mercoledì 30 maggio 2018

Russian Devils: il Muro della Morte ad Alba

Morire non è nulla; non vivere è spaventoso." Victor Hugo

Alba Chopper Muro dellaMorte
Russian Devils Wall of Death. Davide sui rulli.


Un ricordo di quando ero bambino mi ha portato a fare qualche ricerca per vedere se ci fosse ancora qualcuno che in Italia si arrampicasse con la motocicletta sul muro della morte, per fare provare ai miei bambini le stesse emozioni che avevo provato io da piccolo.
Venerdì 11 maggio 2018, siamo stati tra i primi ad arrivare ad Alba per il Chopper Show, abbiamo aspettato che iniziasse il primo spettacolo e siamo rimasti affascinati dall'atmosfera che abbiamo trovato intorno ad uno dei più antichi templi dedicato alla divinità dei motori e dei temerari su due ruote.
Tanti anni prima ero rimasto sbalordito per quello che avevo visto in un Luna Park di qualche luogo sperduto della periferia italiana di cui non ricordo né il nome né il parallelo, se non l'odore di benzina bruciata e la voce dei piloti mentre presentavano il loro spettacolo. Mio fratello era vicino a me, ma questo, come tanti altri ricordi della mia infanzia si confonde con la realtà dei fatti vissuti, come se l'interpretazione di un bambino possa aver trasformato tutto ai limiti del sogno, tanto più che nella mente di mio fratello non c'è traccia di questo episodio.
Sono sicuro d'aver già visto questo spettacolo con l'entusiasmo della mia giovane età, ma non avrei mai creduto che rivivere questa esperienza da adulto mi avrebbe dato delle emozioni ancora più forti di allora.
Jagath Perera e Davide Terenghi ci hanno regalato uno spettacolo bellissimo, a tratti spaventevole; le loro acrobazie ci hanno ammaliato ed entusiasmato.
Il pubblico non solo assiste a ciò che fanno i piloti, ma è parte integrante dello show, tanto che una donna presa dalla folla è stata trasportata come passeggera in questa folle corsa sui muri verticali.
Nell'arena di legno tutti erano felici e sorridenti, anche se qualcuno ha avuto un po' paura. La soddisfazione d'aver fatto parte di questo show a cavallo tra arte circense e stregoneria motoristica è andato ben oltre le mie aspettative. 
Posso dire che lo spettacolo visto da bambino offre soprattutto stupore, ma soltanto vissuto da adulto ti fa comprendere la grandezza dell'impresa compiuta da chi ha pilotato le motociclette. TG


Jagath Perera e Davide all'Alba Chopper Show 2018

Intervista a Jagath Perera del Pitt's Todeswand di Monaco e Amburgo

Tony Graffio: Jagath, da dove vieni?

Jagath Perera: Dallo Sri Lanka, ma il nome Perera è di origini portoghesi.

TG: Dove hai imparato a fare le acrobazie sul muro della morte?

JP: In Germania. Per 22 anni ho pilotato la moto sul muro della morte. Ho iniziato questa attività nel 1996 seguendo gli insegnamenti del mio maestro Hugo Dabbert che adesso è il più vecchio pilota del muro della morte. Ha 80 anni. Mi ha insegnato molto bene e adesso io svolgo questa attività professionalmente facendo acrobazie da circa 18 anni.

TG: Dove lavori?

JP: Ho due muri della morte in Germania. Il più grande è all'Oktoberfest a Monaco di Baviera e l'altro viene usato ad Amburgo per alcuni eventi Harley Davidson che si spostano anche da altre parti in Germania.

TG: Come hai deciso di iniziare questa attività molto spettacolare, ma anche molto pericolosa?

JP: Ho iniziato come pilota di motocross in Sri Lanka e poi sono andato in Germania proprio per andare sul muro della morte. Hugo Dabbert mi ha insegnato questa disciplina perché ha visto che io avevo le qualità per farlo. Avevo un ottimo feeling con il muro della morte e mi è andata bene così. (Ridendo)


Russian Devils Wall of Death. Jagath Perera
Jagath Perera

TG: È molto pericoloso?

JP: Per me no... Per me è più pericoloso andare in motocicletta sulle strade aperte al traffico perché sul muro della morte arriva in senso contrario al mio senso di marcia, capisci?

TG: Sì, d'accordo, ma andare allo stesso tempo in due o tre motociclisti sul muro della morte non mi sembra uno scherzo...

JP: Sì, lo spazio è poco, ma noi facciamo questa cosa da molto tempo e sappiamo cosa succede lassù.

TG: Com'è andata la prima volta che ci hai provato?

JP: Non è stato tanto facile, ma in mezz'ora sono riuscito a salire sul muro. Per le acrobazie il discorso è stato diverso; ci ho messo un anno per iniziare e poi, dopo due anni e mezzo di allenamento, ero pronto per lo show davanti al pubblico. Quando sei pronto per le acrobazie devi comunque vendere il tuo show, poi pian piano ti senti a tuo agio e ti senti più libero e infine puoi vendere il tuo show alla gente. Alcuni piloti hanno bisogno di un anno per essere pronti, altri cinque anni, mentre io ho messo a punto il mio spettacolo in due anni e mezzo - tre. 

TG: Qual'è la cosa più importante da fare? Non frenare mai?

JP: Una volta sono caduto e sono stato ricoverato in ospedale ad Amburgo. Altre due o tre volte sono andato giù senza riportare gravi conseguenze, solo piccole ferite. È pericoloso ed hai bisogno di fortuna. Se non hai fortuna qualcosa ti capita... è normale.

TG: Cosa mi dici delle motociclette? Hanno qualcosa di speciale?

JP: Anche loro hanno bisogno di fortuna. Le controlliamo al 100%, ma non possiamo sapere se le motociclette sono davvero al 100%. Qualcosa succede sempre.

TG: La tua moto è molto vecchia?

JP: Sì è del 1924. È una Indian Scout originale che utilizzo per il Pitt's Todeswand, un muro della morte costruito nel 1932. Questa moto è sempre sul muro, l'ho fatta 18 anni fa assemblando parti interne nuove ed adesso va piuttosto bene, ma non so per quanto tempo ancora. Non possiamo dire niente di male per quello che riguarda le motociclette; tutte funzionano molto bene.

TG: Perché preferite le moto vecchie?

JP: La tecnica non è molto importante, non ci serve l'ABS o altre cose speciali. Le vecchie motociclette funzionano come i vecchi orologi da polso, non si fermano mai.

TG: Fai questo lavoro per i soldi o perché sei pazzo?

JP: No, lo faccio perché mi piace questo stile di vita. Mi piace il tipo di gravità alla quale sono sottoposto. Ho bisogno di questo calcio nello stomaco.

TG: Sei mai stato sui muri della morte indiani?

JP: No, ogni anno vado in Sri Lanka, ma non sono mai stato in India. So che là ci sono dei grandi muri della morte, ma non ho tempo per andare a vederli. Ho molti contratti qui in Europa; ho circa 20 eventi all'anno da rispettare e poi ho molto lavoro per la manutenzione delle macchine. Sono un uomo molto impegnato.

TG: È vero che il tuo muro della morte è il più vecchio del mondo?

JP: Sì è vero, il muro della morte del 1932 che teniamo a Monaco è il più  vecchio al mondo; è tutto originale ed è molto grande. L'altro l'ho comprato 5 anni fa e lo tengo per fare gli eventi itineranti in Germania; sta tutto su un rimorchio e non ha grandi costi di esercizio. Qualche volta andiamo anche in Olanda. È stato costruito nel 1966, internamente c'è il muro di legno, ma fuori è fatto di acciaio e alluminio; mentre quello del 1932 è costruito interamente di legno ed è l'unico esistente al mondo fatto in questo modo.

TG: Quanti muri della morte ci sono nel mondo?

JP: non lo so con precisione, credo una quindicina. In Germania ce n'è ancora un altro, qui in Italia c'è Davide, in Olanda ci sono due muri della morte, in Francia uno... Normalmente non guardo a quello che fanno gli altri, non mi interessa, faccio solo le mie cose.

TG: Quanto tempo si impiega a montare un muro della morte itinerante?

JP: Questo muro qui ad Alba l'abbiamo montato in due giorni e mezzo. Il mio è più piccolo e richiede meno tempo, mentre quello più grande lo monto in 5 giorni con 6 persone.

TG: Qual'è la velocità minima per salire sul muro?

JP: Su questo muro sali a circa 40 Km/h; mentre sul mio muro più piccolo bastano 38 Km/h perché ha una circonferenza leggermente più piccola e più è piccolo il tragitto da percorre minore è la velocità necessaria per salire sul muro. Su un muro più grande hai bisogno di più velocità, ma la gravità che senti è la stessa (3,5G).


Davide e Jaggath ad Alba sul muro della morte. Se la velocità è troppo bassa si cade, ma se è troppo elevata si rischia di perderei sensi a causa della forza di gravità che sposta il sangue verso le estremità del corpo togliendolo al cervello. 

TG: Hai mai visto Roustabout con Elvis Presley?

JP: Sì l'ho visto.

TG: C'era anche un film irlandese, Eat the Peach che parlava dei muri della morte.

JP: Ho visto anche quello.

TG: Che cosa ne pensi di quei film?

JP: Sì, sono dei bei film che mostrano gli inizi del muro della morte. Da quei film si capisce che il nostro è un bel lavoro ed è per quello che lo facciamo.


Jagath Perera e Davide Terrenghi ad Alba Wall of Death Alba
Jagath Perera e Davide Terrenghi ad Alba

Intervista a Davide Terenghi dei Russian Devils

Tony Graffio: Davide per favore raccontami qualcosa del muro della morte.

Davide: Strutture come queste sono uniche; negli USA dove è nata questa specialità acrobatica sono rimasti solo 4 muri della morte, di cui 2 originali e 2 repliche. La nostra è una disciplina artistica che sta scomparendo.

TG: Qual'è la storia del tuo muro, il muro dei Russian Devils?

Davide: A questo muro noi abbiamo lasciato il suo nome originale, non abbiamo cambiato nulla. È stato costruito da una troupe americana in Olanda nel 1937; in seguito è finito in Unione Sovietica per fare dei tour, perché già allora si viaggiava tanto. Dopo lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, i sovietici requisiscono tutta la struttura; la rinominano Diavoli Russi e la portano in tour in tutti i paesi della ex-cortina di ferro. Incredibilmente, finisce anche a Cuba; ci sono fotografie che lo mostrano là. Una trentina d'anni fa va anche in Sudafrica dove un signore d'origine olandese lo acquista e poi tramite altri passaggi arriva fino a me.

TG: Esisteva un tradizione dei muri della morte italiana?

Davide: Certamente, ma i muri della morte italiani, francesi e spagnoli erano un po' diversi da quelli tedeschi e olandesi; non avevano pannelli così larghi da permettere al pubblico di appoggiare i gomiti. I muri italiani erano molto più sottili, avevano un telaio di ferro e poi venivano rivestiti da perline di legno. Alla fine degli anni '70 in Italia abbiamo avuto 18 muri della morte.

TG: Tantissimi!

Davide: Sì. Va detto che la tradizione degli artisti italiani in questa specialità non è stata seconda a nessuno. Il fenomeno, iniziato negli anni '20 negli Stati Uniti, si è subito diffuso in tutto il mondo, pur essendoci state affinità culturali e linguistiche che hanno fatto recepire prima la cosa agli inglesi e poi anche agli altri europei.

TG: Un tempo poi esistevano dei circuiti ciclistici su legno i velodromi che poi si sono adattati anche alle gare motociclistiche.

Davide: Tutto è nato da lì. L'ispirazione erano i board track racing, come il Vigorelli di Milano che tutti conosciamo. In America, i contadini più facoltosi che si compravano le motociclette più veloci e volevano replicare sugli sterrati fuori di casa ciò che vedevano fare sulle piste li ha portati a svuotare i loro granai di legno per creare dei piccoli board track da praticare con le motociclette. Poi, la voglia di fare business s'è diffusa e s'è pensato di portare questa idea nei circhi e nei Luna Park di tutto il mondo. È un fenomeno che è esploso subito ed è piaciuto tantissimo, anche perché le motociclette hanno fatto sognare di più delle automobili ed  economicamente erano alla portata di una clientela più vasta.


Russian Devils ad Alba. Il rapporto con il pubblico è molto importante.

TG: Quando hai pensato di avventurarti in questa attività?

Davide: Sono passati ormai 10 anni. Ci è voluto un po' di tempo per mettere in piedi questo spettacolo, sai, non è facile... Mi sono sempre piaciuti i circhi, le moto e le giostre è qualcosa che devi avere dentro di te. Il muro della morte è veramente la somma di tutte queste cose.

TG: Che doti ci vogliono per girare su queste "botti"?

Davide: Quando giri in due la prima dote è il rispetto per gli altri. Purtroppo, due anni fa è morto un nostro amico perché un tizio che sta un po' sui coglioni a tutti e pensa solo a se stesso lo ha fatto cadere. Come nella vita prima di tutto ci vuole il rispetto per gli altri e poi la concentrazione; dopo di che ci sono le basi affinché tutto possa andare bene.

TG: Qual'è stato il periodo più bello per il muro della morte?

Davide: In Italia, gli anni sessanta. Negli anni '70 già iniziava ad esserci qualche problema, in quel periodo la TV ha portato via tanto interesse al mondo del Luna Park che pian piano è stato sempre più ghettizzato, allontanandolo dal centro delle città per sistemarlo tra la discarica e il cimitero. Poi, quando la gente ha preferito andare al centro commerciale nel fine settimana, piuttosto che divertirsi, tutto è cambiato.


La Indian Scout di Jagath Perera.
La Indian Scout di Jagath Perera.

TG: Questa vostra attività dà molta adrenalina?

Davide: Adrenalina è una parola che non mi piace perché ultimamente è stata un po' abusata da alcuni marchi commerciali, però sicuramente fare questa vita ti dà felicità. Chiaramente ti deve piacere viaggiare e fare qualche sacrificio. Per esempio, noi siamo i primi ad arrivare sul posto, siamo venuti qui con i bambini 5 giorni prima quando non c'era ancora nessuno a dormire qui in roulotte. Alcune donne magari non sarebbero disponibili a stare qua con i bambini piccoli; non c'è l'acqua, né la corrente... siamo sulla strada.

TG: I film che parlano del vostro mondo ti piacciono?

Davide: Certo, a questo proposito vorrei segnalare che da poco è stato restaurato: I fidanzati della morte, un film italiano nel quale troviamo vari campioni di motociclismo, oltre a varie scene in cui compaiono i muri della morte, se non sbaglio della famiglia Marro che ha avuto vari protagonisti che hanno fatto grande il nostro mondo.

TG: Cosa mi dici delle donne che sono salite sui muri della morte?

Davide: Le donne sono più importanti degli uomini, perché vengono ricordate maggiormente. Probabilmente, agli inizi, per le donne che non guidavano le moto su strada, imparare ad andare in moto qua dentro (indica il suo muro della morte) poteva essere più semplice che per chi già lo faceva da tempo. Le difficoltà maggiori le trova chi guida la moto da sempre e poi vuole imparare ad andare qua dentro, perché qui cambia tutto, se non cambi approccio con la moto rischi di farti male. Le donne giovani che iniziavano ad andare sul muro della morte venivano da famiglie antichissime di giostrai che dicevano: "Adesso tu impari a fare questa cosa perché dobbiamo mangiare...".

TG: Bisogna iniziare da piccoli?

Davide: No, si può imparare a fare tutto.

TG: Davide quanti anni hai?

Davide: Troppi! Ti posso rispondere come gli inglesi... Old enough. Vuol dire che sono abbastanza grande per dirti cose giuste e per capirci.


Anche Giampo Coppa dei Motorfreakers Monster Family era ad Alba per il Chopper Show. Giampo e Davide si conoscono molto bene.

TG: Ci vuole molto autocontrollo per fare le acrobazie?

Davide: In gergo diciamo che bisogna fare la testa. La cosa fondamentale qui non sono i numeri in più che comunque fanno sempre il loro effetto, ma è molto importante capire sempre dove sei... Capire che sei sopra la porta o dall'altra parte. Quando giriamo non andiamo a caso, ma come i ballerini sappiamo dove uscire, per questo è fondamentale "fare la testa"; dopo di che puoi fare tutti i tuoi numeri. Io faccio anche dei numeri in più che però non faccio durante lo spettacolo perché mi capita ancora di cadere e non è bello farlo davanti al pubblico. Non perché fai brutta figura, ma perché potresti spaventare i bambini...

TG: È vero che Hugo Dabbert a 80 anni sale ancora sul muro della morte?

Davide: No, fino a 78. 

TG: Stai Scherzando?

Davide: No. L'ho visto personalmente. Hans Meyers invece ha smesso a 84 anni! Ho avuto la fortuna di vederlo tre volte. Jagath mi diceva che lui rimproverava sempre agli altri di andare troppo veloci, mentre lui sembrava che andasse troppo piano e che la sua Indian stesse per spegnersi da un momento all'altro. Però più vai piano, più i numeri riescono bene e sono belli, ovviamente non troppo piano altrimenti cadi. Non è facile trovare un equilibrio.

TG: Anche tu usi Indian?

Davide: Sì Indian Scout originali; la mia è del 1926, queste moto sono sempre le favorite, le vedi anche nelle fotografie d'epoca.

TG: Che caratteristiche hanno le Indian?

Davide: Hanno un baricentro molto basso, sono rigide e la forcella anteriore ti permette di fare dei bei numeri, come metterci i piedi sopra, eccetera. Ha il gas a sinistra, in modo da lasciarti la mano destra libera. Le marce le butti dentro con i piedi e il motore gira a basso regime, sembra quasi un tagliaerba. Rilascia potenza piano piano. Bene o male si può salire sul muro della morte con tutte le moto, ma le vecchie Indian sono le favorite e sono un po' la ciliegina sulla torta. Tony, ma toglimi una curiosità, Graffio è il tuo vero cognome?

TG: No, però mi dà quel fascino un po' italo-americano che altrimenti mi mancherebbe...

Davide: un po' come in Bronx Tale...

TG: Ti è piaciuto quel film?

Davide: È un bellissimo film di Robert De Niro che racconta della sua vita da giovane. Bellissima la scena quando arrivano i chopper a Brooklyn...

Giampo Coppa: Da quel film ho tratto un insegnamento che mi è piaciuto un casino in cui c'è il ragazzino che è il figlio di Sonny, autista di pullman, che ascolta suo padre che gli dice di non girare con quelli che sono gentaglia. Tony Toupee lo tiene d'occhio; passa un tipo che lo vede inizia a scappare... Gli chiede perché? Il tipo scappava perché aveva un debito di 20 dollari, ma l'altro gli dice di lasciarlo andare, con soli $ 20 se lo era tolto dai coglioni. Quella è una frase che mi è tornata utile una marea di volte!

Davide: Ogni volta che nella vita butto via una frittata faccio un passo avanti.

TG: Ti piace molto il cinema?

Davide: Sì. Ci sono bei film che raccontano del mondo dei motociclisti.

TG: Prima di arrivare al muro della morte che lavoro facevi?

Davide: Ho fatto molti lavori, ma l'ultimo che ho fatto per circa 8 anni è stato il carrellista, il mulettista. Se vengo qui con il muletto faccio più numeri di Fat Greg!

TG: Bellissimo!


Davide: Per la serie: tutto serve.

TG: Torneremo a trovarti.

Davide: Mi sento di consigliare anche un altro film: A day without a Mexican. Mai disperare, sempre sperare.

TG: Come hai fatto ad incontrare Jagath?

Davide: Grazie ad un amico olandese che anche lui ha un muro della morte. Poi, abbiamo approfondito l'amicizia perché è una persona eccezionale, di grande equilibrio, come molte persone che arrivano da quelle parti.


A piedi nudi sul muro della morte insieme a Jagath Perera


sabato 12 maggio 2018

La Stampa Alternativa di Marcello Baraghini

"C'è una rivoluzione che dobbiamo fare se vogliamo sottrarci all'angoscia, ai conflitti e alle frustrazioni in cui siamo afferrati. Questa rivoluzione deve cominciare non con le teorie e le ideologie, ma con una radicale trasformazione della nostra mente." Jiddu Krishnamurti

L'editoria è in crisi da anni; nel tempo si sono affermate nuove formule e nuovi mezzi per raggiungere il lettore, tra cui internet, l'auto-produzione, lo scambio di libri, gli audiolibri, gli ebook, l'abbattimento dei prezzi ed adesso perfino il capovolgimento del rapporto editore-lettore con l'annullamento del copyright e del concetto di possesso, oltre che del prezzo imposto. Ognuna di queste soluzioni ha i suoi pregi e i suoi difetti; Frammenti di Cultura ha già parlato più volte di auto-produzione e microeditoria che, pur avendo apparentemente intenzioni simili, hanno tuttavia un mercato leggermente diverso, anche se si rivolgono ugualmente ad un fruitore appassionato del supporto cartaceo e del prodotto editoriale di qualità. L'auto-produzione spesso è un modo per auto-promuoversi, per diffondere il proprio messaggio ad un gruppo di persone note o che fanno parte di una cerchia di contatti di nicchia che condividono interessi ben precisi; ma può anche essere un modo per stampare un prodotto particolarmente raffinato con caratteristiche artistiche particolari, in serie numerata e firmata dall'autore. La microeditoria è quel settore della comunicazione di massa in mano a piccoli imprenditori indipendenti che fanno scelte di qualità e spesso decidono di dedicarsi prevalentemente ad argomenti  e generi di loro interesse che possono andare dalla poesia, al racconto, alla saggistica, al romanzo, al fumetto, al giallo alla fantascienza e via di seguito. 
In molti casi è lo stesso micro-editore che si occupa personalmente di selezionare gli autori, seguire le varie fasi di lavorazione del libro e promuovere il prodotto. Si tratta di una forma encomiabile di artigianato culturale che lavora talvolta più  per passione che per fini commerciali.
Un altro discorso riguarda l'editoria tradizionale che si muove ed agisce secondo logiche industriali che perseguono il profitto ad ogni costo, perfino ricorrendo a sovvenzioni pubbliche, stratagemmi commerciali e contrattuali che avvantaggiano soltanto le tasche dell'imprenditore (unico), a discapito di autori, punti vendita e qualità della merce offerta alla vendita finale che, non dimentichiamolo, dovrebbe essere un prodotto di rilevanza culturale o di un qualche valore letterario...
Mi riservo di scrivere prossimamente anche di come funziona il mercato editoriale e la catena produttiva industriale, affrontando inevitabilmente un discorso più politico e organizzativo che culturale, perché mi sono reso conto che mediamente si sa poco di queste questioni, ma per ora Vi propongo una bellissima intervista ad un personaggio unico nel panorama editoriale mondiale. TG


Marcello Baraghini ad Afa 2018 con Giacomo Spazio
Marcello Baraghini ad Afa 2018 con Giacomo Spazio.

Tony Graffio intervista Marcello Baraghini

Tony Graffio: Marcello, che cos'è la Stampa Alternativa?

Marcello Baraghini: Le mie edizioni nascono come Stampa Alternativa, ma oggi mi dichiaro editore all'incontrario. Naturalmente, la stampa alternativa è alternativa a quella di regime. Nel 1969, quando dovevamo decidere come chiamarci discutemmo a lungo su nomi inglesi esotici, molto strani e alternativi, ma alla fine decidemmo di ispirarci all'underground press che ci nutriva di controinformazione.
La stampa di regime è la comunicazione di regime, mentre noi siamo l'alternativa. Oggi la stampa di regime è in mano a un delinquente naturale (nel senso che delinque anche quando non c'è bisogno) che è Berlusconi, cosa che fa sì che in Italia ci sia un editore unico, al di là del fatto che si presentino svariate sigle sul mercato. Per questo noi ci dichiariamo editori all'incontrario con una formula di vendita che prevede che il prezzo venga fatto dal lettore. I nostri libri sono senza codice a barre, si possono trovare gratuitamente in rete, mentre per le edizioni cartacee è il lettore a decidere quanto pagare. Questa è la nostra idea.

TG: Tu parli di Berlusconi, a questo proposito vorrei ricordare che anche scrittori apparentemente contro certe politiche, mi riferisco a Roberto Saviano per esempio, si rivolgono a Mondadori per veicolare e diffondere il proprio messaggio. Perché?

MB: Succede la stesso con Alessandro Di Battista, secondo il quale il male peggiore è Berlusconi e poi pubblica i suoi libri con Rizzoli. Evidentemente, a fronte di 400'000 euro ogni dignità culturale, etica e morale va a farsi benedire. I sistemi di corruzione sono a tutto campo; noi abbiamo la fantasia per svicolare dalle leggi di mercato, loro hanno  un potere di corruzione immenso. Ne: "Il Caimano" si racconta del finanziere che doveva controllare Berlusconi che invece diventa un suo uomo di fiducia. Io mi ritengo incorruttibile; all'epoca della mia militanza con il partito radicale, nel 1964, rifiutai di entrare in parlamento come deputato. Alla via parlamentare preferii quella del marciapiede; ancora oggi resisto sulle mie posizioni e più resisto più sono contento.

TG: In tutti questi anni la gente ha però smesso di leggere...

MB: Secondo me, giustamente, rifiuta certe cose. Io sono dell'avviso che tanto più l'AIE (Associazione Italiana Editori) dichiara un calo delle vendite, tanto più bisogna gioire, perché vediamo attuarsi uno sciopero dell'acquisto, non della lettura. Il paese reale non ha un sindacato che lo rappresenta e come reagisce? Evitando di entrare nelle catene di distribuzione. S'è rotto i coglioni di quel sistema e con internet scambia cultura e legge in altre maniere.

TG: Su questo punto posso anche essere d'accordo; ma non credi che il mezzo digitale però non offra al lettore la stessa capacità di concentrazione e di comprensione che offre lo stesso testo stampato su carta?

MB: Non è detto, io non lavoravo sullo schermo del computer, ma poi ho capito che per fare l'editore all'incontrario e la rivoluzione editoriale dovevo utilizzare gli unici strumenti che avevo a disposizione: il p.c. e internet. Non posso pensare di contare su qualsiasi altro strumento di comunicazione di regime. Anche quella parvenza di libertà di parola data da Farenheit, nel pomeriggio di RadioRai3, è solo una sega che mi ha fatto capire che non mi vogliono. Cercano di ottenere una diversa messa cantata da quella proposta dalle radio commerciali, però si tratta sempre di una messa cantata. Per questo, ho imparato ad usare l'unico mezzo di comunicazione che ho a disposizione. La mia sfida è con i nuovi lettori, perché i vecchi stanno morendo. I lettori colti che ancora inneggiano alla carta stanno scomparendo: per malattia, solitudine e a causa dell'età.

TG: Siamo obbligati a dedicarci solo al computer?

MB: Certo. Io che cosa vendo ai ragazzini? Le magliette di Alda Merini o di Basaglia. Quando per un compleanno comprano la maglietta che riporta una frase di Basaglia, anche se non lo conoscono, devono poi difenderla. Con lo smartphone devono cercare di capire e vanno a conoscere Basaglia per difendere la loro maglia. Questo è un esempio per farti capire che dobbiamo ricominciare da capo. Ricominciando dalle parole, non più dai libri.

TG: Comunque la gente legge molto meno...

MB: Legge diversamente da prima, in altri modi. L'indice di lettura non è quello delle classifiche dell'AIE. Ci sono vie trasversali che sono Strade Bianche della lettura: scambio, libri pirati, scaricamenti. Tutto è cambiato. In peggio per il regime al potere; in meglio per chi fruisce della libertà di internet. Quelli che dicono che non si legge più si sbagliano: i lettori leggono diversamente da prima, leggono di più e fanno sciopero dell'acquisto nelle catene. Ai giovani non frega un cazzo di Camilleri o di Fabio Volo che sono letti dai quarantenni e da fasce d'età più avanzate.

TG: La rivoluzione editoriale si fa anche con il prezzo?

MB: Ribaltando tutto: il prezzo lo fa il lettore. Io pubblico per amore del lettore, che faccia lui il prezzo, tanto non ho niente da perdere. Vuoi derubarmi? Sei libero di farlo. Quando non hai messo i soldi nella mia ciotola che cosa ci guadagni? Intercettando i discorsi del paese reale ho sentito questa frase: "Aò, qui non se rubba!". Sono tutti dati che traggo dal mio osservatorio popolare. Grazie ad un regime che si accanisce contro le libertà e grazie alla morte delle ideologie è possibile proporre qualcosa di diverso al lettore. Anche a me piace il profumo della carta e stampo su carta, ma lo faccio dopo aver messo i testi in rete gratuitamente. Su carta pubblico ancora con la qualità dei vecchi tipografi. Il libro di Ivan Hurricane era difficilissimo da stampare, ma è perfetto su carta. È la stampa di qualità dei vecchi tipografi di una volta, non è stampa digitale. Il profumo della carta mi appassiona, ma se io vivo di quel profumo perdo.

TG: La stampa dei libri da mille lire a che cosa ha portato?

MB: Ha fatto nascere una nuova classe di lettori: il 99% erano giovani minorenni. Nei due anni di furore dei Millelire vendetti 20 milioni di copie. Proponevo Eraclito e Marziale riprodotti con uno spirito libero ed i giovani capirono la mia proposta. Quelli che non la capirono furono i librai, perché quando entrò un concorrente sleale, pagato da Berlusconi, con libri di 100 pagine a mille lire e le copertine a colori, utilizzando però vecchie traduzioni, le librerie mi scaraventarono fuori. Se avessi resistito ancora un anno, quella rivoluzione si sarebbe compiuta e avremmo così assistito alla creazione di una nuova classe di uomini liberi e donne libere, perché leggendo si acquista la libertà. Eraclito l'ho fatto ritradurre da Luciano Parinetto ed ha venduto 200'000 copie. Anche le lettere sulla felicità di Epicuro stavano creando una classe dirigente non ideologizzata. Qualcuno ha capito cosa stava succedendo ed ha trovato la trappola agendo sui librai che ancora adesso sono l'anello debole dell'editoria. In quel momento i librai sbagliarono perché anziché aiutarmi mi cacciarono dai loro scaffali. Oggi loro hanno chiuso tutti (risata) e rimangono solo le catene di distribuzione del solito che pagò Newton Copton che era in remissione.

TG: C'era più libertà negli anni '60 o adesso?

MB: Negli anni '60, perché c'erano più pulsioni di libertà. Lo posso testimoniare: allora questo era un paese bigotto che stava rinascendo e l'insofferenza per la generazione dei padri motivava un forte desiderio di cambiamento. Io sono uscito da casa minorenne nel 1963... Le stesse pulsioni di ribellione, col cazzo che le vedo adesso! I libri da Millelire davano una risposta alla voglia di rivolta culturale, non più esistenziale; era una presa di coscienza dello sfruttamento intellettuale.


Manuale per diventare editore all'incontrario - Marcello Baraghini - Babbomorto Editore

TG: Cosa mi consiglieresti di leggere per capire meglio quello di cui parli?

MB: Potresti leggere il manuale per diventare un editore all'incontrario, purtroppo adesso ne ho solo due o tre copie che mi sono state donate e che ho già promesso ad amici. Non ti posso fare dono della copia cartacea, l'avrei fatto volentieri, ma presto lo metteremo online.

TG: Quale sarà il futuro della lettura? Ci sarà un futuro?

MB: Sì, la gente continuerà a leggere, ma su supporti diversi dalla carta. Il cartaceo vivrà in parallelo, ma in maniera subordinata al digitale e alla possibilità d'essere letto sulla rete. Per quanto riguarda me, il cibo per la mente deve essere libero in rete. Bisogna abbattere il codice a barre e il copyright. L'atto d'amore per il lettore parte dalla qualità della proposta, se poi ti piace mi chiedi una copia cartacea e io te la mando pagando anche le spese postali.

TG: Spostandoci ancora un po' più in là nel futuro, tu credi che le macchine potranno creare una loro letteratura e dimostrarsi creative?

MB: No, il computer è un cavallo selvaggio che va domato. Io da poco mi sto dedicando al computer, ma da quando smanetto ho riacquistato una grande quantità di contatti pur vivendo nella campagna estrema. Non penso che il computer possa andare oltre e dimostrarsi uno strumento creativo, ma è un potente mezzo di libertà.

TG: Non pensi che attraverso il computer sia più facile manipolare l'informazione e l'autenticità dei testi?

MB: Sì, come tutto. Chi detiene il potere è contro la creatività e la libertà, dunque in qualsiasi ambito c'è una manipolazione. Sta a te difenderti. L'importante è capire il linguaggio, la brevità e tutta una serie di cose che si esprimono attraverso la rete.

TG: È difficile trovare il proprio pubblico?

MB: No, non lo è affatto.

TG: Come si fa?

MB: Devi comunicare brevemente ed efficacemente, come ho fatto con i libri Millelire che per anni sono stati criticati. Che sò questi, ma che sò questi? Ma alla fine ne ho venduti 25 milioni di copie. Siamo passati da 400 milioni di lire di fatturato a 6 miliardi in due anni, senza resi. Con le Millelire ho creato un cortocircuito al sistema di potere che ci ha messo due o tre anni per stangarmi. Adesso ci sto riprovando con altre modalità. Non voglio il circuito commerciale e non voglio le librerie; voglio abbattere il possesso e il copyright.

TG: Quanti scaricamenti vengono effettuati dai tuoi link ai libri digitali?

MB: Qualche migliaio per ogni libro.

TG: Ricevi donazioni per il tuo lavoro?

MB: Certo. C'è tutto un meccanismo di complicità che si sta rimettendo in moto. Il paese reale capisce; il problema è quello di raggiungerlo e di fare una proposta giusta, secca, non ideologica, ragionevole e motivata.


TG: Mi sono accorto che s'è creata anche una forma di collezionismo intorno ai tuoi Millelire; per esempio conosco Matteo Guarnaccia e mi sono reso conto che un libricino con le sue illustrazioni è molto ricercato. Che cosa ne pensi di questa situazione?

MB: Che ce posso fà? Non accumulo copie e non approfitto di certe cose. Se avessi avuto alcune decine di copie dei miei libri avrei potuto venderle a peso d'oro, ma non è nella mia indole fare certe cose.

TG: Non hai mai foraggiato il collezionismo?

MB: Mai. Anzi, quel po' di archivio storico che avevo, l'ho regalato agli amici che sono venuti a trovarmi. Il dono per me è uno dei gesti più belli che si possano fare.

TG: E tu come lo vedi il collezionismo allora?

MB:  È una sorta di patologia, anche se ognuno può avere le sue motivazioni. C'è chi ha scelto di non fare l'impiegato e raccoglie un po' di materiale per rivenderlo e lucrarci. Spesso c'è della morbosità. Ho ideato collane bibliofile ed ho scelto di liberarmi di ciò che ho fatto. Il libro di qualità dev'essere libero, deve uscire dalle teche, dalle biblioteche, dagli scaffali. Come editore, devo strappare le pagine dell'Ulisse e alcune pagine delle opere importanti, per farle rivivere. Devo trovare il modo di riproporre alcune pagine che valgono da sole l'intera opera. Nessun giovane leggerà mai L'Ulisse di Joyce interamente, ma se io estraggo quattro pagine e faccio due libri Bianciardini gratuiti ad un centesimo, vuoi vedere che si ritorna a leggere anche l'Ulisse? Per questo devo strappare l'Ulisse dalle biblioteche e devo strappare alcune pagine dal libro.

TG: Va alleggerito?

MB: Va riproposto con altre modalità. Tutto deve ripartire con altre modalità.

TG: Beh, ma strappare delle pagine vuol dire fare un intervento anche sull'opera creativa.

MB: No, tu sei come il traduttore: il miglior traduttore quasi riscrive. Il miglior traduttore di lingua madre ha facoltà di riscrivere un'opera per portarla ai giorni nostri. Lo stesso ho fatto con Epicuro che è stato ritradotto, ma non dal potere. L'Ulisse devo farlo leggere, ma non posso metterlo in vendita a 20 o 30 euro.

TG: Per questo bisogna fare un estratto?

MB: No. Catturare alcune pagine all'interno dell'opera vuol dire farle vivere di vita propria. Ho pubblicato l'arte della gioia di Goliarda Sapienza che è diventato un caso nazionale. Il primo capitolo è già un libro. Alcune pagine di Joyce sono un racconto, leggendo bene quelle pagine vai a vedere Dublino.

TG: Marcello, ti ritieni ateo o agnostico?

MB: Ateo al 100%. Accanitamente ateo.

TG: Cos'è la morte per un ateo?

MB: Non mi pongo il problema. Più invecchio più non me ne fotte un cazzo della morte. Più mi soddisfa quello che faccio, meno vengo turbato dal pensiero della morte. Un anno fa ho piantato un querceto, più di 150 querce...

TG: Un tuo libro preferito o una tua lettura ricorrente?

MB: Le mie letture preferite sono quelle della ribellione, pertanto Keruac e le pagine anticlericali. Da Ernesto Rossi alla scuola radicale. Nasco con quella saggistica e scarto la fascinazione per le ideologie e le religioni. Le varie forme di potere, anche quelle apparentemente più libertarie, ti incatenano e ti imprigionano. L'anti-potere per me è rappresentato  da Krishnamurti che andava a diffondere un certo pensiero, poi spariva non esercitando nessun potere sugli altri.


Marcello Baraghini, 74 anni, Editore all'incontrario.
Marcello Baraghini, 74 anni, Editore all'incontrario.


martedì 8 maggio 2018

Fumetto, auto-produzione, robot, impegno sociale, morte e immortalità

Ammetto che il titolo abbraccia argomenti molto distanti tra loro e apparentemente poco amalgamabili, però venerdì scorso ad AFA ho iniziato una interessante conversazione con Vincenzo Jannuzzi e sono emerse considerazioni importanti che ho pensato di riproporvi qua di seguito. Magari presentandovi anche l'ultima auto-produzione del prolifico ed instancabile maestro del fumetto indipendente. TG

Vincenzo Jannuzzi ritratto di fronte ai suoi disegni

Janù e Tony Graffio si incontrano ad AFA 2018 per una conversazione amichevole

Tony Graffio: Volevi dirmi qualcosa sull'auto-produzione?

Janù: In questo momento in cui crisi si sommano a crisi, chi non è dentro ai circuiti economici più forti sparisce dall'orizzonte del visibile. Io sono un esempio di quello che sto affermando. Sono un autore che da un a vita è impegnato a fare fumetto, ma che non appare da nessuna parte. A questo proposito, Ivan Manuppelli che è molto addentro agli ambienti del fumetto Underground ed è tra gli organizzatori di AFA mi conosce, però bisogna andare a cercarmi un po' col lanternino nel mondo delle auto-produzioni che, paradossalmente, adesso diventano più facili da affrontare perché la macchina sta sostituendo il lavoro umano, anche dove prima non era possibile farlo. La riproduzione ha così un costo più accessibile per tutti. 
È vero che la crisi ricostruisce certe distanze, però con 500-600 euro è già possibile produrre una piccola tiratura di un lavoro.

Insekten Sekte di Matteo Guarnaccia

Negli anni '70 avevamo un Matteo Guarnaccia che stampava in serigrafia 100 copie di Insekten-Sekten e li vendeva per strada, a poco, o niente. Questo era possibile perché quella produzione gli costava poco o niente.
Oggi l'auto-produzione non ti ripaga più del lavoro redazionale, se hai un libro di 100 pagine come questo (L'appuntamento  che sembrava perso) e lo riesci a vendere a 10 euro, capisci che questo succede proprio grazie ai costi abbastanza contenuti di riproduzione  e di stampa digitale. Il problema è che per disegnare 100 tavole serve molto lavoro. Togliere la parte redazionale vuol dire intervenire in Photoshop per il lettering e l'impaginazione, ma anche eseguire questi lavori da solo.

TG: Quante copie hai stampato de: "l'Appuntamento"? 

Janù: 300.

TG: Poche...

Janù: Sì poche, ma poi quando vanno ad esaurirsi le faccio ristampare. Tra un po' dovrei ritirare le nuove copie de: "Il Piccolo Principe", perché ormai non ne ho quasi più. In quel caso, l'editore l'avevo trovato senza cercarlo, lo sai, era il Museo del Fumetto... Avevo preferito tenermi delle copie per me come pagamento e penso d'aver fatto bene, perché come autore ho più possibilità di vendita o per organizzare una presentazione. Un piccolo editore ha più difficoltà in quello: anche se riesce ad avere la collaborazione dell'autore ha maggiori costi da affrontare. Il viaggio, il vitto l'alloggio... Da quel punto di vista l'autore di un'auto-produzione sa che anche quelle sono spese di cui deve farsi carico che vanno aggiunte alle voci dei costi.

TG: La difficoltà principale è quella di farsi conoscere in questo grande mondo delle auto-produzioni?

Janù: Allora, io ovunque vado per farmi conoscere mi metto a disegnare e vedo che questo è un metodo che funziona. In Valtellina, per esempio, ho fatto diverse presentazioni in librerie, biblioteche ed adesso la gente mi conosce. Anche alcune riviste locali hanno scritto di me. Certamente però non faccio più parte di quel grande circuito per il quale andavo alla Biennale di Lucca a presentare un lavoro pubblicato in Francia. Dalla Francia era venuto il direttore del Festival international de la bande dessinée d'Angoulême che mi aveva invitato ad essere l'ospite d'onore per l'edizione successiva del festival organizzato da lui... In quel caso ero stato intervistato da France 2 che poi aveva mandato in onda quella registrazione in un programma che andava in onda nell'ora di punta. Adesso, è un po' diverso e comunque ci vuole un'organizzazione piuttosto grossa. Negli anni in cui mi capitavano queste cose pubblicavo per Mondadori... adesso non mi risulta neppure che Mondadori pubblichi fumetti. Tolti Bonelli, i Manga, Marvell e altri supereroi non c'è praticamente più niente. Restano solo gli autori indipendenti che però devi andare a cercare. E quando li trovi, ti accorgi che sono in tanti a fare lavori di ottima qualità. Qui ad AFA trovi la radura dell'auto-produzione, mentre so che il Festival del Fumetto di Milano proverà a riunire anche degli autori meno Underground. C'è comunque tanta gente che sa disegnare bene e scrive belle storie.

TG: È importante frequentare una scuola e avere un buon maestro?

Janù: Sì, è importante. A scuola un buon maestro può insegnarti tante cose che altrimenti devi imparare da autodidatta impiegando più tempo e più energie per arrivare allo stesso risultato. Un buon maestro ti aiuta a raggiungere prima certe tappe e quindi ottenendo più velocemente certi risultati, poi puoi andare oltre. La lezione di un Toppi o di un Battaglia è quella. Hanno disegnato cow-boys per metà delle loro vite e dopo hanno inventato una poetica tutta loro. La scuola non va rifiutata, va presa come una parte del tuo lavoro, poi la creatività farà il resto.

TG: La creatività si può sviluppare?

Janù: Si deve sviluppare. Ritengo che un'esperienza che manca di creatività non è libera. Imparare l'alfabeto è qualcosa di necessario, ma non è che poi ti limiti a usare quelle lettere separatamente, l'alfabeto ti è utile per narrare le tue storie, per scrivere, esprimerti e conoscere. La facoltà che noi abbiamo di capire le cose e di esprimerle ci rende creativi perché siamo intelligenti, non perché qualcuno è creativo ed altri no. Qualcuno è creativo in un modo e qualcun altro è creativo in un altro modo. La creatività è innata nel nostro modo di procedere. Tu documenti delle situazioni e ogni altra cosa che fai la fai a modo tuo, perché sei libero. Anche se a volte la libertà consiste proprio nell'uniformarsi a un metodo o a una struttura che ti permette di ottenere un certo risultato. Quando si lavora ad un progetto grande, ci si muove un po' come le api. Lì sembrerebbe che si possa avere meno libertà di espressione, invece le api sono libere di comunicarsi i loro percorsi per andare alla ricerca del polline. Le api hanno un loro linguaggio e riescono a costruire le loro celle di cera con un'ingegneria raffinatissima e rigorosa, ma lo fanno attraverso infinite variabili, quindi la creatività è una costante del linguaggio anche per loro.

TG: È più complicato il linguaggio del fumetto o quello della letteratura?

Janù: Ci sono analogie, ma ci sono anche molte differenze e specificità. Ovviamente, sono due linguaggi diversi, ma è come dire che noi abbiamo l'alfabeto, la parola, la musica, il mimo e anche una certa facilità ad evocare situazioni o sentimenti. Posso indurti a sentire qualcosa con la musica o con i colori, per esempio, e ogni disciplina è una forma specifica di linguaggio che copre bene un territorio, ma collegando insieme varie forme espressive riuscirai a far capire meglio il tuo messaggio e a raggiungere il tuo pubblico. Il fumetto copre una nicchia particolare che non è più pittura, perché la pittura copre solo un tratto dell'arco temporale, il presente, mentre nel fumetto è associata la quarta dimensione che ti permette una narrazione diversa. Non è come la musica che oltre ad essere evocativa ha una sua struttura logica... questo non vuol dire che il fumetto non possa esprimere emozioni, anzi... Il fumetto ha qualcosa che manca alla musica; così come la musica ha qualcosa che manca al fumetto. Con il fumetto puoi far pensare parecchio. La cosa migliore sarebbe quella di possedere più linguaggi per riuscire a trovare il modo migliore per esprimersi.

TG: Negli anni '60 e '70 abbiamo assistito ad un exploit del fumetto, un po' ovunque; tutti lo acquistavano e lo leggevano, mentre adesso che siamo in un epoca digitale e possiamo attingere a tantissima offerta di informazione, il mercato del fumetto sta soffrendo un rallentamento nella sua didìffusione e anche le persone sembrano meno interessate a fruire di questo media; perché? Forse non è un linguaggio facilmente fruibile in maniera digitale? Il fumetto nasce sulla carta, è bello consumarlo sulla carta ed oggi c'è un po' una crisi anche del rapporto che si ha con questo materiale?

Janù: Sicuramente, quello che dici è vero; il rapporto con la carta è importantissimo e quello che stiamo vivendo è il passaggio ad un'epoca completamente diversa che utilizza mezzi diversi. L'elettronica e la telematica hanno prodotto questo cambiamento, quindi ne dobbiamo tenere conto. Il fumetto mi ha aiutato ad entrare in contatto con la gente e a farmi capire; quando viaggiavo, prima di questa rivoluzione digitale, imparavo le lingue, in modo basico, utilizzando il fumetto. Non è richiesta una grande cultura per comprendere questo linguaggio, perché il fumetto ha una capacità di sintesi alla portata di tutti. È facile disegnare un volto che ride o che piange ed è immediato associare un'immagine ad una parola o a qualche significato. In certi ambiti arriva meglio il fumetto che il computer, specie quando sei in viaggio e incontri popoli diversi. Il fumetto è un mezzo che ti permette di esprimerti con ironia, ti aiuta a distorcere la realtà e a creare delle caricature sarcastiche che la fotografia non ti permetterebbe di realizzare con altrettanta rapidità. Io distorco le immagini con un intento premeditato, con lo scopo di ottenere ciò che voglio. E non c'è macchina che tenga che riesca a fare una cosa del genere, capace di collegarti con i tuoi pensieri, con i tuoi sentimenti. La macchina umana è potentissima, il nostro bios è evolutissimo.

TG: Ecco, hai toccato un tasto interessante che mi spinge a chiederti come pensi che diventerà il nostro futuro. Che cosa succederà? Pensi che arriveremo a produrre delle macchine sofisticatissime, dei robot, capaci di creare qualcosa di nuovo? E questi robot, saranno mai creativi?

Janù: È difficile dire che cosa sia la creatività. Dico questo partendo dal presupposto che, a volte, ho trovato qualcosa d'interessate passando attraverso un errore. Se sbaglio qualcosa, quell'errore va corretto, ma prima di aggiustarlo va capito ed in quella analisi c'è già una riserva d'intelligenza che mettiamo in moto involontariamente, perché l'errore è qualcosa che non desideravamo fare. Paradossalmente, l'errore ci indica una via nuova. Non so se questo processo può accadere in una macchina.

TG: Recentemente, ho letto di robot/sommelier che fanno un lavoro che sembrava essere prettamente umano, quindi mi chiedo: dobbiamo avere paura di essere sostituiti dai robot anche nel campo della narrativa e del disegno? O del fumetto?

Janù: Se in milioni di anni noi siamo riusciti a diventare una macchina tanto complessa e sofisticata; dubito che l'intelligenza artificiale possa raggiungere prestazioni così importanti in poco tempo. Non voglio pensare che l'umano possa essere ridotto ad una macchina, a meno che una qualunque divinità nel giro di milioni di anni riesca a produrre una macchina che assomigli all'uomo. Però, mi sembra che siamo più nel campo della fantascienza che in quello delle idee concrete. È pur vero che il robot è costruito dall'uomo e per questo l'uomo ha bisogno di conoscere perfettamente la materia che vuole trasferire alla macchina in forma codificata e la macchina esegue quanto le viene richiesto dall'uomo. Non riesco a vedere in che cosa potrebbe manifestare la sua creatività una macchina... È vero che il computer risolve i calcoli miliardi di volte più velocemente dell'uomo e senza errori, però si tratta di calcoli che l'uomo ha impostato... Dubito che la macchina autonomamente possa arrivare a elaborare dei dati che non le vengano forniti dall'uomo.

TG: Enzo, hai mai trattato di queste tematiche fantascientifiche nei tuoi fumetti?

Janù: No.

TG: Non ti interessano?

Janù: Mi interessano tantissimo, specialmente quando trovano un aggancio nel sociale, perché quello che mi sta a cuore è il sociale. Sono partito ad occuparmi del sociale fin da quando avevo 4 o 5 anni. Facevo i cow-boys a modo mio. Leggevo il Vittorioso e mi spisciavo dalle risate con Jacovitti. Il mio personaggio era un cow-boy un po' imbranato che si bruciava accendendo il fuoco e cose di questo tipo.

TG: Ma i robot ti darebbero un'infinità di spunti in ambito sociale, non credi?

Janù: Sì, però non li sento come qualcosa di mio...

TG: Ormai ci siamo... stanno arrivando tra noi!

Janù: Tu vedi questa situazione già in certi termini, mentre io non mi pongo il problema se il robot potrà sostituire l'uomo. Le macchine sostituiscono l'uomo nel lavoro da molto tempo. È da decenni che creano disoccupati...

TG: Anche se qualcuno continua a volerci convincere che grazie ai robot ci sarà più lavoro...

Janù: Invece no, cresce solo la ricchezza per i ricchi. Bisogna intendersi sui termini... Certo la macchina sostituirà l'uomo, ma non per questo io non tromberò più la mia bella perché la macchina non mi farà fare fatica!


TG: Eh, invece parlano anche di robot sessuali.

Janù: Sì, lo so, puoi insegnare alla macchina a fare quel gesto, forse ci sono già, però non è la stessa cosa. Attenzione, perché queste tematiche possono essere utilizzate un po' in mala fede. Ti faccio un esempio: chi adesso sta pensando di scatenare una guerra nucleare, nello stesso tempo si sta preoccupando di organizzare dei viaggi su Marte; oppure vuole venderti il bunker anti-atomico. Questi signori hanno tutto l'interesse a maneggiare il problema in modo che tu pensi di riuscire a salvarti. Con 700'000 $ forse puoi prenotare un biglietto di solo andata per Marte. Ti diranno che possiamo salvarci e riprodurre il nostro bios nello spazio, ma è un discorso troppo riduttivo che poi ti nasconde il fatto che i robot sono stati introdotti per mandare a casa gli operai. Ma ti sembra che un operaio sia soltanto un uomo che stringe un bullone come si vedeva in Luci della città di Charlie Chaplin? Non è così. È riduttivo vedere l'uomo a questa stregua. Però, è vero che la macchina sostituisce l'uomo tutti i giorni. Ti immagini due robot che dialogano come noi stiamo facendo adesso? Io non credo che arriveremo mai a questo punto.

TG: È anche vero che il dialogo tra simili si sta riducendo sempre più...

Janù: Vero, però questo non significa che la macchina arriverà a sostituire l'uomo. Noi abbiamo perduto la bellezza degli anni '60, la vita di quei giorni, incontrasi a Brera al Jamaica e tutto il resto... Forse che le macchine sono riuscite a replicare tutto quello? Abbiamo perso parte della nostra umanità che è stata trasformata in profitto. Gli affitti a Milano costano cento volte di più. Se prendi un té adesso in un bar del centro lo paghi 13 euro... La logica che sottende certe problematiche la si può riconoscere e comprendere abbastanza facilmente. Capisci perché prediligo un discorso sociale, se vuoi anche più polemico? Non voglio rischiare di andare fuori tema e fare discorsi futuribili; a me non interessa la fantascienza, se non per ricondurci ad un discorso concreto. Ci sono già ottimi scrittori che scrivono di fantascienza che io apprezzo come letteratura di maniera. Io ho bisogno di situazioni che mi aiutino a comprendere la realtà. Ci sono autori che devono illustrare ed eseguire storie che altri hanno scritto, pensato e voluto proprio secondo una scala gerarchica, cosa che sminuisce la loro creatività, d'altra parte questi autori sono abbastanza portati sugli scudi dal sistema, perché un autore che sfonda con Marvel non avrà certo di andare a vendere due o tre copie in un bar per sopravvivere.

TG: Conosci per caso Danijel Žeželj? Ha pubblicato stupende graphic novel con le edizioni del Grifo, poi è andato in America a disegnare Batman per la DC Comics, ma anche altri supereroi per Marvel e altri editori.

Janù: Di solito, gli autori migliori se li prendono proprio loro.

TG: Snaturandoli, però.

Janù: Ovvio... A loro interessa il tratto dell'artista. Non possiamo criticare l'operaio per la struttura del lavoro capitalistico della società in cui è inserito. L'operaio non è colpevole di far parte di un sistema classista che sfrutta il lavoro altrui e produce disoccupazione, esodati eccetera... In quel caso Žeželj diventa l'operaio della catena di montaggio della Marvel. Questo è il caso del geniaccio che non può esprimersi indipendentemente, ma deve trasmettere il messaggio dell'editore. Prova a parlare a certi editori di alcune tematiche e vedrai che non te le faranno passare. Non solo la sceneggiatura, neppure la "scaletta"... che sarebbe la storia succinta sulla quale poi lavorano lo sceneggiatore e tutti gli altri. Una volta provai a mandare le mie tavole disegnate a pennello alla Walt Disney quando si era trasferita da Segrate a Milano, in via Dante. Venni fatto chiamare per due o tre volte e mi dissero: "Le tavole sono belle, vorremmo farti lavorare, però dovresti...". Avevano difficoltà ad esprimere quello che volevano, ma io lo capii bene; volevano che io rielaborassi un po' la filosofia. Insomma, per loro era giusto che questa società produca milioni di morti di fame che vivono sotto i ponti, perché quello è il significato del deposito-bunker pieno di dollarazzi di Paperon de' Paperoni.
Se tu non acquisisci quella filosofia non puoi lavorare per loro e io non l'ho mai acquisita e nemmeno la voglio acquisire in futuro. Per me, non può essere bella una società in cui c'è un miliardario e milioni di morti di fame. Allo stesso modo il senatore Mc Carty aveva attuato una politica di aggressione nei confronti di chi avesse simpatie per la sinistra in modo che costoro non potessero trovare un lavoro, una casa e vivere una vita tranquilla. Pensa che Walt Disney in un primo tempo era di sinistra e poi è diventato quello che è diventato dopo un bel lavaggio del cervello. Questa è la democrazia alla Walt Disney ed è ovvio che tu non possa andare da loro a lavorare portando lì le tue storielle.

TG: Perdonami Enzo, ma perché l'Underground produce una quantità esagerata di mostri schifosi?

Janù: Io ritengo che sia una forma di critica a questo mondo. Da una parte c'è il bunker dei dollarazzi, dall'altra i mostri. La vecchietta che è stata buttata fuori di casa e va a dormire nelle scatole di cartone sotto al ponte, non va la mercato a fare la spesa, ma ci passa dopo quando le bancarelle sbaraccano per raccogliere i rifiuti che sono rimasti per terra. Questo è un mondo che fa schifo: è mostruoso! E produce mostri. L'artista ha una sensibilità che riesce a vedere queste cose, magari decontestualizza certe cose per non renderle troppo chiare, mentre io preferirei fare un'analisi critica di questa società in cui si mostrano cause ed effetti.

TG: Un po' come hai fatto tu con l'Ancillotto.

Janù: Esatto. O almeno, bisogna cercare di restare nel sociale... per quello non mi piace la fantascienza, o i generi, perché anche l'horror è un genere. Se posso, io racconto il dramma in modo lieve.

TG: Un po' alla Max Bunker?

Janù: Sì, già lui ha fatto un ottimo lavoro con il gruppo TNT che rubava ai poveri per dare ai ricchi.


Fumetto Janù

TG: Hai voglia di dirmi qualcosa sull'ultimo lavoro che hai pubblicato?

Janù: L'appuntamento è una selezione mirata delle memorie che io ho di mio fratello. Ho deciso di scrivere di lui dopo che l'ho perso. Non si tratta di un diario, ma un modo di ripercorrere quelle tappe essenziali delle nostre vite che passavano inosservate che in vece hanno avuto per noi un significato profondissimo. Queste scoperte le ho fatte nel momento in cui mio fratello è scomparso.  È un modo per osservare quello che in realtà era un rapporto normale tra persone che non vivevano insieme. Noi vivevamo in città diverse, però abbiamo ugualmente percorso una vita insieme. Rivedere a posteriori la nostra storia mi ha permesso di notare quello che di magico c'era tra di noi. Abbiamo vissuto situazioni grandiose, bellissime che immagino possano esistere in tutte le vite condivise, anche se non apparivano così speciali nel corso della vita.

TG: Quali persone si incontrano a questo appuntamento?

Janù: È un appuntamento in cui si incontrano mio padre e mio fratello. Avrebbero dovuto vedersi prima che morisse mio padre che ha tenuto l'anima tra i denti per un tempo infinito per vedere suo figlio di ritorno da un viaggio di lavoro in Africa, ma quando mio fratello arrivò al capezzale del moribondo, mio padre se n'era già andato. I due si ricongiungeranno nella tomba quando mia nipote decise di mettere le ceneri di suo padre accanto alla bara di nostro padre, all'interno dello stesso loculo. Ecco, così si compie quell'appuntamento che sembrava perduto. Non è una storia pesante: la morte fa parte della vita.

TG: Quanti anni di differenza c'erano tra te e Gennaro?

Janù: Lui aveva due anni più di me. Da piccolo io volevo sempre giocare con lui, però lui non mi voleva mai, salvo quando gli potevo essere utile. Non mi sfruttava, aveva una logica diversa; una volta fece un treno legando tra loro alcune sedie, ma gli mancava chi le trainasse, allora mi chiese se volevo giocare con lui ed i bambini più grandi. Io ero felicissimo, perché io e gli altri piccolini non vedevamo l'ora di entrare a far parte del gioco. All'interno del fumetto racconto diverse cose così.

TG: Che cosa pensi della morte?

Janù: Invecchiando vedo la morte come un fatto all'orizzonte degli eventi; gli anni che ho vissuto sono molto più numerosi di quelli che mi aspettano nel mio futuro, anche se spero che comunque siano abbondanti... Per permettermi di fare i miei lavori... Questo vuol dire che diventerò eterno, perché più vado avanti più ho progetti da realizzare. Il materialismo classico, quello riduttivo, non mi basta più, cerco di riscoprire la realtà che ho osservato e che osservo. Ti faccio un esempio: un giorno sono rientrato a casa e ho visto i miei due pesciolini rossi morti perché avevo lavato con un forte detersivo la loro boccia, ma non l'avevo sciacquata bene. Non sapevo come raccontare questa cosa a mia figlia Elena, quando era ancora bambina. I pesciolini si chiamavano Ho Chi Minh e Mao Tse Tung, non li potevo buttare nel cesso... o nella pattumiera... mai! E poi, erano i miei pesciolini, quelli che mi scodinzolavano quando mi vedevano... Allora gli faccio il funerale. Prendo una scatola di quelle di alluminio... sai di quelle dove mettono il baccalà, con tutto il rispetto per il baccalà... Nella rosticceria del supermercato. Stendo i pesciolini dentro questa scatola e li porto sul naviglio di Abbiategrasso e depongo la scatola sull'acqua del naviglio, bella, calma, senza ondine. Li seguo per un po', penso perfino all'adagio di Albinoni, sai... Ero proprio mesto, faccio il funerale e inizio a pensare a quanto possono impiegare per arrivare al mare, perché voglio che loro tornino lì da dove sono venuti. Una volta, avremmo detto che sarebbero andati nei grandi pascoli di Manitù. Faccio un calcolo e mi dico che, belìn, ci vorranno dai 10 ai 15 giorni, perché ci sono circa 200 chilometri da fare. Poi, ci saranno le rapide, le chiuse, i cespugli... All'improvviso, la barchetta che procedeva molto stabilmente, non so perché, si ribalta. I pesciolini cadono ed io vado subito a vedere dove vanno a finire, magari per recuperarli, ma non li vedo più. Spariti. Corro un po' più avanti, ma niente da fare: spariti. Allora faccio lavorare la fantasia...

TG: Pensi che il lettore abbia voglia di riflettere su un argomento come la morte?

Janù: Non lo so; a me basta che abbia voglia di leggere i fumetti in generale, il mio in particolare. Poi, magari se io gli so porgere con grazia questo argomento, può darsi che non lo tedi, non lo annoi, non lo spaventi... non gli rompa le palle, magari può anche instaurarsi una riflessione utile. Perché no?

TG: Hai qualche tipo di fede?

Janù: Io mi sento più vicino ad una forma di animismo o di paganesimo pre-cristiano. La morte è la soglia del mistero, non sappiamo cosa c'è dopo. Rifiuto le semplificazioni troppo ovvie e banali, per questo mi è più utile il paganesimo che si inventava delle storie. La merla che è venuta a fare il nido tra le mani di Elena, per me può essere davvero una reincarnazione di una madre che prende quella forma per fare visita alla figlia.

TG: È successo davvero?

Janù: Sì. Ha fatto il nido tra i vasi e ci ha lasciato due uova. Prima era a due-tre metri, poi l'ha costruito sulle mani di Elena. Quando ho a che fare con qualcosa di misterioso lascio andare la fantasia; ho bisogno di questo perché sua madre mi manca. Ritrovo le persone nel respiro dell'alba o nel colore delle ciliege...

TG: Sono sicuramente visioni poetiche.

Janù: Il paganesimo aveva visioni poetiche, anche perché se noi siamo fatti di chimica e fisica, allora noi siamo fatti anche di alba e di ciliegia. Il rosso delle ciliege era lo stesso colore delle labbra di Bruna; il suo respiro era fresco... L'alba mi fa pensare a lei.

TG: Invece, sul fatto che sembra che l'immortalità possa diventare un giorno raggiungibile, cosa dici?

Janù: Vedi, torniamo al punto di partenza: cosa rende immortali? Posso prendere un pezzo di carne e congelarlo per milioni di anni sotto i ghiacci della Siberia, ma ti sembra che quello poi sia ancora un Mammut? Non facciamo l'errore dei riccastri guerrafondai che vogliono ricostruirsi la villa nel bunker anti-atomico su Marte. La vita umana non puoi portarla su un altro pianeta, se si è sviluppata qui. Tu pensi che la vita si possa ricostruire la vita in un bunker su Marte? Questo vorrebbe dire che hai ridotto la vita a poca cosa. L'immortalità è uguale, c'è gente che ha deliri di questo genere: mi faccio ibernare... oppure mi compro qualche organo sano dal bambino africano per sostituire il mio organo fottuto e io divento eterno... Questa è una logica decadente e pervertita. Hai ridotto quel bambino a un organo e tu diventi uno che non ha capito niente della vita. L'immortalità a cui tendono alcuni falsi ideologi è una forma distorta di esistenza; è una vita ridotta ad uno stato larvale, ad una parvenza di realtà che ha ben poco di umano.

TG: Non ci interessa...

Janù: Ce l'abbiamo già! Non come individui, ma come insieme di esseri sociali. Io attraverso i miei antenati e tu attraverso i tuoi che poi diventano gli stessi, perché tutti abbiamo in comune gli stessi antenati, possiamo attingere insieme all'eternità. C'è anche da dire che il mio tempo ha molte fasi: un conto è come ero da bambino quando i miei occhi vedevano la magia in ogni cosa e un'altra sono i miei occhi da vecchio, miope, presbite e disincantato. 
Non dobbiamo sprecare il nostro modo di essere così effimeri.
Questo è quello che ci manca.


Tratto da: L'appuntamento che sembrava perso di Enzo Jannuzzi