadro e
allora avremmo perso i suoi quadri. Tutto sommato, meglio così.
Wedgwood aveva scoperto la fotografia, ma non aveva capito come
fissarla e vedeva le sue immagini svanire sotto i propri occhi.
Pensa, poveretto che disperazione, ma è stato lui il primo ad averla
trovata! Ed io in piccolo, quando provo qualcosa che non mi riesce,
mi sento un po' come lui. Sai che a volte fai anche venti cose e le
devi buttare via tutte e quel giorno risulta che tu non hai fatto
nulla?
TG:
Distruggi parecchi dei tuoi lavori**?
PG:
Li devi distruggere subito, non devono rimanere... Non sono
porcherie, sono buone, ma non come volevo! E allora diventano
porcherie che vanno distrutte subito, mica puoi regalarle all'amico.
All'amico devi regalare la cosa più bella e la fai scegliere a lui!
E così di te resta fuori la cosa più bella. Io sempre faccio così!
*Ando
Gilardi "Sulla Spiracolografia del Gioli", 1979
A
micro-libro, mini-prefazione che deve essere spesa per spiegare il
mezzo e il modo in cui nascono queste immagini.
L'autore,
Paolo Gioli, usa un normale bottone, di quelli che si chiamano
«automatici» e sono due piccolissimi bernoccoli di ferro: il primo
s'incastra nel secondo e cosi tengono.
Nel
secondo, perché possa sfuggire l'aria quando il primo s'incastra, si
trova sul culmine un forellino minuscolo. Gioli, che di fotografia se
ne intende, e anche di cinema (è, in questo campo, autore-operatore
d'avanguardia) sa ha un forellino è anche un obiettivo senza lente
chiamato foro stenopeico: la luce quando lo attraversa è stretta e
costretta a recitare il suo messaggio: l'immagine. Leonardo da Vinci
il foro stenopeico, lo chiamava «spiraculo» e a me pare molto bello.
È
pertanto su solide basi storiche che io battezzo, consenziente il
padre, queste immagini di Gioli «spiracolografie», poi passo a dare
l'opportuna citazione, come atto di nascita autorevole: «....quando
per alcun piccolo spiraculo rotondo penetrano le spetie delli
obiettivi alluminati in abitazione fortemente oscura: allora tu
riceverai tale spetie in una carta bianca depola posta dentro a tale
abitazione al quanto vicina a esso spiraculo e vedrai tutti li
predetti obiettivi in essa carta colle lor proprie figure e
colorimasaran minori e fieno sotto sopra per causa dela
intersegazione, li quali simulacri se nasceranno di loco alluminato
del sole saran proprio dipinti in essa carta la quale vuole esser
sottilissima e veduta da roverscio e lo spiraculo detto sia fatto in
piastra sottilissima di ferro».
Ho
scritto cento volte che ho le prove di come la cultura fotografica
(che niente affatto procede con la tecnica) abbia cominciato a
decadere dai tempi di Leonardo in poi, fino a precipitare ai nostri
giorni. Mi pare che questo squarcio lo dimostri. Parlo della cultura
fotografica «di massa», non di quella che vive in alcuni creativi
ai quali disperatamente mi aggrappo come a testimonianze
indispensabili: Paolo Gioli è di questi. Torniamo al suo «spiraculo»
e al suo frammento di ferro: perché un bottone? Potrebbe essere
qualsivoglia «abitatione» forata e capace di formare «simulacri».
Però
il bottone cosi come è stato la morte della fotografia come cultura,
arte, gioco meraviglioso (tu Uomo schiaccerai il bottone solamente,
io macchina farò il resto!...) sarà per Gioli e in Gioli la
rinascita. Gioli fa proprio cosi: schiaccia con l'indice e l'anulare
il bottone contro il pollice; fra il polpastrello del pollice e il
bottone si trova una briciola di pellicola comune.Il medio della
stessa mano tappa lo «spiraculo» sul bernoccolo, e si leva e si
mette per fare da otturatore. Gioli lavora al buio con una sola
lampada, o addirittura con un minuscolo flash il cui colpo di luce è
sufficiente per fissare l'immagine che si forma e non ha più di tre
millimetri di diametro. Ottiene naturalmente un negativo che poi
ingrandisce, come quelli di questo micro-libro.
Un
gioco? Ma un gioco sarà il vostro, se siete di quelli che usano la
reflex più o meno automatica, più o meno a motore, più o meno con
ottiche variabili, più o meno! Questo di Gioli è un
gesto fotograficamente puro, etimologicamente accreditato e
accreditabile con tante frange storiche, orpelli critici, riferimenti
a Talbot o Herschel e citazioni dell'Eder quante non riuscirebbe ad
ammucchiare per Stieglitz o Bresson Cartier la commissione culturale
della Photokina. Ma forse è proprio quello che questo straordinario
artista non vorrebbe ed è per non averlo desiderato che la sua
Spiracolografia è andata avanti: le sue immagini si sono fatte
sempre più grandi, a colori, ricche di forme, di significati, di
citazioni prese dalla storia dell'arte: quella seria, quella che non
ha bisogno di essere definita «della fotografia» perché lo è solo
di quell'uomo che si chiama artista.
"Paolo
Gioli Spiracolografie" prefazione di Ando Gilardi. Ed. Il Diaframma
Canon, Milano 1978
Una visione interna del microlibro di Paolo Gioli: Spiracolografie
Per gentile concessione della Fototeca Gilardi, proprietaria del libretto raffigurato.
**
Sulla questione di distruggere i lavori in cui non ci si riconosce più, Paolo Gioli in un'occasione particolare ha provocato un po' di scompiglio: vi racconterò i fatti nel dettaglio quando avrò modo di poterli verificare sentendo più fonti.
Sulla questione di distruggere i lavori in cui non ci si riconosce più, Paolo Gioli in un'occasione particolare ha provocato un po' di scompiglio: vi racconterò i fatti nel dettaglio quando avrò modo di poterli verificare sentendo più fonti.
PEEPHOLE primo piano
Stanza 1
1.
Toraci (Thoraxes), 2007, Polaroid 20x24", lens
photograph.
2.
Vessazioni (Abuses), 2007,
Polaroid 20x24" and
transfers on acrylic, lens
photograph.
3.
Toraci (Thoraxes), 2010, Polaroid 20x24':lens
photograph.
4. Primo Gruppo delle Creature
(1st Group of Creatures), 1963, charcoal on paper.
5.
Cristo morto (Dead Christ),l965, oil on
canvas.
6.
Grande nudo coricato sul
lato destro (Large nude reclining
on right side), 1965, oil on on canvas.
Stanza 2
7.
Schermo-schermo (Screen-screen), 1975, screen-printing
canvas with manual interventions.
8.
Scomponibile (Decomposable), 1970, oil on canvas,
decomposable elements in charcoal and pastel, black and white
photographic prints.
9.
Schermo-schermo
(Screen-screen),
1974, oil on canvas, black and white photographic prints.
10.
Immagini disturbate da un
intenso parassita (Images Disturbed
by an Intense Parassite), 1970, film 16 mm black and white, sound,
24 ftg/s, 45'.
11.
Schermo-schermo
(Screen-screen),
1975
screen-printing
canvas
with
manual
interventions.
Stanza 3
12.
Scomponibile (Decomposable), 1966, oil on canvas.
13.
Utensile Scomponibile (Decomposable
Utensil), 1967, charcoal on paper.
14.
The Big Lens, 1968,
charcoal and pastel on paper.
15.
Grande sviluppo rosso (Big
Red Progression), 1966, oil on canvas.
16.
Grande proiezione orizzontale
(Big Horizontal Projection), 1969, oil on canvas.
17.
Trittico blu (Blue Triptych), 1966, oil
on canvas.
18.
I.:ombrello e l'angelico
(The umbrella and the Angelico), 1965, oil on canvas.
PEEPHOLE piano terra
Stanza 4
19.
Figure
dissolute
(Dissolute
Figures),
1974-78,
photo
finish,
black
and
white
print.
20.
Volti
attraverso
(Faces
Across),
1987-2002,
photo
finish,
black
and
white
print.
Stanza 5
21.
Autoanatomie
(Self-Anatomies),
1987,
Polaroid
on
silk,
acrylic,
pencil,
paper.
22.
Vulva,
2004,
black
and
white
print,
enlargement
of
a
contact
print
from
a
paper
negative.
23.
Vulva,
2004,
black
and
white
print,
enlargement
of
a
paper
negative
exposed
by
reflection.
24.
Naturae,
2009,
Polaroid
20x24':acrylic,
lens
photograph.
Stanza 6
25.
Volto
sorpreso
al
buio
(Face
surprised
in
the
dark),
1995,
film
16
mm
black
and
white,
silent,
18
ftg/s,
6'.
26.
Sconosciuti
(Unknowns),
1994,
black
and
white
print.
Stanza 7
27.
Il
finish
delle
figure
(The
finish
of
the
figures),
2009,
film
16
mm
black
and
white,
silent,
18
ftg/s,
9'12".
Stanza 8
28.
Eakins!Marey-
Euomo
scomposto
(Eakins/Marey-
The
decomposed
man),
1982,
Polaroid
Polacolor
type
59,
silk,
pencil
paper.
29.
Cameron
Obscura,
1981,
Polaroid
Polacolor
type
89,
silk,
pencil,
paper.
30.
Omaggio
a
Nièpce
(Homage
to
Nièpce),
1983-89,
Polaroid
Polacolor
type
88
and
type
89,
on
paper.
31.
Omaggio
a
Poitevin
(Homage
to
Poitevin),
1983,
Polaroid
Polacolor
type
59
on
paper.
Chi è Paolo Gioli
Paolo
Gioli, veneto, nasce a Sarzano (Rovigo) il 12 ottobre 1942. Nel 1960
frequenta la scuola libera del nudo presso l'Accademia di Belle Arti
a Venezia dove per qualche anno si stabilisce e lavora.
Nel 1967 parte per New York, dove resterà a lavorare per un anno ottenendo anche una borsa di studio della John Cabot Fund, conosce il New American Cinema e, in pittura, la Scuola di New York. Entra in contatto con i galleristi Leo Castelli e Martha Jackson.
Nel 1967 parte per New York, dove resterà a lavorare per un anno ottenendo anche una borsa di studio della John Cabot Fund, conosce il New American Cinema e, in pittura, la Scuola di New York. Entra in contatto con i galleristi Leo Castelli e Martha Jackson.
Costretto
ad interrompere l'esperienza americana e a rientrare in Italia per
problemi collegati al visto di soggiorno (siamo ai giorni della
uccisione di Martin Luther King e Bob Kennedy che vide l'applicazione
di norme più severe da parte dell'Immigration Office americano)
Gioli, nel 1970, si stabilisce a Roma dove entra in rapporto con la
Cooperativa Cinema Indipendente che orbita intorno al Filmstudio e
cui fanno capo un po' tutti gli autori di cinema sperimentale
italiano. E' tra Rovigo e Roma che produce i primi film che sviluppa
da se stesso usando la cinecamera come un laboratorio sulla scia dei
Lumière.
A
Roma approfondisce anche il suo interesse per la fotografia di cui
indaga specialmente le origini. Nel 76 si trasferisce a Milano dove,
oltre al cinema, si dedica con continuità alla fotografia. Troverà
nella Polaroid che egli chiama: "umido incunabolo della storia moderna" un sorprendente mezzo per allargare ulteriormente la sua ricerca
sulla fotografia istantanea, travasandone la materia su supporti
diversi dalla pellicola come la carta e la tela e apparentandola così
alle arti belle. Agli inizi degli anni '80 torna nella sua terra in
Polesine. Oggi vive e lavora a Lendinara.
Le
sue opere sono state esposte in sedi pubbliche e private in Italia,
Europa, America. Tra le principali mostre personali ricordiamo quella
all'Istituto Nazionale della Grafica-Calcografia di Roma nel 1981, al
Musée Nicéphore Nièpce di Châlon s/Saône e al Centro Pompidou di
Parigi nel 1983, alla George Eastman House, Rochester nel 1986, più
volte ai R.I.P. di Arles tra il 1982 e il 1998, al P.zzo Fortuny di
Venezia e al Museo Alinari di Firenze nel 1991, al al P.zzo
Esposizioni di Roma nel 1996, al Museo di Fotografia Contemporanea a
Cinisello nel 2008. Le sue opere sono presenti nelle collezioni dei
più importanti musei europei e statunitensi, in particolare
ricordiamo il Centro Pompidou, l'Art Instritute of Chicago e il MoMA
di New York.
Nel
2006 l'italiana Minerva-RaroVideo ha pubblicato un doppio dvd con una
selezione di quattordici suoi film e una intervista a cura di Bruno
Di Marino. Nello stesso anno i film di Gioli vengono presentati per
la prima volta a Views From the Avant-Garde, una sezione speciale del
NYFF a cui, da quella volta, è stato invitato ogni anno. L'anno
seguente, Gioli è invitato al HKIFF come artist on focus. Nel 2008,
una selezione di suoi film é presentata all' Ontario Cinematheque di
Toronto e alla Cinémathèque Française a Parigi che gli ha dedicato
una retrospettiva completa a Giugno/Luglio di quest'anno. A Giugno
del 2009 il Festival di Pesaro gli ha tributato un omaggio con una
rassegna completa di suoi film. Nei Quaderni del CSC è da poco
uscito un volume monografico sul suo cinema edito dalla Fondazione
Centro Sperimentale di Cinematografia a cura di Sergio Toffetti e
Annamaria Licciardello. Nel 2010 è stato invitato per la prima volta
a Wavelenght, la sezione di cinema d'avanguardia del Toronto Film
Festival (TIFF).
Orari della Mostra
Dal mercoledì al sabato dalle 11 alle 18 o su appuntamento.
info@peep-hole.org
Tel. 02/87067410
Peep-Hole: via Stilicone, 10 - 20154 Milano
Il ritratto di Ando Gilardi fatto da Paolo Gioli con una microcamera al foro stenopeico e pubblicato su Spiracolografie.
Si ringrazia la Fototeca Gilardi per la gentile concessione.
Il ritratto di Ando Gilardi fatto da Paolo Gioli con una microcamera al foro stenopeico e pubblicato su Spiracolografie.
Si ringrazia la Fototeca Gilardi per la gentile concessione.
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