sabato 30 aprile 2016

Tutti pazzi per i gadget artistici di Tony Graffio

La bellissima Carline presenta i nuovi gadget artistici di Tony Graffio

Tony Graffio ama sperimentare nuove tecniche per fissare immagini di tutti i tipi su i più diversi supporti; nell'ambito di questa ricerca l'eclettico documentarista ha realizzato una serie limitata di gadget da collezione che regala a tutti coloro che gliene faranno direttamente richiesta.
In questi giorni, potete incontrarlo nei corridoi e negli stand della MIA Photo Fair a Milano; anche se non lo conoscete, non esitate a fermarlo e chiedetegli il vostro souvenir da collezione.
Portachiavi, pendenti, spille e piastrine ricordo si aggiungono alle T-shirt da uomo e da donna già offerte in omaggio agli artisti intervistati, o ai personaggi ritenuti da Tony Graffio significativi nel mondo dell'arte e della cultura. 
Non  lasciatevi sfuggire questa occasione.



martedì 26 aprile 2016

CHERNOBYL vista da Paolo A. Restelli, 30 anni dopo l'esplosione del reattore n. 4 (seconda parte)


Maschere antigas abbandonate nella scuola di Prypiat

All'epoca della Guerra Fredda tutti in Unione Sovietica dovevano avere una maschera antigas per potersi difendere dagli attacchi chimici o nucleari (anche se in questo caso sarebbe servito a poco). La scuola di Pripiat era frequentata da circa 2'000/2'500 alunni.

Queste maschere antigas erano in dotazioni ai bambini che frequentavano le scuole.

Cartelli riportanti i nomi dei paesi evacuati all'interno della Zona d'Esclusione

Chernobyl 2, l'antenna per spionaggio Duga vista dal retro

I sovietici hanno sempre sostenuto che l'impalcatura del Duga non era un'antenna, bensì l'intelaiatura di una struttura di un parco giochi per bambini, peccato che poi i grandi a furia di giocare abbiano combinato un bel disastro...


 Particolare del Duga

Un'altra immagine del Duga visto da vicino

Kopachi è un villaggio completamente raso al suolo, fatta eccezione per i due asili infantile (indicati con un rettangolino verde e la scritta kindergarten), fino al 1986 qui abitavano 1100 persone, adesso nessuno.

Un giocattolo nel giardino dell'asilo di Kopachi

Interno dell'asilo infantile di Kopachi

Un lettino dell'asilo di Kopachi

La scuola materna è il luogo dove si ricevono i primi insegnamenti - Kopachi, Ukraine

"Ritengo che il disastro di Chernobyl vada visto come la prima causa della caduta dell'Unione Sovietica." TG

Libri di musica e di altre attività che dovevano allietare le giornate dei bambini di Kopachi

I lettini del dormitorio dell'asilo di Kopachi

I giochi utilizzati dai bambini nel cortile dell'asilo di Kopachi

 Prypiat, l'hotel più bello della città

 Prypiat, i cartelloni che avrebbero dovuto essere utilizzati per la festa del 1° maggio 1986

Prypiat, quel che resta di uno dei supermercati meglio riforniti dell'Ex Unione Sovietica

Palazzi a Prypiat 

A Prypiat,come in tutta la zona di esclusione, è assolutamente vietato appoggiare qualsiasi cosa a terra per evitare di raccogliere radioattività e contaminare oggetti come borse ed altro. Le troupe televisive che operano in queste aree avvolgono le gambe ed i piedini dei cavalletti in stoffe, guanti di lattice, sacchetti o altri materiali che poi verranno gettati via.

 Una palestra a Prypiat

La ruota panoramica del Luna Park di Prypiat 5 giorni prima dell'inaugurazione mai avvenuta.

Nell'aria la radioattività è abbastanza bassa, nel terreno invece è molto alta, nei muschi e nei funghi si riscontrano valori di radioattività ancora più alti perché queste forme di vita vegetale assorbono il loro nutrimento dalla terra contaminata. 

Prypiat. Novi Filmi era un libretto che presentava i film in programma nel cinema locale. Un reperto che risale al 1979.

Questa è la parte più radioattiva di Prypiat, perché il vento soffiava in questa direzione, per precauzione è stata alzata un'ulteriore barriera di filo spinato per scoraggiare gli intrusi a passare in questo luogo.

Erano state date indicazioni ai visitatori di non fotografare le nuove installazioni militari, i militari, se eventualmente erano allo scoperto, ed i 3 check point attraverso i quali si accede alla zona di esclusione. 
Una volta sfollati (il 29 aprile 1986), gli abitanti di Prypiat sono stati tenuti per 6 mesi in una tendopoli, dopo di che sono stati trasferiti in una nuova città più a Nord, al confine con la Bielorussia, costruita appositamente per accogliere queste persone. 

Panorama di Prypiat visto dal terrazzo di un palazzo di 16 piani che Paolo A. Restelli ha raggiunto a piedi

A Prypiat gli ascensori non funzionano a causa di un guasto alla vicina centrale elettrica (nucleare) avvenuto 30 anni fa...

La prima regola per proteggersi dai raggi Beta è quella di indossare vestiti pesanti a manica lunga e pantaloni lunghi.

Prypiat, tavolino per macchina da cucire in interno giorno

Nonostante il pericolo, molte persone sfollate sono tornate illegalmente nelle loro abitazioni per riappropriarsi dei loro beni e dei loro arredamenti. In seguito altre persone sono entrate a Prypiat per asportare dai palazzi i termosifoni ed altri metalli, al fine di rivenderli. Queste persone sono state bloccate dalle forze di sicurezza. Altri individui hanno invece rubato delle automobili abbandonate, ma non hanno avuto occasione di poterle utilizzare che per pochi chilometri, poiché questi trafugatori sono stati trovati morti all'interno delle autovetture, appena al di fuori della zona di esclusione. Le automobili risultavano radioattive nell'ordine dei 60 Sievert.

Chernobyl, la statua dei liquidatori

I liquidatori sono quei "volontari" che per primi hanno spalato la grafite radioattiva fuoriuscita dal nocciolo del reattore dalla centrale nucleare. La targa riporta la frase: "Per gli eroi che hanno salvato il mondo". I liquidatori avevano solo 3 minuti a loro disposizione, a causa dei livelli altissimi di radiazioni, erano stati dotati di una mantellina di protezione di piombo spessa mm 3 che pesava circa kg 40. Avevano circa 60 secondi per salire 10 piani di scale, arrivare sul posto per spalare il materiale da eliminare in 60 secondi e poi ritornare,sempre in un minuto. Una missione impossibile.

Esposizione di mezzi automatici per la rimozione di materiale radiattivo

Per cercare di fare il lavoro dei liquidatori sono stati utilizzati dei Robot (esposti nello spazio fotografato da P.A.R.), queste apparecchiature comandate a distanza hanno lavorato per circa una settimana, dopo di che si è dovuto ricorrere nuovamente all'impiego di personale umano. Questi operai per l'occasione sono stati impietosamente definiti Bio-robot... Nel 1986/87 sono stati sacrificati 240'000 liquidatori. Fino al 1992, si parla di circa 600'000 liquidatori impiegati per sanare questa situazione disastrosa. Queste persone venivano pagate moltissimo, l'equivalente di 2'000 $ a missione, che si rivelava essere l'unico servizio che facevano perché poi non avevano modo di fare nient'altro. 

Interno Ospedale di Prypiat, sala operatoria uno dei posti più pericolosi della città. 

Qui sono stati ricoverati i primi liquidatori. I vestiti dei liquidatori sono stati stoccati nel sotterraneo che è diventato così uno degli ambienti più radioattivi del mondo, dove si arrivano a misurare 400 microsievert.

La radioattività a terra è molto alta perché è qui che s'è depositata la polvere di grafite e di uranio.

La Foresta Rossa viene sempre monitorata contro eventuali incendi che potrebbero provocare nuovamente una forte dispersione di radioattività nell'aria ed il trasporto di ceneri contaminate.
Gli altri reattori di Chernobyl sono rimasti attivi fino alla fine degli anni '90, c'era in progetto la costruzione del reattore numero 5 che non è mai stato portato a termine. Anche nella centrale numero 2 s'era verificato un incendio che poi è stato controllato. Il reattore numero 1 è stato l'ultimo ad essere stato disattivato.
Molte case, automobili ed altri oggetti sono stati sotterrati proprio per evitare che a qualcuno potesse venire in mente di portarsi via qualcosa di estremamente pericoloso. TG

FINE SECONDA PARTE

Leggi la prima parte

Tutte le fotografie sono di Paolo A. Restelli
Tutti i diritti riservati






















lunedì 25 aprile 2016

CHERNOBYL vista da Paolo A. Restelli, 30 anni dopo l'esplosione del reattore n. 4 (prima parte)

Essendo un osservatore sempre attento dell'ambiente fotografico italiano, per parlare di una ricorrenza importante, ho contattato un professionista che opera a Milano e dintorni, in modo da potervi raccontare un'esperienza particolare che ha portato Paolo A. Restelli a compiere un reportage auto-finanziato in uno dei luoghi più inospitali del pianeta: l'area intorno alla centrale nucleare di Chernobyl, altamente contaminata da Cesio 137 nel momento dell'esplosione del reattore numero IV, il 26 aprile 1986.
Quando ho saputo che Paolo era in partenza per l'Ucraina, ho subito pensato che io non avrei mai fatto una cosa del genere e mi sembrava strano che ci fosse qualcuno disposto ad andare a vedere che cosa stesse succedendo a Chernobyl, a 30 anni di distanza dalla catastrofe nucleare che tutti noi ben conosciamo. Avevo visto immagini filmate molto spettacolari riportate da droni, ma non immaginavo che ci fosse davvero chi per soddisfare le proprie curiosità volesse mettere piede nella zona piuttosto pericolosa di un paese che oltretutto non sta vivendo esattamente un periodo tranquillo della propria storia.
Paolo A. Restelli, autore del servizio fotografico che sto per presentarvi, è andato a visitare la centrale nucleare di Chernobyl a 30 anni dalla fuoriuscita della nube radioattiva, poiché questo è il tempo di dimezzamento dell'isotopo radioattivo derivato come sottoprodotto dalla fissione nucleare dell'uranio, metallo che alimentava il reattore nucleare della centrale Lenin.
E' particolarmente significativo analizzare quanto sta succedendo in questi giorni in Ucraina, paese che s'è reso indipendente dalla ex Unione Sovietica nel 1990 ed ha pessimi rapporti con la Russia, al punto da preoccupare l'intero continente, considerando il fatto che è indispensabile che ci sia sempre un dialogo efficace tra Europa, Ucraina e Russia per poter effettuare gli adeguati controlli e gli interventi di manutenzione necessari ad una struttura di contenimento delle radiazioni che ha ceduto da tempo e nella quale si sono formati dei buchi dai quali fuoriescono sostanze tossiche e contaminanti. 
Fotografare con poco tempo a disposizione in un luogo rischioso che non si conosce, in condizioni tutt'altro che favorevoli non è facile, nonostante questo, Restelli ha fatto un ottimo lavoro.

L'avventura di Paolo A. Restelli è molto interessante e le sue immagini sono di una bellezza poetica che quasi ci fanno dimenticare la drammaticità dei fatti che lì sono avvenuti e le difficoltà che ancora devono affrontare coloro che vivono e si muovono intorno a questi luoghi. Al suo rientro in Italia, il fotografo non aveva ancora trovato qualcuno che si interessasse editorialmente al suo lavoro, lo aiutasse a valorizzare la sua opera e a diffondere la sua storia. "Frammenti di Cultura", una realtà culturale quasi insignificante con pochissimi mezzi che opera sul web per informare, documentare e diffondere immagini di valore, ha deciso di sostenerlo, cercando di far conoscere, Paolo A. Restelli ad un pubblico più vasto e di aiutarlo nel progetto di realizzazione di una mostra fotografica che dovrebbe essere allestita entro il 2016, e di far stampare una pubblicazione che raccolga la sua preziosa opera. Dispiace molto che in Italia, da parte della carta stampata e dei mezzi di comunicazione istituzionali, ci sia così poca sensibilità e attenzione nei confronti di chi ha qualcosa di importante da dire e da far vedere, soprattutto per chi opera privilegiando la qualità, sia dei contenuti che del prodotto culturale ed artistico che propone. E dispiace ancor più che sia così difficile dialogare con chi ha le capacità di decidere cosa proporre su certi canali informativi o culturali quando non si ha un nome prestigioso. Così è la vita. T. G.

Nikolai Fomin, la guida autorizzata dai militari che ha accompagnato Paolo A. Restelli ed il suo gruppo di visitatori durante i due giorni trascorsi a Chernobyl. Sullo sfondo la Centrale Nucleare Lenin e lo schermo di protezione costruito da Novarka.

Tony Graffio intervista Paolo Angelo Restelli

Tony Graffio: Ciao Paolo, per prima cosa, per favore, vorrei sapere qualcosa di te: quando sei nato? Dove sei nato? Che formazione hai? Che esperienze professionali hai avuto?

Paolo A. Restelli: Ciao Tony Graffio. Sono nato nel 1968 e sono stato sempre appassionato di fotografia, cosa che in famiglia non era tanto ben capita perché prima di me nessuno se ne era mai occupato. Prima d'iniziare la mia attività di fotografo professionista ho svolto diversi lavori. Come spesso accade, ho iniziato a lavorare per altri fotografi, poi nel 1994 ho aperto un mio negozio ed è da tanti anni che sviluppo il lavoro in modo autonomo. Il mio campo d'azione è quello classico dei negozi che realizzano servizi per matrimoni, ritratti, cerimonie e tutto quello che viene richiesto ad un negozio di provincia. Ho conseguito il titolo di studio di perito elettronico, vivo tra Corbetta e Vittuone dove collaboro con un mio collega che ha un altro studio fotografico ed un paio di giorni alla settimana mi reco a Milano per consegnare i nostri lavori alla clientela.

TG: Come hai fruito della pellicola? Il fatto d'avere una formazione tecnica ti ha aiutato nel passaggio dalla pellicola al digitale?

PAR: Con la pellicola ho avuto esperienze anche di fotografia industriale, ho utilizzato il banco ottico, avevo una mia camera oscura e mi occupavo dello sviluppo e della stampa del bianco e nero. Ho fatto la tradizionale gavetta che hanno fatto un po' tutti i fotografi che si definiscono in questo modo. Mi sono convertito al digitale abbastanza in fretta, la mia prima reflex digitale è stata una Nikon D1 che ho comprato nel 1999. Ricordo che quella è stata la prima macchina fotografica professionale digitale, proposta al pubblico dopo la Nikon F90 e la F100 che sono state le ultime fotocamere a pellicola. Sono passato al digitale perché a cavallo dell'anno 2000 iniziavano ad uscire nell'ambito dei matrimoni i primi libri fotografici ed il fatto di poter disporre direttamente di un file digitale ci poteva tornare utile per evitare poi la conversione dallo sviluppo della pellicola alla scansione a tamburo del negativo e per impaginare in digitale tutte le immagini che venivano utilizzate. Da lì ho sempre utilizzato Nikon passando dalla D100, alla D70, alla D200, fino al mio attuale parco macchine preferito che comprende 4 Nikon D700 e 1 Nikon D3.

Chernobyl Area

TG: Quando ha iniziato a maturare in te l'idea di recarti in un posto terribile come Chernobyl?

PAR: Questa è un'idea che ho conservato dentro di me in maniera embrionale per tantissimo tempo perché mi ha sempre affascinato la possibilità di poter effettuare un viaggio in quei territori abbandonati per riportare a casa una storia e delle immagini. La radioattività può essere pericolosa, ma è una realtà che non si vede e che non si percepisce per mezzo dei nostri sensi, quindi è come se non ci fosse. Probabilmente, proprio perché non si vede, io non la considero un ostacolo che possa fermare il mio desiderio di recarmi sul luogo dove invece sono visibili altri cambiamenti e situazioni interessanti. Inoltre, io sono un motociclista che ha girato tutta l'Europa in motocicletta ed ho sempre pensato che uno dei viaggi che avrei voluto fare era quello di spingermi fino in Ucraina con la mia moto. Questo progetto, purtroppo, s'è dimostrato impossibile da realizzare perché ci vogliono dei permessi speciali, la zona è sotto il controllo militare, bisogna essere accompagnati per entrare in quest'area e ovviamente non è possibile arrivare lì da soli. L'anno scorso mi sono spinto fino a 120 chilometri da San Pietroburgo, ai confini con la Russia. Sono arrivato fino a Narva in Estonia e mi sono accontentato di fare il giro delle Repubbliche Baltiche, rientrando poi in Italia dalla ex-Germania Orientale, perché mi piacciono queste destinazioni.

Oggetti abbandonati all'interno degli edifici

TG: Ho capito, e poi come sei arrivato a mettere in pratica questo tuo sogno?

PAR: Diciamo che proprio perché il grosso delle immagini che riprendo è legato alla fotografia di ritratto e di matrimonio, ho avuto un po' lo stimolo per cercare di fare qualcosa di diverso, sulla soglia dei 50 anni, e dare una svolta al mio campo d'azione. Ho voluto vedere le persone all'interno della loro vita quotidiana e fare un reportage su un argomento mirato. Chernobyl è stata una di queste occasioni che mi si è presentata di recente quando, durante la mia presenza ad un workshop, ho saputo che Fujifilm organizzava una sessione di riprese a Chernobyl per fare testare ai fotografi le sue nuove fotocamere. Io conosco Max De Martino che mi ha detto che c'erano ancora dei posti disponibili per questo viaggio, così mi sono attivato immediatamente per richiedere il passaporto e far parte di questo gruppo di persone. Eravamo in 12, ognuno di noi aveva le sue peculiarità ed una diversa preparazione, cosa che ci ha permesso di scambiare idee ed esperienze. Tra di noi c'era un medico di Viareggio, un antropologo di Firenze ed altri che hanno dato il loro contributo in modo proprio a questa esperienza. Tutti eravamo appassionati di fotografia, ma solo Max De Martino ed io siamo fotografi professionisti.

TG: Quando hai deciso di partire?

PAR: Alla fine di marzo, e dopo circa due settimane ero già in viaggio.

TG: Che cosa prevedeva questo workshop?

PAR: Era una prova sul campo della nuova serie X-Pro di Fujifilm, c'era un responsabile di questo marchio che gestiva tutta l'attrezzatura per farcela provare. Oltre a quello, naturalmente c'era la possibilità di fare questo viaggio in compagnia di persone che trattavano quest'argomento e un'organizzazione che aveva provveduto a chiedere permessi e prenotare i posti dove pernottare.

Un interno a Prypiat

TG: Che cosa ti aspettavi da questa avventura?

PAR: Quello che poi ho visto è stato quello che mi aspettavo di trovare, per cui posso ritenermi soddisfatto. Molti degli ambienti che avevo visto in alcuni documentari li ho ritrovati. Ero abbastanza preparato a questo viaggio e già negli scorsi anni avevo fatto molte ricerche per capire a cosa sarei andato incontro e che cosa avrei visto. Di solito canali come Discovery e History Channel propongono materiale filmato molto valido che ti può far capire la realtà di questi posti. E' soprattutto questo il materiale che ho utilizzato per potermi documentare sulla tragedia di Chernobyl. Il mio sogno era quello di andare a vedere di persona questi luoghi. Aver potuto fare questo viaggio per me è stato molto importante, anche perché ho potuto constatare che tutto era proprio così, come mi aspettavo che fosse. Aver vissuto questa avventura mi ha dato emozioni molto forti. Quello che mi ha impressionato di più in tutto il viaggio è stato il continuo “bippare” del contatore Geiger che ti scandiva il tempo ed il ritmo della giornata, molto più che la presenza dell'orologio. Era come non avere l'orologio, ad ogni secondo però sentivi un “bip” che poi quando ti avvicinavi alle zone più pericolose sembrava impazzire e si ripeteva a raffica, in brevi intervalli.


Il rischio radioattivo è direttamente proporzionale alle quantità di radioattività assorbita dal corpo umano.

Per avere un'idea delle dosi di radiazioni ionizzanti si può consultare questa tabella

TG: Chi vi ha fornito il contatore Geiger?

PAR: Ci è stato fornito dagli ucraini su richiesta degli organizzatori, volendo lo puoi portare anche da casa, noi però l'abbiamo noleggiato ad un costo quasi irrisorio.

Un'immagine ad effetto che probabilmente qualcuno ha preparato per impressionare i visitatori di Prypiat.

TG: Qual è il fascino di Chernobyl? Qual è la vera motivazione che ti ha spinto fin là? Una ricerca estetica, o l'aver voluto capire bene quello che è successo?

PAR: Volevo capire che cosa è successo davvero e vedere questa cosa dal punto di vista di coloro che ancora vivono in questa zona. Anche le guide che ci hanno accompagnato vivono e abitano nei dintorni della centrale. L'occasione di poter parlare con queste persone è unica; ci sono le famose babushka di Chernobyl che fanno parte della gente che abita lì. In un primo tempo erano state allontanate, ma poi sono tornate nelle loro case, o in case che hanno trovato libere. Recentemente è stato presentato anche un film documentario di una co-produzione americana-canadese su queste donnine molto anziane che vivono lì come ribelli. A detta della nostra guida, sembra che solo una donna, Rosalia Ivanovna, morta lo scorso dicembre, non si sia mai allontanata dalla sua casa dal 26 aprile 1986. Era una ex-insegnante di lingua ucraina. Per farla sloggiare le avevano tagliato acqua luce e gas, ma lei ostinatamente ha sempre vissuto lì, senza nessun tipo di utenza ed è morta all'età di 84 anni, circa. Questo è quello che ci è stato detto. Era una poetessa che ha lasciato molti scritti, ma non so se qualcuno li abbia mai raccolti. In una mia fotografia puoi vedere la sua casa.

La ruota panoramica di Prypiat doveva essere inaugurata il 1° maggio 1986 ma, ovviamente, nessuno ha poi potuto utilizzarla ed il parco di divertimenti assume un sinistro significato visto ai nostri giorni. Come si poteva immaginare di portare dei bambini a divertirsi a ridosso di un impianto nucleare? 

TG: Quanta gente vive ancora in quell'area?

PAR: Nell'area dei 30 chilometri, teoricamente non potrebbe viverci nessuno. Ci sono due zone: in una c'è il paese di Chernobyl che ha un raggio di km 10, intorno alla centrale e nessuno può vivere lì. Le case per ragioni di sicurezza sono state quasi tutte rase al suolo e sotterrate per evitare la dispersione di polveri radioattive. Ci possono entrare solo i lavoratori della centrale e quelli che costruiscono la tettoia di protezione del sarcofago che coprirà il reattore. Una specie di sarcofago nuovo anche se non è esattamente così che funzionerà. Quando si entra e si esce da quella zona bisogna fare obbligatoriamente il controllo della radioattività residua passando attraverso un body scanner. Se per caso risulti contaminato devi lasciare lì i tuoi indumenti e ti vengono forniti degli indumenti temporanei per poter uscire da quella zona. Nella zona esterna a questa, quella che arriva fino a km 30 dalla centrale, in teoria non potrebbe viverci nessuno, invece s'è ripopolata con un centinaio di persone che sono proprio le babushka (nonne) delle quali ti accennavo prima.


Il body scanner in azione

TG: Sono tutte donne?

PAR: Sono quasi tutte donne, perché i mariti, come succede anche qua, muoiono prima. C'è da dire che un po' tutti in quella zona lavoravano nella centrale e chi più o chi meno, ha avuto problemi, non deve stupire che siano morti. Le donne che scelgono di vivere in questa zona, disobbedendo alle indicazioni date dalle autorità, sono come fantasmi perché non possono avere documenti, non hanno pensione, assistenza sanitaria e nessun altro aiuto. Vivono solo di quello che cresce nei loro orti, dei loro animali, capre o mucche che riescono ad allevare e raccogliendo l'acqua dai pozzi.

La casa di Rosalia Ivanovna a Zalissya

Zalissya è un villaggio morto che non appare più sulle carte. In questa mappa è indicato ancora un abitante, ma come abbiamo detto l'anziana ex-insegnante è morta a 84 anni nel dicembre del 2015.

TG: Lo stato ucraino non riconosce nessuna indennità a queste persone?

PAR: No, perché essendo rientrate a loro rischio e pericolo nelle loro case, o in quelle che ancora hanno trovato disponibili, hanno perso ogni diritto.

TG: Tu le hai intervistate?

PAR: Volevo intervistare una donna che viveva col marito. Ero riuscito a prendere accordi con lei, ma poi nel momento che mi sono presentato, mi ha detto che suo marito stava male e che aveva un problema respiratorio, quindi lei non se l'è sentita di parlarmi. Anche perché in questo periodo, essendo a ridosso della ricorrenza del trentennale del disastro di Chernobyl, è già da circa un mese e mezzo che troupe televisive di tutto il mondo sono alla ricerca di questo tipo di testimonianze. Chi vive in quest'area per sua natura è già abituato a stare da solo e a non avere contatti esterni. Il fatto di vedere in continuazione gente sconosciuta che va avanti e indietro ha un po' stravolto la loro tranquillità e li ha innervositi, cosa che li induce a trovare dei pretesti per allontanare i curiosi. Questo rifiuto però, per me è un motivo che mi spingerà a tornare in quei posti per cercare di avere maggiori contatti con la gente. Io credo che quest'area cambierà molto e sarà visitabile per circa 3 o 4 anni ancora, anche perché dall'anno prossimo verrà messo in posizione lo schermo a copertura del sarcofago, cosa che non renderà più visibile la centrale, cancellando questa icona del disastro dai nostri occhi. A Prypiat invece, la vegetazione sta prendendo il sopravvento su tutto: quattro strade vengono mantenute percorribili da coloro che incentivano questa forma di turismo da disastro nucleare, però non si può prevedere per quanto questa situazione potrà andare avanti in questo modo. Anche i casermoni in cemento armato soffrono delle infiltrazioni d'acqua che ne mina la stabilità. A breve, sarà troppo pericoloso visitare gli edifici e aggirarsi tra i palazzi, inoltre quando man mano scompariranno le donne anziane, non ci sarà neppure qualcuno la cui presenza possa attirare la nostra attenzione. Chernobyl attualmente è popolata solo dai tecnici e dagli operai che stanno terminando la schermatura della centrale. Ci sono anche alcuni scienziati che stanno portando avanti studi biologici sulle conseguenze delle esposizioni alla radioattività sugli animali selvatici.

Un'altra fotografia di Paolo A. Restelli ripresa dal tetto di un palazzo di Prypiat

TG: A proposito del sarcofago di contenimento delle radiazioni, in che condizioni è? Fuoriesce radioattività? Quando sarà pronto il nuovo schermo titanico?

PAR: I lavori dovevano essere completati già quest'anno, ma ci sono stati dei ritardi. Nel 2013 una nevicata ha fatto collassare una parte del sarcofago e adesso c'è un buco largo quasi due metri e mezzo. Da lì entrano uccelli ed altri animali, si infiltra l'acqua piovana e c'è sicuramente qualcosa che esce, anche fosse soltanto pulviscolo radioattivo. Gli uccelli che arrivano da lì, se toccano il suolo contaminano a loro volta altri luoghi. Per queste motivi hanno deciso di provvedere all’allestimento di una copertura scorrevole sul sarcofago. Questo nuovo schermo non sarà a tenuta stagna come il vecchio sarcofago, ma sarà una specie di tettoia che proteggerà quel che resta del reattore nucleare dagli agenti atmosferici. La copertura ha la forma di un hangar ad arco ed è costruita con tre strati di acciaio-gomma-acciaio-gomma-acciaio-gomma. E' costruita ad un centinaio di metri di distanza dal sarcofago perché in corrispondenza del reattore la radioattività sarebbe troppo alta per poterci lavorare. Poi, la copertura verrà traslata sopra il sarcofago. Viene costruita su binari pertanto una volta pronta, basterà spingerla in posizione. Ecco guarda, in questa fotografia puoi vedere quello di cui ti sto parlando.

TG: Ma questo signore che indossa una giacca di una divisa con una bandiera tedesca sulla spalla, chi è?

PAR: Ah, questa è una storia strana. E' lui che ci ha guidato al'interno di queste zone, si chiama Nikolai Fomin ed è omonimo di quel Nikolai Fomin che era l'ingegnere capo responsabile della centrale il giorno dell'incidente.

Anche a Chernobyl è arrivata la primavera

TG: Quanta radioattività c'è a Chernobyl adesso?

PAR: Geiger alla mano, anche perché uno ce lo siamo portati direttamente da Milano e avevamo la possibilità di fare dei raffronti con altre situazioni, abbiamo misurato la radioattività in volo durante il nostro viaggio da Milano a Kiev e ci siamo accorti che la radioattività aumentava con l'aumentare dell'altitudine. In due ore di volo abbiamo accumulato 2,4 microSv di radioattività all'ora, per un totale di 4,8 microSv. circa. Nei due giorni trascorsi a Chernobyl invece abbiamo accumulato circa 7 microSv. In teoria l'andare e tornare in aeroplano da Kiev ci ha fatto raccogliere più radioattività che soggiornare due giorni a Chernobyl. Chiaro che a Chernobyl ci sono dei punti dove la radioattività è molto alta, come all'ingresso dell'ospedale, dove c'è la ruota panoramica, la foresta rossa che è la zona subito a ridosso della centrale nucleare. La nuvola radioattiva sprigionata dal reattore nucleare si è diretta verso nord in direzione della Bielorussia ed in quei punti che ti ho appena descritto la radioattività è molto alta, nell'ordine dei 500 microSv. Da lì puoi passare in modo veloce solo per transitare da un posto ad un altro. Di certo non puoi stazionare. Le babushka mangiano e bevono i loro prodotti, non lasciano mai quest'area, eppure vivono fino quasi a novant'anni. In Iran c'è un paese che ha una radioattività naturale di fondo di circa 200 microSv. Eppure anche lì la gente ci abita e addirittura ci si reca per sottoporsi a cure termali. Si tratta di Ramsar, sul Mar Caspio.

Un interno della scuola di Prypiat

TG: E' più pericoloso essere esposti alla radioattività o attraversare certi palazzi in rovina?

PAR: La radioattività non è un problema da sottovalutare. Non è consigliabile entrare nella zona senza un contatore Geiger, ma la pericolosità dipende da quanto tempo ti fermi in certi punti; quando cammini in alcuni palazzi devi fare molta attenzione a dove metti i piedi. Non mi hanno riferito di incidenti gravi all'interno degli edifici, i palazzi di Prypiat sono costruiti di cemento armato e sembrano ancora solidi, ma nei paesini le case di legno con pavimenti sempre di legno sono continuamente a rischio di cedimenti strutturali. Ci sono anche altri pericoli per chi non ha cervello, poi ti racconterò quello che è accaduto a chi è entrato abusivamente nell'area per trafugare materiali di vario tipo.

Il traliccio dell'antenna da spionaggio Duga, conosciuta in tutto il mondo anche col nome di: "Picchio russo"

TG: Ho sentito che girano anche delle leggende metropolitane su una postazione radar che si chiama Duga che è nei pressi della centrale nucleare. Che cosa puoi dirmi al riguardo?

Paolo A. Restelli s'è arrampicato sul Duga per fare qualche scatto, ma la giornata umida l'ha dissuaso dal salire troppo in alto

PAR: In effetti, circolano delle storie che raccontano che l'esplosione di Chernobyl non sia un incidente, ma sia stata provocata volontariamente per sviare le indagini che gli americani stavano facendo sul Duga. C'è chi ha messo in giro le voci che i sovietici, per evitare che i nemici potessero scoprire qualcosa di importante su questa base spionistica, abbiano spostato l'attenzione degli americani danneggiando la centrale, ma francamente, mi sembra una storia molto inverosimile. Al pari di quelle che girano in relazione all'11 settembre ed alla distruzione delle torri gemelle di New York. Sono storie che servono solo a promuovere film catastrofisti pieni di complotti assurdi.

Una scala di servizio che permette di salire sul "Russsian woodpecker". E' bello che adesso i militari ucraini lascino fare ai visitatori quasi tutto quello che vogliono, tranne portarsi via souvenir.

TG: Era questo il villaggio che non era stato segnalato dalla cartografia sovietica?

PAR: Sì, il villaggio del Duga veniva chiamato Chernobyl 2 e non risultava su nessuna mappa stradale, o cartografia. I russi hanno sempre sostenuto che quei tralicci di ferro che compongono l'antenna radar, che oltretutto sono visibili chiaramente a più di km 10 di distanza, essendo la costruzione lunga 400 metri e alta 170, fossero l'intelaiatura di un ottovolante di un parco dei divertimenti per bambini. Per arrivare in quel sito bisognava fare una strada lunga km 8. All'interno della stazione radar del Duga c'erano palazzi, negozi, uffici e tutto quello che era di contorno alla vita dei militari e delle loro famiglie che vivevano lì. Non si sa con precisione quante persone abitassero effettivamente in quel paese perché quello è un dato che è sempre rimasto segreto, ma si vedevano molti edifici. Il Duga era un radar che chiamavano il picchio russo (The russian woodpecker) perché emetteva soltanto segnali che ricordavano i battiti di questo uccello contro il tronco degli alberi.

Spaghetti in bottiglia?

TG: Tornando alla fotografia, hai fatto fotografie sia con Nikon che con Fujifilm nei due giorni della tua permanenza a Chernobyl?

PAR: No, ho utilizzato solo la mia Nikon D700. Essendo le Fujifilm della serie X-Pro delle mirrorless che non conoscevo bene, non avendole mai usate prima ed avendo poco tempo a disposizione e tanto materiale da fotografare, ho optato per portare a casa quello che mi serviva, anziché testare delle macchine nuove. Oltre tutto, siamo riusciti ad avere una sola giornata di tempo buono, mentre l'altra giornata ha piovuto a dirotto, così il secondo giorno di riprese ci siamo rifugiati a fotografare gli interni.

Una vecchia immagine sovietica che chiede ai giovani di arruolarsi nell'Armata Rossa. Si tratta dell'equivalente sovietico dello zio Sam americano che dice ai giovani: "I want you!".

TG: Hai portato con te un altro corpo macchina?

PAR: Sì, ho portato anche una fotocamera bridge, la Nikon P610 che con un'ottica equivalente ad un 1440 mi ha permesso di riprendere alcuni soggetti molto lontani, in più ha un gps interno che nel mio caso s'è rivelato molto utile. E' una fotocamera che ho deciso di portare con me soprattutto per poter girare qualche filmato.

TG: Che ottiche hai portato con te per la full frame?

PAR: Un 28-300mm stabilizzato f 3,5-5,6 che ho quasi sempre tenuto in macchina e un grandangolo della Sigma 14-24mm per fare delle immagini un po' più spettacolari.

TG: Hai fatto fatica a decidere che cosa portare?

PAR: No, è stato difficile fare la borsa perché in una borsa doveva starci tutto e soprattutto doveva essere leggera per non doverla appoggiare a terra. Fortunatamente avevamo un camioncino che ci portava da un punto ad un altro, cosa che ci ha agevolato il lavoro. Abbiamo potuto così lasciare le borse a bordo di quel mezzo e portare con noi solo lo stretto necessario per poter fotografare muovendoci agevolmente. La D700 s'è dimostrata ancora una volta una fotocamera affidabile, robusta e comoda, in quanto, a differenza della D 3 la D 700 ha l'impugnatura staccabile ed in questo modo ho potuto posizionare comodamente l'MD10 nella borsa durante il volo.

La piscina comunale di Prypiat fotografata dal gruppo cui faceva parte Paolo A. Restelli. In vari punti sono presenti dei graffiti, fatto che fa supporre che qualche writer non rinunci a lasciare il suo segno neppure qui, magari introducendosi a notte fonda nella zona  di esclusione, quando i militari non sono presenti.

TG: Esiste un turismo da disastro nucleare? Quante persone arrivano a Chernobyl per provare l'emozione di vedere la centrale numero 4 e per scattarle qualche fotografia?

PAR: Sì, è così, parlando un po' con la gente del posto è emerso che il turismo si attesta intorno alle 400-500 presenze al mese, in queste due ultime settimane, in corrispondenza del trentesimo anniversario c'è stata un'impennata di richieste per questa destinazione e si parlava di circa 100 presenze al giorno, che non sembra, ma sono tante.

TG: Quindi 500 presenze circa alla settimana, anziché al mese?

PAR: Esatto.

Graffito di un bambino che fa il gesto del "marameo" a Chernobyl

TG: E com'è stata vista la vostra presenza? Erano contenti che qualcuno si interessasse al loro reattore nucleare esploso e al loro stile di vita?

TG: Sinceramente, non abbiamo incontrato molta gente, al di fuori delle nostre guide e gli altri turisti che magari incontravamo a Prypiat. Abbiamo incontrato una troupe televisiva di SVT, proveniente dalla Svezia, mentre il giorno prima abbiamo incontrato una troupe di Hystory Channel che stava girando dei filmati. So che Philip Grossman ha fatto una serie di riprese in questi luoghi per un periodo di cinque anni che poi sono state utilizzate all'interno di vari documentari che ho seguito anch'io su Youtube. C'è chi ha fatto degli studi che sono durati diversi anni ed è ritornato periodicamente in questi posti. Secondo me, il discorso più interessante che si può fare intorno a questi argomenti riguarda proprio i resettler, ovvero le persone che sono ritornate a vivere nelle loro case dopo il disastro. Oltre a loro, Chernobyl è abitata dai lavoratori della Novarka che stanno costruendo l'arco di protezione al sarcofago, per il resto gli altri sono quasi tutti militari.

Un "turista" osserva il porto di Chernobyl, qui vicino alloggiavano i "liquidatori" durante le loro missioni per la costruzione del sarcofago di cemento.

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Tutte le fotografie sono state realizzate da Paolo A. Restelli
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