lunedì 28 dicembre 2015

Polveri sottili ed aria molto pesante a Milano

Il Bambinello è appena nato, il colorito non è dei migliori e noi tutti siamo molto preoccupati. Per lui ed un po' anche per noi... 

Smog a Milano (Santo Natale 2015) - Fotografia ed elaborazione grafica di Tony Graffio di una scultura di Markus Nine

Tassare l'energia è la forma di guadagno più sicura per tutti i governi del mondo. Nessuno stato rinuncerà mai a gestire un monopolio così importante e redditizio come quello che deriva dal controllo degli idrocarburi e delle altre fonti energetiche. Prima del disastro di Fukushima abbiamo perfino assistito al tentativo di reintrodurre in Italia le centrali termonucleari e nel frattempo il potere politico nostrano fa la guerra alle micro-centrali eoliche ed agli impianti fotovoltaici da casa. Senza contare che recentemente qualche genio piddino (non che gli altri siano migliori, intendiamoci, ma è giusto ricordare che abbiamo una classe dirigente non all'altezza della situazione) aveva anche pensato di targare le biciclette per ricavare ulteriori denari, a discapito dei mezzi di trasporto eco-compatibili e di chi ha a cuore l'ambiente, il pianeta in cui vive ed il futuro dei propri figli.

Mi fa specie che in una situazione che ormai si ripete ogni anno, così grave per la salute pubblica, stiamo vivendo da oltre 40 giorni consecutivi un'emergenza senza via d'uscita, si discuta soltanto se sia giusto, o meno, bloccare il traffico privato per 6 ore al giorno, anziché applicare soluzioni definitive che prevedano cambiamenti di abitudini, di tecnologie e di stili di vita. 

C'è chi afferma che mai come in questo momento storico ci sia la possibilità per tutti d'accedere alle informazioni e di poter accrescere le proprie conoscenze personali, ma è anche vero che mai come adesso il cittadino, o l'individuo, se preferite, si ritrovi ad essere controllato, programmato e disinformato da chi intende manipolare il suo pensiero, la sua coscienza e le sue decisioni.

Se guardiamo al nostro passato vediamo che quello che rimane non sono le ricchezze, ma le opere del pensiero, dell'ingegno di chi è riuscito a costruire qualcosa di buono per le generazioni future, risolvendo i problemi che si propongono nel corso della storia dell'umanità.
Chi non è in grado di affrontare e risolvere i problemi non ha futuro. TG

Non c'è futuro senza cultura


giovedì 24 dicembre 2015

Buon Natale 2015

Quest'anno, per fare gli auguri a tutti sul mio blog, ho scelto un presepe moderno di uno scultore milanese.

Natività (2012) - Acciaio specchiato cm 83 X 61 X 46 - Armando Marrocco

martedì 22 dicembre 2015

Tony Graffio intervista Armando Marrocco sui favolosi anni '60 e le avanguardie

Sono andato da Armando Marrocco per sentire dalla sua viva voce alcune fasi della sua esperienza artistica e qualche ricordo dei favolosi anni 1960 che per Milano sono stati un periodo di grandi innovazioni, idee e l'inizio di un momento, probabilmente irripetibile, del genio creativo italiano come avanguardia culturale mondiale.
Marrocco mi ha ricevuto nel suo studio alle porte di Milano e lì ho iniziato un'intervista che vi propongo in questa pagina.


Armando Marrocco
Armando Marrocco

Tony Graffio: Maestro, grazie per avermi ricevuto, sono venuto qui nel suo studio per conoscerla di persona e chiederle di parlarmi di lei, della sua formazione, della sua opera e di quegli indimenticabili anni che hanno visto nascere molti movimenti artistici d'avanguardia e molti personaggi che lei ha conosciuto e frequentato a lungo. Da dove vogliamo incominciare?

Armando Marrocco: Certo, i favolosi anni '60... Tony è un piacere incontrarti e poterti raccontare queste cose. Iniziamo da quando sono arrivato a Milano, nel 1962. Prima facevo l'insegnante di scultura in un istituto d'arte...

TG: Mi perdoni, ma lei ha iniziato molto giovane ad insegnare?

AM: Sì, all'epoca io ero l'insegnante più giovane d'Italia, avevo 19 anni e mezzo e mi hanno proposto questa cattedra per meriti artistici. Una volta diplomato all'Istituto Statale d'Arte "Giuseppe Pellegrino" di Lecce, dove ho fatto la mia formazione di scultore, in quello stesso Istituto d'arte rimasi come insegnante.

TG: Quindi lei ha avuto un riconoscimento molto veloce delle sue capacità e delle sue competenze artistiche?

AM: Sì, in quel periodo era mancato un insegnate ed alla fine della scuola sono stato chiamato per insegnare, anche se per certi aspetti avevo ancora molte cose da imparare dai miei colleghi che solo fino a pochi mesi prima erano i miei docenti (ride, questa idea lo diverte ancora oggi).

TG: Come si è verificata questa cosa, è stato proposto dal preside? O da qualcun altro?

AM: Fu fatta una cernita tra i migliori studenti che stavano per diplomarsi ed alla fine fui scelto io. In quell'anno, durante il periodo di Natale del 1959 io feci un viaggio perché ero riuscito ad avere un appuntamento con Lucio Fontana. Lui mi ricevette, come era sua abitudine fare con tutti i giovani artisti, perché lui era un uomo molto generoso, da questo punto di vista. Mi fece delle domande, volle sapere da dove venivo, gli mostrai delle fotografie dei miei lavori, gli dissi che vivevo a Lecce dove facevo l'insegnante e lui mi disse: <...Macché, vuoi fare l'insegnate se sei capace di fare queste cose? Lei deve stare a Milano, a Roma, o a Venezia, lei deve stare in una grande città. Che cosa le può offrire Lecce?>. Ero molto informato e seguivo gli artisti di quel periodo, mi piaceva molto i lavori di Brancusi, Arp e dello stesso Lucio Fontana e Fausto Melotti. Conoscevo questi grandi nomi grazie ad una rivista che nella mia città arrivava appena, appena. Fontana mi mise la pulce nell'orecchio ed io, tornando a Lecce riflettei su questa cosa. Dopo tre anni, decisi di lasciare l'insegnamento per trasferirmi a Milano a fare la fame (ride). Da insegnante con una certa prospettiva, anche economica, arrivai a Milano con niente da fare. Milano pian piano diventò molto generosa e dopo un paio di anni mi dette la possibilità di continuare il mio lavoro di ricerca. Mi reputo sempre un artista poliedrico e ricercatore che non si adagia mai su quello che è riuscito a fare o a ottenere. Tutti i passaggi della mia carriera, passaggi decennali, sono tutti momenti importanti della mia vita. Arrivato a Milano, l'impatto con questa città fu forte perché i materiali erano nuovi per me, bastava entrare in un bar e si vedevano questi grandi banconi d'acciaio inossidabile, le colonne rivestite di metalli ed altre cose. Questo materiale architettonico era diventato la tavolozza per il mio nuovo modo di fare scultura. Da lì, piano, piano, passai a fare la progettazione del mio lavoro. Non era un lavoro istintivo a livello di pancia, ma un lavoro pensato e poi realizzato. Conoscevo un po' anche l'architettura quindi collaboravo con gli architetti. Fino ad arrivare all'arte programmata e cinetica che realizzavo con l'acciaio ed i nuovi materiali. Realizzavo sempre pezzi unici, magari  due proprio per fare un discorso inerente a quel progetto. Poi, per un decennio di arte programmata, cinetica e film, fotografia, performance, azioni, installazioni eccetera. Ho percorso tutte le strade che si potevano percorrere, body-art inclusa. Tutto ciò fa parte della mia esperienza culturale, ma ogni tanto faccio una puntata verso il passato, un po' come l'eterno ritorno Nietzsche... C'è sempre il desiderio d'andare avanti ricordando quello che è stato il passato. Tante volte ho anche provato a dimenticarmi di quello che avevo già fatto, per poter fare delle cose nuove, perché bisogna completamente dimenticare ciò che si è fatto, ma alla fine c'è sempre qualcosa che ti pizzica da dietro o che ritorna. Oppure vedi gli altri che con certe cose vanno più avanti di te, a livello economico, non culturale. Gente che ferma la cultura, mentre pensando che facendo delle cose avveniristiche da fantascienza avrei ottenuto chissà cosa... ma poi gli altri tornano indietro, anche alla pittura-pittura su tela e mi chiedo: "Ma allora dove stiamo andando?".

TG: So che non vuole far nomi, ma a chi pensa? Ad un movimento in particolare?

AM: Sai, ad una delle più importanti correnti di quei 20 anni che ancora puoi trovare in giro... In effetti sono due le correnti principali, uno è un gruppo d'artisti che nasce nei pressi di Torino e l'altro tra Napoli e Roma. Costoro fermano completamente la cultura, secondo il mio punto di vista. Non hanno un approccio verso il futuro, e poi mi accorgo che sono quelli che la gente vuole. E' così che mi vengono dei ripensamenti... Invece no, perché devo andare avanti per la mia strada, senza fossilizzarmi su certe cose, perché penso che ogni mattina posso alzarmi, magari con un mal di testa diverso, da quello che ha avuto ieri e non posso assolutamente mettermi a fare quello che ha fatto una settimana fa, o due settimane fa, o un anno fa. Allora penso che quest'idea mi dia la spinta per andare avanti ed uscire dalla mischia di coloro che si ripetono in continuazione. Io mi ritengo fortunato perché ho fatto quello che mi è piaciuto fare e che mi piace fare, anche perché non so fare altro, al di fuori di quello che faccio.


Interferenza Amorfa - 1966 di Armando Marrocco
Il cilindro di plexiglass passando davanti ai quadrati ne deforma l'immagine. E' un'opera che può essere appesa a parete, o appoggiata su un tavolo.

Marrocco Design italiano
Armando, nel suo ufficio, è seduto su una sedia pieghevole Plia di Castelli (disegnata da Giancarlo Piretti nel 1968) che è il tipico prodotto del design e dei materiali utilizzati in quegli anni. La sedia Plia è un'icona del design italiano nel mondo.

TG: C'è una sua tecnica preferita che le ha permesso di fare delle opere manualmente e che le ha dato particolari soddisfazioni?

AM: Ogni volta che m'incammino in una nuova esperienza, quell'esperienza, in quel momento, è la migliore. Quando ho incominciato a esplorare la fotografia io ho cercato d'ottenere quasi l'impossibile da quel mezzo, ovviamente non ero alla ricerca di uno scoop o di un servizio di cronaca, ma di realizzare quanto di meglio potevo fare con quella tecnica e se io non riuscivo ad ottenere quello che mi ero prefissato... non ero contento. E quando riuscivo a trovare la situazione che ricercavo, quella per me era la migliore che potesse esistere in quel momento. Ho lavorato tutti i possibili materiali. Una volta, con un fisico, avevamo pensato di condensare l'aria per fare delle sculture nell'aria e solidificare un certo tipo di elementi. C'eravamo quasi riusciti, poi lui emigrò negli Stati Uniti e terminò la nostra collaborazione. Cercavamo anche di colorare l'aria. Si chiama Fornari e vive in Nebraska, credo sia impegnato nel campo della robotica. Volevamo fare qualcosa di nuovo e diverso dai lavori sull'immaterialità di Yves Klein, o dal fiato o del sangue d'artista di Piero Manzoni. Sarebbe stato un modo per allargare gli interessi dell'uomo verso il cosmo, ma non è facile fare qualcosa che interessi le masse ed i grandi numeri. Ho invece realizzato il mio prato di molle “Giardino Ludens” che si muove col vento, oppure “Habitat per formiche”, progetti che s'agganciano all'Universo. Ho fatto uno studio approfondito sulla sezione aurea, partendo da Luca Pacioli, a Leonardo, a Leonardo da Pisa, detto il Fibonacci, che poi ha ripreso Mario Merz coi numeri. Io ho sempre lavorato coi numeri e con la matematica: anche le cose che faccio adesso sono sempre legate alla sezione aurea, alle spirali, alle spirali logaritmiche. Questa è un po' la mia storia.

TG: Lei da che famiglia arriva? E la sua famiglia come ha visto la sua decisione d'intraprendere questa carriera e lasciare l'insegnamento?

AM: (Ride) Malissimo. Nel 1959, periodo subito dopo la guerra, c'era ancora molta fame e poco lavoro. Io con l'insegnamento mantenevo la mia famiglia, poi ad un certo punto, lasciato lo stipendio mio padre non la prese molto bene, era un uomo severo. Per qualche anno non mi rivolse la parola, non voleva sapere più niente di me. Poi, una volta che ha capito che riuscivo a camminare nel mondo dell'arte con le mie forze ci siamo riavvicinati. Ho lavorato molto anche per la Chiesa, ho realizzato porte bronzee, altari, presbiteri in marmo ed altri materiali tradizionali.

TG: Suo padre era un artigiano? Le ha trasmesso qualche capacità tecnica?

AM: Sì, mio padre era un artigiano, era un muratore. E per non tenermi in mezzo alla strada, all'età di 7 anni mi portò a lavorare presso il laboratorio di uno scultore. In un laboratorio dove scolpivamo santi, madonne, foglie d'acanto... Possiamo dire che in qualche modo vengo dal Rinascimento: bottega dello scultore, dello scalpellino, del falegname. Vengo da questo mondo, so lavorare qualsiasi materiale, ma ogni oggetto ha bisogno d'essere realizzato nella materia che gli compete. Non in altre. E' l'oggetto stesso a suggerirmi in che materiale vuole essere costruito.


Un'altra opera del periodo in cui Armando si era dedicato all'Arte Cinetica: Multispazi illusori.

TG: La passione per la geometria e la matematica invece da dove è arrivata?

AM: Dalle esperienze di lavoro. Ho collaborato con architetti ed ingegneri, con l'architettura, con i pieni e con i vuoti... I movimenti del Novecento, Futurismo Dada, Bauhaus, Architettura Organica, eccetera. Non sono architetto, ma quando metto in scala uno schizzo o un disegno devo conoscere bene ogni tipo di geometria. Devo sapere come si costruisce un poliedro, come disegnare una prospettiva. E' la conseguenza di una situazione culturale che ti porta a volerne sempre sapere di più e a studiare come realizzare i miei progetti.

TG: Che atmosfera si respirava nella Milano degli anni '60? Chi conosceva? Chi frequentava?

AM: Dopo un paio di mesi che ero a Milano ho conosciuto Piero Manzoni e lo aiutai a trasferirsi da uno studio all'altro. Purtroppo però lui morì di lì a poco, nell'aprile del 1963. Lucio Fontana lo conoscevo già. Conoscevo tutti: Rodolfo Aricò, Giorgio Kaisserlian, Guido Ballo e Marco Valsecchi, il Gruppo T con Boriani, De Vecchi, Varisco, Colombo, Mari, Anceschi.

TG: Negli anni '60 ha partecipato all'Arte Programmata, poi per una sua continua ricerca ha cambiato stile. Perché? Quel periodo era finito? Era giusto cercare e sviluppare altre idee, o per quale altra ragione si è dedicato ad altro?

AM: Sì, ho fatto cose apparentemente diverse perché il filo conduttore tra un lavoro e un altro l'ho sempre conservato. Ho relativamente fatto altro genere di lavori perché i gruppi che si erano formati in precedenza, sia il Gruppo T che il Gruppo N di Padova, o il Gruppo Mid si erano già formati ed erano piuttosto chiusi verso nuovi elementi. Non c'erano possibilità di trovare spazi tra questi artisti. Avevo parlato con Guido Ballo, aveva visto i miei lavori e lui mi disse di parlare con Gianni Colombo, ma io e Gianni eravamo coetanei, le esperienze stavano nascendo insieme. Guido mi disse di non preoccuparmi, Colombo riconobbe l'importanza del mio lavoro, ne parlò all'interno del gruppo, ma non si aprirono ad un nuovo elemento. A quel punto io dissi: "Pazienza...". Sapevo che avrei fatto le mie esperienze e ugualmente feci le mie mostre coronando quel periodo con diversi premi. Uno fra tutti il Premio Silvestro Lega ex-aequo con Mario Nigro, nel 1967: premi d'arte programmata, cinetica, optical. Commissari furono Gillo Dorfles, Umbro Apollonio, Piero Dorazio, Mauro Regiani, Giancarlo Cavalli, Filiberto Menna ed altri che non ricordo del Comitato esecutivo.

TG: Sarebbe diventato ripetitivo...

AM: Esatto, sarei diventato ripetitivo, non sarei più stato io. Mi sarei preso in giro a copiarmi.

TG: Da parte dei galleristi esisteva la richiesta di produrre quel tipo di lavoro?

AM: Non in quel periodo, ma adesso che c'è una riscoperta di quell'arte sì. Negli anni 1960 s'è aperto il mondo. Le macchinette di Boriani o di Colombo, tranne in qualche galleria importante come la Marconi, non venivano molto considerate. Questi artisti erano anche insegnanti, mentre io sono riuscito a concentrarmi sul mio lavoro. Ho voluto fare questo e grazie a Dio ci sono riuscito, riuscendo a vivere discretamente.

TG: Maestro, conosce anche Nanda Vigo?

AM: Certo, abbiamo fatto molti lavori insieme ed insieme a Franco Solmi e Marilena Pasquali della Galleria d'Arte Moderna Comunale di Bologna abbiamo fondato il Gruppo dei Celebranti.

TG: Come le è venuto in mente di fare “Uomo e Formica?

AM: Si tratta di un passaggio filologico, una volta che tu hai fatto un tipo di struttura naturale, come Giardino Ludens, tra artificio e natura, di elementi artificiali che hanno un rapporto con la natura come se fossero piante, ho sentito la necessità d'andare oltre e alla fine torno alla natura come esempio per l'uomo. L'organizzazione delle formiche è quasi perfetta, non c'è rivalità tra le formiche, se non tra formicaio e formicaio.

TG: Adesso sembra che abbiano scoperto che c'è un 25% di formiche che non fanno assolutamente niente...

AM: Certo, sono le formiche otri, sono quelle che si riempiono la pancia di sostanze liquide, come gli afidi. Quando le formiche hanno necessità di nutrire le pupe, stuzzicano le formiche otri che rilasciano una sostanza nutriente, hanno la pancia gonfia, ma non fanno niente.

TG: Per quanto tempo ha studiato questa società quasi perfetta? E quando ha iniziato a fare le prime mostre?

AM: Alla fine degli anni 60. Studio che poi è sfociato in mostre come quelle che organizzava il Centro Apollinaire di Milano, creata e diretta da Guido Le Noci che rappresentava eventi artistici in prima mondiale.
Esposero Yves Klein, Mimmo Rotella, César, e tutti gli artisti del Nuveau Réalisme. Presentai la mia esperienza prima da Toselli. Ci chiudemmo dentro la galleria in dieci artisti per più di una settimana. Non potevamo uscire, c'erano i chiodi sulle porte, altro che: “Il grande fratello” (ride). Lì volevamo vedere che cosa sarebbe successo a chiudere dieci artisti insieme. L'unica cosa che ci teneva svegli era la musica, uno di noi aveva portato una chitarra ed un sintonizzatore (in sostanza una scatola che trasformava i suoni ndTG) ed insieme cantavamo. Io portai un formicaio.

TG: Che musica le piace Maestro?

AM: Mi piace il jazz, meno la lirica o la musica da camera, anche se adesso le sto rivalutando. Io ho partecipato molto a performance in cui la musica era molto importante, come nei concerti. Con il gruppo Hyperprism di Perugia abbiamo organizzato numerosi spettacoli, usando strumenti non convenzionali creati da noi.

TG: Lei suona?

AM: Io non suono, rompo le scatole, ovvero faccio delle cose indispensabili all'interno della musica, in quel momento in cui entro in scena. Le mie molle sono degli strumenti musicali, sono d'acciaio armonico e quando si toccano una con l'altra suonano. Ho fatto tante cose anche con la musica. Ho conosciuto John Cage, lui per un suo concerto a Perugia all'Università per gli Stranieri scelse un oggetto creato da me (una specie di vaso di ceramica) e con quell'oggetto il maestro Fernando Sulpizi suonò la sua musica. Anche se in quel caso era il silenzio a suonare per lui.

TG: La musica le ha dato ispirazione per la sua arte?

AM: Certo, non solo la musica, anche il sacro. Perché l'arte per me è sacra, anzi spirituale.

TG: Dicono che l'arte avvicini a Dio, come la musica...

AM: Certo, il sacro è indispensabile per la mia opera.

TG: Lei ha una forte fede religiosa?

AM: Sono credente e praticante.

TG: C'era molto fermento culturale nella Milano degli anni '60?

AM: Per me che li ho vissuti, gli anni '60 sono stati veramente gli anni d'oro. Negli anni successivi si è andati avanti grazie alla spinta che è avvenuta in quel periodo. In seguito ho visto molti plagi ed alcuni, non sapendo più che cosa fare, sono tornati alla pittura.
Personalmente ho proseguito con le mie ricerche, con il mio lavoro.


Una grande tela sensibilizzata con emulsione fotografica e impressionata come un fotogramma da Armando Marrocco


AM: La fotografia, oggi più che mai, è importante, però non vedo abbastanza ricerca in questo campo. Si vuole un'immagine fatta bene e questo sembra essere tutto. Ultimamente, il bianco e nero sta sparendo a favore del colore e del realismo. Non voglio citare nomi, ma ci sono fotografi molto noti che non arrivano alle conclusioni di una Diane Arbus o di un Muybridge, non arrivano a questo senso della ricerca. Pensiamo a Muybridge ed al suo sistema di effettuare una serie di scatti con 20 fotocamere che coglievano il movimento nell'istante giusto. Basaglia era un altro genio in questo campo. Si salvano pochi fotografi, tra questi Ugo Mulas grande maestro. Ero con Ugo quando scattò la famosa fotografia di Lucio Fontana nel suo studio, davanti l'unica tela lunga con un taglio verticale.

TG: Lei che ha vissuto per una gran parte del '900 e che adesso sta vedendo questo nuovo millennio, dove le sembra che stiamo andando?

AM: C'è stato un artista che s'è sollevato dalla Terra per vedere le cose dall'alto, senza morire, questo è importante. Distaccarsi per poi ritornare sulla Terra vedendo le cose nella loro contemporaneità: Yves Klein. Lui ha fatto il blu creando il blu, il rosa e l'oro, oltre che per gli altri, principalmente per se stesso. Una volta che hai lavorato per te stesso, sei già ricolmo, non è necessario ripetersi, o cambiare appena appena... invece di un elemento inserirne 4. Non cambia niente, il metodo è sempre quello. Invece bisogna spaziare per quante strade ci sono e percorrerle tutte.

TG: Molti asseriscono che il vero artista è l'artista totale, colui che sa lavorare tutto: vetro ceramica, pittura, fotografia, pietra, marmo...

AM: Tutto, bisogna sapere fare tutto, chiaramente con i mezzi a disposizione. Parlavo di Klein, lui è riuscito a staccarsi dalla Terra ed entrare proprio nel blu ed avere la vera coscienza che permette di vedere le cose dall'alto, per essere una persona assoluta col rosa ed il suo oro, che poi sono i colori mistici di Cristo. Io ho scoperto l'ex-voto di Klein. Questo non lo sapevi, eh? Lui era devoto di Santa Rita da Cascia e negli ultimi anni della sua vita Klein si recava proprio a Cascia a trovare Santa Rita. E' stato in Umbria 3 o 4 volte lasciando alla santa un suo omaggio, fino a quando nel 1961, prima di morire, ha lasciato lì il suo ex-voto, chiedendo che le sue opere venissero capite da tutti e che le sue fontane di fuoco fossero apprezzate da tutti, che il suo lavoro potesse essere d'ispirazione alle nuove generazioni. Tutto è rimasto scritto dentro una cassettina all'interno di una fessura. In tre compartimenti, uno blu, uno rosa ed uno d'oro. Dietro c'erano anche 3 piccoli lingotti d'oro da 3 grammi che lui aveva fatto fondere e inserire nell'ex-voto. Io ho scoperto questa cosa. La mistica di un'artista è una cosa importante che spesso noi non consideriamo.

TG: Chi è l'artista di quegli anni che stima maggiormente?


AM: Stimo molto Jean Tinguely che purtroppo adesso non c'è più. Lo conobbi personalmente.



Armando Marrocco (a sinistra) con il fotografo Tiziano Ortolani che era sposato con Daniela Palazzoli, figlia di Peppino Palazzoli direttore della Galleria Blu.

TG: Lei per che cosa vorrebbe essere ricordato? Per un'opera o per un concetto?

AM: La mia strada è già dentro le cattedrali e le basiliche. La porta monumentale di bronzo della Cattedrale di Lecce è già lì, poi per il resto è normale entrare nelle case e nei musei.

TG: Torna ancora l'uomo rinascimentale...

AM: Certo, certo, le porte del Santuario di Santa Maria di Leuca le ho realizzate in bronzo e staranno lì per molto tempo. Nel Santuario di Santa Rita a Cascia ho lavorato per 25 anni.

TG: Quindi esiste un'arte classica? E' ancora importante?

AM: Certo. Però a committenza. Non la presenterei mai in galleria.

TG: A proposito, com'è il suo rapporto con i galleristi?

AM: Guarda, m'è andata abbastanza bene. Dal '65 in poi, ogni anno ho presentato una personale o addirittura due. Negli ultimi anni ne presento di più, quattro o cinque all'anno.


Armando Marrocco, 76 anni, Artista

TG: Sugli intrecci cosa mi vuol dire?

AM: Nascono in quel periodo. La galleria “Il Cenobio” di Milano, poi è diventata il Cenobio Visualità fece una mostra del bianco sul bianco dove c'era anche Manzoni, Fontana... Era il 1964, ed in quell'occasione io portai un mio intreccio di cartone che ebbe un successo immediato. Anche questi miei lavori erano basati sullo studio della sezione aurea


Armando ci mostra un dettaglio dei suoi intrecci

TG: Allora non potevano non piacere.

AM: No, perché sono basati sull'equilibrio e la perfezione: la proporzione divina di Luca Pacioli e Leonardo.

TG: Grazie Maestro è stato molto gentile.

AM: Grazie a te.


Armando Marrocco nel suo studio

Chi è Armando Marrocco
Nasce a Galatina (Le) nel 1939. Dopo gli iniziali interessi informali, nel 1959 incontra Lucio Fontana e, su suo incoraggiamento, nel 1962 si trasferisce a Milano. Le sue prime ricerche si sviluppano nell’ambito dell’arte programmata e cinetica. La prima personale è a Lecce nello Spazio Andretta, mentre la prima a Milano è nel 1966 alla Galleria Montenapoleone. Nel 1967 partecipa alla IX Premio Silvestro Lega di Modigliana (secondo premio ex‐aequo con Mario Nigro). Nel 1969 aderisce al gruppo Art Terminal con il quale partecipa ad alcuni importanti eventi come Area Condizionata alla Galleria Toselli di Milano e Campo Urbano a Como, a cura di Luciano Caramel. Nel 1970 Pierre Restany lo invita a partecipare alle manifestazioni che si svolgono a Milano per il X anniversario della
nascita del Nouveau Réalisme. Nei primi anni 70 gli interessi comprendono il comportamento, la natura e l’antropologia, fatto questo che lo porterà in seguito ad aderire al movimento Arte Genetica.
A conferma di ciò si ricorda la mostra Habitat per formiche, 2000 formiche vive, tenutesi nel 1971 a Milano alla Galleria Apollinaire di Guido Le Noci. Queste esperienze saranno raccolte nella pubblicazione Calendario con testi di Pierre Restany e Toti Carpentieri.
Dopo una serie di mostre internazionali organizzate dallo stesso Restany sul tema della comunicazione e nell’ambito della Nuova Scrittura, negli anni 80 il primitivo interesse per il recupero dei materiali si fa sempre più vivo, come anche quello rivolto allo spazio e alle installazioni ambientali. 
Nel 1988 su invito di Pierre Restany, una sua scultura, la città palafitta è istillata nel parco olimpico di Seoul.
Nel 1998 realizza il manifesto di Umbria Jazz.
Nel 2002 viene nominato accademico ad Honorem della Pontificia Insigne Accademia delle Belle Arti dei
Virtuosi al Pantheon.
Nel 2007 riceve l’omaggio per i 50 anni d’arte, Armando Marrocco Arte Contemporanea, al Palazzo della
Permanente di Milano e nel 2008 al Palazzo della Loggia di Brescia.
Nel 2010 è presente con Pietra e Messaggio alla Biennale di Venezia – Architettura.
Nel 2012 l’Istituto Italiano di Cultura di Colonia gli dedica un importante mostra “Armando Marrocco – Io sono sempre Io”.
Nel marzo 2013 inaugura alla Galleria Antonio Battaglia di Milano “Intrecci” con catalogo a cura di Alberto Fizz.
Nel 2014 sempre a Milano presenta “Mediterranei, Intrecci, Dimore” alla Galleria il Castello,
“Nèspazionètempo” alla Galleria Formaquattro di Bari, “Sognoutopiainrealtà” alla Galleria L’Osanna di Nardò e “Luogo del ritrovo” a Spazio Bianco di Torino.
Riceve a Milano il premio dell'Arte XXVI Edizione.
Nel 2015 è a Pietrasanta nella Galleria Armanda Gori, con “Tra Luce e Materia”, riceve a Tricase il Premio alla Cultura “Turris Magna” e a Galatina il premio “Città di Galatina”.

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mercoledì 16 dicembre 2015

Felice Quacquarella: una vita tra pellicole e nastri magnetici

"Tutte le mie macchine sono allacciate tra loro come dei bambini che si tengono per mano quando giocano al girotondo." Felice Quacquarella

Questa mattina, dopo essere uscito di casa ed aver incontrato un signore che ha acquistato per pochi soldi una mia vecchia telecamera, mi muovevo un po' a caso, senza una meta, come in cerca d'ispirazione. Non avevo ancora ben deciso cosa fare, o dove andare, per fortuna avevo con me una fotocamera digitale ed il mio registratore, pertanto ero pronto a tutto. 
Arrivato dalle parti di via Airolo, mi sono ricordato di Felice Quacquarella, un professionista della duplicazione e del riversamento da pellicola a nastro magnetico. Ho pensato a lui, perché quando lo conobbi il suo laboratorio si trovava proprio in quella via. Sapevo che aveva traslocato circa 7 o 8 anni fa per andare in un altro spazio, non molto lontano da lì. Mi è venuto in mente che avrei potuto andare a cercarlo per chiedergli di raccontarmi la sua storia, ma un po' come in uno di quegli episodi ai confini della realtà, stava accadendo qualcosa di strano, non riuscivo a trovare il portone del palazzo dove sapevo che il mio "uomo dei ricordi altrui" si era trasferito. 
Mi ha preso come una specie di ansia, temevo che si fosse ritirato dalla sua attività e che nessuno più si ricordasse di lui, mi sembrava un po' assurdo ai nostri giorni chiedere a qualcuno se conoscesse un anziano signore che faceva rivivere spezzoni di vite altrui filmate dalle persone tanti anni fa, per poi trasferirli su supporti elettronici, essi stessi anacronistici ai tempi della ultra-alta definizione in 4K.

Il mago dei ricordi
Felice Quacquarella, 77 anni, Mago dei ricordi e collezionista.

Sono stato fortunato la New Play Video Film sembra esistere ancora e come un segno del destino, un raggio di sole ne illumina l'ingresso anonimo ed un po' dimesso.


Effetti sonori su audiocassetta e file. L'azienda New Play Video Film  non esiste più, ma Felice Quacquarella è ancora in via Taormina, 15/a esattamente come prima con il suo museo del passo ridotto.

Negli effetti sonori c'è di tutto, dal ruggito del leone alla locomotiva a vapore

Entro in un altro mondo, ovunque mi circondano vecchi proiettori di vari formati dall'8mm al Super8; dal 9,5mm al 16 e perfino un telecinema 35mm. Non manca niente. Questo laboratorio potrebbe sembrare un museo, ma non lo è. Qui non c'è nulla di morto, ogni apparecchio è vivo e funzionante. Colui che fa vivere ogni macchina, spesso l'ha anche modificata, migliorandola e rendendola più longeva. Adesso mi sento colto dalla brama di sapere cosa succede in questo posto, chi lo frequenta, che immagini passano da qui e quali strumenti sono i principi di questo regno.

Felice Quacquarella accoglie la sua clientela dietro il bancone che separa il mondo esterno dal suo regno

Intervista ad un personaggio quasi ai confini della realtà

Tony Graffio: Felice, quando ha iniziato questa attività e di che cosa si occupa precisamente?

Felice Quacquarella: Nel 1968, per un dispiacere causatomi da una persona, ho cambiato mestiere ed ho intrapreso l'attività inerente all'hobby che avevo allora: la ripresa con le cineprese 8mm. Io ero un appassionato cineamatore, frequentavo i cineclub ed insieme ai miei amici realizzavo dei film in Super 8. Cambiando vita, il mio lavoro diventò quello di ritirare le pellicole dei clienti dai negozianti portarle nel mio laboratorio e applicare, incollando una banda magnetica sulla pellicola, un supporto per poter sonorizzare i film che poi il cineamatore avrebbe visionato in casa sua, con un apposito proiettore dotato di testina magnetica, per ascoltare l'incisione sonora. Da allora, la mia attività è sempre stata questa.

TG: Felice, dove è nato e quando?

FQ:  Sono nato a Milano il 20 giugno del 1938 nella clinica Macedonio Melloni.

TG: Che cosa le piaceva fare da piccolo?

FQ: Da piccolo mi piaceva fare tutto, vedevo un oggetto e volevo scoprire com'era fatto dentro e, se potevo, apportavo delle modifiche. Poi ho iniziato a suonare la fisarmonica e dopo ancora mi sono rivolto alla meccanica, ho lavorato col tornio, ma ho fatto un po' di tutto: meccanico dentista, elettricista, idraulico con negozio ed infine questa attività che continuo a portare avanti per qualche amico. 


Felice, un uomo geniale che ha realizzato anche alcune invenzioni, continua a far vivere i ricordi analogici dei suoi clienti nel pieno dell'epoca dell'immagine digitale

TG: Mi spieghi bene qual'era la sua attività iniziale nel mondo della cinematografia amatoriale, o del passo ridotto, come si diceva un tempo.

FQ: Io ponevo una banda magnetica affianco alla parte in cui veniva impressionata l'immagine dalla cinepresa, incollando questo nastrino sul film. I proiettori erano stati concepiti per sonorizzare il film e questo era il business delle case costruttrici di proiettori perché molti cineamatori volevano cambiare il loro proiettore muto con un nuovo proiettore sonoro. Prima è nata la pellicola con una banda magnetica sola, posta verso il fotogramma, poi visto che i risultati erano buoni i costruttori hanno immesso sul mercato proiettori con la possibilità di avere la stereofonia. In questo modo, incollando due bande magnetiche separate, una dalla parte della perforazione, l'altra dalla parte del fotogramma, da due bande magnetiche separate si riusciva ad ottenere l'effetto stereo che all'epoca era il non-plus-ultra della qualità audio che si poteva avere.


Play Video Sonorizzava soprattutto film d'azione

Una bobina di un filmino S8 pistato dalla Play Video

TG: Prima, si portava a sviluppare il filmino, dopo lei applicava la banda magnetica? Era una specie di kit?

FQ: Prima si consegnava il filmino esposto alla Kodak, alla Agfa o alla Ferrania, dopo di che ci si ritrovava in mano dei filmini muti e si sceglieva di tornare in negozio per rivolgersi ad un laboratorio che incollasse la banda magnetica al film. L'altra operazione da effettuare a casa propria era la sonorizzazione del filmato girato in precedenza.

A sinistra una taglierina per il nastro magnetico da applicare ai filmini 8mm. A destra una taglierina per il nastro magnetico da applicare ai film 16mm.

TG: Come si faceva ad attaccare la banda magnetica al film? Era difficile?

FQ: Prima di tutto, bisognava tagliare il nastro magnetico, questa era un'operazione che facevo io con delle taglierine, partendo da bobine da mm 6,25, classico standard dei registratori audio, di una lunghezza di 1000 metri, prodotte dell'Agfa. La cosa importante era che il supporto doveva essere di triacetato di cellulosa, come la pellicola, per potersi incollare bene al film per mezzo di un collante apposito. La cellulosa si riconosce dal fatto che strappandola si spezza, mentre poi, negli anni '80, è stato impiegato anche il poliestere che è più robusto, ma non si riesce assolutamente ad incollare alla pellicola ed a nessun altro materiale. La "pistatura" avveniva per mezzo di apposite macchine. La migliore macchina per incollare le piste riusciva a incollare 700 metri all'ora. I film più visti alla fine degli anni '60 ed all'inizio degli anni '70 erano quelli di "cappa e spada", Sandokan e Topolino. Io per lavorare ancora più velocemente inventai una macchina che proposi in vendita alla fiera di Milano, vendendone circa una cinquantina, che ho tuttora, capace d'incollare 11000 metri di banda magnetica all'ora. Dimostrabili, perché quando voglio la metto in moto e la faccio funzionare. In quegli anni era scoppiato il boom della sonorizzazione, vari negozi d'Italia comprarono le mie macchine e si diedero da fare per fare il mio stesso lavoro.

TG: Era una lavorazione artigianale quindi. Ma era prevista dai produttori di pellicola?

FQ: Si trattava di una nostra invenzione. Quando ho iniziato, sono andato a Leverkusen, in Germania, per vedere come all'Agfa tagliavano il nastro magnetico. Dalla misura classica di mm 6,25 ricavavo contemporaneamente 8 bobine  di larghezza 0,68 mm. Se si voleva usare anche il nastro di compensazione per fare lo stereo, bisognava tagliare il nastro a 0,42 mm, poco più grande di un capello. Da una macchina che tagliava il nastro magnetico si facevano 6 bobine da 0,68mm e 2 bobine da 0,42mm, per avere la stereofonia. Agfa produceva il miglior nastro magnetico in assoluto. Anche Kodak produceva questo nastro, ma l'Agfa mi diede il permesso d'aggiungere il nome della mia ditta (Play Film) alle scatolette del loro prodotto: Agfa Gevaert F5. F5 significava che quando bisognava pulire le pellicole alle quali era stata aggiunta la colonna sonora magnetica non subivano nessuna deformazione. Il Kodak invece che era una stesura di ossido di ferro sul nastro, appena veniva a contatto con l'alcool, o altri prodotti utilizzati per la pulizia, perdeva l'ossido e non sonorizzava più. A Milano, eravamo in due a fare queste lavorazioni: io e l'Artec Video.


Bobina di nastro magnetico Agfa-Gevaert F5 da m 500 preparata da Play Video 


Banda magnetica di risulta da 0,42mm in bobina, buona per il parlato.

TG: Erano i suoi concorrenti, o andavate d'accordo?

FQ: Ci aiutavamo perché il mercato era così vasto... Magari loro chiedevano un aiuto per fornirgli 2 o 3 milioni di metri di nastro, noi lo preparavamo e glielo consegnavamo in bobine. In seguito, una nuova ditta fece delle bobine, non più come le mie, ma come le bobine usate per i fili delle canne da pesca, su un'unica bobina caricavano 1400 m. di nastro, mentre le mie ne contenevano solo 300 m. Le loro spire venivano montate allo stesso modo dei fili da pesca, per non farle collassare su loro stesse.

TG: L'amore per il cinema quando le è nato?

FQ: A 14 anni aiutavo il proiezionista dell'oratorio ed in seguito ho fatto il proiezionista; come in Nuovo Cinema Paradiso, il mio parroco mi ordinava di tagliare le scene dei baci, solo che io non li eliminavo dalle pizze, ma infilavo un pezzo di carta nelle bobine della pellicola, così alla sera quando proiettavo il film dovevo chiudere la tagliola davanti all'obiettivo del proiettore e accendere la luce in sala per non fare vedere quella scena. All'epoca il bacio era ritenuto una cosa invedibile. In sala c'era chi gridava e diceva di venire su a picchiarmi, ma io riaprivo la tagliola solo finito il bacio. Quando, in altri momenti, il parroco in sala alzava un braccio, io vedevo l'ombra sullo schermo e capivo che dovevo tagliare un'altra scena.

Webcor registratore a filo d'acciaio, anni 1940.
(Una curiosità: questo stesso modello di registratore appare nella 5a puntata della I stagione della serie tv Manhattan, circa a metà episodio)

Webster Recording Wire

Il filo magnetico d'acciaio usato nel registratore Webcor

TG: Felice, che cos'è quel registratore? (Indico un registratore metallico mai visto prima)

FQ: Quello è uno dei primi registratori a filo d'acciaio, è un Webcor. Anni fa mi hanno portato un'omelia del Vescovo di Torino del 1942 da riversare su CD. Io riverso tutto: dischi in vinile, film, nastri, fotografie, qualsiasi cosa. Il filo magnetico d'acciaio di questo registratore quando si rompeva lo sistemavano facendo un nodo, come con uno spago. Questa era il modo per giuntarlo e la testina magnetica dove scorre il filo è fatta in modo da essere montata su una forcella che si muove su e giù per distribuire il nastro in maniera da non accavallarsi. Se non ci fosse la forcella e si fermasse il registratore, il nastro scenderebbe aggrovigliandosi tutto. Sono macchine che sono state portate in Italia dagli americani durante la Seconda Guerra Mondiale, io ne ho 4, mentre di registratori Geloso ne ho circa 300.

La prima fabbrica dei prodotti Geloso era a Milano in via Sebenico, nel quartiere Isola, poco distante da dove si trova l'attuale laboratorio della Play Video Film

TG: Come sono questi registratori Geloso? Validi?

FQ: Sì, belli, usano il nastro magnetico da 6,25mm, sia in triacetato di cellulosa che in poliestere. Io ho conosciuto l'Ingegner Geloso, lui aveva scelto di far andare il nastro ad una velocità di 4,75 cm al secondo, limitando la qualità audio, si pensi che le registrazioni professionali effettuate dalla Rai avevano una velocità di 38 cm al secondo. In seguito sono stati prodotti altri modelli Geloso a velocità variabile di 4,75, 9,5 e 19 cm/sec. Questi registratori avevano un uso familiare e hobbystico; tanti adulti ricordano di averli usati da bambini, per registrare la propria voce, magari declamando una poesia appresa a scuola, oppure questi apparecchi venivano usati per registrare opere liriche e altra musica trasmessa alla radio. C'è ancora chi ha nei cassetti questi nastri con registrato un po' di tutto.


Registratore audio a Valvole Geloso G600, anno 1968

Scatola di un raro microfono piezoelettrico da scrivania Geloso che serviva per registrare conversazioni in ufficio senza farsi accorgere dall'interlocutore

TG: E con il lavoro di pistatura adesso come andiamo? 

FQ: Lo faccio tuttora, c'è chi mi chiede di farlo e io lo faccio, per un minimo di 400 metri.

TG: Ma quando uscirono le pellicole con la pista magnetica incorporata che cosa è successo?

FQ: Quando la gente andava al cine-club per far vedere i propri filmini in una grande sala, accadeva in tutta Italia questa cosa, un film con la banda magnetica applicata, un Super 8 per esempio, risultava sfocato su un lato perché la pellicola aveva uno spessore maggiore da un lato e questo fatto sollevava leggermente il fotogramma dalla sua sede. Bastavano 2 o 3 decimi di mm. La Kodak in risposta a questo fatto costruì un nastro magnetico con 2 bande verniciate, anziché a nastro, perché iniziavano a nascere cineprese con la testina magnetica incorporata che potevano registrare l'audio in ripresa.
Con una pellicola pistata su entrambi i lati si riusciva ad evitare il problema della sfocatura. Nella mia attività, io ho dovuto mettere in azione una pistatrice che era un armadio con 120 metri di pellicola che scorreva al caldo perché le pellicole della Fuji avevano un supporto di poliestere. Il poliestere aveva uno spessore che era la metà del triacetato e perciò in una bobina ci stavano il doppio dei metri di pellicola, però non si poteva applicare la banda magnetica. Una società tedesca aveva fatto una bobina di nastro magnetico che quando veniva a contatto con la pellicola, come due specchi pulitissimi restavano uniti, allo stesso modo questo nastro magnetico speciale e costoso non si distaccava più dalla pellicola. Il mio armadio essiccatore invece dosava la quantità di vernice magnetica da stendere sulla pellicola.

TG: Questi sono stati degli accorgimenti nuovi per pistare le pellicole, ma quando sono uscite le nuove pellicole sonore, che cosa è accaduto al vostro mercato? S'è ridotto?

FQ: No, assolutamente, perché le nuove pellicole della Kodak erano soltanto per le nuove cineprese che erano molto costose e non tutti avevano. A quei tempi la richiesta di Super 8 era tale che nacque una pellicola Kodak di 32mm con 4 perforazioni parallele, dalla quale tagliandola, dopo la stampa dei film, si potevano ricavare 4 film in Super8. In un solo passaggio si faceva il quadruplo del lavoro. Con le taglierine, si tagliava la pellicola a metà e con il sonorizzatore si metteva una scatola chiusa di nastro magnetico, a ciclo continuo, facendo pizze da 600 metri, in Super8. E si tagliavano ancora in 2. Noi avevamo 8 di quelle macchine e delle ragazze che imbobinavano i film di cappa e spada, Totò e tutto il resto.

TG: Avete fatto di tutto eccetto lo sviluppo allora?

FQ: No, lo sviluppo no, perché c'erano altre ditte che lo facevano, c'era la Technicolor, la Cinerapid e altre ditte. Loro però non avevano la possibilità di sonorizzare. Io sono stato il primo e l'unico a sonorizzare in grande serie con un mio metodo un po' adattato. Ho preso una putrella del treno, in modo che non vibrasse, ci ho messo su 8 proiettori nudi col traino e la testa magnetica, li ho fatti andare con un motore da 2Cv ed andava bene per quelle aziende che non erano riuscite a sonorizzare i film, se non all'estero.

Felice guarda un filmato che lo riguarda

TG: E' stato difficile adattarsi a tutti questi cambiamenti di tecnologie, di standard e macchine?

FQ: No, non è stato difficile perché all'epoca della pellicola i cambiamenti avvenivano in tempi lunghi e si faceva in tempo ad abituarsi, oggi invece è diverso, è diventata una cosa impossibile perché i fabbricanti tengono nei cassetti i progetti che usciranno domani e così non si fa tempo ad adeguarsi. Quando negli anni 1980 la pellicola ha intasato il mercato dei film da guardare a casa, con il Super 8 hanno iniziato ad arrivare i primi videoregistratori su nastro magnetico. Già negli anni '70 Philips aveva prodotto un suo sistema di videoregistrazione amatoriale, il VCR, ma era una macchina costosa e poco diffusa, saranno il VHS ed il Betamax a contendersi il mercato nei primi anni '80, mentre Philips proverà nuovamente a proporre un suo standard: il Video 2000, ma senza successo, nonostante la buona qualità di registrazione. Una volta che la Victor Company of Japan riuscì ad affermare il suo standard, come il formato di registrazione domestico più diffuso, anche in Italia nacque la necessità impellente di trasportare le pellicole su nastro magnetico. Ecco che noi siamo dovuti intervenire "inventandoci" il telecinema.



Una rara giuntatrice Catozzo per incollare i nastri VHS

TG: Perché? Prima non esisteva?


FQ: No, non esisteva.


TG: Come avete fatto? Avete preso una telecamera per riprendere i filmati?

FQ: No, tutto è successo in Giappone, grazie alla Sony che ha fatto un proiettore interlacciato con una telecamera che a tutte le velocità di ripresa, dai 3 fps, ai 24, o ai 48, teneva il passo con la velocità di riproduzione video senza flicker. All'epoca, se un prete non voleva accendere le luci per illuminare un affresco in chiesa, perché temevano di rovinare i paramenti dell'altare, bisognava girare ad una velocità molto lenta, per aumentare il tempo d'esposizione. Il cineoperatore girava ad 8 fotogrammi al secondo e la luce che entrava dalle vetrate diventava sufficiente ad avere un fotogramma esposto correttamente. La Sony ha inventato questo telecinema perché prima c'era l'esigenza di dover girare solo a 25 fps perché la scansione video di un semiquadro è di 1/25 sec. Invece no, grazie a Sony,si poteva girare anche a 8 fps senza vedere nessun sfarfallamento. Questo accadeva perché l'impianto elettronico teneva conto degli 8 fps, o i 5 adeguandoli ai 50 Hertz della scansione del tubo catodico.



L'Heurtier Tristandard era l'unico proiettore cinematografico in grado di proiettare il formato 8mm, il 9,5mm ed il 16mm. Bisognava cambiare il quadruccio di proiezione, il corridoio di scorrimento della pellicola e le bobine. Questo proiettore monta un obiettivo P. Angenieux 40mm f 1:1,5 e una lampada da 500 Watt con attacco P28. Aveva un variatore di velocità, pre-riscaldamento della lampada e la possibilità di vedere un fotogramma in fermo immagine, oltre che la retromarcia per ribobinare il film. Alimentazione a 110 Volts. Non è un oggetto di valore, ma è abbastanza raro.

TG: Felice, lei lavora ancora tanto?


FQ: La gente si mette a ridere dopo che dico che orari faccio. Io apro alle 7 del mattino. Oh, così presto? Io in realtà, da 15 anni sono in laboratorio dalle 4,30. Perché? Alla sera mi preparo la "pizza" con le pellicole da telecinemare, alla mattina, dopo aver mangiato, alle 5, mi siedo davanti al monitor ed inizio a lavorare senza che nessuno mi disturbi. Quando al mattino iniziano ad arrivare i clienti, io devo dar retta a loro e non riesco più a telecinemare.


TG: Prima di venire qui, nel 1968, quando ha aperto, dov'era il suo laboratorio?


FQ: Nel 1968 ho aperto la mia attività a Milano, in via Calamatta 17, dove ho pistato pellicole fino al 1980. In quell'anno poi ero andato ad abitare ad Arese, così volevo avvicinarmi a casa perché ci voleva troppo tempo ad attraversare Milano. Nell'azienda dove costruivo le mie macchine per pistare, il titolare mi aveva prospettato d'avere dei locali con tutte le macchine necessarie per tornire, fresare e fare le altre lavorazioni. Così mi sono trasferito in via Airolo. Stavo in 250 mq e facevo anche i montaggi video per l'Ospedale di Niguarda. Montavo 5 operazioni al giorno con 5 chirurghi diversi: cuore aperto, cervello aperto, prostata, tutto.


TG: Quindi finito il business della pistatura si sono aperti nuovi mercati per lei, come il telecinema delle pellicole, il montaggio ed altre lavorazioni?


FQ: Sì, in via Airolo ho iniziato a telecinemare e fare altre cose. Con le pistature sono andato avanti ancora un po' perché il nastro video c'era e non c'era, perché i videoregistratori non erano sincronizzati tra loro. Se io avevo a casa una macchina di una marca ed un mio amico ne aveva uno di una marca diversa, lui non sempre riusciva a vedere la mia registrazione sulla sua macchina, oppure si creavano dei disturbi video e audio. Agli inizi degli anni 1970, Philips era uscita sul mercato dell'elettronica consumer con un suo videoregistratore da casa denominato VCR, ma bisognerà attendere la fine degli anni 1970, quando in Italia iniziarono a diffondersi i primi videoregistratori Betamax, per fare iniziare le attività delle registrazioni casalinghe dalla TV, ma è ancora presto per porre le basi alla cinematografia elettronica amatoriale. Un anno dopo, siamo ormai quasi negli anni 1980, in Italia arrivarono anche i videoregistratori in formato VHS. Concedere a tutti gli altri fabbricanti di poter utilizzare il proprio standard sarà per JVC la mossa vincente che  porterà la supremazia di questo standard sul formato di Sony, anche grazie agli accordi con le Majors americane per la disponibilità di titoli di film su questo formato. Poco più tardi, nel febbraio 1980, quando Philips si riaffaccerà su questo mercato con il suo nuovo formato: il Video 2000, di fatto il migliore standard, ormai era troppo tardi, i consumatori volevano videoregistrare a tutti i costi e già da qualche anno si erano orientati sul sistema studiato da JVC. Solo Philips e Grundig producevano videoregistratori Video 2000, però con meccaniche diverse e diverso percorso del nastro intorno alla testina magnetica, cosa che ha disorientato ancor più la clientela di questo sistema di videoregistrazione. 
Saranno le centraline di montaggio che finalmente permetteranno di sincronizzare i diversi apparecchi elettronici tra di loro, cosa che darà la possibilità ai primi pionieri del video amatoriale d'iniziare ad utilizzare le telecamere ed a montare i loro video.

TG: Eppure, io sapevo che qualitativamente il Betamax era superiore al VHS...


FQ: Effettivamente, il prodotto di Sony era migliore per diversi motivi, ma costava di più ed aveva come aspetto negativo una durata di registrazione inferiore al VHS che, con delle cassette particolari prodotte dalla Basf, arrivava perfino a contenere 5 ore di registrato. JVC, insieme a National, Panasonic ed altri marchi ha costituito un gruppo di fabbricanti che diffuse maggiormente questo standard rispetto al Betamax. Le televisioni private, ma soprattutto le radio, usavano il nastro Video 2000 che si poteva incidere su entrambi i lati, come un'audiocassetta che ha un lato A e un lato B, dando la possibilità di trasmettere tutta la notte in continuo con una cassetta della durata di 8 ore, a differenza dei nastri magnetici in bobina che avevano un'autonomia molto inferiore.


TG: Come funzionava intanto la sincronizzazione tra i vari registratori?


FQ: Se io compravo un videoregistratore Video 2000 e tu compravi una macchina dello stesso standard e poi decidevo di farti vedere a casa tua un nastro che io avevo registrato a casa mia, le due macchine non erano compatibili. Tra marchi diversi non era previsto lo scambio dei supporti e difficilmente riuscivi ad ottenere compatibilità tra due macchine, anche della stessa marca. Tra macchine professionali era possibile montare macchina-macchina perché questi registratori disponevano di un TBC interno (Time Base Correction), mentre con i videoregistratori da casa era possibile montare l'audio da macchina a macchina con l'Audio-dubbing (solo nei modelli più recenti, se disponevano di questa funzione), perché questi registratori avevano un pre-roll di 10 secondi che permetteva d'effettuare l'attacco sullo stesso frame (se si aveva abbastanza fortuna, tutto andava per il verso giusto, o le preghiere dell'operatore alle macchine erano andate a buon fine). Avere l'Audio-dubbing, su due macchine, permetteva comunque di montare senza centralina. Io ho qua in studio un sincronizzatore che ho pagato 20 milioni di lire, genera 7 segnali di sincronismo e mi permette di mettere insieme il segnale di ogni macchina che uso. Tutte le mie macchine sono allacciate tra loro come dei bambini che si tengono per mano quando giocano al girotondo. Senza il sincronizzatore i segnali video delle mie macchine si vedrebbero in modo alquanto strano. Pian, piano, anche con il VHS la gente ha portato avanti la passione che aveva con la pellicola ed ha iniziato a realizzare i propri video casalinghi.


TG: Beh, certo che poi con la videoregistrazione digitale le cose sono molto migliorate...


FQ: Vero, pensa che quando sono usciti i Mini DV è capitato che molti usassero queste telecamerine per fare le loro riprese di filmati che andavano in onda sulla Rai, avendo prima la sola accortezza di venire qui da me per trasferire il tutto su Betacam. Non solo la Rai, anche la Televisione Svizzera e la Fininvest chiedevano il Betacam che pur essendo un sistema, allora professionale, aveva pur sempre nastri in ossido di ferro. Dopo un anno di questa manfrina, mi hanno chiamato i miei clienti per dirmi che le televisioni accettavano anche il Mini DV, perché si trattava già di un formato digitale che era superiore come qualità al Betacam. Eravamo nel 1985-86.



Proiettori da proiezione della Collezione Quacquarella


Formati cinematografici, pellicole, perforati magnetici, anno in cui sono stati introdotti e nazione che ha dato vita al supporto

1- 16mm Muto USA 1923
2 - 9,5mm Muto Francia 1923
3 - 17,5mm Ottico Italia 1930
4 - 16mm Magnetico USA 1930
5 - 16mm Ottico USA 1939
6 - 8mm Magnetico USA 1965
7 - Super 8mm Magnetico USA 1965
8 - Super 8mm Ottico USA 1965

TG: E intanto lavorava anche il suo telecinema...


FQ: La RTSI è venuta a telecinemare i suoi filmati da me per 15 anni. Ho qui le fatture eh!


TG: Fino a quando?


FQ: Fino a 5 anni fa. Io ho qui un telecinema che ho pagato 250 milioni di lire e può lavorare su 8mm, Super8 e 16mm, è una macchina speciale che mi son fatto fare dalla Fumeo. Un cliente americano mi chiese di farla funzionare a 16 fps perché aveva molto lavoro da farmi fare. Erano tutte riprese industriali fatte durante lavorazioni con una tempistica ben precisa che permetteva sia di visionare ciò che era stato fatto e, cosa importante, determinare il numero di pezzi effettivamente prodotto. Io qua ho tutto.


TG: E dopo via Airolo c'è stato il trasloco in via Taormina?


FQ: Sono venuto qui perché la pellicola ha lasciato il passo al nastro magnetico ed al video elettronico. Con le continue innovazioni tecnologiche in vari settori, anche gli ospedali non montavano più i lavori in pellicola 35mm o in BVU. Adesso per esempio consegnano il risultato di una coronarografia come file su CD. Intorno al 1975, l'Ospedale di Niguarda mi mandava un fattorino al giorno con 5 o 6 coronarografie in negativo 35 mm da riversare in VHS. Era l'unico cliente che mi pagava il lavoro prima ancora di ritirarlo. Erano altri tempi ed il nostro era un altro paese. Ogni coronarografia me la facevo pagare 45'000 lire, me lo ricordo ancora.



Formati cinematografici professionali, colonne audio e aspect ratio

1 e 2 (Virato) - 35mm Muto 2,55:1
3 - 35mm Standard con colonna sonora ottica 1,37:1
4 - 35mm Panoramico con 2 colonne sonora ottiche ad area variabile 1,66:1
5 - 35mm Panoramico con colonna sonora ottica a frequenza variabile 185:1
6 - 35mm Cinemascope con 2 colonne sonora ottiche ad area variabile 2,35:1
7 - 35mm Cinemascope con 4 piste magnetiche 2,35:1
8 - 35mm Cinemascope con 4 piste magnetiche 2,55:1
9 - 70mm Anamorfico con 6 piste magnetiche 2,21:1

TG: Oggi, in che formato è in grado di trascrivere i film?


FQ: 8mm, Super8, 9,5mm e 16mm. Il 35mm lo faccio con un altro telecinema, ma solo per uso archivio da visionare. Una ditta di trattori è stata qua e mi ha chiesto di riversargli 250 pellicole, io le ho fatte: a loro non interessava la qualità, volevano soltanto visionare i trattori...


TG: Questo perché lei continua a lavorare in standard definition con segnale video Pal a 625 linee, oppure anche NTSC, volendo, vero? Non è ancora passato all'HD?


FQ: A parte l'alta definizione, i miei telecinema sono ancora ad amplificazione di luce. 
Il Rank Cintel l'ho avuto, ma me ne sono sbarazzato. La Mercurio Film, che è di un mio amico, ha un Rank Cintel fa grosse pubblicità, abbiamo collaborato, ma una volta è venuto qua da me per una pubblicità Calzedonia girata in Super 8. Era il 1985. Sono arrivati qua con 10 bobine ed hanno voluto il mio telecinema. Il mio amico Bruno Lombardi poi mi ha telefonato per farmi i complimenti. I Bastioni di Porta Venezia sono stati montati in 35mm, ma le gambe delle signorine negli interni erano girati in Super 8 perché risultava essere più caldo.

TG: Va bene, però oltre il Mini DV non si arriva...


FQ: Certo, Mini DV o il Betacam, macchine che mi tengo ben care perché neppure più in Fininvest (Mediaset ndTG) riescono più a leggere questo formato. Posso fare il BVU, oppure file in Mpeg 2, MP4 o altri codec.


TG: Ho capito. A questo punto però io vorrei sapere da lei quanto dura un nastro magnetico, se  ben conservato.


FQ: (Ci pensa un po') Fino ad adesso la classifica è Video 2000, Betamax, VCR, Akai. Quando me li portano, se non sono stati tenuti all'umido che fa affiorare una muffa bianca tra le spire, van  bene ancora adesso dopo 40 anni. Nel BVU, purtroppo, da quando hanno messo una vernice nera dal lato opposto alla stesura di ossido magnetico è affiorato un fungo, dalla parte del dorso nero, il quale fa sentire ai motori un peso aggiuntivo a quello previsto per il trascinamento che manda in tilt la macchina. Si  blocca tutto ed esce la scritta: "Error".


TG: Allora nella conservazione delle immagini sulle videocassette non è tanto un problema di smagnetizzazione, quanto di muffe e pesi? E' questo che mi sta dicendo?


FQ: Ovviamente bisogna tenere le videocassette lontane da casse audio o altre fonti di magnetismo, però sì, è anche un problema di spire che si incollano lungo le bobine, dopo che rimangono inutilizzate per molto tempo, di muffe e di macchine che vanno tenute sempre in buone condizioni generali. Nel reparto RVM della Rai, ogni giorno gli addetti alle registrazioni si preoccupano anche di smazzare avanti e indietro il nastro per evitare l'effetto copia tra le spire a contatto per troppo tempo. A me una cosa del genere è capitata con dei Revox che mi producevano un effetto copia e mi facevano sentire un'eco nella registrazione audio. Onde evitare questo problema, all'epoca sui nastri U-Matic e BVU era stata stesa quella vernicetta nera che affiorava e diventava una specie di velcro appiccicoso. Quando il motore della macchina sentiva che c'era della resistenza al trascinamento andava in protezione e si bloccava. Io ho trovato una macchina che non si ferma per questo problema. Dovevano portarmi 250 cassette con le spire dei nastri appiccicate. Erano di quel signore della Mediolanum che con un bastone disegnava il cerchio sulla sabbia. Ho aperto le cassette ed ho pulito i nastri con un mio sistema segreto e, dopo aver dimostrato al cliente che potevamo trasferire tutti i video alla qualità originale, chi doveva pagare non voleva farlo perché non voleva spendere. Ma avendomi portato qui in studio il registratore Betacam digitale, per fare le copie, ho dovuto trattenerlo e così finalmente si sono decisi a pagare. Con le cassette ed i nastri non ci sono problemi di durata, sono i CD ed i DVD che perdono le informazioni. Il file digitale invece dura fintanto che resiste l'hard disk, ma se questo cade in terra è finita. I CD ed i DVD sono molto delicati, bastano delle dilatazioni termiche che deformino leggermente il supporto, roba di micron, e si blocca tutto.


TG: Un Betacam SP quanto può durare invece?


FQ: Sempre. Io all'epoca consegnavo le cassette con degli avvisi che dicevano: <Attenzione tenere lontano da fonti di calore e magnetismo>. Credimi, i nastri possono durare indefinitivamente. Certi nastri poi danno meno problemi di altri. Il Kodak andava bene, l'Ampex no. Uno credeva che perché Ampex ha inventato la registrazione video magnetica dovesse essere il massimo, invece no. Per il BVU erano un bel problema. I nastri audio hanno una stesura magnetica che fa ridere, con testine piccole, eppure funzionano ancora bene quegli degli anni 1960 e sono perfetti. Martedì scorso un cliente mi ha portato dei nastri VHS rovinati dalla muffa, ma li voleva assolutamente rivedere e trasferire. Ho dovuto aprire le cassette, pulire i nastri e trascinarli a mano, altrimenti si sarebbero rotti. Ho qui la macchina che mi svolge tutto.


TG: Adesso però io vorrei sapere perché lei non è ancora passato all'Alta Definizione. Me lo può dire?


FQ: Nella vita, ognuno la pensa a modo suo. Secondo me certi business sono indotti solo dal marketing.



Felice in versione Supereroe del Superotto in un vecchio filmino. Felice è stato anche un attore amatoriale e mi ha concesso di poter diffondere sul web: Itticus e Ultima recita due cortometraggi umoristici del regista e videopoeta Mario Rusca.

TG: L'alta definizione si vede, però...


FQ: Allora cosa fanno a fare dei software che reintroducono i puntini di polvere ed i graffi della pellicola? Perché l'HD è trooooppo piatto! L'HD è troppo piatto! Ecco perché! Ho fatto lo spot della Calzedonia col Super8. Ne ho detto uno, ma ne potrei citare 100 che hanno voluto il Super 8, anche se giravano con macchine da 300 milioni e telecamere pazzesche. La pellicola dà più profondità all'immagine, mentre l'HD non dà quell'atmosfera da sogno che trasmette la pellicola. Le gambe delle donne risultano più belle e più morbide con la pellicola... Inoltre la mia "clientela" si presenta qui con filmati fatti nel 1952-1953 (ride), che cosa gli interessa dell'HD?


TG: Ne avrà viste di tutti i colori sui filmini dei suoi clienti...


FQ: Sì, vero, pensa che quando facevo i riversamenti per la TV svizzera facevo anche dei riversamenti omaggio per chi voleva darmi il materiale dei ricordi di famiglia. Ho visto l'esercito svizzero in tutte le salse, scalmanati in mezzo ai prati, ripresi dalla gente che andava a fare il pic-nic. Passava un plotone e lo riprendevano. Sulla collina dove negli anni '50 non c'era niente, poi pian, piano si vedeva che costruivano le case, la seggiovia, il ristorante, lo chalet: l'ho visto io. Dalla TV svizzera ho visto come ci si divertiva nel 1890 in Piazza Duomo, a Milano. Da una macchina è scesa una bella donna, alta, in costume da bagno intero, con la cuffia. Qualcuno ha scaricato una botte di birra, la donna s'è infilata dentro e s'è fatta trascinare da un'automobile, sballottata di qua e di là, come se si fosse buttata dalle cascate del Niagara. Ci si divertiva così. Oppure, 22 velocipedi, quelle con le ruote anteriori enormi, correvano sulla strada e sembravano un branco di giraffe...



Felice contempla una parte dei suoi 300 registratori Geloso

TG: Ha qua qualche copia di queste meraviglie?


FQ: No, no, guai a Dio, fatto il lavoro, finito tutto, io non ho qua neanche un metro del girato dei miei clienti, sono una persona onesta e non voglio cadere in tentazioni. E' andata avanti così con questi lavori fino a che il Rank Cintel, dopo al modello da un miliardo e mezzo, è uscita con un modello più piccolo che faceva lo stesso lavoro e costava 30'000 euro.


TG: Infatti, dall'anno scorso poi, Blackmagic commercializza il Cintel Film Scanner in 4K a 30'000 dollari... Felice, non vuol trasmettere il suo lavoro a qualcuno? Non ha un aiutante o un apprendista che vuol imparare da lei?


FQ: Ultimamente ho tenuto con me un ragazzo per 2 mesi e mezzo. Dopo il settantesimo giorno che era qui in studio mi ha chiesto che bottone doveva schiacciare per fare il telecinema. Al che ho sistemato sulle macchine dei foglietti numerati che spiegavano i vari passaggi da fare: 1,2,3,4,5,e poi devi schiacciare questo e poi quest'altro, schiacci questo, e poi devi fare così... Andavano avanti i numeri 6,7,8,9,10,11. Fai da qua a qua e poi da qua a qua, da qua a qua. Dov'è la fotografia? Sa che non mi ricordo... L'impianto non è semplicissimo lo studio è pieno di cavi che portano segnali che vanno dappertutto, bisogna aver voglia per imparare... Solo di registratori per il Video 8 ne ho 8 perché il lavoro va fatto al meglio, ogni macchina ha sotto un pinch roller diverso ed io vedo subito se c'è il tracking giusto, oppure no. Mi invento sempre cose nuove, quando ho capito che facendo un giro particolare potevo evitare dei fotogrammi neri anticopia, l'ho fatto. Col mio sistema, passando dal digitale, il fotogramma nero non me lo fa più. Un'altra cosa, prova a leggere la data in cui ho cambiato la lampada al telecinema della Fumeo.


TG: 18 febbraio 2011?


FQ: Esatto, e sai perché? Anche la lampadina ha dei costi e mentre stai lavorando: puff. Una al mese. E così, se voglio accendere la lampada di quel proiettore tengo la linea sotto un reostato che mi regola il voltaggio. Se gli diamo tutta l'energia in un colpo solo la lampada salta, invece così si allunga la vita. Va già quasi da 5 anni... Quest'altro potenziometro è per questo motore (mi indica un motore elettrico), come facciamo a prendere quel nastro magnetico da 0,42mm? Se solo lo tiriamo un pochino più del necessario non suona più. Come ho fatto allora? Ho preso motori elettrici da 1/2 cavallo, gli ho tagliato la gabbia degli scoiattoli d'alluminio, per queste cose m'han dato del pazzo. Hai presente com'è fatto dentro un motore elettrico? Io l'ho tagliato dentro fino all'albero. In quel modo perde un po' di forza, ma fa i giri effettivi per i quali era stato progettato. Andando a toccare il motore con la mano si sente che non scalda. Può funzionare un anno di seguito e non scalda.



TG: E' tutto modificato da lei?

FQ: Sì, perché così le cose funzionano meglio. Un'altra cosa. La griffa del proiettore è un ago che trascina la pellicola infilandosi nella perforazione, ma col tempo quel pezzo d'acciaio si consuma. Io ogni mese andavo dalla Fumeo e ci lasciavo un milione di lire... Potevo andare avanti in quel modo? La mia nuova griffa sta andando avanti da 7 anni. Sai perché? 


TG: Perché?


FQ: Perché invece d
ell'acciaio l'ho fatta fare di diamante; il diamante non si consuma e io sono a posto.

TG: La ringrazio Felice, credo che verrò qua spesso a trovarla, ho ancora molte cose da chiederle.


FQ: Non c'è problema, io sono qui.



Proiettore cinematografico 35mm con scorrimento della pellicola manuale costruito da BR.to M. Leopizzi - Milano P.A.C.M.A.N. Anno di produzione intorno alla fine del decennio 1890

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