martedì 2 ottobre 2018

Gomma Festival: 4 grafici di fama internazionale parlano delle loro carriere e di come si diventa illustratore

"Troppe persone si concentrano su come dire una cosa, piuttosto che avere qualcosa d'interessante da dire." Francesco Poroli


Francesco Poroli, Roberto Gentili, Fortuna Todisco e Luca D'Urbino sono gli illustratori che hanno parlato del loro lavoro; Elena di Submarine.it li ha presentati al pubblico del Gommafestival

Come si diventa un illustratore di fama internazionale?

Per saperlo, domenica 9 settembre 2018 all'interno del Gommafestival si è svolta una conferenza/dibattito che ha coinvolto quattro nomi piuttosto conosciuti tra gli addetti ai lavori del mondo della grafica e dell'illustrazione: Francesco Poroli, Roberto Gentili, Fortuna Todisco e Luca D'Urbino.

Gomma Festival 2018
Il cortile di Robb de Matt durante il Talk del GommaFestival 2018

Francesco Poroli è di Milano, lavora qui come illustratore e art-director, tra i suoi clienti figura il New York Times Magazine; Roberto Gentili è di Cosenza, ma vive a Torino, è un'illustratore che ha realizzato vario merchandising per i Verdena; Fortuna Todisco, viene da Bari, è illustratrice per varie riviste e giornali internazionali da Cosmopolitan a Vanity Fair e ha lavorato come fashion designer; Luca D'Urbino, in realtà è di Milano... è conosciuto come Durbo Design e illustra spesso le copertine de: "The Economist". 

Come si inizia e quale è stato il percorso professionale dei quattro ospiti?

Francesco Poroli: Ho una maturità classica; per qualche anno ho fatto finta di studiare lettere moderne e quando mio padre mi ha dato un calcio nel sedere dicendomi di trovarmi un lavoro, mi sono inventato una professione da grafico che in circa 10 anni mi ha portato a collaborare con alcuni giornali fino a diventare un art-director. Ho sempre disegnato fin da bambino. Per la maggior parte del tempo era un'attività terapeutica personale che mi faceva stare bene, ma non immaginavo di poterne ricavare un lavoro retribuito fino a che, per caso, non sono stato pubblicato da: "Wired", anche con i crediti sbagliati... Dopo tutto i "disegnini" che facevo non erano male; ci ho investito sopra un po' più di tempo inviando a 360° le classiche email di presentazione del portfolio, fino a che non è arrivata la prima commissione veramente importante per una copertina del New York Times Magazine. Da lì, in Italia è bastato dire: mi chiamo Francesco e ho lavorato per il New York Times che tutti coloro che prima non mi rispondevano hanno iniziato a offrirmi di lavorare per loro. Oggi, l'illustrazione occupa il 90% di quello che faccio ogni giorno.

Roberto Gentili: Sono un ragioniere che sul finire della scuola superiore ha iniziato ad intraprendere un percorso grafico. Ho frequentato l'Accademia a Napoli e da lì ho iniziato il tirocinio in varie agenzie di comunicazione. Ho anche intrapreso una carriera musicale che poi è quella che mi rende più felice. Ho iniziato a frequentare concerti e festival musicali per conoscere gente e inserirmi in quell'ambiente e cercare di ampliare il più possibile la mia attività lavorativa.

Fortuna Todisco: Ho studiato al liceo classico che non ha nulla a che vedere con la mia scelta professionale; poi ho studiato moda e per qualche anno ho lavorato in questo settore facendo la designer di accessori. Parallelamente, ho iniziato a fare illustrazioni. Successivamente, ma in modo graduale ho abbandonato il design per l'illustrazione e piano piano hanno incominciato ad arrivare le chiamate da parte di grossi marchi e giornali importanti.

Luca D'Urbino: Ho studiato al liceo scientifico, poi mi sono diplomato in disegno industriale, dopo di che ho fatto un master in illustrazione che piano piano mi ha portato a collaborare con il New York Times che è stata la prima rivista a darmi un po' di fiducia. Poi è arrivata anche La Repubblica e due anni fa ho ricevuto una email da The Economist. Come tutti sono partito dal niente, ho fatto girare un portfolio, ma nessuno mi ha mai considerato fino a quando ricevo una richiesta per proporre delle illustrazioni. La cosa bella è che gli americani non li avevo contattati io, ma avevano visto i miei lavori su Instagram. Ho iniziato a spedire A New York un'illustrazione ogni due o tre mesi, per arrivare alla situazione attuale in cui ogni settimana realizzo una copertina. Mi è andata bene.

Come ci si approccia al lavoro: essere metodici o genio e sregolatezza?

Francesco Poroli: Non sono molto bravo ad organizzarmi e a gestire il tempo. Ho sempre adorato procrastinare certi momenti; così se mi dai sei ore per portare a termine un lavoro, forse sono più felice e faccio tutto di filato senza pensarci troppo. Se invece mi dai una settimana è facile che mi metta d'impegno solo nelle ultime sei ore. Credo di riuscire a lavorare bene solo quando sono sotto pressione. Quando mi chiedono quali sono le mie fonti di ispirazione io rispondo che la più importante è la deadline. So che altri procedono diversamente, specialmente per progetti editoriali, ma io non ci riesco, non so nemmeno che giorno è oggi...

Roberto Gentili: In ambito musicale non c'è un vero e proprio metodo, i musicisti di solito si riducono all'ultimo momento e se tu sei una persona che lavora lentamente sei rovinato, anche perché se non finisci il lavoro nei loro tempi non vieni pagato. Però anche se lo finisci e tutto va bene può anche darsi che non ti paghino lo stesso... Se invece lavori all'interno di uno studio è tutto diverso perché riesci a porti dei limiti e un'etica che ti porta a finire il lavoro nei tempi giusti.

Fortuna Todisco: A parte quelle commissioni che ti arrivano all'ultimo momento che vanno smaltite in fretta, io generalmente sono un po' lenta. Lavoro costantemente e devo metterci molto impegno perché i miei disegni sono molto realistici e particolareggiati. Per realizzare un'illustrazione impiego un paio di giorni pieni. Nel caso dovesse chiamarmi d'urgenza un quotidiano sarebbe un po' un problema rispettare certe tempistiche.

Luca D'Urbino: Mi riduco a realizzare i lavori all'ultimo momento perché le commissioni arrivano all'ultimo momento. Di solito mi servono sei ore per preparare un'immagine, o anche tre ore. Se mi arriva una commissione alla mattina, una a mezzogiorno e una alle 17, per mezzanotte tutti vogliono avere in mano qualcosa. Il ritmo di lavoro è molto serrato e per forza di cose non si può essere troppo metodici. Sei sempre sotto pressione, ma a me va bene così perché in tempi brevi si chiude tutto e spesso riesci anche ad essere pagato velocemente ed il compenso è lo stesso, come se tu lavorassi una settimana. Il processo creativo per forza di cose dev'essere molto spontaneo.

È meglio lavorare seguendo un'indicazione data dal cliente o in totale libertà?

Francesco Poroli: Non saprei, ma dal mio punto di vista è meglio lavorare seguendo delle indicazioni o dei divieti. Ci sono aziende o clienti che per assurdo ti dicono quale palette colori devi usare. Questo può renderti la vita facile e anche stimolante, perché se riesci a fare qualcosa che ti soddisfi giocando all'interno di regole strette vuol dire che dopo sarai ancora più contento del risultato che hai ottenuto. Per me è più difficile presentare un poster 70X100 ad una collettiva partendo dal tema: "tecnologia". Solitamente, finisco sempre per disegnare donne o fiorellini, per poi sistemare attorno qualcosa che sia attinente al tema dato. Mi piace darmi un brief da solo, ma a volte quando ti viene dato un brief troppo ampio, quello diventa paradossalmente un limite. Quando la mia creatività può spaziare dove vuole, mi annoio di più, mentre mi piace giocare con le regole molto strette e riuscire a soddisfare poi sia me che il cliente.

Roberto Gentili: Mi trovo d'accordo con Francesco. Se lavori per conto tuo e il cliente non ti pone limiti, puoi sì fare quello che ti viene in testa, però c'è anche il rischio che poi tu esca dal tema che devi trattare. Meglio mettere qualche paletto per essere più equilibrati. Porre dei limiti ti allena ad avere un corretto atteggiamento nel processo grafico. Pensare all'interno di certi colori e certi soggetti, o contenuti, è un esercizio meraviglioso perché quando poi vai a confrontarti con situazioni che ti lasciano più libero, secondo me, riesci a lavorare meglio e a tirare fuori idee che altrimenti non avresti considerato. Avere dei paletti è importantissimo.

Fortuna Todisco: C'è da dire che quando i clienti ti dicono: "Fai tu", in realtà mentono perché sanno invece benissimo ciò che vogliono. Non darti nessuna indicazione ti toglie solo tempo, ispirazione ed energie. È sempre meglio sapere in che ambito muoversi e avere qualche segnale da parte del committente, così poi non rischi di dover presentare troppi disegni. Parlo per esperienza, nello specifico della moda, dove il livello d'isteria è alle stelle e si sentono richieste strane. Racconto sempre di quando ho preparato alcune stampe per un brand che dapprima mi chiedeva un bosco incantato con gnomi, fiori, farfalle, funghi; solo che gli gnomi non erano gnomi, ma erano diventati folletti per poi trasformarsi nel dio Pan. Invece poi non doveva essere neppure un satiro. Le fatine poi non erano fatine normali, ma quelle delle fiabe nordiche. Poi, le farfalle non sono più piaciute a qualcuno, così si è pensato ai calabroni... Diciamo che il brief serve solo se dà indicazioni precise. Alla fine non hanno usato né i calabroni, né il satiro che dal dio Pan è diventato Peter Pan... o qualcuno che gli assomigliasse. L'impegno è durato circa un mese e mezzo e preferirei non ripetere esperienze di quel tipo.

Luca D'Urbino: Confermo che dirti: "Disegna quello che vuoi" è il modo migliore per non farti disegnare nulla. La differenza tra l'artista e il disegnatore è proprio questa: l'artista procede su una sua idea, mentre il disegnatore si attiene a ciò che gli viene commissionato. A me vengono consegnati due tipi di richieste: le illustrazioni interne e le copertine. Le illustrazioni interne per me sono molto più divertenti perché mi viene dato un testo sul quale propongo delle bozze al cliente che poi deve esprimere un parere. Il 99% delle volte sono contenti di quello che preparo per loro. Nel caso delle copertine, da parte loro mi arrivano degli schizzi che sono il risultato di riunioni e discussioni che hanno sostenuto loro. In quel caso disegno con il mio stile quello che loro mi propongono e i disegni mi escono peggio perché lì c'è meno di mio. Nel mio lavoro i paletti ci sono sempre e comunque. Illustrare gli articoli di economia non è mai facile. Cosa si può disegnare per la crisi dei bond? O sulla ricostruzione del sistema finanziario americano? Ogni volta me lo chiedo, ma fortunatamente, tutte le volte riesco a farmi arrivare qualche idea. Iniziando a disegnare le cose saltano fuori...

Si lavora meglio in Italia o all'estero?

Francesco Poroli: Sicuramente, all'estero ti pagano di più e più in fretta. In Italia, per certi aspetti non si sta così male, per certi versi nei giornali italiani c'è quasi sempre un art-director che ha una certa sensibilità e un certo rispetto per te. In pubblicità o in altri ambiti un po' meno. Questo probabilmente perché in editoria ti confronti con un solo responsabile, pertanto il dialogo è più facile perché è solo tra te e lui; mentre in pubblicità parli con l'art-director dell'agenzia che condivide poi la cosa col copy che poi parla col marketing per riferire all'account che parla col cliente... Ora che tutto torna indietro s'è persa la metà della poesia e della parte divertente del tuo lavoro. Pazienza, è anche vero che la pubblicità ti paga molto più dei giornali, per cui tu che lo sai metti in conto che avrai più seccature. La cosa va vissuta un po' anche così. L'idea che dovresti portare avanti è quella di cercare di divertirti sempre facendo quello che fai. Ci sono commissioni che diventano ricorrenti pertanto dopo la decima volta che disegni una carta di credito, se non trovi una scusa per essere un po' ironico è finta. Sei tu che devi trovare la giusta motivazione per ogni tipo di lavoro, al netto di chi sia il cliente, di chi ci sia dall'altra parte e di quanto ti pagano. Ogni lavoro va affrontato con la giusta attitudine, altrimenti diventa un lavoro noioso come tutti gli altri.


Roberto Gentili: Per quanto riguarda l'ideazione del merchandising, o di qualsiasi altra cosa, ho sempre avuto esperienze a livello nazionale. Ho trovato sia persone che ti comunicavano la loro idea, sia quelle che non avevano minimamente nella testa di che cosa avevano bisogno. In quest'ultimo caso reinterpretare i loro pensieri e le loro emozioni per metterle su un foglio di carta non è molto facile. Per Mucchio Selvaggio ho illustrato un articolo all'interno della rivista e mi sono ritrovato a dover rispettare tutti quei canoni che loro normalmente rispettano e applicano. Ovviamente, si può sempre contribuire con un apporto personale, ma è difficile inserirsi in un linguaggio elaborato da altri.

Fortuna Todisco: Lavorare con l'estero è più facile da un certo punto di vista, perché il tuo lavoro è più rispettato e meglio retribuito. Molto dipende anche con quali paesi lavori. Gli americani ti pongono un po' di obiezioni riguardanti il politicamente corretto, mentre in Italia queste difficoltà non ci sono e devo dire che il lavoro è sempre un pochino più poetico, specie se incappi in un bravo art-director. Generalmente, all'estero sono un bel po' più inquadrati. A volte può essere un bene, ma altre volte è alquanto limitante.

Luca D'Urbino: Diciamo che non mi manca non avere clienti italiani. Mi trovo molto meglio con i clienti esteri. All'estero c'è una cortesia che da noi manca. Per il resto è una questione di mestiere. È da un anno e mezzo che illustro articoli di economia tutte le settimane e la cosa credo che stia iniziando a venirmi abbastanza bene. Pur non capendo nulla di economia, sto imparando a cavarmela bene. Adesso che mi stanno proponendo d'illustrare un libro di racconti quasi poetici mi sento spiazzato, visto che non sono abituato a questo genere di cose. Farò un po' più di fatica, ma non importa...


Cosa pensate dei social network, servono o no?

Francesco Poroli: I social network sono strumenti meravigliosa, ma sono un'arma clamorosamente a doppio taglio: se da un lato ti danno modo di auto-promuoverti e metterti in vetrina; possibilità che fino a 10 anni fa non esisteva, dall'altra possono essere un inganno, specialmente per chi è agli inizi della carriera. Nella mia ricerca di uno stile mi rinchiudevo nella mia cameretta e lì facevo le mie prove. Mi permettevo perfino di prendere delle cose e copiarle perché tecnicamente volevo capire come si faceva. Si trattava di un'esercizio di stile che serviva soltanto a me. Imparavo una cosa nuova e la mettevo nel cassetto. Oggi vedo troppi ragazzi che fanno questo percorso, che è corretto, ma poi buttano tutto quello che fanno su Instagram. Poi, di quella ricerca fanno 10 post con l'ashtag #workinprogress e la matitina e la foto dall'alto con il caffè appoggiato sul tavolo... Se stai lavorando non hai il tempo di pubblicare 10 post per un disegno, ma ti dimentichi di pubblicarlo perché già stai lavorando su qualcosa di nuovo. Tutta quella ricerca rimane sana finché è solo tua. Dopo un lungo percorso di quel tipo arrivi a un tuo stile, ma è il frutto di un lavoro che hai condotto nelle tue segrete stanze, al buio e con te stesso. Non sui social. È così che arrivi a sviluppare quello che dovrebbe essere un tuo linguaggio personale, uno stile. Anche se la parola stile è un termine troppo abusato. Credo che lo stile sia qualcosa che trovi soltanto quando smetti di cercare o di farti domande su come esprimere, perché alla fine è un modo di disegnare con il quale ti trovi bene e sei comodo. Quando sei te stesso e lavori senza farti troppe elucubrazioni. È così che trovi la tua voce e di conseguenza il tuo linguaggio. Troppe persone si concentrano su come dire una cosa, piuttosto che avere qualcosa d'interessante da dire. E questa è una cosa che ti frega.

Roberto Gentili: Bisogna stare molto attenti ai social network. Oggi, si disegna molto per moda. C'è il desiderio di far vedere il proprio lavoro agli altri e di raggiungere molte persone per ottenere degli apprezzamenti, ma in realtà se uno ha la passione ed è veramente portato per questo lavoro lo fa per se stesso e non ha bisogno di essere sovraesposto su internet. Capisco il bisogno di sentirsi meglio e comunicare ciò che succede all'interno di noi al di fuori; a maggior ragione se uno è una persona introversa... Questi mezzi vengono usati per comunicare; però Instagram, Facebook e tutti questi social andrebbero usati con moderazione, perché la qualità non si misura con gli apprezzamenti online. Molti la pensano diversamente, anche perché disegnare è un modo per stare al centro dell'attenzione, ma per chi fa davvero l'illustratore, spesso non è così.

Fortuna Todisco: Io li odio. Odio tutti i social network ed in particolare Instagram. Odio tutti i meccanismi che stanno dietro a questi mondi che vivo pochissimo e malissimo. Non so usarli e mi ostino a non volerli usare. Nel mondo dell'editoria il mio atteggiamento non è grave, ma nel mondo della pubblicità tutto quello che è marketing puro, compresa la moda e tutto quello le gira intorno, è molto considerato e molto lavoro viene riversato su questi mezzi. Mi è capitato più di una volta di aver fatto delle prove e di aver sentito delle risposte contraddittorie, del tipo: il tuo lavoro ci piace, ma il tuo concorrente ha più follower... Questa situazione è molto svilente. Può essere vero o no; magari è soltanto una scusa perché quello che disegni non piace abbastanza, però ci sono lavori oggettivamente brutti, o poco professionali che vengono presi in considerazione per il numero di follower che dice di apprezzarli. Questo è tremendo perché svaluta i lavori che valgono e che sono fatti bene e finisce per appiattire tutto.

Luca D'Urbino: Per me, sono uno strumento meraviglioso. Ovviamente è uno strumento; nel momento in cui diventa una sega mentale ovviamente lascia il tempo che trova e fa ma male alla tua condizione psicologica. Ritengo che Instagram sia uno strumento con potenzialità incredibili, perché non ti chiude nella tua bolla di contatti, ma grazie al meccanismo degli hashtag ti permette di essere visto da tutti, compresi gli art-director che stanno dall'altra parte del mondo. Dieci anni fa, questo non era possibile, ma adesso credo che sia giusto mettere i propri lavori in mostra là fuori. Lo dico anche perché a me è stato detto chiaramente d'essere stato scelto in base alla mia presenza su Instagram. Se al tempo non avessi curato la mia pagina, oggi non starei facendo il lavoro che faccio. Questo però non vuol dire che io non voglia cancellare dei lavori che non mi piacciono più...
I social vanno sfruttati bene, senza però riporci tutto il proprio ego e non bisogna sentirsi colpiti sul personale se si raccolgono 40 like invece di 400, perché questo gioco può diventare pericoloso per la propria autostima.

Un consiglio per chi vorrebbe seguire il vostro esempio?

Francesco Poroli: Disegnate, disegnate disegnate e quando avete finito: disegnate ancora. E poi cercate di essere il più professionali possibile. Non bucate le richieste del cliente o le deadline! Non bisogna innamorarsi troppo delle proprie idee, ma concentrarsi sul problema degli altri. Questo lavoro, se fatto bene, è un lavoro vero ed è un po' più complicato di come può sembrare visto da fuori.

Roberto Gentili: Chiudetevi in casa per studiare e lavorare; mantenete i contatti umani con le persone perché solo in questo modo può attuarsi uno scambio di idee e trovare le motivazioni per fare sempre meglio. Lavorare con passione aiuta sicuramente questo processo di crescita. Bisogna anche tenere in considerazione i pareri negativi, perché sono quelli i giudizi che vi faranno crescere. Non ascoltate troppo i complimenti che non sono sinceri. Stare sul filo del rasoio aiuta a spingersi sempre oltre le proprie capacità.

Fortuna Todisco: Non abbiate fretta di vedere subito i risultati del vostro lavoro, cosa che invece capita a chi è troppo legato ai social network e ricerca sempre l'approvazione degli altri.


Luca D'Urbino: Sicuramente non bisogna avere fretta, ma è incredibile vedere quanto velocemente decollano le cose quando funzionano. Mi sento di dare soltanto un consiglio: non arrendetevi. Lavorare tanto non è una garanzia per avere successo in questo ambito, ma è anche vero che se non ci si dà da fare il successo non può arrivare. Bisogna impegnarsi. E oltre a disegnare, bisogna fare mille altre cose. Non sapete mai cosa disegnerete domani e nemmeno se quel viaggio in un paese lontano o la cosa che avete visto nel mercatino sotto casa vi tornerà utile un giorno, magari durante un brief difficile a distanza di 5 anni.


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