domenica 30 settembre 2018

Dislocazione (due fenomeni inspiegabili)

Mi è capitato di proporre su queste pagine "racconti fantastici" che sono stati ben accolti dal pubblico; in questo caso desidero lasciare memoria di una testimonianza che mi pare molto significativa. Anche a me, in alcune occasioni, sono capitati episodi apparentemente inspiegabili, vedrò se in futuro sarà il caso di raccontarveli o meno.
Tempo fa, una persona a me molto vicina, che preferisce restare anonima perché ricopre un ruolo pubblico, mi ha rilasciato un'intervista su un fatto che le era capitato poche ore prima. Il nome utilizzato in questa occasione non è il suo vero nome, ma quello che mi ha raccontato corrisponde a verità. Ne sono certo. TG


Rielaborazione in bianco e nero delle decorazioni su una volta del grande Tempio di Seti I, Abydos, Egitto.

Tony Graffio: Come ti chiami?

Andromeda: Andromeda

TG: Quanti anni hai?

A: 42.

TG: Che giorno è oggi?

A: 13 dicembre.

TG: Anno?

A: 2016

TG: Cosa stavi facendo questa mattina? E a che ora?

A:  Verso le 10 del mattino stavo andando in piazza del Duomo, a Milano, per fare delle compere. Sono uscita sulla piazza da una scala della stazione della Metropolitana e mi sono incamminata verso Corso Vittorio Emanuele per andare presso il negozio C.

TG: Aspetta un attimo. Eri già stata altre volte in quel negozio?

A: No, perché credo che sia un negozio nuovo che è lì da poco tempo.

TG: Che mercanzia vende quel negozio?

A: Vestiti da uomo. Una volta entrata nel negozio, mi sono messa a cercare dei pantaloni per mio cognato. Non ho trovato niente di interessante, così sono scesa al piano interrato. Lì non c'era niente che mi interessava così sono uscita dal negozio e mi sono ritrovata in piazza San Babila.

TG: Quanto tempo sei stata nel negozio?

A: Poco, solo cinque minuti. Sono entrata nel negozio, ho guardato in giro, non trovando quello che cercavo sono uscita, ma mi sono resa conto che ero all'inizio di Corso Vittorio Emanuele II, cioè circa 250 metri più lontano da dov'ero prima.

TG: Ti sei ritrovata dalla stessa parte del marciapiede sul quale c'era l'uscita del negozio?

A: No, all'inizio della via e dalla parte opposta del marciapiede. Pensavo di aver visitato un altro negozio della stessa catena, ma più avanti. Invece no. Eppure entro e vedo che anche quel negozio vendeva le stesse cose di quello precedentemente visitato e anche questo aveva un piano sotterraneo.

TG: Hai visitato il piano sotterraneo anche del negozio che era una specie di clone del primo in cui eri entrata?

A: Sono uscita da C. e mi sono ritrovata in Piazza San Babila, entro in un negozio che aveva un nome diverso, ma vendeva gli stessi capi d'abbigliamento e aveva la stessa disposizione interna dell'altro negozio, anche un piano sotterraneo uguale al primo negozio. Anche lì non trovo niente, esco e mi ritrovo all'uscita del negozio C., il primo che avevo visitato.

TG: L'interno dei negozi era un po' diverso? I capi che vendevano erano diversi?

A: Mi sembra di sì.

TG: Ti sembra oppure sei sicura che fossero diversi?

A: Non mi ricordo... Oggi ho visto tanti negozi. Ti dico solo che sono tornata indietro senza esserci andata. Sono entrata in un negozio e sono uscita da un altro. Sono saltata da piazza Duomo a piazza San Babila e da piazza San Babila a piazza Duomo senza camminare per Corso Vittorio Emanuele.

TG: Te ne sei resa conto?

A: Certo che me ne sono resa conto.

TG: Quale è stata la tua reazione?

A: Nessuna. Mi sono spaventata.

TG: Sei rimasta lì ferma?

A: Eh sì.

TG: Per quanto tempo?

A: Per poco.

TG: E poi hai ripreso a fare shopping?

A: Sì.

TG: Hai raccontato a qualcun altro di questa esperienza?

A: No. Adesso basta, non voglio più parlarne.

TG: Ti era già successo qualcosa del genere?

A: (Silenzio) Sì.

TG: Dove e quando?

A: Ad Abydos, circa dieci anni fa (si riferisce al 2006).

TG: Cosa ti era successo?

A: Nella stanza di Osiride ho avuto un flashback che mi ha fatto vedere intorno a me le sacerdotesse dell'antico Egitto. La stanza era uguale a come appariva più di 3000 anni fa. Anche quella esperienza è durata poco, poi mi è girata la testa e sono tornata al tempo presente ed ho visto che le persone intorno a me erano le stesse, solo che nel tempo presente erano turiste inglesi piuttosto avanti con l'età.

TG: La sala dove ti trovavi era molto diversa da come la vedevi nel presente?

A: Sì, era molto più colorata.

TG: Le sacerdotesse si sono accorte della tua presenza?

A: Non lo so se mi hanno visto...

TG: Hai visto il film: "L'uomo che cadde sulla Terra" (vedi scana dal min 52,02 a  52,50)?

A: No.

TG: E quando oggi eri nel negozio C. ti ha visto qualcuno?

A: Penso di sì, c'era un uomo che mi guardava così stranito... forse era sorpreso di vedermi lì, oppure mi aveva visto prima. Nel mondo succedono cose molto strane e io non capisco il perché di queste cose. Adesso, basta ho finito, ti ho raccontato tutto.

TG: Fai spesso di questi viaggi nello spazio-tempo?

A: Non lo so, forse ho qualcosa al cervello. Mi sono spaventata tanto, specialmente ad Abydos. Non so spiegare cosa sia successo, ma ho vissuto per qualche istante nel passato.






lunedì 24 settembre 2018

Ghisa Film Lab

Ghisa Film Lab è il nuovo progetto elaborato da un gruppo di 4 amici che a San Vittore Olona (Milano) si apprestano ad aprire un laboratorio fotografico dove si effettuerà lo sviluppo dei negativi B/N e colore, il salvataggio di immagini su file digitale per mezzo di scanner di alta qualità e la stampa chimica (probabilmente anche quella digitale) delle fotografie. 
La passione per la fotografia ai sali d'argento colpisce ancora e contagia sempre più le generazioni giovani che, desiderose di confrontarsi con tecnologie che in molti definiscono obsolete, si impegnano per auto-formarsi e ricercare nuovi utilizzi di vecchie apparecchiature che possano dare risultati, a volte perfino migliori di quando erano state ideate e commercializzate. In un mondo in cui è lasciato poco spazio all'inventiva personale, c'è ancora qualcuno che cerca la propria strada al di là dei percorsi convenzionali e delle strade più battute, cercando di offrire i propri servizi ad un mercato difficile poiché instabile ed alquanto imprevedibile. 
Luca Armellin, Davide Lacchini, Alessandro Alleva e Giorgio Barinetti sono i protagonisti di questa avventura ai quali auguriamo tanta fortuna e buon lavoro. 
Lo scorso 8 agosto, sprezzante dell'afa, sono andato ad incontrare due dei quattro soci di questa nuova realtà imprenditoriale. Sono stato accolto calorosamente e ho avuto modo di conoscere i propositi di questo gruppo di lavoro; nell'intervista che segue, Vi descriveremo le acquisizioni del Ghisa Film Lab, riconsidereremo le tecnologie utilizzate nei minilab e nei negozi di fotografia di circa 20 anni fa e parleremo dei propositi di chi vuol far ripartire e far lavorare queste macchine, cercando d'immaginare il loro futuro e anche per quale tipo di lavorazione potremo rivolgerci a questo nuovo laboratorio.
Giorgio Barinetti ha fatto da portavoce al G.F.L. e mi ha ricevuto nella sede operativa di via Tazzoli 7, a San Vittore Olona; è lui che con grande gentilezza e in modo dettagliato ha risposto alle mie numerose domande. TG


Ghisa Film Lab Laboratorio Fotografico a San Vittore Olona
Giorgio Barinetti, 45 anni, è un ingegnere informatico polivalente che ha dato vita al progetto Ghisa Film Lab insieme a tre ragazzi ventenni di Legnano.

Tony Graffio Intervista Giorgio Barinetti di Ghisa Film Lab

Tony Graffio: Giorgio, di cosa vi occuperete appena inizierete ad essere operativi e a ricevere le prime pellicole?

Giorgio Barinetti: Abbiamo notato che, per quello che riguarda lo sviluppo e la scansione delle pellicole, il mercato non offre più, a meno di non rivolgersi a strutture al di fuori dell'Italia, laboratori in grado di soddisfare adeguatamente le richieste dei professionisti più esigenti che vogliono provare nuove soluzioni, ottenere risultati qualitativamente ineccepibili o che necessitano di trattamenti particolari. Luca, Davide e Alessandro hanno iniziato a procurarsi apparecchiature professionali atte a svolgere le lavorazioni che più ci interessavano, mentre io mi sono offerto di ospitare queste macchine in uno spazio che ho affittato per le mie esigenze lavorative da un paio d'anni. Come tu ben sai, ultimamente molte aziende hanno cessato la loro attività in questo settore, pertanto molte macchine erano facilmente reperibili a costi più che ragionevoli, se non addirittura accollandosi soltanto le spese per il trasporto e la loro rimessa in funzione. Tutto inizialmente è nato grazie ad un minilab dei primi anni 2000, un Gretag Performa 408, una macchina già di nuova generazione che non stampa più per mezzo dell'ingranditore incorporato, ma grazie un CRT, un tubo a raggi catodici pilotato da un computer.

TG: Attraverso quali fasi sono passati i minilab?

GB: Tre fasi che potremmo distinguere a secondo del modo in cui l'immagine viene proiettata sulla carta fotosensibile. All'inizio i primi minilab stampavano per mezzo di un ingranditore contenuto al loro interno; in una fase di mezzo stampavano con il CRT, mentre nella fase finale la stampa avveniva grazie ad un laser.

TG: La Gretag utilizza sempre carta chimica?

GB: Sì, sviluppa in C41 e stampa in RA4; però l'impressione della stampa è elettronica. Per far questo il negativo deve essere scansionato, trasformato in un file che poi viene stampato dal CRT.

TG: Questo tipo di macchina fa tutto da sola? Anche la scansione?

GB: Sì, in origine faceva anche la scansione, ma nel nostro caso chi ci ha dato la macchina s'è tenuto lo scanner, questo però per noi non è un grosso problema. Lo scanner di serie era un Pakon che non è che fosse proprio il migliore a cui potevamo ambire. All'epoca era un punto di riferimento, ma adesso c'è di meglio.

TG: A che anno risale la vostra Gretag?

GB: Al 2002. Allora, era una macchina piuttosto avanzata anche perché non aveva un micro-controllore su scheda, ma un suo computer che si occupava di tutto, dalle temperature al trasporto della pellicola, dalla correzione colore ai tempi di sviluppo. Era un buon minilab che già aveva fatto un bel passo avanti rispetto alle macchine che si utilizzavano a quei tempi.

TG: Dove venivano costruite le Gratag?

GB: Gretag era un marchio svizzero che fu assorbito dalla San Marco che poi fallì, coinvolgendo nel proprio destino anche la Gretag. Il periodo era difficile perché già agli inizi degli anni duemila si iniziava a sentire la pressione della fotografia digitale e poi, se a questa causa aggiungiamo anche l'operato delle banche, comprendiamo facilmente perché certe aziende sono andate a finire un po' male. La Gretag è stata la nostra prima acquisizione e da lì ha preso forma il nostro progetto di dar vita alla Ghisa Film Lab. In seguito, ci siamo guardati intorno e abbiamo preso un piccolo scanner Nikon Coolpix che non era male, ma aveva il limite di avere poca risoluzione, così abbiamo cercato uno scanner più professionale adatto a fornire una scansione seria, anche in termini di colorimetria e correzione dei graffi. Non volevamo pervenire ad un risultato approssimativo, così dopo vari studi e ricerche è arrivato da noi il Fuji Frontier SP 3000 che nasceva con la possibilità di essere abbinato direttamente alle macchine da stampa della serie RA4 che provvedevano allo sviluppo del negativo con una sviluppatrice. L'acquisizione del file con l'SP 3000 e la stampa avveniva direttamente attraverso il minilab.

TG: Scanner e minilab si possono collegare tramite un cavo?

GB: Il Fuji SP 3000 nasceva proprio per essere collegato direttamente ai minilab utilizzando un cavo di rete Ethernet. Qui, siamo intorno agli anni 2005/2006 e oltre. Il primo intervento che abbiamo fatto è stato quello di convertire lo scanner dall'abbinamento con una macchina da stampa al cosiddetto stand-alone. Abbiamo dovuto fare delle modifiche al software e come puoi immaginare, la cosa non è stata molto semplice, anche perché non abbiamo potuto contare sull'assistenza di nessuno al di fuori delle nostre forze e delle nostre conoscenze informatiche. Oltretutto, anche nel caso la casa madre ci avesse dato un aiuto, ci avrebbe chiesto un esborso troppo cospicuo di denaro ed a quel punto il gioco non avrebbe valso la candela.

TG: Quando avete ritirato il primo minilab e quando il Fuji SP 3000?

GB: Il Gretag è arrivato da noi nell'inverno del 2017, mentre il Fuji Sp 3000 la scorsa primavera (2018). Il secondo intervento che abbiamo fatto sullo scanner è stato di modificare ulteriormente il software affinché si spingesse alla massima risoluzione possibile.

TG: Voi sapevate che era possibile migliorare le sue prestazioni con un aggiornamento del software?

GB: Sapevamo che si poteva fare qualcosa in questo senso, ma il problema è sempre quello che essendo queste macchine nate per essere utilizzate dai fotografi, non da informatici o da tecnici, avevano dei valori di risoluzione preconfezionati. Non c'era la selezione di un output per una macchina che stampasse su formati maggiori al 24X30 cm o al 30X40 cm, di conseguenza la risoluzione in acquisizione era limitata a monte. Dopo il nostro intervento, questo scanner può essere abbinato anche a macchine che stampano il 50X60 cm, cosa che permette all'hardware di arrivare ai 50 Mp di risoluzione. Abbiamo ottenuto questo risultato a furia di tentativi, adesso la macchina è in grado di acquisire il materiale fotografico al massimo della sua potenzialità. 

TG: Quali sono i punti di forza di questa macchina?

GB: Il bello dell'SP3000 è l'automazione del lavoro che ti permette di inserire la tua striscia di fotogrammi in formato 135 o 120 come esce dalla sviluppatrice, senza nemmeno tagliarla, e senza l'intervento di un operatore. In più, sempre in automatico, si attua la correzione colore e la correzione dei graffi con il sistema ICE che prevede l'illuminazione del negativo con una fonte di luce a infrarossi. Ovviamente, questo intervento è molto importante, poiché nella resa della scansione è fondamentale che non ci siano righe o segni d'altro tipo.


TG: Poiché in molti hanno le loro teorie su come fare le scansioni, vorrei farti qualche domanda pratica che ponga un po' di chiarezza su come ottenere immagini più nitide. Intanto, tra un Imacon, o un Hasselblad e il Fuji Frontier SP 3000 che cosa è meglio utilizzare? Quale sistema permette di arrivare al risultato migliore?


GB: Difficile affermarlo in maniera assoluta, però sicuramente tra gli scanner piani la nostra è la macchina che si avvicina di più ai risultati di uno scanner a tamburo, senza tutte le complicazioni dell'utilizzo di una macchina di quel tipo, perché in quel caso il negativo va trattato con il gel ed i tempi della lavorazione si allungano notevolmente. Il nostro sistema è un ottimo compromesso, pur senza arrivare ai risultati raggiungibili con uno scanner a tamburo che impone un intervento manuale talmente lungo da far diventare questa procedura antieconomica. La scansione a tamburo per quello che abbiamo visto noi è sicuramente interessante da realizzare sul grande formato, dal 4X5 pollici in sù, ma scansionare con una macchina a tamburo il 35mm, quando con il Frontier SP 3000 arrivi comunque a 50Mp reali che ti permettono di vedere la grana del piccolo formato non avrebbe senso. Arrivare a leggere la grana significa che sei già arrivato al limite della risoluzione possibile.

TG: Quanto tempo occorre per scansionare un negativo intero con questa macchina?

GB: Pochi minuti per una scansione a 50 Mp. Se poi scendi con la risoluzione i tempi diminuiscono ancora. Diciamo che già con 12-20 Mp potresti avere un eccellente risultato ed in questo caso la scansione si fa in un tempo davvero breve.

TG: Su che file viene salvata l'immagine?

GB: L'uscita può essere selezionata quando crei il lavoro; puoi scegliere di ottenere un file Raw, un DNG, un jpeg o un gif; praticamente puoi avere quello che vuoi. Quando inserisci il negativo la macchina ti chiede come lo vuoi trattare, che risoluzione vuoi ottenere e che file vuoi avere in uscita.

TG: Quanto vi è costato questo scanner e dove l'avete trovato?

GB: Un fotografo di Messina aveva dismesso il suo minilab e noi abbiamo ritirato il Fuji che ci è costato circa 1000 euro per le spese di spedizione.

TG: Ne valeva la pena.

GB: Sì, perché a quel prezzo potevamo permetterci di fare le nostre prove e le nostre modifiche. Chi ce l'ha data ci ha detto che la macchina era funzionante, ma sai com'è... La spedizione a scatola chiusa ha i suoi rischi. Il minilab Gretag invece siamo andati a prenderlo noi a Jesi, anche quello non era proprio dietro l'angolo... però ce la siamo cavata con un furgone e una giornata di viaggio. Si trattava di investimenti relativi che richiedevano solo qualche centinaia di euro per il noleggio del furgone, il gasolio e il pagamento dei pedaggi autostradali. Per il Fuji Frontier abbiamo speso un po' di più: per fortuna ci è andata bene, altrimenti sarebbe finito in discarica.

TG: Si trovano difficilmente i Fuji Frontier? Ce ne erano pochi in circolazione?

GB: In  realtà no; la stessa società che fornisce l'assistenza per Fuji qua a Milano ne ha ancora qualcuno in vendita.

TG: Sai a che prezzi li propongono?

GB: Ci sono delle società che li mettono in vendita usati e ricondizionati intorno ai 4000-5000 euro.

TG: I Fuji danno risultati migliori degli Imacon o degli Hasselblad?

GB: Sono sicuramente più robusti e più produttivi, le Fuji sono macchine che nascono per fare il loro dovere e svolgere una certa mole di lavoro. Sull'Hasselblad ci ho messo mano ed ho verificato che è troppo lento per quello che dobbiamo fare. Sul Fuji l'operatività è molto semplice, chiunque può utilizzarlo senza problemi, basta infilare il negativo nello scanner.

TG: Non serve un esperto.

GB: Esatto. Il bello di questa macchina è anche la presenza di una piccola tastiera personalizzata per mezzo della quale puoi dare dei comandi semplici e sistemare la colorimetria dopo la scansione, così prima del salvataggio del file puoi intervenire sul livello del ciano, del magenta e del giallo correggere il croma e la luminosità.

TG: Ci sono anche delle memorie per le dominanti presenti negli acetati delle pellicole?

GB: Sì, la macchina ha già delle memorie al suo interno che le permettono di riconoscere da sola che tipo di pellicola sta scansionando, grazie ai codici a barre presenti sul bordo delle pellicole più recenti. Da questo punto di vista i giapponesi hanno fatto un ottimo lavoro nella progettazione e nella realizzazione di questa macchina.

TG: A che anno risale questo scanner?

GB: Credo che sia del 2008. Il vantaggio, come ti dicevo sta nella velocità con la quale puoi svolgere il tuo lavoro e nel fatto che non avresti neppure bisogno di ricorrere a programmi esterni per la colour correction.

TG: Gli scanner a tamburo li conosci direttamente? Ci hai mai avuto a che fare? Li hai visti funzionare?

GB: Li ho visti, ma non ho mai avuto modo di metterci le mani sopra. Si tratta di macchine vecchie ed estremamente complesse che richiedono tanta manutenzione e un lungo addestramento per l'operatore. Anche se ce ne sono in giro pochi, si può ancora trovare qualcosa, ma  a prezzi folli che per noi in questa fase non sarebbero giustificabili.

TG: Quali sono i motivi che vi hanno spinto a realizzare il vostro progetto?

GB: Vogliamo fornire ad un cliente medio che voglia lanciarsi nel mondo della fotografia a colori la possibilità di avere un servizio di qualità che gli offra lo sviluppo del negativo C41 e di scansionare i propri negativi a costi ragionevoli. Per far questo ci baseremo sulla nostra manodopera, ma non possiamo pensare di fare una scansione in mezza giornata, per questo abbiamo scelto di utilizzare uno scanner ad alta produttività e di una qualità adatta a soddisfare anche i palati più raffinati.

TG: Molti fotografi realizzano le loro scansioni utilizzando una reflex digitale e un obiettivo macro, a volte addirittura usano un soffietto e un'ottica apocromatica da ingranditore. Tra un sistema di quel tipo ed il vostro Fuji Frontier chi ottiene il risultato migliore?

GB: Lo svantaggio di un sistema di quel tipo è che non puoi ottenere subito una correzione colore, la devi fare dopo in post-produzione con Photoshop o con software di quel tipo; inoltre non puoi intervenire sui graffi e gli altri difetti del supporto meccanico. La correzione che effettuiamo noi viene fatta quasi a livello hardware perché illuminando il negativo con la luce infrarossa è proprio il DSP (Digital Signal Processor) che elabora l'immagine all'interno della macchina attraverso un suo algoritmo. Per fare la stessa cosa con un software ci vorrebbero delle risorse mostruose. I processori dedicati che stanno nella mainboard del computer che gestisce lo scanner elaborano invece direttamente il segnale che arriva dal CCD, non l'immagine. Si lavora sugli 0 e gli 1 che arrivano dai 4 canali sensibili alla luce, prima che l'immagine venga composta. La velocità di questo sistema è superiore all'elaborazione in post-produzione. Questo è il punto di forza tecnologico di questo tipo di scanner.

TG: Dopo l'SP 3000 ci sono state ulteriori evoluzioni?

GB: No, è stata l'ultima macchina prodotta da Fuji per assolvere a questo tipo di lavorazione. Sono arrivati all'apice di un sistema e poi hanno cessato la produzione di questo tipo di prodotto. L'unica macchina che le sta dietro, o davanti, dipende dai punti di vista, è il Noritsu che credo sia ancora in produzione. Non so in che quantità e con quali modelli, ma so che è ancora in produzione. L'alternativa era di dotarsi di un Noritsu o di un Fuji; noi il Noritsu non l'abbiamo trovato, così abbiamo preso il Fuji, anche perché ci piaceva di più l'idea di avere uno scanner completo di un tavolino che poteva diventare una postazione di lavoro senza lasciare in giro computer e cavi. Il Noritsu ha un suo modello la cui testa è molto simile a quella di Fuji, ma poi manca tutto il resto. Al Fuji basta collegare la presa di alimentazione alla rete elettrica e la Lan al controller, dopo di che sei pronto per metterti al lavoro.

TG: A parte questo aspetto, ri-fotografare i negativi con una fotocamera digitale ha altre controindicazioni? Ci avete provato?

GB:  È un sistema che ho provato anch'io personalmente e posso dire che funziona, però chiaramente introduce tutta una serie di problematiche che è meglio evitare.

TG: Sicuramente, bisognerà partire da un negativo perfettamente conservato...

GB: Avere un'ottica di mezzo non aiuta... Anche se poi anche il Fuji opera allo stesso modo: anche qui hai una sorgente di luce che illumina il negativo, hai un obiettivo e il CCD, però nel nostro caso l'illuminatore agisce prima con la luce dei tre colori primari RGB e poi con quella IR, in questo modo hai la scansione dei 4 canali. Te ne accorgi perché durante la scansione vedi i tre lampi di luce colorata, più un lampo che non distingui perché è al di là della luce visibile.

TG: Solo lo scanner a tamburo effettua un tipo di scansione rasterizzata simile a quella del pennello elettronico televisivo?


GB: Sì. Lo scanner a tamburo non è a trasmissione di luce ed effettua un procedimento completamente diverso. Ad ogni modo i risultati che abbiamo ottenuto dal Fuji Frontier sono notevoli, ti manderò degli esempi, oppure, se vuoi, vieni qui con i negativi e facciamo insieme delle prove. Tornando alla tua domanda sui nostri progetti per il Ghisa Film Lab, volevo aggiungere che oltre ad offrire una serie di servizi professionali, il nostro intento è anche quello di lavorare mettendoci il nostro cuore. Purtroppo, abbiamo riscontrato che ancora adesso tra i minilab attivi c'è un po' un atteggiamento d'indifferenza nei confronti del risultato finale. Non è insolito che da certi minilab escano negativi rigati o con altre problematiche. Avere un minilab è come avere un animale: bisogna curarlo. Bisogna pulirlo, controllare la chimica, bisogna far girare le strip di prova per vedere la sensitometria e vedere se va tutto bene, bisogna tirare fuori i rulli e lavarli, insomma c'è molto da fare. Mantenere una sviluppatrice è un impegno.

TG: Giorgio, non mi parli mai dell'E6; perché?

GB: Abbiamo valutato anche l'E6 per capire se era il caso di aprire una linea di sviluppo per l'invertibile e abbiamo deciso che potrebbe essere interessante affrontare anche questo discorso, ma non con una macchina automatizzata.

TG: Perché?

GB: Beh, se già i volumi di lavoro del C41 sono bassi, non parliamo dell'E6...

TG: Fortunatamente stanno tornando sul mercato delle pellicole come la Kodak Ektachrome 100.

GB: Sì, ma c'è anche un altro problema; le macchine per il C41 le trovi ancora, tant'è che dopo che abbiamo acquisito una stampante laser di generazione un po' più recente (anno 2008/2009) che ci permette di arrivare ad un formato di stampa di cm 30X45 con il processo RA4 e ci è stata proposta un'altra sviluppatrice gratis per il C41. Le sviluppatrici per l'E6 invece non le trovi neanche a pagarle, sia perché il minilab E6 era molto raro anche 20 anni fa, sia perché giravano ancora macchine vecchie in condizioni pietose che oggi sono state demolite da tempo.

TG: Non si riesce a convertire un minilab per il C41 per l'E6?

GB: No, non partendo da una macchina per il C41, perché la durata dei bagni, il numero dei bagni e le fasi sono molto diverse tra loro. Io ci avevo pensato, purtroppo però non è così semplice perseguire questa soluzione. Ha molto più senso prendersi una sviluppatrice Jobo ed effettuare questi trattamenti manualmente.

TG: Che tipo di prodotti chimici usate?

GB: Usiamo la chimica di Bellini, con loro ci siamo trovati molto bene e in più sono italiani. Lo sviluppo dell'E6 è impegnativo anche per un altro motivo, per tutto il ciclo del trattamento manuale ci vogliono circa 45 minuti e questo significa che per restare competitivi a livello commerciale è meglio dedicarsi al C41. Da un minilab caricato con i prodotti chimici per il C41 dopo 12 minuti esce il rullino trattato. Il C41 è comodo, veloce e molto sicuro, perché se l'elettronica della macchina è a posto, se le temperature vengono rispettate, se la macchina è pulita e gira tutto bene, i margini di errore sono molto ridotti.

TG: Giorgio, sei un tecnico elettronico molto preparato; alla manutenzione delle macchine ci penserai tu?

GB: Diciamo che la joint-venture con gli altri ragazzi è nata proprio per questo: io ci metto il mio know-how elettronico, ma anche un po' della mia competenza in fotografia perché da ragazzo ho iniziato molto presto anche in questo settore e poi sono andato avanti parallelamente, in modo da farmi un po' d'esperienza anche con la chimica. Con queste macchine bisogna essere un po' creativi, perché l'assistenza non c'è più, i ricambi sono spariti, quindi bisogna un po' arrangiarsi. In rete ho trovato chi buttava via minilab, schede o altre cose che potevano servirmi e dove ho potuto ho attinto per farmi delle scorte di materiali; però spesso ci vuole un po' d'inventiva. Se si rompe un motore di trascinamento, difficilmente troverai lo stesso ricambio, per cui devi metterti lì e arrangiarti.

TG: Diciamo che per te questo è anche un po' un divertimento...

GB: Sì, bravo, solo il fatto di aver trovato qualcosa di abbandonato in un magazzino, portarlo a casa e farlo funzionare mi dà soddisfazione. 

TG: Per te è un po' una sfida ridare vita alle cose?

GB: Vero, è un po' così, per me certe operazioni sono come delle sfide.

TG: Le macchine che troviamo qui al Ghisa Film Lab sono le macchine che desideravi e che ricercavi o quelle che sei riuscito a trovare?

GB: Quelle che siamo riusciti a trovare. L'unica che ci siamo proposti di avere è stato lo scanner Fuji Frontier SP3000.

TG: Che forse è anche la macchina più importante e che può darvi i maggiori introiti economici?

GB: Sì, indubbiamente. Sono poche che lavorano con l'ICE. Di sviluppatrici ce ne sono tante, e poi, se si guasta una sviluppatrice automatica e ti arriva del lavoro puoi risolvere il problema con una sviluppatrice manuale. Ci metti più tempo, ma ce la fai, lo scanner invece è quello.

TG: Da quello che so io le sviluppatrici Agfa sono molto valide, sono robuste e lavorano bene; è così?

GB: Vero, anche se ho scoperto che molte sviluppatrici di pellicole Agfa in realtà sono prodotte da Fuji. All'inizio c'era una linea Agfa che poi è stata abbandonata per prendere le macchine Fuji e ri-marchiarle come Agfa. 

TG: Il vostro obiettivo è di partire con una struttura commerciale?

GB: Dopo una prima fase di acquisizione, allineamento, training, prova e tutto quello che ne consegue, ci piacerebbe offrire un servizio al pubblico, anche se magari non ci occuperemo della ricezione diretta del materiale. Valutiamo diverse possibilità, ma bisognerà trovare dei partner adatti e interessati a darci una mano in questo senso. Abbiamo pensato anche alle scuole di fotografia, poi si vedrà.

TG: Il vostro bacino d'utenza sarà locale o esteso sul territorio del Nord-Italia?

GB: Pensiamo di estenderlo alle zone del Milanese e dell'Alto Milanese, Varese inclusa, visto che qua siamo un po' a metà strada tra queste città. Tramite il sito ci piacerebbe rivolgerci a tutti coloro che vorranno usufruire dei nostri servizi con la spedizione effettuata a mezzo di corrieri.

TG: Pensate che sarà facile essere raggiunti da chi vi troverà online? O avrete anche un punto di raccolta dei film esposti qui in zona?

GB: Beh, ai nostri tempi essere raggiunti solo in modo fisico ha poco senso, anche perché la consegna dei file scansiti potrà avvenire comodamente via internet, fruendo di un codice cliente.

TG: Quando sarete pronti a ricevere i primi rullini?

GB: Da una stima che abbiamo fatto, pensiamo di essere commercialmente pronti per gennaio 2019. Soprattutto per motivi di visibilità, pensavamo di farci conoscere attraverso una campagna di finanziamento con Kickstarter. Crediamo che i giovani che si avvicinano alle tecniche della fotografia tradizionale, più che rivolgersi al negozio, o al fotografo, cercano quello che gli serve online. A questo proposito, noi ci siamo un po' ispirati ai servizi offerti dagli spagnoli di Carmencita Film Lab

TG: Ho capito. Per quello che invece riguarda i film in Super8 e in 16mm che cosa mi dici?

GB: Questo è un argomento che io ho sfiorato anni fa capendo che dedicarsi allo sviluppo di questi film è molto impegnativo, perché data la loro lunghezza non è pensabile di dedicarsi a questa attività con un approccio artigianale. Ci vuole una sviluppatrice professionale; solo che ormai reperire queste macchine è molto complicato perché la loro dismissione si è verificata troppi anni fa. Senza contare le loro dimensioni, i volumi, i pesi, i consumi di acqua e di prodotti chimici, oltre che il consumo di energia elettrica. Non penso che un'attività di questo tipo possa essere redditizia e possa giustificare lo sforzo di rimettere insieme certe apparecchiature.

TG: Nemmeno per il bianco e nero?

GB: Per il bianco e nero l'impresa sarebbe un pochino più semplice. A quel discorso avevo già fatto un pensierino, sarebbe facile prendere un minilab per il C41 e convertirlo per il 35mm, però il cinema in 35mm è troppo al di là della portata di tutti. Avevo pensato anche ad una macchina Kodak, una ne ho già, perché sono semplici e con poca elettronica. Non c'è un computer, ma solo una scheda che gestisce le temperature, perciò è facile mettere mano su queste macchine e modificarle. Si potrebbe pensare di mettere una bobina per un trascinamento in continuo; l'unico problema sarebbe quello di pensare come modificarlo per ovviare all'assenza del leader (il pezzo di plastica al quale viene fissato il film per essere infilato nella macchina).

TG: A Milano c'era Lorenzetti in via Giovanni da Procida che una ventina di anni fa ha buttato via tutti questi macchinari per il Super8.

GB: C'era anche Matteo Ricchetti che offriva questi servizi a Genova.

TG: Voi invece quali servizi offrirete?

GB: Sviluppo C41 per rulli 135 e 120 con tutte le possibili varianti: sviluppo a tempo variato, cross processing (E6 in C41) ed eventualmente, a richiesta, lo sviluppo delle pellicole cinematografiche 35mm imbobinate a metraggio nei rullini fotografici. Come sai, per queste pellicole c'è il problema dell'eliminazione del Remjet prima dello sviluppo. Successivamente faremo anche la stampa RA4 con la macchina della GPE che tu ci hai indicato dove andare a prendere prima che venisse alienata.

TG: Diapositive in B/N?

GB: Si tratta di servizi che valuteremo se fare o no. All'inizio saranno effettuati solo a richiesta, vedremo che interessi susciteranno. Pensiamo anche di allestire una camera oscura in bianco e nero in modo da noleggiare lo spazio e le attrezzature a chi decidesse di venire qua da noi a sviluppare e stampare così che si troverebbe l'ingranditore ed i bagni pronti all'uso. Al cliente basterebbe portare con sé i negativi. In altri casi, per il colore, potremmo seguire lo sviluppo e la stampa insieme al cliente che ha esigenze particolari.

TG: Lo smaltimento dei chimici non vi spaventa?

GB: No, perché abbiamo trovato una ditta che lo fa chiedendoci un compenso ragionevole, di conseguenza ci siamo attrezzati con i serbatoi nei quali depositeremo le varie tipologie di sostanze chimiche. Bisogna tenere separate le parti con argento da quelle senza questo metallo, per renderne più facile il recupero. Fondamentalmente, bisogna separare lo sviluppo dal fissaggio.

TG: Non ho potuto fare a meno di notare che tra le tante cose che hai in questo laboratorio c'è anche una moviola Intercine; a cosa servirà?

GB: Si tratta di una moviola bipasso 16/35 che mi è stata portata da un mio amico regista. La tengo qui per smontare alcuni pezzi della meccanica, del trasporto e dei rocchetti che interessano a Matteo Ricchetti per i suoi Cine-Scanner.

TG: Oltre ad essere appassionato di elettronica sei anche radioamatore?

GB: Certo e la mia sigla è IZ2JGB, mi ero avvicinato anche al mondo delle radio private. Per tanti anni, qui a Legnano ho lavorato con la Radio Mi Amigo e da lì è nato un hobby che s'è trasformato in una piccola attività di riparazioni.

TG: Se hai lavorato nel mondo delle radio private conoscerai forse Mauro Tosi di Radio Atlanta.

GB: Sì, so bene chi è perché è un amico di un mio amico.

TG: Che studi hai fatto?

GB: Oltre ad avere una formazione elettro-tecnica ed elettronica, ho frequentato un corso di informatica all'Università di Pavia che mi ha dato l'accesso al mondo del networking che attualmente è la mia attività principale. 

TG: Come ultima cosa vorrei chiederti come saranno i prezzi dei vostri servizi.

GB: Questo puoi chiederlo a Luca, così senti anche cosa ne pensano i soci più giovani.

TG: Luca, hai 21 anni e credo che questa sia la tua prima esperienza imprenditoriale, insieme agli altri due ragazzi anche loro studenti e pressoché tuoi coetanei: credete che nel settore della fotografia chimica ci possano essere dei margini di guadagno per la vostra attività?

Luca Armellin: Riteniamo che progettando tutto con cura e facendo tutto per bene sì, pensiamo proprio di sì.

TG: È vero che fino ad adesso il vostro investimento non è stato particolarmente oneroso, però un po' di soldi vanno comunque impegnati in un'attività imprenditoriale. Qual è il vostro proposito per recuperare questi denari: pensate di allinearvi subito ai prezzi praticati dagli altri laboratori professionali? Oppure farete delle promozioni e cercherete di tenere calmierati i prezzi del vostro listino?

LA: I nostri prezzi saranno più contenuti, rispetto a quelli praticati dalla concorrenza; non saremo per intenderci il laboratorio dove tu porti il rullino fatto durante le vacanze che fai stampare in cm 10X15. Il nostro è un progetto di ampio respiro che estenderà il suo campo d'azione a tutta l'Europa, in modo che i clienti ci potranno spedire i loro rulli tramite un corriere e noi li svilupperemo, li scansioneremo, li stamperemo e glie li rispediremo. Puntiamo molto a realizzare quei trattamenti speciali che altri laboratori non fanno, o per lo meno che pochi in Europa offrono. Agli inizi ci proporremo su Kickstarter, perciò, per rispettare la loro politica, i nostri prezzi saranno un pochino più bassi di quelli della concorrenza, ma pensiamo di poter essere convenienti anche dopo che il nostro laboratorio sarà aperto in modo permanente. Il nostro listino è ancora in fase di definizione, tuttavia cercheremo di mantenere dei prezzi concorrenziali offrendo qualche servizio in più. Ci proponiamo anche di cercare uno scanner a tamburo per poter fare eccellenti scansioni dalle pellicole piane; al limite anche se dovessimo trovare una macchina di questo tipo non funzionante, siamo sicuri che con le competenze di tutti e quattro i membri del Ghisa Film Lab riusciremo a farla ripartire.

Le altre macchine di Ghisa Film Lab

Sviluppatrice Agfa Pro 8657/200 (Anno 1984)
Nata per lo sviluppo di pellicole tecniche, come i film usati nelle le fotounità, delle lastre ad uso serigrafico o delle pellicole piane per fotografia aerea; è stata riconvertita dal Laboratorio 117 che era in via Palladio per lo sviluppo dei rulli fotografici in bianco e nero di formato 120, poiché dai tempi della Milano da Bere, fino alla metà degli anni '90, la Moda dava moltissimo lavoro ai fotografi ed ai laboratori che erano attivi 24 ore su 24. Tutti vivevano di corsa e le stampe delle collezioni dovevano già essere pronte per il giorno dopo. GFL ha acquisito di recente questa macchina l'ha pulita e l'ha revisionata in modo che possa tornare a svolgere il suo lavoro sviluppando 5 rulli B/N 120 in parallelo. Questa macchina è molto versatile, può sviluppare anche le pellicole piane di grande formato che hanno un lato che misura fino a cm 40. Contiene 10 litri di prodotti chimici per vasca e consente il lavaggio in acqua corrente. Si tratta di una macchina semplice e robusta comandata da un micro-controllore che in caso di necessità odi guasti potrebbe essere sostituito da un hardware tipo Arduino.


Stampante GPE RA4 3045
Una macchina moderna che però non è più in produzione e non ha più a disposizione pezzi di ricambio, un po' come quasi tutte le macchine le cui tecnologie sono state abbandonate. La carta tradizionale entra nella stampante, poi una raggio Laser comandato da un computer provvede a fare tutto. Un'apparecchiatura come questa va rifornita con 15 litri per ogni tipologia di bagno chimico, dallo sviluppo, alla sbianca, allo stabilizzatore e così via. Se i prodotti chimici non vengono usati non rendono e si rovinano, pertanto la GPE che può stampare fino ad un formato di cm. 30X45, dovrebbe entrare in funzione solo quando G.F.L.
riuscirà a farsi conoscere e ad acquisire una discreta quantità di lavoro. 

Sviluppatrice Protec Optimax
Sviluppatrice nata per trattare le lastre radiografiche, è made in Germany ed è la stessa macchina che Jobo ha ri-marchiato Printlab 3503R; può essere usata anche per lo sviluppo della carta fotografica. Può trattare sia l'RA4 che il bianco nero, la luce d'entrata è di cm. 30, perciò possono essere introdotti al suo interno fogli fino al formato di cm. 30X40. Proviene da uno studio veterinario.

Fotounità Agfa Accuset 1000
Si tratta di un dispositivo utilizzato generalmente nelle arti grafiche, ma anche in altri settori che si collega a un computer e, grazie a un raggio laser, stampa ad altissima qualità su carta o pellicola fotografica; è utilizzato per creare le pellicole per poi stampare libri, giornali e riviste.

Bromografo
Viene utilizzato per stampare a contatto sotto vuoto in luce UV; può trovare impiego in moltissimi campi dalla stampa al Platino-Palladio, alla Photogravure, alla a contatto dei negativi o alla riproduzione dei circuiti elettronici stampati. Anche il bromografo va collegato ad un computer esterno; usa un software vettoriale dedicato per la stampa.






domenica 23 settembre 2018

Sarah Moon: Time at Work alla Fondazione Sozzani

"Questa è la storia del tempo che passa e cancella." Sarah Moon


Marielle Warin nasce nel 1941 a Vernon, in Normandia, in una famiglia ebrea che durante la Seconda Guerra Mondiale riesce a trasferirsi in Inghilterra dove la ragazza studierà disegno, prima di lavorare come modella a Londra, con il nome di Marielle Hadengue. In seguito si interesserà di fotografia, iniziando a ritrarre le colleghe modelle. Negli anni '60 riesce a catturare l'atmosfera modaiola della "Swinging London"; agli inizi degli anni '70 decide di dedicarsi totalmente alla fotografia. La sua nuova attività ha successo e lei prende lo pseudonimo di Sarah Moon.
Nel 1972 Sarah Moon è la prima fotografa donna a firmare le immagini per il Calendario Pirelli.


Le sue fotografie rappresentano atmosfere oniriche in cui giovani donne guardano languidamente l'obiettivo della fotocamera, ma tra le circa 90 immagini esposte alla Fondazione Carla Sozzani troviamo anche soggetti diversi di paesaggi, vegetazione e animali, anche se la moda e lo stile un po' voyeuristico permangono nell'aria e ci esplicitano la visione femminile di un mondo affascinante proprio perché più immaginario che reale.


La maggior parte delle stampe sono ricavate da negativi Polaroid di grande formato in bianco e nero, ma sono esposte anche alcune fotografie a colori.
Si intuisce che alcuni soggetti sono più studiati di altri che appaiono casuali e meno riusciti. L'alone di fascino e mistero viene conferito alle immagini da sfocature e da un effetto mosso che rendono la realtà rappresentata particolarmente evanescente e irraggiungibile; un po' come i ricordi di un passato lontano che vengono stemperati dalle nebbie della memoria e che non potranno più tornare vividamente davanti ai nostri occhi.
La serie di immagini esposte è stata realizzata negli anni dal 1995 al 2018.


Sarah Moon si è dedicata anche all'immagine in movimento.
Ho visto parte della proiezione di un suo video (non ho resistito più di 5 minuti) che definire documentario mi sembra un po' ottimistico. "There is something about Lilian" non mi ha particolarmente colpito, né per le immagini, né per il montaggio, né per il contenuto sonoro in lingua inglese completamente incomprensibile a causa di un audio registrato male e dall'assenza di sottotitoli. Evidentemente, per la Moon è più semplice creare atmosfere affettate che riportare i fatti; ad ogni modo la mostra è molto godibile e la consiglio vivamente a tutti coloro che passano per Corso Como, anche perché la sua visione è gratuita. Resta il fatto che poi qualche decina di euro si finisce per lasciarla comunque in libreria non sapendo resistere all'acquisto di qualche raro libro fotografico. TG

Fondazione Sozzani | "Sarah Moon. Time at Work"
Corso Como, 10 Milano 
Dal 19 settembre 2018 al 6 gennaio 2019
dalle 10,30 alle 19,00

Nello stesso tempo, Armani-Silos espone "From one season to another", una raccolta di oltre 170 immagini a colori e in bianco e nero che costituiscono una vera retrospettiva che accosta opere inedite alle più conosciute fotografie di moda dell'autrice franco/inglese.

Armani/Silos | "Sarah Moon. From one season to another"
Via Bergognone, 40 Milano
Dal 19 settembre al 6 gennaio 2019
da mercoledì a domenica dalle 11,00 alle 19,00.


sabato 22 settembre 2018

Zafferano, la spezia della salute (Oro Rosso sulle piane di Bocco)

"La povera ricchezza è nella terra." Armando Bruzzesi, re dei barboni

Ha senso che Tony Graffio si interessi allo zafferano? Ritengo di sì. Va bene parlare d'arte, di cultura, di tecnologia, di collezionismo, di attualità, di spettacoli, di mostre, di design, di musica, di fotografia, di cinema, di televisione, di libri, di street-art, di birra, di viaggiatori sulla Terra e nello Spazio, di lavori un po' speciali, ma bisogna anche ricordarsi che viviamo grazie ai prodotti che ci regala la terra e al sudore di chi la accudisce.
Intorno agli anni 2000 lo stato italiano comprese che non sarebbe riuscito a sfruttare appieno le coltivazioni di Zafferano, perché chi si doveva occupare di trovare un modo per meccanizzare queste coltivazioni non è venuto a capo di questo problema e, sicuramente, chi lavora manualmente la terra lo fa più volentieri se poi i frutti dei suoi sforzi restano interamente nelle sue tasche.
Complici la crisi e la difficoltà di trovare un lavoro stabile, molti giovani e meno giovani sono tornati ad interessarsi alla campagna e all'agricoltura, meglio se biologica.
Fin dall'antica Persia, lo zafferano veniva utilizzato per curare molteplici disturbi come la tosse, il vaiolo, l’insonnia, l’asma, le coliche e i disturbi cardiovascolari (Winterhalter et al., 2000). Nella botanica medico-farmaceutica arcaica e antica lo zafferano veniva impiegato: contro le patologie del fegato e dei reni; come emmenagogo per facilitare e aumenta il flusso mestruale; come afrodisiaco e antidepressivo; nella prevenzione dei disturbi mestruali e delle complicanze post-partum; contro le affezioni epatobiliari; come calmante per la tosse; come calmante per i crampi gastrici e i disturbi intestinali e ovviamente come tintura per le stoffe ed i tessuti. 
Inoltre, lo zafferano è considerato ricco di proprietà tranquillanti visti i suoi effetti sullo stress e l'ansia (Sugiura et al., 1994) e come agente pro-memoria (Saito, 2004). Da studi più recenti, risulta che l'utilizzo dello zafferano può essere perfino d'aiuto nella lotta contro i tumori.
Il fascino di una lavorazione antica e tradizionale, oltre alle proprietà insite in un fiore bellissimo ed ai possibili nuovi impieghi che mi propongo di fare dei suoi preziosi stimmi, mi hanno convinto a conoscere meglio lo zafferano intervistando un neo-coltivatore che ha affrontato la difficile sfida di seminare i bulbi di Crocus Sativus in montagna. TG

Lo Zafferaneto delle Piane di Bocco
 Il campo dello Zafferaneto delle piane di Bocco (PV)

Tony Graffio: Andrea, so che insieme ad un socio hai recentemente avviato un'attività che sta attirando molto interesse da parte di parecchie persone e non soltanto da chi ama la buona cucina. Ho deciso di intervistarti perché sono molto affascinato da tutto quello che riguarda il lavoro manuale, l'artigianato e le tecniche antiche. Inoltre, voglio capire come distinguere un prodotto di qualità. Cosa puoi raccontarmi della tua passione per la coltivazione biologica?

Andrea Garavaglia: Fabio Giurlando ed io abbiamo una piccola azienda agricola, lo Zafferaneto delle antiche piane di Bocco. Coltiviamo uno zafferano di prima qualità qualità, purissimo, a 1100 metri di altitudine. Il nostro è solo un piccolo appezzamento di terra che non ci permette ancora di vivere di questo lavoro, per adesso non produciamo tanto; però anche solo il fatto di poter produrre zafferano di prima qualità ci soddisfa e ci induce a cercare di migliorare sempre più il nostro prodotto. Abbiamo deciso di dedicarci alla coltivazione biologica per ottenere il massimo della qualità dalle nostre piante di spezie.

TG: Mi spiegheresti che cos'è lo zafferano? Dove e quando cresce? E magari dammi qualche altro elemento per capire meglio di che cosa stiamo parlando.

AG: Lo zafferano è la spezia più cara al mondo, ma è anche la spezia più antica, la si conosceva prima di Cristo e si parlava dell'uso dello zafferano già nell'antica Africa. Stimola il metabolismo e recentemente si dice anche che abbia proprietà antitumorali. Da sempre, è la spezia per eccellenza e per questo viene definita "l'oro rosso".

TG: Vale anche più dell'oro ed un tempo era anche un mezzo di scambio, come una moneta, vero?

AG: Un tempo, in Nord Africa ed in Iran era usato come una moneta perché era prezioso e occupava poco spazio.

TG: Ultimamente, c'è una riscoperta di questa spezia; forse da quando in Italia è caduto il monopolio su questa pianta profumatissima se ne parla un po' di più?

AG: Sì, se ne parla un po' di più per vari motivi e poi anche da quando attraversiamo questa crisi economica molte persone che non sanno che cosa fare e a che lavoro dedicarsi hanno pensato di ritornare alla terra per dedicarsi a qualcosa di concreto, magari con coltivazioni mirate e più attente. Voglio dire che anche noi ci dedichiamo a questa attività pensando che stiamo coltivando il nostro orto di casa e per questo mettiamo molta cura e molto impegno nel nostro lavoro. Si cerca di coltivare qualcosa capace di dare un reddito che possa sostentare una famiglia.

TG: Insomma, ci mettete molta passione in quello che fate, anche nella speranza di ottenere un risultato economico.

AG: Certo, la passione è fondamentale.

TG: Che pregi e difficoltà ci sono nella coltivazione in montagna?

AG: Coltivare zafferano in montagna non è più difficoltoso che altrove, anche se da noi sono presenti molti animali selvatici e abbiamo dovuto montare una recinzione elettrica intorno al nostro campo. La coltivazione viene fatta esclusivamente a mano, nel nostro caso non esistono macchinari che possano sostituire l'uomo. Il nostro poi è zafferano biologico, pertanto non possiamo nemmeno utilizzare fertilizzanti o altri tipi di prodotti chimici. Non utilizziamo diserbanti, concimi o qualsiasi altra cosa non sia naturale.

TG: Veramente non utilizzate nessun tipo di concime e strappate tutte le erbacce a mano?

AG: Sì, te lo posso assicurare. Si potrebbe utilizzare il letame di vacca, ma noi preferiamo far uso della pollina perché in questo modo siamo sicuri di non avere sorprese nelle analisi chimiche che vengono fatte sul nostro prodotto dai ricercatori universitari. La pollina è un prodotto completamente naturale.

TG: Mi stai dicendo che l'alimentazione dei polli è più sana di quella dei grossi mammiferi da allevamento?

AG: Probabilmente sì.

TG: Capisco... Per la coltivazione, si parte dai bulbi, giusto?

AG: Si parte con la semina dei bulbi. Si fanno dei solchi nel terreno o delle prose; poi dipende da come si vede lo sviluppo del lavoro. La "cipolla" dello zafferano va sistemata sotto terra entro e non oltre la fine di agosto, in modo che da ottobre in poi si possano ricevere i primi frutti. Anno dopo anno questi frutti saranno sempre di più ed i bulbi diventeranno sempre più grossi, poi a loro volta avranno dei figli e anche questi faranno dei fiori che ancora daranno vita ad altri fiori...

TG: Questi sono i cicli di vita della natura...

AG: Certo. Dopo la messa a dimora bisogna attendere l'arrivo di ottobre, periodo in cui si farà il raccolto giornalmente, tutte le mattine, raccogliendo il fiore esclusivamente chiuso, altrimenti lo si contaminerebbe con gli stimmi interni che entrerebbero in contatto con i pistilli, cosa che non farebbe di questo zafferano un prodotto di prima qualità. Si procede ogni giorno alla raccolta dei fiori fintanto che nel campo la pianta va in fioritura. Poi, ci saranno pian piano meno fiori fino all'esaurimento. In autunno i bulbi vanno in letargo per poi risvegliarsi ai primi di settembre e raggiungere la fioritura ad ottobre.

TG: Quanti mesi all'anno vi impegna questa coltivazione?

AG: Soltanto il raccolto dura un mese e mezzo, ma tra tutto quello che dobbiamo fare: preparare il terreno, preparare le prose, seminare, strappare le erbacce durante i mesi estivi e via di seguito, siamo al lavoro almeno sei mesi all'anno.


Il fiore del Crocus Sativus e le sue foglie filiformi

TG: Come ti è venuta voglia di dedicarti a questo fiore? Cosa ti ha spinto a impegnarti in questa attività?

AG: Ho iniziato così per gioco; avendo una casa in montagna abbiamo chiesto in affitto dei piccoli pezzi di terreno di circa 800-900 metri quadri e abbiamo provato a coltivarli. Abbiamo visto che la cosa era fattibile e le piantine crescevano bene, così adesso stiamo pensando di allargarci un po' di più per poter riuscire ad ottenere un reddito.

TG: Dove hai preso le informazioni sul metodo da usare per la coltivazione dello zafferano?

AG: Ho letto la tesi di laurea di alcuni studenti dell'Università degli Studi di Milano che poi hanno avviato una loro attività nei dintorni di Milano, i ragazzi dello Zafferanami. Si tratta di un gruppo composto da 7-8 ragazzi laureati in agraria che hanno portato avanti con successo il loro progetto. Chiaramente, la loro tesi era pubblica, noi siamo andati a vederla per capire i modi di coltivazione e tutto quello che hanno fatto. Grazie a questi ragazzi ed ai loro consigli siamo riusciti a coltivare lo zafferano in montagna, sugli Appennini. Abbiamo avuto modo di contattare direttamente questi ragazzi solo un paio di volte, ma in quelle occasioni ci hanno chiarito quei quattro dubbi che avevamo. Anche a Voghera c'è una scuola di Agraria che ha fatto un progetto sullo zafferano, perché è normale che piuttosto che insegnare agli studenti a coltivare l'insalata si preferisca parlare di qualcosa di più prezioso e particolare che presenta più difficoltà nella coltivazione, ma che dia maggiore soddisfazione. Senza contare che ormai la coltivazione dell'insalata prevede una lavorazione tutta meccanica, dalla macchina che la pianta, alla macchina che la taglia; mentre per lo zafferano il discorso è diverso. Lo devi piantare a mano, lo devi raccogliere a mano, lo devi lavorare a mano: si tratta di fasi tutte un po' delicate. È più facile perderlo che averlo, se non si è in grado di lavorarlo nei giusti modi.

TG: Teoria ed esperienza sono ambedue molto importanti?

AG: Ritengo di sì; infatti noi all'inizio sbagliavamo ad essiccarlo. Quando lo portavamo ad esaminare lo zafferano risultava troppo umido e non essiccato bene, poi con l'esperienza e lavorandone poco alla volta, siamo riusciti a capire come essiccarlo nel modo giusto evitando di rovinarlo.

TG: A grandi linee, quali sono le fasi più importanti di lavorazione di questa spezia?

AG: La semina viene eseguita una volta ogni 3-4 anni, secondo il ciclo che dai alla terra che comunque non va oltre i 4 anni per non impoverire il terreno, perché i bulbi sono seminati in maniera abbastanza fitta a 10-15 centimetri uno dall'altro. Noi cambiamo la terra ogni 3 anni, in modo che la pianta prenda i minerali dalla terra senza fornire aggiunte chimiche di magnesio, potassio, azoto, fosforo, cosa che invece viene fatta da chi non segue una coltura biologica. La raccolta nel campo è anche un'altra fase molto importante, come poi l'essiccazione.

TG: Che differenza c'è tra uno zafferano biologico e uno non-biologico?

AG: Sulla vendita niente, perché il compratore non analizza i pistilli, però in quel momento il venditore potrebbe mostrare al cliente le analisi che ha sostenuto il suo zafferano per fargli capire come dovrebbe essere un prodotto biologico di qualità. L'Università analizza un campione del raccolto ogni anno e ne garantisce la purezza e la qualità. La differenza tra uno zafferano di prima qualità ed uno di seconda o di terza potrebbe essere la presenza di sostanze chimiche nei prodotti meno pregiati. Se la terra dove viene fatta la coltivazione non è buona ne risente anche il prodotto finale. In montagna si riesce ad ottenere un prodotto migliore, ma con una resa inferiore. Anche la scelta di produrre in maniera biologica riduce la quantità del raccolto, perché gli insetti intaccano la pianta, oppure fanno marcire dei bulbi che potrebbero produrre fiori.

TG: Quali sono i parametri che conferiscono la prima categoria allo zafferano biologico?

AG: Le qualità da osservare sono il potere aromatico, il potere amaricante ed il potere colorante. Questi tre valori determinano il conferimento della categoria al prodotto finito che deve essere al'interno di parametri prefissati.

TG: Semplificando, possiamo dire che lo zafferano migliore ha un sapore più forte, un profumo più intenso ed un colore più carico?

AG: Eh sì, chiaramente sì. Lo zafferano di prima categoria è un altro tipo di cosa rispetto ad uno zafferano tradizionale...

TG: Lo zafferano che ci ricordiamo da bambini era un prodotto in polvere in bustina, ma quella roba lì cos'è esattamente?

AG: È un prodotto industriale che viene venduto come zafferano, ma di zafferano contiene soltanto pochi milligrammi. Se n'è parlato anche in tv, credo che Striscia la notizia abbia fatto vedere qualcosa in questo senso. La polvere è commestibile, però andrebbe analizzata per capire che cosa contiene; difficilmente sarà zafferano al 100%. Chiaramente, vendendolo in pistilli, non si può tagliare con sostanze diverse che potrebbero essere curcuma, oppure altre ancora.

TG: Chi fa le analisi ai vostri pistilli?

AG: Il professor Luca Giupponi dell'Unimont, l'Università degli Studi di Edolo.

TG: Come si prepara lo zafferano in pistilli per la cottura?

AG:  A differenza della polvere che viene buttata dentro la pentola di quello che stiamo cucinando e subito colora il suo contenuto, lo zafferano in pistilli va preparato in infusione di acqua calda per sciogliere i poteri collanti al suo interno, fino a che l'acqua diventerà gialla, dopo di che si potrà usare in cucina.

TG: Bisogna portare l'acqua in ebollizione?

AG: Si porta l'acqua in ebollizione, si spegne il pentolino e si aspetta un pochino fino a che la temperatura scenda di una decina di gradi e poi si buttano i pistilli nell'acqua calda lasciandoli lì in immersione per una mezz'oretta mettendo un coperchio per non far evaporare gli aromi. Volendo, poi si può ripetere ancora questa operazione per una seconda e una terza volta per essere sicuri di estrarre tutte le qualità dalla spezia. Si prepara un risotto, per esempio, e verso la fine, due o tre minuti prima della cottura, si butta dentro la pentola quel mezzo bicchiere d'acqua con dentro lo zafferano che avevamo preparato prima. Tutto diventerà giallo e profumato.

TG: In futuro, continuerete a perseguire la massima qualità o cercherete d'incrementare la quantità?

AG: Noi siamo interessati solo alla qualità. Chiaramente ci vuole anche una certa quantità dietro alla qualità, però se devo scegliere tra queste due opzioni scelgo la qualità. 

TG: Hai qualche altro suggerimento per una ricetta particolare in cui compaia lo zafferano?

AG: Il gelato allo zafferano. Oppure il miele allo zafferano adesso è una cosa che va molto di moda.

TG: Proverò allora a fare l'idromele speziato con il tuo zafferano, in modo da conservare sempre pronte le proprietà terapeutiche di questa pianta preziosissima.

AG: Buona idea.

TG: Normalmente, lo zafferano essiccato quanto dura se conservato chiuso ermeticamente in una scatolina al riparo di luce e umidità?

AG: Quattro anni.

TG: È facile sofisticare lo zafferano o far passare un prodotto scadente per uno di qualità?

AG: Se un compratore non conosce lo zafferano di qualità dovrebbe fare un po' di attenzione nel momento dell'acquisto, perché può capitare che gli venga proposto un prodotto che non ha le caratteristiche che gli vengono promesse. Lo zafferano di qualità si ottiene da bulbi di qualità, ma c'è un'altra specie di fiore che viene aggiunto allo zafferano e si ottiene dai semi che poi crescono in piante che fanno fiori che niente hanno a che vedere con il Crocus Sativus. Mischiando i pistilli dell'uno con i pistilli più corti dell'altro tipo di fiore si può facilmente moltiplicare la quantità del prodotto che però perderà in qualità. Il Crocus Sativus si raccoglie in autunno, mentre il Crocus Vernus, conosciuto anche come Zafferano Maggiore, si raccoglie in primavera. Ci sono molte altre specie vegetali che possono essere utilizzate per adulterare lo zafferano; taluni ricorrono al Crocus Speciosus, altri al Cartamo (Carthamus Tinctorius) oppure alla Calendula Officinalis, all'Arnica e perfino al Garofano. C'è chi inganna il compratore aggiungendo sostanze organiche, animali e artificiali allo scopo di aumentare il peso e trarre un maggior guadagno dalla vendita. Un altro metodo per ottenere un buon risultato potrebbe essere quello di produrre uno zafferano e farne analizzare un altro, ma anche questa diventerebbe una pratica fraudolenta piuttosto grave. Chi vuole mantenere un nome ed un marchio, di sicuro non ricorre a questi espedienti, ma agisce nel modo giusto, lavorando sodo e facendo ciò che va fatto in maniera scrupolosa ed onesta. Ci sono mille modi per modificare un prodotto. L'HCCP, la derivazione d'origine controllata e tutto il resto si spera che siano certificazioni che permettono di far sapere alla gente quello che mangiano. Vengono fatti dei controlli per verificare che un prodotto provenga esattamente dal campo in cui è cresciuto e che non ci siano elementi che interferiscano o danneggino quella coltivazione.

TG: Lo zafferano biologico costa di più di uno "normale"?

AG: Chiaramente sì, perché la produzione è limitata. Nel nostro caso togliamo l'infestante manualmente. Se noi non riusciamo ad intervenire correttamente un po' d'infestante rimane attorno allo zafferano ed il bulbo sottoterra potrebbe soffrire.

TG: In che fasce di prezzo si collocano i vari tipi di zafferano?

AG: Dipende. Dai 20 fino ai 50 euro al grammo. Dipende anche in che paese viene venduto. In Italia può esserci un mercato, ma in UK, in Giappone, Russia o Arabia i prezzi di vendita potrebbero essere considerevolmente diversi. Quello che qua viene venduto a 20 euro, là potrebbe costare 60 perché è più difficile da reperire.

TG: Qual'è il maggior produttore di zafferano al mondo?

AG: L'Iran. Però, anche in Sardegna e Abruzzo abbiamo zafferano di ottima qualità.

TG: Che caratteristiche ambientali necessitano questi fiori?

AG: È una pianta abbastanza selvatica che resiste bene a vari climi. A seconda di dove cresce c'è un rendimento maggiore o minore. Ha bisogno di caldo, ma resiste al freddo fino a -20°C, è una pianta forte che cresce un po' dappertutto. In alta montagna dove l'acqua è buona e l'aria è pulita si ottiene un prodotto migliore rispetto alla pianura dove c'è smog e inquinamento. Meglio però un clima secco, perché l'umido non va bene per il bulbo che tenderebbe a marcire sottoterra. Non ha bisogno di tanta acqua o di irrigazione. Se in pianura le piogge allagano i campi la cipolla stessa rischia di stare nell'acqua e infradiciarsi fino a decomporsi.

TG: Esistono fiori di Crocus Sativus di colore diverso dal viola?

AG: Ci possono essere dei fiori albini (bianchi) che però hanno i pistilli ugualmente rossi; a me qualche volta è capitato di averne.

TG: Con una decina di bulbi posso provare a divertirmi?

AG: Ah certo, per fare almeno due o tre risotti sì... E a lungo andare quei 20 o 30 bulbi faranno i loro figli e diventeranno 60-100.

TG: Però ci vogliono anche qui bulbi di qualità.

AG: Eh sì, se vuoi partire bene devi cercare dei buoni bulbi.


Un bulbo di Zafferano della piantagione di Andrea e Fabio

Per approfondire la conoscenza dello zafferano potete consultare online la Tesi di Laurea di Michele Domenghini.

Per contattare lo Zafferaneto di Bocco potete inviare un'email a: garaandre1977@gmail.com