"La verità come concetto è indeterminata, tutto dipende dal valore di ciò che pensiamo: abbiamo sempre le verità che ci meritiamo, in funzione del senso di ciò in cui crediamo." Gilles Deleuze
Santeria Social Club, Galleria Lampo: alcuni tra i fotografi milanesi più talentuosi (e/o professionisti dell'immagine) sono stati riuniti da Giacomo Spazio in una mostra che sta richiamando tantissimo pubblico. L'anno scorso in un solo giorno sono intervenute circa 3'000 persone; quest'anno, anche solo per il fatto che l'esposizione era in previsione di rimanere aperta 4 giorni, siamo andati ben oltre queste cifre. La terza edizione di Out of Tune ha avuto un successo pazzesco, al punto che la mostra è stata prorogata fino a domenica 4 giugno. Chi ancora non ha visto le bellissime immagini scattate dai 47 autori milanesi, di differenti sensibilità, estrazioni ed età, ha così modo di non farsi scappare questa fantastica occasione.
L'ingresso alla mostra è gratuito.
Ho pescato qua e là, quasi casualmente, tra coloro che hanno avuto qualcosa da raccontarci con i loro scatti fotografici di varia realtà. Seguono alcune interviste. TG
Tony Graffio: Ciao Giacomo, perché "Out of Tune"?
Giovedì 25/5/2017 h. 19,00 Inaugurazione Out of Tune
Santeria Social Club, Galleria Lampo: alcuni tra i fotografi milanesi più talentuosi (e/o professionisti dell'immagine) sono stati riuniti da Giacomo Spazio in una mostra che sta richiamando tantissimo pubblico. L'anno scorso in un solo giorno sono intervenute circa 3'000 persone; quest'anno, anche solo per il fatto che l'esposizione era in previsione di rimanere aperta 4 giorni, siamo andati ben oltre queste cifre. La terza edizione di Out of Tune ha avuto un successo pazzesco, al punto che la mostra è stata prorogata fino a domenica 4 giugno. Chi ancora non ha visto le bellissime immagini scattate dai 47 autori milanesi, di differenti sensibilità, estrazioni ed età, ha così modo di non farsi scappare questa fantastica occasione.
L'ingresso alla mostra è gratuito.
Ho pescato qua e là, quasi casualmente, tra coloro che hanno avuto qualcosa da raccontarci con i loro scatti fotografici di varia realtà. Seguono alcune interviste. TG
Come d'abitudine sono arrivato presto per visitare e vedere la mostra, è stata una buona idea. Più tardi c'era talmente tanta gente che ci si riusciva a muovere a malapena.
Tony Graffio: Ciao Giacomo, perché "Out of Tune"?
Giacomo Spazio: Si tratta di momenti fuori dalle regole interpretati da vari autori. Cerchiamo con questa mostra fotografica, che quest'anno è alla sua terza edizione, di fissare l'attenzione sulla situazione della fotografia milanese. Abbiamo invitato a questo appuntamento sia i fotografi professionisti, sia i fotografi compulsivi lontani dal mondo del professionismo, ovvero quelle persone che hanno sempre con loro la fotocamera e registrano la realtà che li circonda, pur svolgendo altre attività. Mi è capitato di scoprire alcuni fotografi compulsivi in modo casuale, perché tramite gli amici degli amici sono venuto a sapere di questo loro bisogno implacabile di produrre immagini fotografiche. Siamo riusciti a mettere insieme le parti estreme che compongono questo mondo di cacciatori di immagini per elaborare un'esposizione, anch'essa estrema, capace di mostrare realtà molto differenti.
TG: Che cosa si vuole mostrare esattamente?
GS: Un'idea viva di fotografia che abbraccia a 360°il momento preciso dello scatto.
TG: Su che tema si sono mossi i fotografi?
GS: Noi diamo una sottotraccia che inevitabilmente viene interpretata soggettivamente dagli autori a cui chiediamo di partecipare. Ci facciamo consegnare più fotografie per autore, in modo da effettuare una selezione per trovare gli scatti più in sintonia con i nostri intenti. L'unico intervento che Guido Borso ed io effettuiamo è quello di inserire queste fotografie in contatto tra loro, quasi per fissarne una resilienza che conferisca al tutto un riscontro sonoro, più che visivo...
The Garden of the Earthtly Delights - Fotografia di Giacomo Spazio
TG: Ho visto che in questa mostra c'è esposta anche una fotografia che hai scattato tu, di che cosa si tratta?
GS: Dato che la sottotraccia che abbiamo indicato era "Atti di insana bellezza", ho voluto fare vedere quello che accade a Bushwick, Brooklyn, N.Y., dove un uomo raccoglie quello che la gente vuole gettare e lo appende agli alberi della via. Questo mi sembra decisamente un atto di insana bellezza.
Fotografia di Giacomo Silvestri - Tomato Intruder
Tony Graffio: Ciao Giacomo, che tipo di fotografo sei? Professionista o compulsivo?
Giacomo Silvestri: Non sono un fotografo professionista. Mi piace avere sempre con me la macchina fotografica, o quello che capita per fare le fotografie; quando trovo qualcosa che mi piace lo fotografo.
TG: Qui alla Galleria Lampo sono esposte tre tue fotografie, me le descrivi, per favore?
GS: Tomato Intruder è la fotografia che trovi anche sul catalogo della mostra. Io effettuo trasporti internazionali. Due anni fa ero in coda con il mio furgone lungo l'autostrada che porta a Calais, quando ho visto la scena che ho poi fissato nella memoria della mia fotocamera digitale. Un profugo siriano è stato trovato nel cassone di un camion, in mezzo ai pomodori, ed è stato portato via. Dopo di lui è sceso anche un altro ragazzo africano. Grazie alla mia attività ho potuto vedere l'evoluzione di tutto quello che è successo a Calais negli ultimi anni. Nel 2015 i clandestini che vivevano nella "Jungle" avevano fatto una dimostrazione di protesta per poter andare nel Regno Unito, molti si erano nascosti nei camion. Se osservi bene la fotografia vedrai lo specchietto retrovisore del mio furgone, perché ho preso quello scatto mentre ero alla guida.
TG: Vero, quindi tu hai sempre la fotocamera pronta?
GS: Sì, in questo caso, avevo con me una macchinetta digitale. La fotografia non sembrava nulla di eccezionale, eppure adesso ci racconta abbastanza precisamente cosa sta accadendo in Europa. Dall'immigrazione, all'Olanda che esporta pomodori, qui trovi molti elementi del nostro presente. Lungo l'autostrada vedi anche le nuove reti che impediscono l'accesso a chi arriva dai paesi tormentati dalla guerra: una volta quelle barriere non esistevano. Un tempo dove c'era la "jungle" trovavi le coppiette con la loro tenda. Ho visto tutti questi cambiamenti sotto i miei occhi.
TG: Le altre tue fotografie esposte in questa sala parlano sempre d'immigrazione?
GS: Sì, una è stata scattata sotto casa mia, in viale Rodi, alla Bicocca.
TG: L'ho vista anch'io quella scritta...
GS: Qualcuno ha scritto puttane sotto la finestra di un transessuale che un giorno ho visto affacciarsi alla finestra. Così ho scattato una fotografia, perché mi sembrava una situazione un po' estrema. Immagina qualcuno che pensa di trovarsi di fronte una donna e poi scopre che magari quella persona non è proprio quella che si aspettava.
TG: La terza fotografia che cosa mostra?
GS: Nella terza fotografia vediamo un maiale allo spiedo impalato con un bastone enorme; mi ha fatto un certo effetto perché non avevo mai visto qualcosa del genere, se non nei cartoni animati. Un gruppo di filippini piuttosto tranquilli e rilassati sta cucinando sul fuoco il maiale. Siamo in un parco vicino al fiume Adda. In queste tre immagini sono espresse tre idee diverse di immigrazione.
Tony Graffio: Alice Schillaci, parlami della tua fotografia.
Alice Schillaci: Si tratta di un dittico. Per me funziona per una questione di volumi, spazio, colori, forme che si inseguono... Non ha nessun significato particolare, se non per il fatto che fa parte di una serie più complessa.
TG: Posso descriverla io?
AS: Vai!
TG: Nell'immagine di sinistra vediamo il dettaglio di una ragazza che si pizzica una natica nuda.
AS: Questo in una parte del dittico, dall'altra invece c'è un Fico d'India che prende fuoco.
TG: Come mai questo abbinamento? E' un richiamo sessuale?
AS: No, non c'è nessuna ragione, mi piace e per me è più che sufficiente questo.
TG: Cosa ti spinge a fare fotografia? Passione, lavoro o ricerca artistica?
AS: Lavoro nella moda, faccio la fotografa di moda e poi tutto il resto.
TG: Grazie.
Tony Graffio: Guido, tu sei uno degli ideatori di questo evento, come è nato "Out of Tune"?
Guido Borso: E' un format inventato da Giacomo Spazio; fin dalla prima edizione mi è piaciuta questa iniziativa ed ho preso parte all'organizzazione, nelle sue varie fasi, dalla stampa all'indirizzare l'artista a incorniciare le opere. Due anni fa, la durata dell'esposizione era limitata a quattro ore, ma per questa edizione siamo riusciti ad ottenere lo spazio della Galleria Lampo della Santeria Social Club per ben quattro giorni (attualmente la mostra è stata prorogata fino al 4 giugno. NdTG).
TG: Che cosa vi proponete con questa mostra?
GB: Pensiamo che negli anni in cui viviamo siamo tutti sottoposti ad un bombardamento visivo di immagini commerciali che ci fanno un po' perdere il contatto con la realtà. Out of Tune vuole rieducare lo sguardo dello spettatore verso immagini veritiere non artefatte.
TG: Ho capito, questo era un passaggio che mi mancava.
GB: E poi, in questa mostra tendiamo a dare una frase che serva da traccia a tutti i partecipanti per elaborare un discorso comune. Quest'anno, con "Atti di insana bellezza", abbiamo voluto dare un'indicazione che può essere recepita sia in modo un po' border line o di stimolo per esplorare territori vasti che escono dai soliti percorsi. Personalmente, ho preso diversi spunti per le fotografie che ho deciso di mostrare attraverso i miei scatti. In un'immagine ho mostrato un culo nudo colpito da una cinghiata. Si tratta di un gesto scherzoso tra amici. Un momento divertente che suggerisce di non prendersi mai troppo sul serio. L'altra fotografia che ho esposto ritrae un barbone sui pattini a rotelle vestito da Superman. E' una immagine che ho ripreso a Londra nel settembre 2016. Si tratta di uno scatto fatto con pellicola bianco e nero da 35mm. Una persona in condizioni di difficoltà economiche poteva perdersi d'animo e disperarsi, invece il soggetto della mia fotografia, anche in questa situazione, cerca di trovare un aspetto ironico che gli dia la voglia di vivere e di non essere compatito da chi è più fortunato.
TG: Non è una performance per spillare soldi alla gente?
GB: No, assolutamente no, ho incrociato questo personaggio in giro mentre aspettavo l'autobus. Gli ho chiesto di rallentare un attimo per scattare una fotografia e questo è il risultato.
TG: Ho visto che su un polpaccio hai un tatuaggio di Edo Solomostri. E' un tuo amico?
GB: Sì è un amico talentuoso che si destreggia con la street-urban-art ed è molto riconoscibile per i segni che lascia. E' molto istintivo ed in un certo senso anche lui potrebbe essere quasi fotografico nella velocità con cui compie il suo gesto artistico.
TG: Sì, l'ho incontrato qualche tempo fa ed ho visto dei suoi murales. Guido tu fai proprio il fotografo?
GB: Sì, per fortuna posso dire che mi occupo di fotografia professionalmente.
TG: Che genere di fotografia?
GB: Reportage, moda, ma anche fotografia commerciale.
Tony Graffio: Tu fai parte di un collettivo?
Dr. Porka's: Sì, i Dottor Porka's.
TG: Siete un gruppo di fotografi?
Dr. Porka's: Diciamo che ci consideriamo degli artigiani. Non ci limitiamo ad una sola forma espressiva.
TG: Conosci Alex Gordon, l'uomo con il KawaHulk e la motogamba?
Dr. Porka's: Ho visto la moto parcheggiata là in fondo...
TG: Lui non fa parte del vostro gruppo?
Dr. Porka's: No, ma all'occorrenza potremmo reclutarlo...
TG: Dr. Porka's, per favore descrivimi la tua fotografia.
Dr. Porka's: E' una nostra reinterpretazione di un passo del Vangelo di Luca (24:13-53) dove Cristo, dopo essere risorto, viene riconosciuto da due suoi discepoli che cenano con lui. Si tratta di Cena in Emmaus...
TG: Certo, ne esistono un paio di versioni del Caravaggio, una è conservata a Londra alla National Gallery e l'altra è qua a Milano, alla Pinacoteca di Brera, dovrò andarlo a rivedere, prima o poi, perché ne ho già parlato tempo fa in Frammenti di Cultura.
Dr. Porka's: La nostra idea era di calare questa situazione in un contesto assolutamente contemporaneo, perciò siamo andati a Torino fuori da un negozio di kebab ed abbiamo scattato questa fotografia con l'aiuto di tre nostri collaboratori che hanno fatto da modelli in questa scena.
TG: Chi fa parte del Dr. Porka's?
Dr. Porka's: Siamo un collettivo composto da tre persone e non vogliamo che ci sia una distinzione tra quello che è il "timbro" di ognuno di noi. Lavoriamo insieme per cercare d'avere una linea comune e non vogliamo distinguerci gli uni dagli altri. Un collettivo è un collettivo.
TG: Come avete fatto ad incontrare Cristo per strada?
Dr. Porka's: Noi abbiamo un filo diretto con l'Altissimo...
TG: L'avete chiamato voi!
Dr. In certe occasioni, lui si presta...
TG: Non è per caso quel disoccupato torinese che un paio d'anni fa andava in giro per le strade di Torino spacciandosi per Gesù?
Dr. Porka's: No, quel tizio è apparso dopo che noi abbiamo fatto la nostra performance. Una delle nostre prerogative è di creare delle situazioni che dopo poco tempo vengono riprese da spot televisivi ed in altre forme comunicative.
TG: E' capitato anche a me, tre anni fa ho fotografato un bellissimo Murales di Canemorto su un palazzo abbandonato che si vede dal ponte di via Emilio De Marchi e proprio ieri (l'intervista è stata rgistrata in audio il giorno dell'inaugurazione NdTG) alla presentazione della Photo Week ho visto proiettata un'immagine molto simile alla mia scattata da un altro fotografo. Io descrivo sempre sul mio blog dove si possono trovare le cose interessanti, dando anche le indicazioni in modo molto preciso, probabilmente sono l'unico che fa così... Ad ogni modo, chi passa di lì può tranquillamente fare la stessa fotografia.
Dr. Porka's: Un pezzo donato alla città è sempre una gran cosa ed alla fine è fruibile da tutti.
TG: Voi quindi avete fatto una messa in scena fuori dal venditore di kebab?
Dr. Porka's: Che cosa intendi per messa in scena?
TG: Beh, se il Cristo e gli apostoli li avete portati voi, s'è trattato di una regia artistica, non di un'immagine di realtà di vita spontanea...
Dr. Porka's: I nostri interventi fotografici sono tutti costruiti, ma fino ad un certo punto, nel senso che noi scegliamo la location dove agire. In questo caso il posto è fuori dal Palazzo di Giustizia di Torino che è tristemente famoso per svariate vicende. Altre situazioni le abbiamo attuate in luoghi sotto sequestro, tipo Punta Perotti o fabbriche in dismissione in Lussemburgo. A seconda di quello che vogliamo dire, interveniamo con l'aiuto di cellule esterne, dei complici che vengono appositamente chiamati ad agire con noi.
TG: In che anno avete scattato la fotografia di Emmaus?
Dr. Porka's: Nel 2011.
TG: Perciò anche prima di Monica Silva, interessante. Cosa vi proponete di ottenere esattamente con i vostri interventi artistici?
Dr. Porka's: Ci proponiamo di abbattere il confine tra artista/fruitore/attore per giocare tutti insieme ad un gioco dove siamo tutti protagonisti.
TG: Da quanto tempo fate queste cose?
Dr. Porka's: il Dottor Porka's esiste dal 2000 ed utilizza anche il muralismo e la Street Art, non solo il mezzo fotografico.
TG: Insomma, siete dei performer?
Dr. Porka's: Sì. Ci definiamo Street-Photo-Performers.
TG: Perfetto. Avete un sito?
Dr. Porka's: Certo: https://dottporkas.wordpress.com/
TG: E fisicamente, dove vi troviamo?
Dr. Porka's: Due di noi sono a Torino, uno a Bologna e le altre cellule dormienti sono sparse in tutto il mondo, inclusi tecnici e personale di supporto artistico.
TG: Riuscite a vivere con la vostra arte?
Dr. Porka's: Proprio perché il discorso che facciamo non è facilmente vendibile, abbiamo scelto di fare qualcos'altro per mantenerci.
TG: L'opera esposta qui alla Santeria Social Club a quanto la vendete?
Dr. Porka's: È una stampa Lambda 70X100 che vendiamo a 500 euro.
TG: È un pezzo unico?
Dr. Porka's: Ne abbiamo stampate solo due copie, una fa parte della collezione del Farm Cultural Park di Favara, l'altra è quella che vedi.
TG: Ultima domanda. Sei mai stato al Castello di Zakula?
Dr. Porka's: Sì, noi abbiamo avuto la fortuna di dipingere per Zak, proprio nel suo Sancta Sanctorum. Ci ha chiesto un Dr. Porka che puntasse una pistola sullo spettatore e noi con gran piacere lo abbiamo accontentato.
TG: Quando l'avete dipinto?
Dr. Porka's: Ottobre-novembre 2016.
TG: Mi manca, l'ultima volta sono stato al Castello parecchio tempo fa. Dovrò chiedere a Zak di riaprirmi le porte del suo cancello.
Tony Graffio: Ciao Orsola quanti anni hai?
Orsola Giunta: 26.
TG: Ti piace la fotografia?
OG: Molto.
TG: Fai la fotografa?
OG: In realtà no, però anche.
TG: Posso chiederti di che cosa ti occupi?
OG: Produzioni video.
TG: Possiamo dire con chi?
OG: Collateral, una casa di produzione che si occupa di moda.
TG: Parlami della tua fotografia.
OG: (Risata) Ma tu chi sei?! Cosa vuoi da me? (Risata)
TG: Io sono Tony Graffio.
OG: Ok. La mia foto nasce quattro anni fa da un incidente in motorino.
TG: Dove?
OG: Non lo so. In via San Gottardo più o meno, abitavo in via Meda con il mio ex-ragazzo... Lui si è schiantato in motorino ed è tornato a casa pieno di graffi e non poteva toccare niente.
TG: Tu non ti sei fatta niente?
OG: L'incidente l'ha avuto solo lui.
TG: Quindi dovevi fare tutto tu in casa perché lui non poteva fare niente.
OG: Esatto. Allora gli ho detto: "Dato che devo fare tutto io facciamo anche un paio di fotografie." Così è nata "Untouched". La cosa ci faceva ridere, avevamo come sfondo una bella parete azzurra.
TG: Nella foto compaiono le sue mani e lo sfondo azzurro.
OG: Sì, sono le sue mani dopo l'incidente.
TG: Posso farti una foto vicino alla tua foto?
OG: No.
TG: Lontano dalla tua foto?
OG: Va bene.
Tony Graffio: Ciao, scusami vedo che hai il cetriolo in mano, sei una fotografa? (L'organizzazione aveva offerto una consumazione ai fotografi. Il cetriolo era valido come tagliando per il drink. NdTG).
Camilla Candida Donzella: Sì sono Camilla Candida Donzella.
TG: Io sono Tony Graffio, sto raccogliendo qualche dichiarazione per il mio blog dai fotografi che hanno partecipato a questo evento. In questa occasione sono anch'io un fotografo, la mia immagine rappresenta Uri, un ragazzo israeliano che faceva parte della Mutoid Waste Company. Qual'è la tua fotografia?
CCD: E' in qualche modo abbastanza in tema con la tua. E' quella delle donzelle con le macchine.
TG: Interessante, descrivimi meglio la tua opera.
CCD: Questa fotografia fa parte di un lavoro che ho iniziato nel 2014. Da piccola volevo diventare una stunt-woman, così sono sempre rimasta affascinata dalle ruote, dalle automobili e dalle bici e dai motorini. Ho sempre avuto moto che elaboravo da sola. Seguo le donne che fanno competizioni in auto.
TG: Scusa se ti interrompo, ma comprendo questa fascinazione, infatti tempo fa avevo letto di Yvonne Stagg, la prima donna che aveva corso nel muro della morte ed avevo pensato anch'io di ricercare donne coraggiose che facessero questo tipo di attività per intervistarle.
CCD: Ma dai! Queste ragazze che conosco fanno le gare dove possono scontrarsi, aggiungendo all'abilità di andare veloci un elemento in più che è quello di potersi sfregiare e combattere sulla pista.
TG: Come si chiamano queste competizioni?
CCD: Banger Race: si corrono in Inghilterra. Forse, come limite mio, mi aspettavo di trovare un certo stereotipo di donna, invece la cosa fighissima è che trovi di tutto. Dalla teen-ager truccatissima che si fa mille selfy, alla mamma di famiglia cicciotta.
TG: E poi, diciamocelo, sfasciare le macchine è un po' il sogno di tutte le donne...
CCD: E' una bomba! Io di macchine ne ho sfasciate... Con una ho buttato giù un palo della luce di cemento!
TG: Non in gara, però.
CCD: (Molto più seria) No, a Milano con la pioggia. Frenando in curva in un momento critico.
TG: Per Out of Tune hai estratto un paio di fotografie dal tuo progetto?
CCD: Sì, il mio progetto lo vorrei arricchire con altre fasi del pre-gara, quando le ragazze preparano le macchine e tutte queste cose un po' di contorno.
TG: In Italia non si trova qualcosa del genere?
CCD: In Italia no. Mentre queste gare ci sono sia in Germania che in Olanda. La cosa particolare è che chi partecipa a queste competizioni sembra che lo faccia quasi come una tradizione familiare. Tutta la famiglia è coinvolta. In alcune fotografie ho colto il papà, la mamma, il fratello, tutti ad armeggiare sulla macchina. Parlando con il fratello di una di queste donne ho detto che fare quelle gare era il mio sogno fin da quando ero piccola e lui mi ha proposto di raggiungerli a Croydon per andarli a trovare e provare a correre. Lui mi voleva preparare la macchina.
TG: Sei poi andata?
CCD: Non ancora, prima voglio chiudere il mio negozio di cose bizzarre che colleziono.
TG: Posso dire che hai un nome un po' troppo aristocratico per fare i demolition rally?
CCD: Eh lo so, ma è così. Mio bisnonno si chiamava Candido Maria e mia mamma voleva darmi come secondo nome quello del mio bisnonno. Voleva chiamarmi Camilla Candido, poi fortunatamente mio padre all'anagrafe ha fatto di testa sua e mi ha dato un secondo nome femminile.
TG: Ho capito. Come mai hai composto una specie di trittico?
CCD: E' come un mini-racconto. La fotografia grande l'ho scattata esattamente dopo il crash e si capisce facilmente perché c'è una macchina staccata dall'altra, ma si solleva ancora la polvere dopo l'impatto. E' un dettaglio che devi notare. Nell'immagine più piccolina compare la ragazza che era alla guida. L'adesivo mi faceva ridere. dice: "Bangers race do it harder". Si tratta di un doppio senso a sfondo sessuale e per me è stato divertente accostarlo all'immagine di una donna, e per di più, insieme ad un bambino. Ho voluto giocare con questo slogan che sembra promettere un atto sessuale e la presenza di famigliole sui circuiti ed in gara.
TG: Brava, molto simpatica.
Tony Graffio: Eccomi qua con Francesco Merlini. Chi sei Francesco?
Francesco Merlini: Sono un fotografo con un passato da fotogiornalista. Adesso seguo soprattutto lavori personali ed editoriali per diverse riviste in Italia e all'estero.
TG: Per esempio? Citamene qualcuno.
FM: Financial Times; GQ; Wired...
TG: Qual'è la fotografia che hai portato qui alla Galleria Lampo?
FM: Si tratta di un dittico in bianco e nero che è esposto sulla parete centrale. Qualche anno fa sono stato alla fiera della pornografia e dell'erotismo di Milano ed ho scattato qualche fotografia. In quelle situazioni è sempre interessante andare a scattare qualche immagine, perché rispetto ai night o ad ambienti di scambisti lì è più semplice muoversi con la fotocamera senza dare fastidio. Così ti puoi soffermare maggiormente sui soggetti ed avere più possibilità di trovare la fotografia che stai cercando. Insieme ai due curatori della mostra abbiamo selezionato un paio di foto. Ho utilizzato una reflex digitale utilizzando il flash, cosa che mi ha permesso di evidenziare le texture della pelle delle persone. Sto lavorando ad una mia ricerca che ho intitolato Farang che sta per diventare un libro con Kehrer Verlag, un editore tedesco. Ho già esposto in alcune gallerie a Parigi ed una settimana fa al Festival di Tiblisi. E' il progetto più importante a cui ho dato vita negli ultimi anni.
TG: Conosci Frammenti di Cultura?
FM: Sì, ci ho trovato articoli molto interessanti di fotografia.
TG: Ti ricordi che cosa hai letto?
FM: Quello è un po' più difficile perché ogni giorno guardo davvero tanti siti di fotografia: di giorno lavoro anche come photo-editor in un'agenzia.
TG: Ah, perfetto. Se ti interessi di moda tieni d'occhio anche Ortodossia Fotografica, recentemente ho pubblicato una bella intervista con Gioacchino Del Balzo, l'ex Produttore Esecutivo del Calendario Pirelli.
FM: Assolutamente. Grazie mille.
Tony Graffio: Perdonami Anna, ma prima mi sono dovuto allontanare un attimo, mi avevano chiamato per presentarmi una persona.
Grida
TG: Ma cosa succede? Sono i tuoi fans?
Anna Adamo: Niente, ci possiamo spostare un poco?
TG: Sì, va bene. Non preoccuparti facciamo solo due chiacchiere, non è un'intervista seria...
AA: Va bene.
TG: Anna, di dove sei?
AA: Di Cinisello Balsamo.
TG: Ah, Cinisello, una realtà un po' particolare, è una delle zone più popolate dei dintorni di Milano, vero?
AA: Molto popolare.
TG: Vero, popolato e popolare (risata). Come ti è venuto in mente di fare la fotografa?
AA: Non è stata una cosa che ho programmato. Mia mamma mi ha regalato una macchina fotografica per il mio quattordicesimo compleanno e lì ho iniziato a fare le fotografie agli amici, ai concerti e soprattutto a mia madre. Ho iniziato d'istinto e poi non mi sono più fermata.
TG: Quanti anni hai?
AA: 25.
TG: Come hai deciso di buttarti in questo settore?
AA: È la cosa che mi fa sentire meglio e non riuscivo a fare nient'altro con la stessa spensieratezza. Così non ho mai nemmeno provato a fare qualcos'altro.
TG: Hai seguito una formazione professionale?
AA: No, niente. Sono autodidatta.
TG: Come hai incominciato a lavorare?
AA: A 19 anni ho vinto il primo concorso organizzato da Leica Italia. In giuria c'era un fotografo italiano della Magnum, Alex Majoli, è stato lui ad invitarmi a far parte del collettivo che ha fondato lui nel 2007: Cesuralab.
TG: Lo stesso collettivo per il quale lavorava Andy Rocchelli.
AA: Sì. Da lì ho iniziato a collaborare con loro.
TG: Fai reportage?
AA: No, faccio ricerca personale, storytelling e fotografia sociale. Mi interesso molto delle sottoculture giovanili.
TG: Bene. Descrivimi la fotografia esposta qui alla Lampo.
AA: La mia fotografia ritrae due ragazzi che non conosco che ho visto ad una festa. Il ragazzo per più di mezz'ora ha soffiato del fumo sulla ragazza ed io ho una serie di scatti dove lui continuava a fare la stessa cosa. Credo che tra gli atti di insana bellezza possiamo inserire anche questo gesto.
TG: La ragazza lasciava fare?
AA: Sì ed ho pensato che fosse bellissimo fermare quel momento.
TG: Ho visto anche un'altra tua fotografia che hai esposto qui alla Galleria Lampo per "1000 modi di morire, una certa idea di Punk", me ne parli?
AA: Erano due ragazzi punk che correvano sul Lambro. Avevo fatto quello scatto sempre per partecipare al Concorso Leica sul tema: "Giovani": Ho seguito un gruppo di punk monzesi per un po' di tempo. E' una foto spontanea che è uscita in uno di quei pomeriggi che ho passato con loro. E' una delle mie foto preferite.
TG: Che musica ti piace?
AA: La musica Punk, la musica Hardcore e la musica vecchia.
TG: Vuoi citarmi qualche band?
AA: mi piacciono talmente tante cose, comunque, citerei i Ramones, i Rancid, i Nerorgasmo e i Negazione.
TG: Perfetto, grazie.
Tony Graffio: Ciao. Chi sei? Anche tu fai il fotografo?
Riccardo Fantoni: Sono Riccardo Fantoni, sono di Milano, ho 34 anni e la mia esperienza come fotografo parte con Ptwschool, un blog di Milano che parla di musica, lifestyle, moda e di eventi. Faccio foto da diversi anni.
TG: Mi descrivi la fotografia che hai portato a Out of Tune?
RF: Sì, ho esposto una trilogia di foto che, da una citazione di Camilla Candida Donzella, ho intitolato: "Vergogna è una parola che non dovrebbe esistere". Le tre immagini sono state tratte da un'intervista che le abbiamo fatto lo scorso inverno. Lei è anche una tatuatrice, ha tante cose da raccontare ed è sulla scena milanese da parecchi anni, così abbiamo approfittato per farle delle domande e delle fotografia. Ho il piacere di portare a questa mostra tre fotografie che si collegano benissimo al tema di quest'anno attraverso la bellezza ed il gesto. In queste fotografie, vediamo Camilla che si spoglia e ci fa vedere i suoi tatuaggi, raccontandoci in questo modo la sua storia.
TG: Benissimo, grazie.
Tony Graffio: (Interrompendo persone che parlano con un uomo vestito di bianco) Scusatemi, sono un rompipalle...
Sha Ribeiro: Me l'ha detto Guido: "Ti devo presentare una persona...". "Aspetta un attimo, vado a prendere da bere e poi ci pensiamo...".Gli faccio io. E lui: "Non ti preoccupare, verrà lui da te!".
TG: (Risata) La mia fama mi precede...
Sha: Poi ti ho visto... Tutto bene?
TG: Sì, tutto a posto, mi sto divertendo, c'è un sacco di bella gente. Piacere Tony Graffio.
Sha: Piacere, Sha.
TG: Cosa vuol dire Sha?
Sha: È il diminutivo di un nome che mi hanno affibbiato un sacco di anni fa...
TG: Qual'era questo nome?
Sha: Ehm... Shampoo.
TG: Va beh, meglio non indagare oltre...
Sha: Tranquillo.
TG: Vuoi raccontarmi qualcosa di te?
Sha: Ho 38 anni, sono mezzo portoghese mezzo italiano, vivo a Milano da quando avevo 3 anni e faccio il fotografo.
TG: Che genere di fotografia ti piace?
Sha: Faccio ritratti, non faccio reportage, però tante volte racconto delle sub-culture giovanili attraverso il ritratto.
TG: Fai anche ritratti posati?
Sha: Sì, però diciamo che faccio una sorta di ritratto allargato.
TG: Descrivimi con le tue parole la fotografia che hai portato qui in esposizione.
Sha: Con le mie parole? Si tratta di una fotografia nuda e cruda per il momento che è stato. L'ho scattata a New Orleans nel 2011 in un club che si chiama Duck Off.
TG: Una specie di gioco di parole...
Sha: Sì, un modo elegante per dire... La gente va lì a ballare musica Bounce, un genere musicale tipico di New Orleans. Lì ho visto questa ragazza a terra col culo di fuori che stava twerkando e l'ho fotografata.
TG: Era un bel momento che hai vissuto?
Sha: Mah, faceva parte di un mio progetto del 2011, in cui ho raccontato parte della scena Bounce di New Orleans. Oltre ai personaggi emblematici, mi sono dedicato ad alcuni momenti d'azione frequentando i club. L'ho fatto per avere del materiale da alternare ai ritratti. E' una fotografia che mi piace molto.
TG: Una fotografia dinamica?
Sha: Sì.
TG: La fotografia di ritratto non è morta come qualcuno vuole farci credere?
Sha: No, anzi... Dipende sempre da come uno la intraprende, bisogna essere scaltri.
TG: Fai ritratti su commissione?
Sha: Sì, mi chiamano perché vogliono dei ritratti. Ultimamente, lavoro parecchio con la discografia.
TG: Sia in studio che in esterni?
Sha: Sì. Adesso sto cercando di lavorare di più in esterni perché mi diverto di più fuori. Sto cercando di ricreare uno studio in outdoor. Voglio lavorare in esterni con luci, quinte in campo e così via.
TG: Hai una formazione professionale? hai fatto degli studi specifici di fotografia?
Sha: No, sono autodidatta. Ho fatto l'assistente fotografo di moda dal 2002 al 2006. Quella è stata la mia scuola. Gianni Turillazzi è stato il mio mentore, poi ho lavorato con molti fotografi di moda; da Greg Kadel a Walter Chin, a Steven Sebring.
TG: Hai imparato sul campo.
Sha: Sai, la fotografia di moda è veramente tecnica, si fa tanto studio, ma poi è una roba che torna perché ti dà la possibilità di saper raccontare in un certo modo.
TG: Usi molto la luce artificiale ed i flash?
Sha: Dipende molto dalle situazioni, dal lavoro. Capita anche che mi trovo da solo a voler scattare. In quel caso non mi posso portare troppa attrezzatura con me e scatto in luce ambiente.
TG: Come hai conosciuto Giacomo Spazio?
Sha: Giacomo l'ho conosciuto da pochissimo, so chi è perché è amico di Guido Borso, il mio assistente. Conosco anche Alvin che ha esposto anche lui una fotografia qui in mostra.
TG: Alvin fa il fotografo?
Sha: No, Alvin lavora tanto con il video con un gruppo di 4 ragazzi che si chiama No Text. Sono molto in gamba. Di questa realtà nuova che si affaccia al mondo del lavoro milanese, loro non sono dei furbetti, ecco.
TG: Definisci che cosa vuol dire essere dei furbetti?
Sha: Il furbetto è un paraculo.
TG: (Risata)
Sha: Molti, invece che lavorare bene, preferiscono impressionare il cliente. Oggi tanta gente preferisce impressionare gli altri piuttosto che farli ragionare. E' molto più facile fare dire "Wow" a mille ragazzini e prendersi così un sacco di crediti, piuttosto che fare delle immagini che fanno riflettere. Non è semplice, ovvio, però è più interessante fare un lavoro un po' più profondo.
TG: Come ti devo definire? Un ritrattista o un fotografo di moda?
Sha: Un ritrattista.
Tony Graffio: Ciao Cristiano, complimenti, l'immagine che hai realizzato mi piace molto. Non sapevo che tu fossi anche un fotografo.
Cristiano Guerri: Grazie Tony. Per la precisione, faccio l'Art Director presso la casa editrice Feltrinelli.
TG: La fotografia sembra che ti appassioni. La sai gestire molto bene.
CG: Sì, in effetti mi occupo anche di fotografia, è un po' un aspetto parallelo del mio lavoro, come la grafica. Mi piace avere a che fare personalmente con la fotografia per alcune produzioni. In più, curo un'etichetta che si chiama 0-100 Edition che si occupa di edizioni limitate, sempre nell'ambito della fotografia contemporanea.
TG: Vuoi dirmi per favore come è nata quella fotografia della ragazza incappucciata a fianco dello stencil che riporta il titolo di una famosa canzone di Cyndy Lauper?
CG: Ok. È un lavoro che nasce da un rapporto con mia figlia adolescente e quindi, in qualche modo, è un rapporto un po' dialettico tra la musica di quando io ero ragazzo e lei che si è calata nei panni di un'interprete attuale di queste canzoni. È un modo evocativo per ripensare a ciò che è stato il passato e a ciò che è il presente. Ho preso spunto da una mia vecchia audiocassetta. Mia figlia s'è divertita ad aiutarmi a riflettere sulla musica e su momenti così diversi delle nostre vite. Qua in mostra ho esposto due fotografie che fanno parte di questo progetto che a breve sarà online e che permetterà di esprimere in maniera più organica questo percorso. E' un'idea per allacciare un dialogo intergenerazionale.
TG: Ho capito, si tratta di un lavoro sul tempo e le vite dei giovani. E' un modo per sentirvi più vicini.
CG: Esatto.
TG: Oltre a "Girls just wanna have fun", hai esposto anche un'altra fotografia qui alla Galleria Lampo?
CG: Sì, "Glittering Prize".
TG: Divertente anche quella.
CG: Grazie.
TG: Sono entrambe fotografie costruite.
CG: Sì, sono tutte costruite e fanno parte di una serie. In qualche caso, come Girls just wanna have fun, sono dei dittici, perché il titolo della canzone viene affiancato all'immagine che la rappresenta. In altri casi c'è solo l'immagine senza il titolo, ma che richiama la canzone cui si riferisce. Ovviamente, sono tutte delle messe in scena.
TG: Come mai tua figlia è incappucciata in quella fotografia?
CG: Ho voluto creare un ulteriore collegamento tra la canzone di Cidy Lauper e le Riot Girls; per quello ho aggiunto il passamontagna e lo stencil sul muro. Gli abiti indossati dalla ragazza appartengono alla nostra epoca, cosa che crea un ulteriore salto temporale.
TG: E' una fotografia scattata con una fotocamera digitale.
CG: Sì.
Cesare Cicardini: Cesare Cicardini.
TG: Che fotografia hai esposto?
CC: La mia fotografia è quella che ritrare una figura mascherata coi grandi seni e vestita completamente in latex.
TG: Ah caspita! Il personaggio con i super-mammelloni.
CC: (CC sorride) Esatto. Big Boobs. (risata generale) ma non è una donna, è un uomo. Questa foto è un'anteprima di un progetto mai esposto che ho fatto sul mondo del BDSM, passando praticamente un anno girando nei club italiani.
TG: Mi citi qualche club per favore?
CC: Sono club, o meglio, party dedicati a gente che pratica il BDSM in modo serio. Entri in questi posti soltanto se vieni presentato da qualcuno. Non puoi andare lì perché quel giorno vuoi vestirti da gattina. Lì poi accade di tutto...
TG: (rivolgendomi ad un uomo accanto a CC) Perché annuisci? Ci sei stato anche tu?
Sociologo: Sì, ci sono stato a questi party e devo dire che non sono male...
TG: È stato bello? Ti sei divertito?
Sociologo: Non ho partecipato, sono intervenuto solo come osservatore... e devo dire che chi pratica ci crede veramente e lo fa con serietà, oppure non fa queste cose, perché lì non esistono mezze misure. Quando si tratta di cose estreme o le fai o non le fai.
TG: Eri lì per guardare?
Sociologo: No, io ero lì perché sono un sociologo e sono un occhio che osserva.
TG: Ok, anche i sociologi guardano...
Sociologo: No, i sociologi non guardano, ma effettuano un'osservazione erudita. Tra guardare e osservare c'è una grossa differenza. Credo che anche il fotografo osservi le cose... mentre le persone normali guardano le cose.
Sociologo: Sì, Giovanni Matteo Emiliani.
CC: È un progetto dove è difficile essere accettato, in quanto fotografo. C'è una privacy molto forte, perché trovi avvocati, imprenditori e professionisti...
TG: Tutti mascherati?
CC: Beh, tu li vedi prima senza maschera. C'è lo spogliatoio, poi li conosci... Entrare in quegli ambienti con la macchina fotografica in mano ed essere, in qualche modo, accettato è stato difficile. È stato un lavoro duro, io non c'entro niente con quell'ambiente. A me piace infilarmi nelle situazioni di sub-cultura vere e raccontarle con rispetto.
TG: Che posti sono questi? Puoi citarli?
CC: Sono ville private; a volte dei veri club che in quella data vengono utilizzati a quello scopo.
Mi rivolgo nuovamente al sociologo.
Sociologo: No, non lo sapevano. Questo tipo di studio sul campo si chiama: osservazione celata. Questo è il nome di quello che stai facendo come sociologo quando non comunichi la tua presenza.
TG: Vederti lì a fare niente non ha insospettito qualcuno?
Sociologo: No, perché c'è anche una forte componente di esibizionismo in queste persone.
TG: Hanno bisogno del pubblico?
Sociologo: Talvolta sì. Dipende dalle condizioni della festa.
CC: Queste pratiche arrivano da tempi lontani, qualcuno sostiene il sadismo erotico nasca in Francia nella seconda metà del 1700 con il Marchese de Sade con l'arte della sculacciata per arrivare fino ai giorni nostri con le pratiche più svariate.
TG: C'è dolore?
Sociologo: Beh, c'è una messa in scena del dolore.
CC: C'è chi vuole portare la soglia del piacere/dolore sempre più in alto, fa parte di un delicato gioco di equilibri. C'è il Master, la Mistress e tanti altri elementi classici di un mondo piuttosto oscuro in cui è difficile dare una catalogazione. L'immaginario fetish ha sempre attratto moda e musica, per farti un esempio Madonna nei suoi lavori ha reso omaggio più volte a questo tipo di pratiche. Dunque con il mio lavoro ho cercato di avvicinarmi alle persone vere, autentiche, non a quelle che hanno un approccio carnevalesco alla cosa.
TG: Dove e quando presenterai questo tuo lavoro in modo completo? E come si intitolerà?
CC: Il titolo probabilmente sarà BDSM, come acronimo che contraddistingue questo mondo, anche se poi ci sono sottocategorie. Adesso ho voluto esporre questa fotografia in anteprima, più avanti presenterò altre sei fotografie in una pubblicazione dove compariranno i lavori di altri artisti internazionali. Sono un ritrattista, ma lì compariranno solo degli oggetti, o meglio, gli attrezzi, che sono parte fondamentale per chi pratica BDSM.
TG: Tu sei un fotografo?
CC: Sono sia fotografo che regista.
CC: Faccio parte dell'Agenzia Contrasto.
TG: Come regista che cosa hai diretto?
CC: Diversi documentari, cortometraggi e spot per brand di moda.
CC: Fondamentalmente, sono un ritrattista che lavora con le persone. Da Chris Martin dei Coldplay al barbone. Da Ben Harper alla spogliarellista. Non mi interessa avere di fronte una celebrità o una persona normale, basta che sia una persona vera. Tutto parte dall'uomo. Tutto finisce con l'uomo. Questa è la base della la mia ricerca. La figura umana non ha confini, è fatta di ombre, profili, sfumature. E' doppia. Esiste, c'è. Se non c'è ha lasciato il segno.
Torno all'interno del salone della Galleria Lampo e vengo fermato da una giovane donna.
Benedetta Jann: Ciao Tony, anche tu qua?
Tony Graffio: Ciao Benedetta. Sì, sono passato a vedere la mostra, inoltre espongo anch'io una fotografia, la vedi? È quella in bianco e nero che rappresenta un ragazzo dei Mutoid Waste Company.
BJ: Non sapevo che tu fossi un fotografo.
TG: In effetti non lo sono. Da ragazzo mi sarebbe piaciuto fare il fotografo, ma poi ho pensato che era meglio studiare cinematografia, così ho iniziato a fare l'assistente operatore, per un breve periodo, poi mi sono dedicato ai documentari come cineoperatore e regista ed infine ho un po' tirato i remi in barca mettendomi a lavorare per la televisione. La fotografia resta per me una vecchia passione che ultimamente sto riesumando, anche perché ho molto materiale che non ho mai mostrato a nessuno.
BJ: Come sta andando con il tuo blog?
TG: Mi diverto molto a conoscere artisti, intellettuali, personaggi vari e a raccontare le loro storie, oppure a scavare nelle realtà underground. È una cosa che faccio senza scopo di lucro, solo per il piacere di farlo, ma non sempre vengo capito. Ho iniziato questa attività per documentare la Street-Art a Milano, perché molte opere con il passare del tempo vanno perdute e se non le si fotografa e non se ne parla tutto verrà dimenticato per sempre. Poi, mi sono un po' allontanato da quell'ambiente perché molti sono troppo sospettosi con chi non conoscono direttamente e a me non piace che mi facciano troppe menate.
BJ: Ti interessa il trascorrere del tempo?
TG: Sì, è il soggetto principale della mia narrazione.
BJ: Che programmi hai per il futuro?
TG: Dopo aver documentato lavori molto interessanti e, indirettamente, aver fatto promozione a tantissimi artisti, vorrei pensare un po' a me stesso. Ho preso degli accordi per mostrare le mie fotografie ed i miei lavori in alcuni festival; voglio anche proporre delle dimostrazioni di tecniche particolari e magari autopubblicare dei libri che potrebbero raccogliere i miei pensieri e le storie che voglio comunicare agli altri. Il web mi ha un po' stancato...
BJ: Sei libero giovedì 15 giugno?
TG: Al giovedì sono quasi sempre libero.
BJ: Allora ti invito alla Malaka Gallery, in via Sirtori, 6 per l'inaugurazione di una mostra di Arjan Shehaj.
TG: Ok, ci sarò, ma tienimi presente anche per ospitarmi nella tua Galleria, ho alcune idee di cui parlarti.
Fotografia di Alice Schillaci
Tony Graffio: Alice Schillaci, parlami della tua fotografia.
Alice Schillaci: Si tratta di un dittico. Per me funziona per una questione di volumi, spazio, colori, forme che si inseguono... Non ha nessun significato particolare, se non per il fatto che fa parte di una serie più complessa.
TG: Posso descriverla io?
AS: Vai!
TG: Nell'immagine di sinistra vediamo il dettaglio di una ragazza che si pizzica una natica nuda.
AS: Questo in una parte del dittico, dall'altra invece c'è un Fico d'India che prende fuoco.
TG: Come mai questo abbinamento? E' un richiamo sessuale?
AS: No, non c'è nessuna ragione, mi piace e per me è più che sufficiente questo.
TG: Cosa ti spinge a fare fotografia? Passione, lavoro o ricerca artistica?
AS: Lavoro nella moda, faccio la fotografa di moda e poi tutto il resto.
TG: Grazie.
Guido Borso davanti alla vetrina della Galleria Lampo.
Tony Graffio: Guido, tu sei uno degli ideatori di questo evento, come è nato "Out of Tune"?
Guido Borso: E' un format inventato da Giacomo Spazio; fin dalla prima edizione mi è piaciuta questa iniziativa ed ho preso parte all'organizzazione, nelle sue varie fasi, dalla stampa all'indirizzare l'artista a incorniciare le opere. Due anni fa, la durata dell'esposizione era limitata a quattro ore, ma per questa edizione siamo riusciti ad ottenere lo spazio della Galleria Lampo della Santeria Social Club per ben quattro giorni (attualmente la mostra è stata prorogata fino al 4 giugno. NdTG).
TG: Che cosa vi proponete con questa mostra?
GB: Pensiamo che negli anni in cui viviamo siamo tutti sottoposti ad un bombardamento visivo di immagini commerciali che ci fanno un po' perdere il contatto con la realtà. Out of Tune vuole rieducare lo sguardo dello spettatore verso immagini veritiere non artefatte.
TG: Ho capito, questo era un passaggio che mi mancava.
GB: E poi, in questa mostra tendiamo a dare una frase che serva da traccia a tutti i partecipanti per elaborare un discorso comune. Quest'anno, con "Atti di insana bellezza", abbiamo voluto dare un'indicazione che può essere recepita sia in modo un po' border line o di stimolo per esplorare territori vasti che escono dai soliti percorsi. Personalmente, ho preso diversi spunti per le fotografie che ho deciso di mostrare attraverso i miei scatti. In un'immagine ho mostrato un culo nudo colpito da una cinghiata. Si tratta di un gesto scherzoso tra amici. Un momento divertente che suggerisce di non prendersi mai troppo sul serio. L'altra fotografia che ho esposto ritrae un barbone sui pattini a rotelle vestito da Superman. E' una immagine che ho ripreso a Londra nel settembre 2016. Si tratta di uno scatto fatto con pellicola bianco e nero da 35mm. Una persona in condizioni di difficoltà economiche poteva perdersi d'animo e disperarsi, invece il soggetto della mia fotografia, anche in questa situazione, cerca di trovare un aspetto ironico che gli dia la voglia di vivere e di non essere compatito da chi è più fortunato.
The Last Super Hero - Fotografia di Guido Borso
TG: Non è una performance per spillare soldi alla gente?
GB: No, assolutamente no, ho incrociato questo personaggio in giro mentre aspettavo l'autobus. Gli ho chiesto di rallentare un attimo per scattare una fotografia e questo è il risultato.
TG: Ho visto che su un polpaccio hai un tatuaggio di Edo Solomostri. E' un tuo amico?
GB: Sì è un amico talentuoso che si destreggia con la street-urban-art ed è molto riconoscibile per i segni che lascia. E' molto istintivo ed in un certo senso anche lui potrebbe essere quasi fotografico nella velocità con cui compie il suo gesto artistico.
Un mostro sulla pelle
TG: Sì, l'ho incontrato qualche tempo fa ed ho visto dei suoi murales. Guido tu fai proprio il fotografo?
GB: Sì, per fortuna posso dire che mi occupo di fotografia professionalmente.
TG: Che genere di fotografia?
GB: Reportage, moda, ma anche fotografia commerciale.
Fotografia dei Dr. Porka's - Jesus was not a Rock n'Roll Star (Cena in Emmaus)
Tony Graffio: Tu fai parte di un collettivo?
Dr. Porka's: Sì, i Dottor Porka's.
TG: Siete un gruppo di fotografi?
Dr. Porka's: Diciamo che ci consideriamo degli artigiani. Non ci limitiamo ad una sola forma espressiva.
TG: Conosci Alex Gordon, l'uomo con il KawaHulk e la motogamba?
Dr. Porka's: Ho visto la moto parcheggiata là in fondo...
TG: Lui non fa parte del vostro gruppo?
Dr. Porka's: No, ma all'occorrenza potremmo reclutarlo...
TG: Dr. Porka's, per favore descrivimi la tua fotografia.
Dr. Porka's: E' una nostra reinterpretazione di un passo del Vangelo di Luca (24:13-53) dove Cristo, dopo essere risorto, viene riconosciuto da due suoi discepoli che cenano con lui. Si tratta di Cena in Emmaus...
TG: Certo, ne esistono un paio di versioni del Caravaggio, una è conservata a Londra alla National Gallery e l'altra è qua a Milano, alla Pinacoteca di Brera, dovrò andarlo a rivedere, prima o poi, perché ne ho già parlato tempo fa in Frammenti di Cultura.
Dr. Porka's: La nostra idea era di calare questa situazione in un contesto assolutamente contemporaneo, perciò siamo andati a Torino fuori da un negozio di kebab ed abbiamo scattato questa fotografia con l'aiuto di tre nostri collaboratori che hanno fatto da modelli in questa scena.
TG: Chi fa parte del Dr. Porka's?
Dr. Porka's: Siamo un collettivo composto da tre persone e non vogliamo che ci sia una distinzione tra quello che è il "timbro" di ognuno di noi. Lavoriamo insieme per cercare d'avere una linea comune e non vogliamo distinguerci gli uni dagli altri. Un collettivo è un collettivo.
TG: Come avete fatto ad incontrare Cristo per strada?
Dr. Porka's: Noi abbiamo un filo diretto con l'Altissimo...
TG: L'avete chiamato voi!
Dr. In certe occasioni, lui si presta...
TG: Non è per caso quel disoccupato torinese che un paio d'anni fa andava in giro per le strade di Torino spacciandosi per Gesù?
Dr. Porka's: No, quel tizio è apparso dopo che noi abbiamo fatto la nostra performance. Una delle nostre prerogative è di creare delle situazioni che dopo poco tempo vengono riprese da spot televisivi ed in altre forme comunicative.
TG: E' capitato anche a me, tre anni fa ho fotografato un bellissimo Murales di Canemorto su un palazzo abbandonato che si vede dal ponte di via Emilio De Marchi e proprio ieri (l'intervista è stata rgistrata in audio il giorno dell'inaugurazione NdTG) alla presentazione della Photo Week ho visto proiettata un'immagine molto simile alla mia scattata da un altro fotografo. Io descrivo sempre sul mio blog dove si possono trovare le cose interessanti, dando anche le indicazioni in modo molto preciso, probabilmente sono l'unico che fa così... Ad ogni modo, chi passa di lì può tranquillamente fare la stessa fotografia.
Dr. Porka's: Un pezzo donato alla città è sempre una gran cosa ed alla fine è fruibile da tutti.
Un volto a caso tra la folla
TG: Voi quindi avete fatto una messa in scena fuori dal venditore di kebab?
Dr. Porka's: Che cosa intendi per messa in scena?
TG: Beh, se il Cristo e gli apostoli li avete portati voi, s'è trattato di una regia artistica, non di un'immagine di realtà di vita spontanea...
Dr. Porka's: I nostri interventi fotografici sono tutti costruiti, ma fino ad un certo punto, nel senso che noi scegliamo la location dove agire. In questo caso il posto è fuori dal Palazzo di Giustizia di Torino che è tristemente famoso per svariate vicende. Altre situazioni le abbiamo attuate in luoghi sotto sequestro, tipo Punta Perotti o fabbriche in dismissione in Lussemburgo. A seconda di quello che vogliamo dire, interveniamo con l'aiuto di cellule esterne, dei complici che vengono appositamente chiamati ad agire con noi.
TG: In che anno avete scattato la fotografia di Emmaus?
Dr. Porka's: Nel 2011.
TG: Perciò anche prima di Monica Silva, interessante. Cosa vi proponete di ottenere esattamente con i vostri interventi artistici?
Dr. Porka's: Ci proponiamo di abbattere il confine tra artista/fruitore/attore per giocare tutti insieme ad un gioco dove siamo tutti protagonisti.
TG: Da quanto tempo fate queste cose?
Dr. Porka's: il Dottor Porka's esiste dal 2000 ed utilizza anche il muralismo e la Street Art, non solo il mezzo fotografico.
TG: Insomma, siete dei performer?
Dr. Porka's: Sì. Ci definiamo Street-Photo-Performers.
TG: Perfetto. Avete un sito?
Dr. Porka's: Certo: https://dottporkas.wordpress.com/
TG: E fisicamente, dove vi troviamo?
Dr. Porka's: Due di noi sono a Torino, uno a Bologna e le altre cellule dormienti sono sparse in tutto il mondo, inclusi tecnici e personale di supporto artistico.
TG: Riuscite a vivere con la vostra arte?
Dr. Porka's: Proprio perché il discorso che facciamo non è facilmente vendibile, abbiamo scelto di fare qualcos'altro per mantenerci.
TG: L'opera esposta qui alla Santeria Social Club a quanto la vendete?
Dr. Porka's: È una stampa Lambda 70X100 che vendiamo a 500 euro.
TG: È un pezzo unico?
Dr. Porka's: Ne abbiamo stampate solo due copie, una fa parte della collezione del Farm Cultural Park di Favara, l'altra è quella che vedi.
TG: Ultima domanda. Sei mai stato al Castello di Zakula?
Dr. Porka's: Sì, noi abbiamo avuto la fortuna di dipingere per Zak, proprio nel suo Sancta Sanctorum. Ci ha chiesto un Dr. Porka che puntasse una pistola sullo spettatore e noi con gran piacere lo abbiamo accontentato.
TG: Quando l'avete dipinto?
Dr. Porka's: Ottobre-novembre 2016.
TG: Mi manca, l'ultima volta sono stato al Castello parecchio tempo fa. Dovrò chiedere a Zak di riaprirmi le porte del suo cancello.
Orsola Giunta
Tony Graffio: Ciao Orsola quanti anni hai?
Orsola Giunta: 26.
TG: Ti piace la fotografia?
OG: Molto.
TG: Fai la fotografa?
OG: In realtà no, però anche.
TG: Posso chiederti di che cosa ti occupi?
OG: Produzioni video.
TG: Possiamo dire con chi?
OG: Collateral, una casa di produzione che si occupa di moda.
TG: Parlami della tua fotografia.
OG: (Risata) Ma tu chi sei?! Cosa vuoi da me? (Risata)
TG: Io sono Tony Graffio.
OG: Ok. La mia foto nasce quattro anni fa da un incidente in motorino.
TG: Dove?
OG: Non lo so. In via San Gottardo più o meno, abitavo in via Meda con il mio ex-ragazzo... Lui si è schiantato in motorino ed è tornato a casa pieno di graffi e non poteva toccare niente.
TG: Tu non ti sei fatta niente?
OG: L'incidente l'ha avuto solo lui.
TG: Quindi dovevi fare tutto tu in casa perché lui non poteva fare niente.
OG: Esatto. Allora gli ho detto: "Dato che devo fare tutto io facciamo anche un paio di fotografie." Così è nata "Untouched". La cosa ci faceva ridere, avevamo come sfondo una bella parete azzurra.
TG: Nella foto compaiono le sue mani e lo sfondo azzurro.
OG: Sì, sono le sue mani dopo l'incidente.
TG: Posso farti una foto vicino alla tua foto?
OG: No.
TG: Lontano dalla tua foto?
OG: Va bene.
Tony Graffio: Ciao, scusami vedo che hai il cetriolo in mano, sei una fotografa? (L'organizzazione aveva offerto una consumazione ai fotografi. Il cetriolo era valido come tagliando per il drink. NdTG).
Crash - Fotografie di Camilla Candida Donzella
Camilla Candida Donzella: Sì sono Camilla Candida Donzella.
TG: Io sono Tony Graffio, sto raccogliendo qualche dichiarazione per il mio blog dai fotografi che hanno partecipato a questo evento. In questa occasione sono anch'io un fotografo, la mia immagine rappresenta Uri, un ragazzo israeliano che faceva parte della Mutoid Waste Company. Qual'è la tua fotografia?
CCD: E' in qualche modo abbastanza in tema con la tua. E' quella delle donzelle con le macchine.
TG: Interessante, descrivimi meglio la tua opera.
CCD: Questa fotografia fa parte di un lavoro che ho iniziato nel 2014. Da piccola volevo diventare una stunt-woman, così sono sempre rimasta affascinata dalle ruote, dalle automobili e dalle bici e dai motorini. Ho sempre avuto moto che elaboravo da sola. Seguo le donne che fanno competizioni in auto.
TG: Scusa se ti interrompo, ma comprendo questa fascinazione, infatti tempo fa avevo letto di Yvonne Stagg, la prima donna che aveva corso nel muro della morte ed avevo pensato anch'io di ricercare donne coraggiose che facessero questo tipo di attività per intervistarle.
CCD: Ma dai! Queste ragazze che conosco fanno le gare dove possono scontrarsi, aggiungendo all'abilità di andare veloci un elemento in più che è quello di potersi sfregiare e combattere sulla pista.
TG: Come si chiamano queste competizioni?
CCD: Banger Race: si corrono in Inghilterra. Forse, come limite mio, mi aspettavo di trovare un certo stereotipo di donna, invece la cosa fighissima è che trovi di tutto. Dalla teen-ager truccatissima che si fa mille selfy, alla mamma di famiglia cicciotta.
TG: E poi, diciamocelo, sfasciare le macchine è un po' il sogno di tutte le donne...
CCD: E' una bomba! Io di macchine ne ho sfasciate... Con una ho buttato giù un palo della luce di cemento!
TG: Non in gara, però.
CCD: (Molto più seria) No, a Milano con la pioggia. Frenando in curva in un momento critico.
TG: Per Out of Tune hai estratto un paio di fotografie dal tuo progetto?
CCD: Sì, il mio progetto lo vorrei arricchire con altre fasi del pre-gara, quando le ragazze preparano le macchine e tutte queste cose un po' di contorno.
TG: In Italia non si trova qualcosa del genere?
CCD: In Italia no. Mentre queste gare ci sono sia in Germania che in Olanda. La cosa particolare è che chi partecipa a queste competizioni sembra che lo faccia quasi come una tradizione familiare. Tutta la famiglia è coinvolta. In alcune fotografie ho colto il papà, la mamma, il fratello, tutti ad armeggiare sulla macchina. Parlando con il fratello di una di queste donne ho detto che fare quelle gare era il mio sogno fin da quando ero piccola e lui mi ha proposto di raggiungerli a Croydon per andarli a trovare e provare a correre. Lui mi voleva preparare la macchina.
TG: Sei poi andata?
CCD: Non ancora, prima voglio chiudere il mio negozio di cose bizzarre che colleziono.
TG: Posso dire che hai un nome un po' troppo aristocratico per fare i demolition rally?
CCD: Eh lo so, ma è così. Mio bisnonno si chiamava Candido Maria e mia mamma voleva darmi come secondo nome quello del mio bisnonno. Voleva chiamarmi Camilla Candido, poi fortunatamente mio padre all'anagrafe ha fatto di testa sua e mi ha dato un secondo nome femminile.
TG: Ho capito. Come mai hai composto una specie di trittico?
CCD: E' come un mini-racconto. La fotografia grande l'ho scattata esattamente dopo il crash e si capisce facilmente perché c'è una macchina staccata dall'altra, ma si solleva ancora la polvere dopo l'impatto. E' un dettaglio che devi notare. Nell'immagine più piccolina compare la ragazza che era alla guida. L'adesivo mi faceva ridere. dice: "Bangers race do it harder". Si tratta di un doppio senso a sfondo sessuale e per me è stato divertente accostarlo all'immagine di una donna, e per di più, insieme ad un bambino. Ho voluto giocare con questo slogan che sembra promettere un atto sessuale e la presenza di famigliole sui circuiti ed in gara.
TG: Brava, molto simpatica.
Francesco Merlini, fotografo.
Tony Graffio: Eccomi qua con Francesco Merlini. Chi sei Francesco?
Francesco Merlini: Sono un fotografo con un passato da fotogiornalista. Adesso seguo soprattutto lavori personali ed editoriali per diverse riviste in Italia e all'estero.
TG: Per esempio? Citamene qualcuno.
FM: Financial Times; GQ; Wired...
TG: Qual'è la fotografia che hai portato qui alla Galleria Lampo?
FM: Si tratta di un dittico in bianco e nero che è esposto sulla parete centrale. Qualche anno fa sono stato alla fiera della pornografia e dell'erotismo di Milano ed ho scattato qualche fotografia. In quelle situazioni è sempre interessante andare a scattare qualche immagine, perché rispetto ai night o ad ambienti di scambisti lì è più semplice muoversi con la fotocamera senza dare fastidio. Così ti puoi soffermare maggiormente sui soggetti ed avere più possibilità di trovare la fotografia che stai cercando. Insieme ai due curatori della mostra abbiamo selezionato un paio di foto. Ho utilizzato una reflex digitale utilizzando il flash, cosa che mi ha permesso di evidenziare le texture della pelle delle persone. Sto lavorando ad una mia ricerca che ho intitolato Farang che sta per diventare un libro con Kehrer Verlag, un editore tedesco. Ho già esposto in alcune gallerie a Parigi ed una settimana fa al Festival di Tiblisi. E' il progetto più importante a cui ho dato vita negli ultimi anni.
Fotografia di Francesco Merlini
TG: Conosci Frammenti di Cultura?
FM: Sì, ci ho trovato articoli molto interessanti di fotografia.
TG: Ti ricordi che cosa hai letto?
FM: Quello è un po' più difficile perché ogni giorno guardo davvero tanti siti di fotografia: di giorno lavoro anche come photo-editor in un'agenzia.
Fotografia di Francesco Merlini
TG: Ah, perfetto. Se ti interessi di moda tieni d'occhio anche Ortodossia Fotografica, recentemente ho pubblicato una bella intervista con Gioacchino Del Balzo, l'ex Produttore Esecutivo del Calendario Pirelli.
FM: Assolutamente. Grazie mille.
Anna Adamo, fotografa.
Tony Graffio: Perdonami Anna, ma prima mi sono dovuto allontanare un attimo, mi avevano chiamato per presentarmi una persona.
Grida
TG: Ma cosa succede? Sono i tuoi fans?
Anna Adamo: Niente, ci possiamo spostare un poco?
TG: Sì, va bene. Non preoccuparti facciamo solo due chiacchiere, non è un'intervista seria...
AA: Va bene.
TG: Anna, di dove sei?
AA: Di Cinisello Balsamo.
TG: Ah, Cinisello, una realtà un po' particolare, è una delle zone più popolate dei dintorni di Milano, vero?
AA: Molto popolare.
TG: Vero, popolato e popolare (risata). Come ti è venuto in mente di fare la fotografa?
AA: Non è stata una cosa che ho programmato. Mia mamma mi ha regalato una macchina fotografica per il mio quattordicesimo compleanno e lì ho iniziato a fare le fotografie agli amici, ai concerti e soprattutto a mia madre. Ho iniziato d'istinto e poi non mi sono più fermata.
TG: Quanti anni hai?
AA: 25.
TG: Come hai deciso di buttarti in questo settore?
AA: È la cosa che mi fa sentire meglio e non riuscivo a fare nient'altro con la stessa spensieratezza. Così non ho mai nemmeno provato a fare qualcos'altro.
TG: Hai seguito una formazione professionale?
AA: No, niente. Sono autodidatta.
TG: Come hai incominciato a lavorare?
AA: A 19 anni ho vinto il primo concorso organizzato da Leica Italia. In giuria c'era un fotografo italiano della Magnum, Alex Majoli, è stato lui ad invitarmi a far parte del collettivo che ha fondato lui nel 2007: Cesuralab.
TG: Lo stesso collettivo per il quale lavorava Andy Rocchelli.
AA: Sì. Da lì ho iniziato a collaborare con loro.
TG: Fai reportage?
AA: No, faccio ricerca personale, storytelling e fotografia sociale. Mi interesso molto delle sottoculture giovanili.
TG: Bene. Descrivimi la fotografia esposta qui alla Lampo.
AA: La mia fotografia ritrae due ragazzi che non conosco che ho visto ad una festa. Il ragazzo per più di mezz'ora ha soffiato del fumo sulla ragazza ed io ho una serie di scatti dove lui continuava a fare la stessa cosa. Credo che tra gli atti di insana bellezza possiamo inserire anche questo gesto.
TG: La ragazza lasciava fare?
AA: Sì ed ho pensato che fosse bellissimo fermare quel momento.
Kryptonite - Fotografia di Anna Adamo
TG: Ho visto anche un'altra tua fotografia che hai esposto qui alla Galleria Lampo per "1000 modi di morire, una certa idea di Punk", me ne parli?
AA: Erano due ragazzi punk che correvano sul Lambro. Avevo fatto quello scatto sempre per partecipare al Concorso Leica sul tema: "Giovani": Ho seguito un gruppo di punk monzesi per un po' di tempo. E' una foto spontanea che è uscita in uno di quei pomeriggi che ho passato con loro. E' una delle mie foto preferite.
TG: Che musica ti piace?
AA: La musica Punk, la musica Hardcore e la musica vecchia.
TG: Vuoi citarmi qualche band?
AA: mi piacciono talmente tante cose, comunque, citerei i Ramones, i Rancid, i Nerorgasmo e i Negazione.
TG: Perfetto, grazie.
Vergogna è una parola che non dovrebbe esistere - Fotografia di Riccardo Fantoni
Tony Graffio: Ciao. Chi sei? Anche tu fai il fotografo?
Riccardo Fantoni: Sono Riccardo Fantoni, sono di Milano, ho 34 anni e la mia esperienza come fotografo parte con Ptwschool, un blog di Milano che parla di musica, lifestyle, moda e di eventi. Faccio foto da diversi anni.
TG: Mi descrivi la fotografia che hai portato a Out of Tune?
RF: Sì, ho esposto una trilogia di foto che, da una citazione di Camilla Candida Donzella, ho intitolato: "Vergogna è una parola che non dovrebbe esistere". Le tre immagini sono state tratte da un'intervista che le abbiamo fatto lo scorso inverno. Lei è anche una tatuatrice, ha tante cose da raccontare ed è sulla scena milanese da parecchi anni, così abbiamo approfittato per farle delle domande e delle fotografia. Ho il piacere di portare a questa mostra tre fotografie che si collegano benissimo al tema di quest'anno attraverso la bellezza ed il gesto. In queste fotografie, vediamo Camilla che si spoglia e ci fa vedere i suoi tatuaggi, raccontandoci in questo modo la sua storia.
TG: Benissimo, grazie.
Duck Off - Fotografia di Sha Ribeiro
Tony Graffio: (Interrompendo persone che parlano con un uomo vestito di bianco) Scusatemi, sono un rompipalle...
Sha Ribeiro: Me l'ha detto Guido: "Ti devo presentare una persona...". "Aspetta un attimo, vado a prendere da bere e poi ci pensiamo...".Gli faccio io. E lui: "Non ti preoccupare, verrà lui da te!".
TG: (Risata) La mia fama mi precede...
Sha: Poi ti ho visto... Tutto bene?
TG: Sì, tutto a posto, mi sto divertendo, c'è un sacco di bella gente. Piacere Tony Graffio.
Sha: Piacere, Sha.
TG: Cosa vuol dire Sha?
Sha: È il diminutivo di un nome che mi hanno affibbiato un sacco di anni fa...
TG: Qual'era questo nome?
Sha: Ehm... Shampoo.
TG: Va beh, meglio non indagare oltre...
Sha: Tranquillo.
TG: Vuoi raccontarmi qualcosa di te?
Sha: Ho 38 anni, sono mezzo portoghese mezzo italiano, vivo a Milano da quando avevo 3 anni e faccio il fotografo.
TG: Che genere di fotografia ti piace?
Sha: Faccio ritratti, non faccio reportage, però tante volte racconto delle sub-culture giovanili attraverso il ritratto.
TG: Fai anche ritratti posati?
Sha: Sì, però diciamo che faccio una sorta di ritratto allargato.
TG: Descrivimi con le tue parole la fotografia che hai portato qui in esposizione.
Sha: Con le mie parole? Si tratta di una fotografia nuda e cruda per il momento che è stato. L'ho scattata a New Orleans nel 2011 in un club che si chiama Duck Off.
TG: Una specie di gioco di parole...
Sha: Sì, un modo elegante per dire... La gente va lì a ballare musica Bounce, un genere musicale tipico di New Orleans. Lì ho visto questa ragazza a terra col culo di fuori che stava twerkando e l'ho fotografata.
TG: Era un bel momento che hai vissuto?
Sha: Mah, faceva parte di un mio progetto del 2011, in cui ho raccontato parte della scena Bounce di New Orleans. Oltre ai personaggi emblematici, mi sono dedicato ad alcuni momenti d'azione frequentando i club. L'ho fatto per avere del materiale da alternare ai ritratti. E' una fotografia che mi piace molto.
TG: Una fotografia dinamica?
Sha: Sì.
TG: La fotografia di ritratto non è morta come qualcuno vuole farci credere?
Sha: No, anzi... Dipende sempre da come uno la intraprende, bisogna essere scaltri.
TG: Fai ritratti su commissione?
Sha: Sì, mi chiamano perché vogliono dei ritratti. Ultimamente, lavoro parecchio con la discografia.
TG: Sia in studio che in esterni?
Sha: Sì. Adesso sto cercando di lavorare di più in esterni perché mi diverto di più fuori. Sto cercando di ricreare uno studio in outdoor. Voglio lavorare in esterni con luci, quinte in campo e così via.
TG: Hai una formazione professionale? hai fatto degli studi specifici di fotografia?
Sha: No, sono autodidatta. Ho fatto l'assistente fotografo di moda dal 2002 al 2006. Quella è stata la mia scuola. Gianni Turillazzi è stato il mio mentore, poi ho lavorato con molti fotografi di moda; da Greg Kadel a Walter Chin, a Steven Sebring.
TG: Hai imparato sul campo.
Sha: Sai, la fotografia di moda è veramente tecnica, si fa tanto studio, ma poi è una roba che torna perché ti dà la possibilità di saper raccontare in un certo modo.
TG: Usi molto la luce artificiale ed i flash?
Sha: Dipende molto dalle situazioni, dal lavoro. Capita anche che mi trovo da solo a voler scattare. In quel caso non mi posso portare troppa attrezzatura con me e scatto in luce ambiente.
TG: Come hai conosciuto Giacomo Spazio?
Sha: Giacomo l'ho conosciuto da pochissimo, so chi è perché è amico di Guido Borso, il mio assistente. Conosco anche Alvin che ha esposto anche lui una fotografia qui in mostra.
TG: Alvin fa il fotografo?
Sha: No, Alvin lavora tanto con il video con un gruppo di 4 ragazzi che si chiama No Text. Sono molto in gamba. Di questa realtà nuova che si affaccia al mondo del lavoro milanese, loro non sono dei furbetti, ecco.
TG: Definisci che cosa vuol dire essere dei furbetti?
Sha: Il furbetto è un paraculo.
TG: (Risata)
Sha: Molti, invece che lavorare bene, preferiscono impressionare il cliente. Oggi tanta gente preferisce impressionare gli altri piuttosto che farli ragionare. E' molto più facile fare dire "Wow" a mille ragazzini e prendersi così un sacco di crediti, piuttosto che fare delle immagini che fanno riflettere. Non è semplice, ovvio, però è più interessante fare un lavoro un po' più profondo.
TG: Come ti devo definire? Un ritrattista o un fotografo di moda?
Sha: Un ritrattista.
Glittering Prize - Fotografia di Cristiano Guerri
Tony Graffio: Ciao Cristiano, complimenti, l'immagine che hai realizzato mi piace molto. Non sapevo che tu fossi anche un fotografo.
Cristiano Guerri: Grazie Tony. Per la precisione, faccio l'Art Director presso la casa editrice Feltrinelli.
TG: La fotografia sembra che ti appassioni. La sai gestire molto bene.
CG: Sì, in effetti mi occupo anche di fotografia, è un po' un aspetto parallelo del mio lavoro, come la grafica. Mi piace avere a che fare personalmente con la fotografia per alcune produzioni. In più, curo un'etichetta che si chiama 0-100 Edition che si occupa di edizioni limitate, sempre nell'ambito della fotografia contemporanea.
TG: Vuoi dirmi per favore come è nata quella fotografia della ragazza incappucciata a fianco dello stencil che riporta il titolo di una famosa canzone di Cyndy Lauper?
CG: Ok. È un lavoro che nasce da un rapporto con mia figlia adolescente e quindi, in qualche modo, è un rapporto un po' dialettico tra la musica di quando io ero ragazzo e lei che si è calata nei panni di un'interprete attuale di queste canzoni. È un modo evocativo per ripensare a ciò che è stato il passato e a ciò che è il presente. Ho preso spunto da una mia vecchia audiocassetta. Mia figlia s'è divertita ad aiutarmi a riflettere sulla musica e su momenti così diversi delle nostre vite. Qua in mostra ho esposto due fotografie che fanno parte di questo progetto che a breve sarà online e che permetterà di esprimere in maniera più organica questo percorso. E' un'idea per allacciare un dialogo intergenerazionale.
TG: Ho capito, si tratta di un lavoro sul tempo e le vite dei giovani. E' un modo per sentirvi più vicini.
CG: Esatto.
TG: Oltre a "Girls just wanna have fun", hai esposto anche un'altra fotografia qui alla Galleria Lampo?
CG: Sì, "Glittering Prize".
TG: Divertente anche quella.
CG: Grazie.
TG: Sono entrambe fotografie costruite.
CG: Sì, sono tutte costruite e fanno parte di una serie. In qualche caso, come Girls just wanna have fun, sono dei dittici, perché il titolo della canzone viene affiancato all'immagine che la rappresenta. In altri casi c'è solo l'immagine senza il titolo, ma che richiama la canzone cui si riferisce. Ovviamente, sono tutte delle messe in scena.
TG: Come mai tua figlia è incappucciata in quella fotografia?
CG: Ho voluto creare un ulteriore collegamento tra la canzone di Cidy Lauper e le Riot Girls; per quello ho aggiunto il passamontagna e lo stencil sul muro. Gli abiti indossati dalla ragazza appartengono alla nostra epoca, cosa che crea un ulteriore salto temporale.
TG: E' una fotografia scattata con una fotocamera digitale.
CG: Sì.
Girls Just Wanna Have Fun - Fotografia di Cristiano Guerri
Tony Graffio: Nome e Cognome?
Cesare Cicardini: Cesare Cicardini.
TG: Che fotografia hai esposto?
CC: La mia fotografia è quella che ritrare una figura mascherata coi grandi seni e vestita completamente in latex.
TG: Ah caspita! Il personaggio con i super-mammelloni.
CC: (CC sorride) Esatto. Big Boobs. (risata generale) ma non è una donna, è un uomo. Questa foto è un'anteprima di un progetto mai esposto che ho fatto sul mondo del BDSM, passando praticamente un anno girando nei club italiani.
TG: Mi citi qualche club per favore?
CC: Sono club, o meglio, party dedicati a gente che pratica il BDSM in modo serio. Entri in questi posti soltanto se vieni presentato da qualcuno. Non puoi andare lì perché quel giorno vuoi vestirti da gattina. Lì poi accade di tutto...
TG: (rivolgendomi ad un uomo accanto a CC) Perché annuisci? Ci sei stato anche tu?
Sociologo: Sì, ci sono stato a questi party e devo dire che non sono male...
TG: È stato bello? Ti sei divertito?
Sociologo: Non ho partecipato, sono intervenuto solo come osservatore... e devo dire che chi pratica ci crede veramente e lo fa con serietà, oppure non fa queste cose, perché lì non esistono mezze misure. Quando si tratta di cose estreme o le fai o non le fai.
TG: Eri lì per guardare?
Sociologo: No, io ero lì perché sono un sociologo e sono un occhio che osserva.
TG: Ok, anche i sociologi guardano...
Sociologo: No, i sociologi non guardano, ma effettuano un'osservazione erudita. Tra guardare e osservare c'è una grossa differenza. Credo che anche il fotografo osservi le cose... mentre le persone normali guardano le cose.
TG: Certo, siamo d'accordo. Mi lasci il tuo nome se vuoi essere citato?
Sociologo: Sì, Giovanni Matteo Emiliani.
TG: Ok, grazie mille, adesso torniamo al fotografo.
CC: È un progetto dove è difficile essere accettato, in quanto fotografo. C'è una privacy molto forte, perché trovi avvocati, imprenditori e professionisti...
TG: Tutti mascherati?
CC: Beh, tu li vedi prima senza maschera. C'è lo spogliatoio, poi li conosci... Entrare in quegli ambienti con la macchina fotografica in mano ed essere, in qualche modo, accettato è stato difficile. È stato un lavoro duro, io non c'entro niente con quell'ambiente. A me piace infilarmi nelle situazioni di sub-cultura vere e raccontarle con rispetto.
TG: Che posti sono questi? Puoi citarli?
CC: Sono ville private; a volte dei veri club che in quella data vengono utilizzati a quello scopo.
Mi rivolgo nuovamente al sociologo.
TG: Scusami, ma queste persone in questi "club" sapevano che tu sei un sociologo?
Sociologo: No, non lo sapevano. Questo tipo di studio sul campo si chiama: osservazione celata. Questo è il nome di quello che stai facendo come sociologo quando non comunichi la tua presenza.
TG: Vederti lì a fare niente non ha insospettito qualcuno?
Sociologo: No, perché c'è anche una forte componente di esibizionismo in queste persone.
TG: Hanno bisogno del pubblico?
Sociologo: Talvolta sì. Dipende dalle condizioni della festa.
CC: Queste pratiche arrivano da tempi lontani, qualcuno sostiene il sadismo erotico nasca in Francia nella seconda metà del 1700 con il Marchese de Sade con l'arte della sculacciata per arrivare fino ai giorni nostri con le pratiche più svariate.
TG: C'è dolore?
Sociologo: Beh, c'è una messa in scena del dolore.
CC: C'è chi vuole portare la soglia del piacere/dolore sempre più in alto, fa parte di un delicato gioco di equilibri. C'è il Master, la Mistress e tanti altri elementi classici di un mondo piuttosto oscuro in cui è difficile dare una catalogazione. L'immaginario fetish ha sempre attratto moda e musica, per farti un esempio Madonna nei suoi lavori ha reso omaggio più volte a questo tipo di pratiche. Dunque con il mio lavoro ho cercato di avvicinarmi alle persone vere, autentiche, non a quelle che hanno un approccio carnevalesco alla cosa.
TG: Dove e quando presenterai questo tuo lavoro in modo completo? E come si intitolerà?
CC: Il titolo probabilmente sarà BDSM, come acronimo che contraddistingue questo mondo, anche se poi ci sono sottocategorie. Adesso ho voluto esporre questa fotografia in anteprima, più avanti presenterò altre sei fotografie in una pubblicazione dove compariranno i lavori di altri artisti internazionali. Sono un ritrattista, ma lì compariranno solo degli oggetti, o meglio, gli attrezzi, che sono parte fondamentale per chi pratica BDSM.
TG: Tu sei un fotografo?
CC: Sono sia fotografo che regista.
TG: Per chi lavori?
CC: Faccio parte dell'Agenzia Contrasto.
TG: Come regista che cosa hai diretto?
CC: Diversi documentari, cortometraggi e spot per brand di moda.
TG: Come ti definiresti?
CC: Fondamentalmente, sono un ritrattista che lavora con le persone. Da Chris Martin dei Coldplay al barbone. Da Ben Harper alla spogliarellista. Non mi interessa avere di fronte una celebrità o una persona normale, basta che sia una persona vera. Tutto parte dall'uomo. Tutto finisce con l'uomo. Questa è la base della la mia ricerca. La figura umana non ha confini, è fatta di ombre, profili, sfumature. E' doppia. Esiste, c'è. Se non c'è ha lasciato il segno.
Benedetta Jann: Ciao Tony, anche tu qua?
Tony Graffio: Ciao Benedetta. Sì, sono passato a vedere la mostra, inoltre espongo anch'io una fotografia, la vedi? È quella in bianco e nero che rappresenta un ragazzo dei Mutoid Waste Company.
BJ: Non sapevo che tu fossi un fotografo.
TG: In effetti non lo sono. Da ragazzo mi sarebbe piaciuto fare il fotografo, ma poi ho pensato che era meglio studiare cinematografia, così ho iniziato a fare l'assistente operatore, per un breve periodo, poi mi sono dedicato ai documentari come cineoperatore e regista ed infine ho un po' tirato i remi in barca mettendomi a lavorare per la televisione. La fotografia resta per me una vecchia passione che ultimamente sto riesumando, anche perché ho molto materiale che non ho mai mostrato a nessuno.
BJ: Come sta andando con il tuo blog?
TG: Mi diverto molto a conoscere artisti, intellettuali, personaggi vari e a raccontare le loro storie, oppure a scavare nelle realtà underground. È una cosa che faccio senza scopo di lucro, solo per il piacere di farlo, ma non sempre vengo capito. Ho iniziato questa attività per documentare la Street-Art a Milano, perché molte opere con il passare del tempo vanno perdute e se non le si fotografa e non se ne parla tutto verrà dimenticato per sempre. Poi, mi sono un po' allontanato da quell'ambiente perché molti sono troppo sospettosi con chi non conoscono direttamente e a me non piace che mi facciano troppe menate.
BJ: Ti interessa il trascorrere del tempo?
TG: Sì, è il soggetto principale della mia narrazione.
BJ: Che programmi hai per il futuro?
TG: Dopo aver documentato lavori molto interessanti e, indirettamente, aver fatto promozione a tantissimi artisti, vorrei pensare un po' a me stesso. Ho preso degli accordi per mostrare le mie fotografie ed i miei lavori in alcuni festival; voglio anche proporre delle dimostrazioni di tecniche particolari e magari autopubblicare dei libri che potrebbero raccogliere i miei pensieri e le storie che voglio comunicare agli altri. Il web mi ha un po' stancato...
BJ: Sei libero giovedì 15 giugno?
TG: Al giovedì sono quasi sempre libero.
BJ: Allora ti invito alla Malaka Gallery, in via Sirtori, 6 per l'inaugurazione di una mostra di Arjan Shehaj.
TG: Ok, ci sarò, ma tienimi presente anche per ospitarmi nella tua Galleria, ho alcune idee di cui parlarti.
Uri 1993 - Fotografia di Tony Graffio
Tutti i diritti riservati
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