lunedì 31 dicembre 2018

Il neurone della gratitudine (artisti e depressione) e il neurone-specchio (arte e linguaggio)

"Il vero artista non lo trovi su Facebook." Sante Egadi

"La routine ammazza la gente, la cura è la creatività." Alex Flash Gordon


Partiamo da un paio di aforismi che ci possono far capire che ormai tutti si sentono artisti, un po' per ambizione, un po' per necessità di uscire da una routine nella quale, prima o poi tutti finiamo per cadere e un po' per auto-terapia. Vogliamo sentirci speciali, avere un nostro pubblico che ci apprezzi e ci incoraggi a manifestare la nostra singolarità o la nostra eccentricità, anche se poi forse non stiamo davvero creando nulla di particolare. 
Ieri, sono stato ad Hangar Bicocca per visitare il grande villaggio di igloo di Mario Merz ricreato all'interno del bellissimo spazio espositivo milanese di Pirelli e ancor più ho capito che ciò che viene inteso come arte contemporanea spesso è soltanto una turba psichica che ci accompagna per tutta la vita.
A questa stregua è comprensibile perché molti artisti oggi preferiscano farsi chiamare artigiani...
In questi giorni di festa, ho deciso di andare un po' controcorrente, anziché parlarvi di cose allegre ho pensato di proporvi un dialogo che ho avuto recentemente con un artista che è già comparso su queste pagine e affrontare in modo un po' alternativo e quasi ironico un argomento che generalmente si preferisce evitare, un po' perché a molti fa paura, un po' perché pochi riescono a parlare in modo distaccato dei propri problemi e delle proprie battaglie personali.
Da tempo cercavo di parlare di arte e pazzia, ma in questo caso con Alex Flash Gordon abbiamo cercato di capire alcuni meccanismi della mente umana che hanno più a che fare con la depressione e gli alti e bassi d'umore cui molti di noi sono soggetti. Ne è scaturito un discorso che mi sembra interessante e a tratti abbastanza auto-ironico. Non è detto che in futuro non si possa riprendere, anche se col passare del tempo tutto quello che è stravagante diventa sempre più la normalità in cui tutti ci muoviamo.
Sarà poi vero che i veri artisti non li trovi su Facebook? Personalmente, considero tutti coloro di cui parlo su questo blog degli artisti; alcuni fanno cose interessanti, altri forse meno, ma le loro storie sono tutte degne di essere raccontate.
Poiché temo che l'anno prossimo potrebbe essere un anno difficile per molti, ho pensato di farmi rivelare da Alex qualche segreto da applicare per tecniche di sopravvivenza psicologica che ci permettano di affrontare qualsiasi tipo di problema la vita ci presenti.  
Vi rivelo tutto qua di seguito. 
Buona lettura e buon anno nuovo. TG

Il cervello è come una boule à neige di Venezia afferma Alex Flash Gordon

Tony Graffio: Alex, cos'è il neurone della gratitudine?

Alex Flash Gordon: Semplice: nel cervello si attiva un neurone...

TG: Possibile che sia uno solo?

AFG: No, effettivamente ti sto per raccontare quello che avviene in un'area del cervello che viene attivata dalla caffeina o dalle droghe; dal sesso o dal fatto che tu hai una gratificazione di qualche tipo. Basterebbe anche un like su Facebook... o su Instagram...

TG: Basta poco, insomma...

AFG: Ci vuole un feedback della gratitudine... In poche parole, quando per esempio un artista vende un quadro, nel suo cervello il "neurone" si eccita e viene gratificato, ma poi quando questa eccitazione si esaurisce l'artista è nuovamente soggetto ad una nuova richiesta di gratificazione per cui nasce la necessità di fare qualcos'altro che provochi un appagamento al quale non sappiamo più rinunciare. In questo modo le sinapsi del cervello secernono ormoni come dopamina e la serotonina che ci rendono felici; ma l'alternarsi di emozioni, se non vengono ben controllate, possono dare luogo a comportamenti patologici che ci rendono schiavi di un certo tipo di esperienze. Per questo molti artisti hanno costantemente bisogno di organizzare esposizioni, eventi e vivere altre occasioni per mettersi in mostra e focalizzare su di loro l'attenzione di pubblico, conoscenti e amici.

TG: Per un artista è difficile convivere con momenti che possono creargli delle emozioni che vanno dall'euforia alla tristezza che lambisce la depressione? È successo anche a te qualcosa del genere?

AFG: Eh sì, perché l'artista è molto soggetto a questa droga ormonale. L'aveva spiegato bene anche Christopher Bangle che è stato chef designer per la BMW dal 1998 al 2009. L'uomo dopo essere uscito dalle caverne ed essersi conquistato una casa, una barca o lo yacht, immagina di creare un'opera d'arte proiettandola nella sua mente e poi la realizza. La felicità è data all'uomo, e all'artista in particolare, dal raggiungimento del proprio progetto.

TG: L'astrazione di un'idea che si può concretizzare, la realizzazione del proprio progetto, o forse anche di un sogno, ci rendono felici?

AFG: Accade esattamente così. Si tratta di un neurone che applica questa strategia del cervello fino a creare una dipendenza. Se tu non hai la consapevolezza di creare una certa rilassatezza rischi di diventare schiavo di questo processo e vivi nella depressione del momento di post-euforia che magari è di breve durata, perché la vendita di un quadro o l'apprezzamento di un tuo lavoro ha magari una collocazione insignificante nell'ambito dello svolgimento di una tua normale giornata. Oppure no, però senti molto forte la necessità di creare altre opere e dedicarti maggiormente all'arte per continuare in quel modo a ricavare soddisfazioni emotive che hanno un impatto chimico sul tuo organismo e ti diano un senso di realizzazione personale attraverso il tuo impegno artistico/professionale.

TG: Questa dipendenza dalla gratificazione mi fa pensare che la causa del nostro stato d'animo è dovuta anche a quello che pensano di noi gli altri. Siamo così fragili?

AFG: Il nostro "neurone della gratitudine" ci fa comportare come se fossimo drogati; a volte basta solo un piccolo complimento ricevuto sui social media per alimentarlo.

TG: Possibile che dipendiamo tutti da questa forma di eccitazione da realizzazione personale? O c'è qualcuno che è immune?

AFG: Hanno fatto degli esperimenti con i topi che sono stati alimentati con la cocaina; poi gli stessi topi sono stati alimentati con acqua e zucchero. I topi hanno scelto lo zucchero e questo ci ha fatto capire che lo zucchero dà più dipendenza della cocaina. Siamo tutti soggetti a dipendenza dagli zuccheri, pensiamo alla brioche al cioccolato... È un  catalizzatore che  agisce sui neuro-trasmettitori.

TG: Lo zucchero può renderci felici e compensare il fatto che quel giorno non abbiamo venduto un quadro o esposto i nostri "capolavori" in una mostra d'arte?

AFG: Lo zucchero può renderci felici allo stesso modo in cui un quadro può averci dato soddisfazione, anche solo per il fatto di aver immaginato una rosa in 3D nella nostra mente che poi dipingendola ci ha permesso di realizzare il nostro sogno. Dopo la creazione e la realizzazione però arriverà un momento di depressione, motivo che ci indurrà a creare qualcos'altro. Lo scopo diventa quello di continuare a creare per avere un riscontro della propria attività artistica. Si ottiene così il raggiungimento del proprio progetto e una soddisfazione che sollecita la continua richiesta delle sostanze chimiche alle quali il nostro cervello s'è man mano assuefatto.

TG: E nel momento che si arriva ad un blocco creativo c'è poi modo di uscire da questo stato di abbattimento e tristezza? Che cosa succede?

AFG: In quel momento si è soggetti ad una patologia. Per uscirne bisogna poi intraprendere un percorso di meditazione e crearsi uno schema mentale in modo che vincere o perdere non modifichi la nostra qualità della vita. Altrimenti si diventa schiavi del dover produrre opere che potrebbero restare invendute e renderci ugualmente infelici; per non parlare della dipendenza dello zucchero, del sesso, della nicotina e di tutte le droghe immaginabili. Il cervello funziona grazie allo zucchero, c'è poco da fare, per cui va continuamente alimentato e gratificato. Se riuscissimo a meditare per due mesi su un'isola deserta riusciremmo a spegnere il neurone della gratificazione e dell'appagamento fino a diventare, non dico come i monaci zen, ma forse delle persone più equilibrate. È importante riuscire a dominarsi, altrimenti si verrà dominati dal "neurone". Il rischio è quello di essere manipolati. Ti faccio l'esempio dello scienziato Stefano Mancuso che ha studiato come le piante manipolano le formiche. Le piante non possono muoversi, se un parassita mangia le loro foglie allora decidono di mandare un segnale chimico alle vespe che arrivano e pungono il bruco e il bruco muore. Le piante danno il loro "nettare" alle formiche per farsi pulire il loro "giardinetto" e tenere alla larga gli altri parassiti. La formica si alimenta così di quel nettare prodotto dalla pianta e si dopa. È così che la pianta manipola l'insetto. È il caso delle orchidee che producono un loro nettare che contiene caffeina per far lavorare per loro i calabroni. In questo modo i calabroni si ricordano dov'è posizionata quella pianta, ma se i calabroni svolgono un lavoro scadente la pianta smette di somministrare loro caffeina. È interessante perché anche noi umani siamo manipolati dal caffè che ci tiene svegli e ci rende più attivi.

TG: Tutti gli artisti possono essere preda della depressione?

AFG: Molti artisti sono depressi. Il poeta in particolare è preda di questo vortice perché una poesia può creare un'illusione, però è anche vero che un grande artista in un momento di grande depressione può creare un'opera d'arte immensa riuscendo così a sfogare l'energia derivante da un abbandono o da una delusione d'altro tipo.

TG: Tu parli di questi argomenti perché li hai studiati, ma anche perché li hai potuti sperimentare sulla tua pelle; è vero? Come ne sei uscito?

AFG: È così. La meditazione è una tecnica facile da praticare per noi artisti. Parlo soprattutto per chi si occupa di arti visive. Attraverso la creazione di un'opera come un film, una fotografia o un quadro si può ottenere velocemente un feedback di quello che stiamo facendo. Possiamo così avere un riscontro in tempo reale. Poi è importante avere sempre pensieri positivi, non arrendersi mai e credere in se stessi.

TG: Che cos'è la meditazione? 

AFG: La meditazione, o  la "Awerness" è consapevolezza di ciò che fai nel momento stesso che agisci. 

TG: Vivere nel tempo presente.

AFG: Esatto. Nel qui e ora come dicono i monaci buddisti, o i guru dello yoga. Io osservo le persone  e noto che la causa della loro mancanza di concentrazione deriva dall'uso smodato dei telefonini e dalle continue notifiche che arrivano su questi strumenti di comunicazione. Spesso chi vive in questo modo è troppo legato al passato o al futuro.

TG: Cosa bisogna fare per ritrovare il proprio equilibrio psichico?

AFG: Il trucco è quello di fermarsi e ragionare sul momento presente, concentrandosi sul qui e ora. Facciamo un esempio: se avessimo partecipato ad un corso di degustazione del vino sapremmo assaporare pienamente le sue qualità, dal colore al profumo, al retrogusto. Allo stesso modo dobbiamo essere capaci di assaporare la nostra esistenza. Esporrò un altro esempio che può farci capire come la nostra attenzione debba essere sempre migliorata ed educata per vivere in maniera più consapevole ogni istante della nostra giornata. Per i giapponesi, la cerimonia del tè non serve a prendersi una pausa, ma ad affinare i 5 sensi e la coscienza di sé. Quando si versa il tè si può sentire il profumo di questa bevanda che cade gorgogliando nella tazza; quando si appoggia la tazza alla bocca si sente al tatto la finezza della porcellana e la temperatura del contenitore e poi si valuta il colore del tè, oltre che il gusto. Bisogna avere una percezione completa di quello che si sta facendo. Usare i 5 sensi ci aiuta a meditare. I 5 sensi ci servono in ogni attività che pratichiamo, anche in quelle in cui pensiamo sia solo coinvolta la vista e l'udito, come accade nel prodotto cine-televisivo e nella timeline del software di montaggio video, ad esempio. Quando riusciamo a farci coinvolgere totalmente da quello che viviamo, allora sì che potremo dire di avere avuto il giusto impatto nella realtà e potremo dire d'essere stati effettivamente lì nel qui e ora perché di quello si tratta. Memorizzare il momento presente. 
Come diceva Leonardo da Vinci, il tempo non esiste: "L'acqua che tocchi de' fiumi è l'ultima di quella che andò e la prima di quella che viene. Così il tempo presente.". 
Se noi non riusciamo a vivere il tempo presente non siamo mai esistiti perché non possiamo avere memoria di quello che abbiamo vissuto.

TG: Giusto. Credi che in futuro tutto verrà filtrato dalle macchine o potremo ancora provare sulla nostra pelle certe esperienze?

AFG: Un giorno, probabilmente, ci saranno delle macchine con algoritmi capaci di riconoscere il rumore del vento e magari saranno sensibili anche al tatto e al gusto, oltre che alla vista e all'udito. Le telecamere diventeranno intelligenti e saranno in grado di predire le nostre indicazioni, ne ha parlato anche un film del 2013 come "Her", dove si vede il protagonista muoversi con un auricolare nell'orecchio per stare sempre in contatto con un computer col quale interagisce in tutto e per tutto. Altro non è che Google con il suo sistema predittivo. Ormai, tutti i comandi viaggiano via audio per esprimere ciò che vogliamo. Ma torniamo al qui e ora e ricordiamoci che l'ascolto è la cosa più importante: poche persone ci ascoltano davvero. Nel dialogo c'è sempre un io e un Super-io che prevalgono su ogni discorso, cosa che ci rende impossibile una conversazione bilaterale col nostro interlocutore. Bisogna sempre trovare la connessione giusta per comunicare efficacemente. Se vogliamo parlare d'arte dobbiamo essere in presenza di qualcuno che si interessa d'arte, ma se ci troviamo di fronte qualcuno che si interessa di cinema o di calcio non si effettuerà questa connessione.

TG: Apparentemente, tutti sembrerebbe che si interessino sempre più al cinema, alla fotografia, alla musica e all'espressione artistica. Sembra che tutti leggano meno, eppure si presenta prepotentemente ad ognuno l'esigenza di essere competenti, anche se più superficialmente, in varie materie. Perché? Abbiamo più tempo libero o siamo più coscienti che dobbiamo prestare più attenzione verso le cose belle e quello che ci fa stare bene?

AFG: Il problema sta nel linguaggio ed il linguaggio dipende dalla nostra cultura e la cultura ce l'hai se hai letto almeno 10'000 libri. Se invece non hai cultura vale la regola del geroglifico. Ecco perché funzionano bene i video. Ormai anche se compri una lavatrice non leggi le istruzioni su un libretto, ma guardi il tutorial su youtube. Il futuro di adesso è nel telefonino e nei suoi contenuti. È più semplice e più diretto trarre da lì le informazioni che ci servono, anche perché si attivano quei famosi neuroni specchio che sono poi quelli che ti permettono di immedesimarti in qualcun altro. Quando vai allo stadio e vedi il giocatore che sta per tirare il pallone in porta, tu sei il giocatore grazie al neurone-specchio. Già un bambino appena nato ha il neurone-specchio, cosa che puoi facilmente verificare quando apri e chiudi la mano mostrandogliela e ti accorgi che anche lui fa la stessa cosa. Se gli parlassi non ti capirebbe perché non ha ancora un linguaggio ma grazie al "neurone" che trasmette il segnale da visivo a meccanico la comunicazione diventa possibile. Stessa cosa quando lo spettatore allo stadio muove le gambe come se corresse in campo. La gente va allo stadio per questo: per vivere l'emozione del giocatore che è in campo.

TG: Anche a teatro si verifica questo transfer tra il pubblico e l'attore?

AFG: Certo, anche a teatro e al cinema. Anzi, in questi ambienti immersi nel buio è ancora più semplice vivere un'esperienza coinvolgente. È questo che vogliamo vivere: un'esperienza al di fuori della nostra vita.

TG: Certo, perché in una vita sola è impossibile vivere tutti i tipi d'esperienze.

AFG: Il cinema, se il film è fatto bene, riesce a darti un'emozione vera e ti trascina dentro la storia. Io a volte mi giro per guardare la gente intorno a me e vedo nei loro volti lo stupore, l'ambizione, l'allegria, la tristezza ed anche a me in certi casi viene da piangere o da ridere perché il film in quell'ora e mezza mi trasmette molte emozioni.

TG: Alex, ma tu come hai scoperto tutte queste cose sui neuroni e su come funziona il cervello umano? Hai fatto degli studi specifici o dipende da un tuo particolare interesse sul linguaggio?

AFG: Semplice: basta andare su youtube e visitare il canale degli scienziati che si chiama TEDx, scegli argomenti di neuroscienze e ti parleranno degli scienziati in lingua inglese, ma avrai dei sottotitoli che ti spiegheranno tutto. Questa mattina ho ascoltato un video che raccontava che il futuro non sarà degli algoritmi perché un algoritmo non può avere un'idea, ma può darti solo delle risposte. L'algoritmo non è creativo perché ha una sua logica scritta. L'algoritmo non è in grado di distinguere una faccia. Se fai una faccia composta da pomodori e zucchine l'algoritmo non sa se quella è una vera faccia oppure no, mentre noi sappiamo che quella è una composizione che sembra una faccia.
Le idee scaturiscono dall'irrazionalità, la mente umana è irrazionale e per questo è capace di produrre arte.

TG: Puoi consigliarci qualche altra tecnica per combattere la depressione e aumentare la consapevolezza del sé?

AFG: Basta respirare. Hai presente quando uno va in apnea che cosa succede? Fa iperventilazione e in quel momento si concentra sul respiro. Con 3 o 4 minuti di iperventilazione la mente si scarica. Hai presente Venezia con la neve?

TG: Sì.

AFG: Bene, adesso ribalta la palla e rigirala, tutta la neve fluttuerà nel vetro per ricadere in mare. Il nostro cervello funziona allo stesso modo, è bombardato da pensieri, ma poiché il multitasking per noi non funziona dovremmo essere come una torcia che illumina la notte. Respirando profondamente la mente si libera dei pensieri in più e va in uno stato di rilassamento e finalmente sì, potrai combattere 100 nemici in un giorno, ma sempre uno alla volta... Bisogna concentrarsi su un solo problema, lo si distrugge e poi se ne affronta un altro e via di seguito. Non si possono combattere 100 avversari alla volta; neanche un campione di Kung fu può fare una cosa del genere. Se hai troppi nemici, quelli non muoiono e combattono sempre contro di te, la soluzione è di combattere i problemi prendendoli singolarmente. Non bisogna mai perdere il punto della situazione, mai farsi distrarre da altri fattori.
Nelle arti orientali il punto è quella zona sotto l'ombelico di 4 centimetri dove concentrare la mente e di quello si tratta. La soluzione è fare una cosa alla volta ma fatta bene.

TG: Sei un cineoperatore con l'hobby della psicoanalisi?

AFG: Sì.

TG: La gente lo sa?

AFG: No. Perché tengo un profilo basso.

TG: Ho capito. Volevo chiederti un'ultima cosa. L'arte nasce dalla sofferenza?

AFG: Assolutamente sì. Posso citare un mio caso personale: ho subito un abbandono e così mi sono messo a dipingere tutta la casa. Ho usato il compressore ed ho dipinto tutte le pareti creando un panorama tridimensionale che partiva dal blu di un'alba e arrivava all'arancione del tramonto. All'interno di questo panorama ho anche inserito delle luci al neon verdi, gialle e blu. Una mia vicina, in via Candiani, mi ha perfino chiesto se avevo parcheggiato in casa un UFO... Allora l'ho invitata da me a vedere la situazione. Quando ho aperto la porta le ho acceso il neon verde, lei ha tirato un gran sospiro per l'emozione. In effetti, la casa era molto particolare, era davvero diventata una scenografia. Fare una cosa del genere per me è stato un atto liberatorio. Da lì ho iniziato a dipingere anche le moto e le macchine. Poi, non mi sono più fermato perché fare qualcosa di creativo mi piace, mi fa sentire bene e va a compensare quel neurone dell'appagamento che vuole gratificazione.

TG: Molta gente pensa d'essere creativa e fa cose banali, però...

AFG: Non importa, la liberazione viene comunque da dentro. Prendiamo Pollock; non sarà mica un pittore? Però si vede che era un uomo con delle energie da scaricare. Pensiamo a quello che diceva Picasso: "A 12 anni dipingevo come Raffaello, però ci ho messo tutta una vita per dipingere come un bambino". Perché il bambino è creatività allo stato puro. 
Il mio guru, Gennaro Romagnoli, dice una cosa molto interessante a proposito dell'arte: noi siamo Top-down. Molte volte noi non vediamo quello che non siamo programmati a vedere, ma un bambino che ha un'attenzione sensoriale invece è Botton-up, questo vuol dire che lui è in grado di stupirsi di fronte ad un tramonto con i corvi che volano nel cielo. Tutto lo affascina perché il bambino non è programmato come noi umani che abbiamo le nostre cose da fare nel corso della giornata, lui è libero.

TG: Eh sì, oltre che manipolati siamo programmati, vero: ma non tutti. Avrei anch'io delle esperienze al riguardo da raccontare. Forse, un giorno le pubblicherò... Il bambino in qualche modo è avvantaggiato perché non ha nemmeno costrizioni culturali.

AFG: Andy Warhol diceva che siamo polarizzati. Dobbiamo stare attenti anche al meccanismo dell'auto-programmazione per il quale da soli stabiliamo ciò che dobbiamo fare ogni giorno e vediamo così solo quelle priorità, senza far caso alla natura e a tutto quello che ci circonda, ma esula dai nostri interessi auto-indotti.

TG: Vuoi dirmi qualcos'altro? Magari riferito alla tua arte?

AFG: L'altro giorno ho comprato una gamba nuova, l'ho montata sulla moto, poi sono andato al cinema, ma quando sono uscito ho scoperto che me l'avevano rubata... Ma ci sta, va bene anche questo, fa parte del gioco.

TG: Era quella trasparente con dentro i led?

AFG: No era un bella gamba, antica, aveva almeno 30 anni, molto stilosa. Le avevo messo un calzino corto a rete, era diventata molto sexy.

TG: Te l'hanno rubata perché arrapava troppo?

AFG: Eh, sì era fatta di una bella plastica, me l'aveva venduta il mio fornitore abituale di gambe che vende calze da più di 50 anni. Pensa che una volta le grandi agenzie preparavano delle campagne pubblicitarie bellissime per i maggiori produttori di calze, c'era Sissy, Golden Lady, Omsa...

TG: Andremo a intervistare anche chi ti fornisce tutte queste bellissime gambe allora. Sei d'accordo?

AFG: Certo, sai che belle cose che ci sono ancora in quel posto? Sembra una Piccola Bottega degli Orrori. È un negozietto in una zona che conosci bene, di fianco ad una pasticceria siciliana, è così antico che bisognerebbe girare un film anche sul proprietario... una persona molto colta e intelligente; pensa che ha ancora tutti i cartelli pubblicitari di tutte le campagne di più di 30 anni fa.

TG: Le gambe sono bellissime!

AFG: Piacciono a tutti: le gambe sono i piedistalli delle donne.

Alex Flash Gordon e la gamba che gli è stata rubata.
Alex Flash Gordon e la gamba che gli è stata rubata.


Tutti i diritti sono riservati

lunedì 24 dicembre 2018

Andrea Bertola, spiritualità del lavoro e birra artigianale in una "public house" cuneese

“Bisogna proprio che la vita sociale sia corrotta fino al midollo se gli operai si sentono a casa loro in fabbrica quando scioperano e ci si sentono estranei quando lavorano. Dovrebbe essere vero il contrario.” Simone Weil

Beertola, Cuneo Cappella del Sacro Cuore
Beertola ha ristrutturato l'interno della Cappella del Sacro Cuore a Cuneo

Ci sono degli imprenditori illuminati che, oltre a sviluppare un'attività artigianale etica e avere a cuore la qualità e la genuinità del prodotto, si preoccupano di agevolare la diffusione delle arti e della cultura per creare un crocevia di incontri e di scambio di pensieri e idee, perché anche la bellezza può aiutarci ad uscire da un periodo economico difficile. 
Per questo ho voluto incontrare Andrea Bertola e visitare un pub molto particolare con circa 100 posti a sedere ricavato in uno storico palazzo di Cuneo (l'ex-cappella Sacro Cuore è stata utilizzata fino ai primi anni 2000 e poi sconsacrata) che adesso ospita mostre d'arte, concerti dal vivo e incontri culturali di vario tipo, oltre a favorire l'inserimento nel mondo del lavoro di categorie di giovani in situazioni di vita svantaggiata.
Circa un paio d'anni fa, all'apertura della birreria-ristorante Beertola venne fatta una proposta al Comune di Cuneo per far diventare questo spazio un punto d'aggregazione dove potessero circolare interessi diversi per la musica, l'arte e la cultura. Al martedì si esibiscono gruppi musicali dal vivo, mentre i muri del locale vengono offerti per un periodo di circa un mese agli artisti della zona, ma anche a coloro che arrivano da altre località, in quanto fino a poco tempo fa, a Cuneo, non c'erano molte possibilità di essere ospitati in vere e proprie gallerie d'arte, così Andrea Bertola ed i suoi soci (Beertola è un'azienda di azionariato diffuso) hanno pensato di rendere questa opportunità più leggera e semplice. 
Andare in birreria offre così anche la possibilità di vedere dei quadri, dipinti o fotografie sempre diversi e conoscere nuovi artisti. Questa scelta può diventare uno stimolo per i giovani, per interessarsi a cosa accade intorno a loro e approfondire un discorso che va oltre il momento conviviale. Beertola ha ospitato convegni di banca etica e finanza etica; quattro incontri di filosofia sull'etica del lavoro e altri eventi di questo tipo. Questa birreria di Cuneo che si è ispirata al progetto di Adriano Olivetti sta diventando sempre più una piccola officina della cultura poiché il lavoro non può essere considerato soltanto come quell'attività che si svolge tra un week-end e l'altro, ma dev'essere un elemento di continuità con l'esistenza che permetta al lavoratore di crescere e di sviluppare i suoi talenti. le sue qualità e di avere un senso di sé e di appartenenza al luogo dove si trova. TG

Beertola, Andrea Bertola, Beertola, Beertola, Beertola
Andrea Bertola, 41anni, Mastro Birraio da più di 20 anni

Tony Graffio intervista il Mastro Birraio Andrea Bertola

Tony Graffio: Ciao Andrea, raccontami chi dei e cosa fai.

Andrea Bertola: Mi chiamo Andrea Bertola, ho 41 anni e sono un mastro birraio.

TG: Dove hai studiato per diventare mastro birraio?

AB: Alla fine degli anni '90, intorno al '97/'98, avevo vent'anni e sono andato a bottega da Teo Musso che è un mastro birraio molto conosciuto (Baladin). Dopo di che sono andato in Belgio dove ho approfondito le mie conoscenze in alcuni birrifici storici, come De Dolle, Cantillion, La Brasserie à Vapeur e via così. Al ritorno dal Belgio sono riuscito a trasformare questa passione in un lavoro realizzando un piccolo laboratorio in un locale di montagna, a Vernate, laboratorio tuttora esistente. Lì è nato il birrificio Troll di cui sono il mastro birraio. Oltre a produrre a mio nome, Beertola, faccio le birre marchiate Troll.

TG: Produci anche per qualcun altro?

AB: Ho fatto delle consulenze per terzi in Italia e all'estero, tra cui il Birrificio Sant'Andrea, Maltus Faber a Genova.

TG: Questo locale nel quale ci troviamo, in via Monsignor Dalmazio Peano 8/b, da quanto tempo esiste?

AB: Abbiamo aperto questa birreria il primo agosto del 2016. Era una chiesa sconsacrata da 10 anni completamente in disuso. L'idea è stata quella di rivalorizzare questo posto pensando ad un progetto che unisse il cibo alla birra artigianale, più una serie di correlati culturali che vanno dall'inserimento lavorativo di persone che arrivano da situazioni particolari e da aspetti più culturali che vanno dalle mostre d'arte ai concerti dal vivo ogni settimana. Una parte dei lavori di ristrutturazione l'abbiamo fatta noi per rendere questo spazio un locale pubblico; mentre un'altra parte dei lavori è stata fatta dalla proprietà che non siamo noi.

TG: Chi ha scelto l'arredamento?

AB: Tutto l'arredamento, l'impianto di insonorizzazione, luci, colori e l'organizzazione degli spazi l'ho fatta insieme a degli amici architetti che mi hanno aiutato in questo lavoro.

TG: La società è tua o ci sono altri soci?

AB: Siamo più soci con quote uguali per tutti. L'idea iniziale era quella di porre buone basi per il futuro.

Andrea Bertola al bancone di Beertola, a Cuneo in via Monsignor Dalmazio Peano 8/b
Andrea Bertola al bancone di Beertola, a Cuneo in via Monsignor Dalmazio Peano 8/b

TG: Iniziamo a parlare di birra. Che birre propone il tuo marchio?

AB: Le birre attualmente presenti si rifanno tutte al panorama belga, tranne una; d'altronde la mia formazione è quella. Abbiamo una blanche classica speziata con coriandolo e buccia d'arancia, poi abbiamo una blonde ale di base che è molto simile alle blonde monastiche, poi andando sulle dubbel abbiamo una birra ambrata sui 7,5°, si tratta di una birra abboccata molto morbida. Saliamo di gradi e troviamo una tripel, siamo al limite di 10° alcolici, è una birra chiara dry, con un finale secco. Infine, abbiamo una birra che s'ispira di più alle tradizioni inglesi, un vino d'orzo. Una barley wine dai 13 gradi alcolici con una maturazione molto lunga: oltre due anni. Il nome vini d'orzo non deve trarci in inganno in quanto queste sono birre in tutto e per tutto.

TG: Per arrivare a queste ricette hai dovuto attraversare un cammino lungo fatto di prove e tentativi, oppure fin da subito sei riuscito ad arrivare al tipo di prodotto che ti eri prefissato?

AB: Per questo progetto sono riuscito fin da subito ad ottenere quello che volevo perché sono birre che fanno parte di una mia esperienza ventennale nel settore. Ho ipotizzato le ricette e dopo averle eseguite, nel 90% dei casi sono arrivato al risultato finale più o meno che avevo pensato.

TG: Ti reputi soddisfatto?

AB: Molto soddisfatto, in particolare della Metta (belgian dubbel) e della Sattva (belgian tripel). Queste birre, a detta di alcuni giudici che arrivano dal Belgio,  a livello stilistico sono perfette. Mentre la Karuna (barley wine), ha avuto riconoscimenti su quasi tutte le guide nazionali, è una delle migliori birre d'Italia, quindi meglio di così...

Birre di Beertola
Il parere di Slow Food sulle birre di Beertola

TG: Cosa pensano dei tuoi prodotti i concorrenti presenti sul territorio?

AB: Tra i colleghi, anche per gli anni di lavoro, sono abbastanza stimato e mi cercano, soprattutto quando c'è bisogno di una mano per risolvere qualche problema; d'altronde in 20 anni di lavoro ho visto tutto quello che può accadere in un birrificio. Chiaramente, anche se c'è un buon livello di vicinanza siamo tutti competitor, per cui alla fine...

TG: Collaborate anche se siete concorrenti?

AB: Un po' sì, il segmento di mercato è questo.

TG: Non ho trovato le tue birre in vendita a Milano. Le proponete solo qui o c'è modo di acquistarle altrove?

AB: La distribuzione per il momento non è molto capillare, questo anche per una mia scelta personale perché preferisco che le persone vengano qui nel locale e che piano piano conoscano la birra partendo da qua e poi, magari, che arrivi anche altrove. Non sono così fanatico della distribuzione, anche per tutto quello che la distribuzione implica: trasporti e problemi di tutti i generi. Anche nel Medioevo la birra veniva fatta per il borgo e per essere consumata sul posto. Fino a quel momento era un progetto sostenibile; quando i birrai iniziano a portare la loro birra ovunque iniziano ad esserci dei problemi correlati che per me sono un po' più difficili da risolvere. Io preferisco farne un po' meno, ma molto buona in modo che se vuole la gente viene qua la consuma e poi si porta qualche bottiglia a casa.

TG: Quanta birra produce Beertola?

AB: Produciamo 500 ettolitri all'anno. 50'000 litri circa per tutti i tipi di birre.

TG: La ricerca degli lieviti è stata difficile?

AB: Per un birraio di stile belga il lievito è tutto. Mentre in Germania, in UK e negli USA le birre sono fatte dalle materie prime, orzo e luppolo, in Belgio il re indiscusso della birra è il lievito e quindi queste birre hanno una selezione di lieviti molto particolare e ricercata che aiuta ad ottenere il prodotto finale. I nostri sono tutti lieviti selezionati da un laboratorio italiano che lavora su ceppi che provengono dai monasteri.

TG: Dove si trova il vostro laboratorio di produzione?

AB: Il laboratorio è a Vernate, lì produco sia per me che per Troll.

TG: Fermenta tutto nell'inox?

AB: Sì, usiamo tutto inox. Non usiamo il legno, anche se abbiamo delle ricette che potrebbero andare bene per quel materiale. Stiamo ancora lavorando sull'acciaio.

TG: Il marchio e la grafica del marchio come l'avete scelta?

AB: Il marchio è di una semplicità estrema: è il simbolo dell'infinito ripetuto molte volte: la lemniscata ha dato origine ad una ruota intorno al nostro nome ed al simbolo stesso dell'infinito. L'ha ideato uno studio di Milano che si chiama Visualmade, tra l'altro tra i fondatori di questa azienda c'è una ragazza di Savigliano che ormai si occupa di grafica e di marketing ad altissimo livello. In ragione di un'amicizia storica abbiamo creato insieme il nostro logo.

TG: Beertola che progetti ha per il suo futuro?

AB: Non vogliamo crescere tanto in produzione, ma variare tantissimo le tipologie di prodotto spostandoci in parte su alcuni stili storici come le porter, le birre balcaniche o su quegli stili un po' più ricercati. E poi sicuramente ci sarà qualche sviluppo sulle birre in legno e le farmhouse e le birre belghe più tradizionali.

TG: Cosa sono le birre balcaniche?

AB: Le porter balcaniche sono birre scure molto forti, di norma sugli 8-9 gradi che ricordano toni di legno molto marcati perché fanno alcune maturazioni in botte. Erano birre che tradizionalmente erano prodotte per lo zar nel periodo austro-ungarico. Erano birre di altissimo livello, mentre il popolo beveva il kvass o la birra di pane.

TG: Per l'acqua cosa fai?

AB: Non faccio nessun trattamento perché l'acqua che utilizziamo a Vernante è di sorgente con una durezza media in gradi francesi ed è adatta ad essere utilizzata per qualsiasi tipo di birra. Non c'è bisogno di fare trattamenti di correzione o desalinizzazione la usiamo tale e quale come sgorga dalla sorgente.

TG: A quanti metri è la sorgente?

AB: L'acqua sgorga a circa 1200-1300 metri, mentre lo stabilimento è a 980 metri sul livello del mare.

TG: Non è troppo in alto la sorgente?

AB: La nostra acqua ha la durezza giusta. Si può dire che l'acqua di sorgente non è a tutti i costi una garanzia per una buona acqua, però le acque di sorgente che normalmente hanno durezze medie sono indicate per produrre tutte le tipologie di birra e non necessitando di trattamenti di nessun tipo sicuramente renderanno il prodotto finale molto più leggero e digeribile. Non dimentichiamoci che il 94% di una birra è acqua e che l'acqua è fondamentale.

TG: Dev'essere una sorgente particolare perché a quell'altezza normalmente c'è poco calcare, vero?

AB: Noi utilizziamo l'acqua che viene incanalata in una falda leggermente calcarea, tra l'altro tocca anche delle falesie di roccia che sono famose per essere calcaree. A seconda del periodo dell'anno l'acqua si arricchisce di sali in modo da avere 10-12°di durezza francese ed essere ideale per fare più o meno tutti gli stili.

TG: La vostra birra è biologica o può essere considerata tale?

AB: Io mi rifaccio tantissimo a quello che dice Carlin Petrini perché ho lavorato con lui. È buono, pulito e giusto, quando si parla di birra artigianale è fondamentale. Se non selezionassimo accuratamente le materie prime per la birra artigianale faremmo solamente un lavoro a metà. Se utilizzi un malto pieno di glifosato o pesticidi, alla fine quegli elementi passano nella birra che bevi. Le nostre birre non sono certificate biologiche, ma stiamo molto attenti alla selezione dei fornitori e cerchiamo di privilegiare chi ci garantisce che i loro prodotti arrivino dal territorio europeo e non vengano trattati con pesticidi e che siano coltivazioni quanto meno integrate. A tratti utilizziamo proprio prodotti biologici, ma non su tutte le birre. La nostra blonde ale (Upekkha) invece è completamente senza glutine. Sto affrontando un discorso per offrire una buona birra anche a chi soffre di celiachia. Infatti adesso, anche la nostra cameriera Giulia adesso può bere tranquillamente la nostra birra.

TG: Hai mai prodotto il sidro? Oppure l'idromele?

AB: Sì, sia di mele che di pere con un progetto che curavo precedentemente quando lavoravo per una consulenza in un birrificio nel carcere di Saluzzo. Il progetto si chiamava "Pausa-caffè", mentre il sidro di pere si chiamava "Speriamo". I sidri iniziano a trovare una penetrazione nel mercato abbastanza interessante; l'idromele invece è una bevanda molto più ricercata di cui non mi sono ancora interessato.

Daniel Tummolillo
Da Beertola è in corso una mostra di serigrafie di Daniel Tummolillo

Tutti i diritti sono riservati


sabato 22 dicembre 2018

Reality '80 (La realtà degli anni '80 secondo Enrico Bertolino)

"All'epoca forse non tutti se ne sono accorti, ma noi che abbiamo visto gli anni '80 potremmo narrare cose che voi umani non immaginereste nemmeno. Quello è stato il miglior decennio che abbiamo conosciuto." TG

Il decennio 1980-1989 è stato un periodo felice? Migliore di oggi? Può essere. Sicuramente, c'erano meno preoccupazioni; negli anni '80 l'Italia era considerata una delle maggiori potenze mondiali. Il benessere del Belpaese è da sempre legato alla situazione economica di Milano, la città che oltre a produrre beni materiali ha sempre dato vita a movimenti artistici d'avanguardia, oltre che culturali e di costume. La mostra inaugurata al Palazzo delle Stelline il 19 dicembre raccoglie qualche souvenir di quel periodo in cui erano presenti idee che arrivavano anche da più lontano, ma che poi hanno in qualche modo contaminato la realtà di tutti, rivitalizzandola.
Agli inizi degli anni '80 ogni sogno sembrava realizzabile; nel 1982 la nazionale di calcio vinceva il campionato del mondo in Spagna; ci si confrontava alla pari anche in campo politico ed economico con gli altri grandi paesi europei e non si parlava ancora di globalizzazione. 
Con il crollo del muro di Berlino poco alla volta si capì che la nostra era un'economia drogata che riceveva aiuti segreti sia da Ovest che da Est. Una volta che il nostro paese ha smesso di coincidere con la linea di demarcazione della guerra fredda stranamente è scoppiato un caso "mani pulite" e da allora non siamo più riusciti ad uscire da una crisi totale che dapprima si è palesata attraverso una carenza di valori etici, morali e poi ha coinvolto tutti gli altri aspetti della vita politica, sociale ed economica, ideologie e produzione industriale comprese.

Giacomo Spazio décollage Reality '80, mostra Reality 80 Credito Valtellinese
Per vivere in città bisogna essere una tigre - Giacomo Spazio - Collage e décollage 1988.

Gli anni '80 hanno visto aumentare la competizione e la voglia di arrivare in alto e diventare qualcuno nel mondo del lavoro, specie nel settore del terziario avanzato. La Borsa valori veniva descritta come la nuova Mecca del travet in carriera, ma come era facile da intuire questa è stata un'illusione di breve durata nella famosa "Milano da bere" che ha visto molti giovani perdersi per strada negliabusidelle sostanze che li aiutavano a dare il massimo, a sostenere ritmi impossibili e ad aumentare la propria aggressività nelle lotte per primeggiare in ogni campo.

Milano da Bere, Mostra Reality '80, Credito Valtellinese Palazzo delle Stelline
Milano da bere. L'avvento di Tangentopoli ha bollato la città di Milano degli anni '80 utilizzando il claim sortito dalla creatività del copywriter Marco Mignani per la campagna pubblicitaria di Ramazzotti del 1986. Lo scatto è di Mario De Biasi

Quasi quarant'anni fa esisteva ancora un'industria discografica autoctona (anche questa a Milano) capace di piazzare a livelli altissimi le sue proposte musicali anche all'interno della Top 100 americana con i conseguenti ritorni di immagine e di denaro. Potrei citare moltissimi nomi: mi limito a quello di Giorgio Moroder, autore dell'indimenticabile colonna sonora di Flashdance del 1983.
Anche l'arte, la grafica, e lo spettacolo attingevano dal mondo musicale, osservando alcune opere esposte in corso Magenta, 59 non si può fare a meno di riconoscere gli emuli del grande Alberto Camerini tra alcuni arlecchini dai volti colorati in modo sgargiante.

Anna Gili, Alberto Camerini, Reality '80
Le persone dipinte (1986), di Anna Gili, ci ricordano l'Arlecchino elettronico milanese, Alberto Camerini.

In mostra non mancano 50 immagini fotografiche di Maria Mulas che documentano i party scintillanti degli anni del dopo-terrorismo, oggetti di vario tipo utilizzati in ambito industriale o pubblicitario e le divise griffate da "sfitinzia" e "gallodidio" dei paninari che frequentavano il "Panino Giusto" e piazza San Babila.

Reality 80, Reality '80, Reality '80, mostra Credito Valtellinese, Reality 80, Reality 80, Reality 80, Reality 80
A Reality '80 coesistono opere artistiche, pezzi artigianali, industriali, prodotti informatici e materiali realizzati con varie tecniche, attuali e inattuali che si propongono anche come recupero da qualcosa di preesistente o suggeriscono un successivo assorbimento biodegradabile nell'ambiente circostante.

Adesso però ascoltiamo la testimonianza di un ex-giovane universitario degli anni '80 che forse non voleva diventare uno yuppie, ma che è ugualmente riuscito a raggiungere la fama ed il successo nel mondo dello spettacolo qualche anno dopo, negli anni 90. TG

Tony Graffio intervista Enrico Bertolino

Tony Graffio: Enrico, tu hai studiato alla Bocconi negli anni '80, vero? Com'è stato?

Enrico Bertolino: Sì, ho studiato alla Bocconi in una situazione particolare; il mio diploma di laurea è di indirizzo turistico, per cui ho potuto frequentare l'università lavorando. Gli anni '80 per me hanno avuto due risvolti positivi: poter affrontare gli ultimi due decenni del secolo lavorando, lavoravo in banca dopo che avevo prestato il servizio militare, e poterlo fare studiando, continuando il mio processo di apprendimento. Queste situazioni per me sono state importanti.

TG: Volevi diventare un manager?

Enrico Bertolino: No. Avevo ottenuto un diploma di perito turistico perché pensavo che il turismo potesse diventare il mio futuro. Credevo di poter avere una carriera nella managerialità in quel settore; solo che mi sono accorto abbastanza velocemente che tutte le agenzie di viaggio erano a gestione familiare, per cui entravano in azienda solo i nipoti ed i figli dei titolari. Questo problema mi ha spinto a restare in banca, avevo già una mia occupazione che poi mi ha portato a fare un'esperienza lavorativa all'estero per un anno, cosa che per me è stato un grande privilegio, oltre che un vantaggio.

TG: Ti sembra che la situazione sia cambiata dagli anni '80? Allora si poteva sognare in un futuro migliore, e adesso?

Enrico Bertolino: Il processo degli anni '80 era qualcosa in evoluzione; vivevamo in una situazione che poteva essere drogata dalle euforie del momento e derivavano anche da governi che promettevano di tutto. Con una mano elargivano, mentre con l'altra nascondevano, però quella era una situazione in divenire. Oggi, vedo un processo involutivo nonostante altri governi continuino a fare promesse mettendo le mani nelle tasche degli italiani. È la speranza che fa la differenza. In quell'epoca, anche perché ero molto più giovane, avevo molte più speranze. Oggi invece ho un po' più di preoccupazioni e riverso le speranze su mia figlia. La nostra generazione deve pensare un po' meno a se stessa e un po' più agli altri.

TG: Hai qualche ricordo particolare della "Milano da bere"? Che cosa rimpiangi di quel periodo?

Enrico Bertolino: Il ricordo più vivido è di come è cambiata questa Milano. Prima c'è stata la "Milano da bere", poi quella da mangiare perché hanno mangiato tutti. Quelli che hanno mangiato troppo li hanno presi e da qualche anno a questa parte abbiamo avuto ancora un po' di "Milano da digerire" e la stiamo digerendo perché adesso sta diventando una città valida in termini di sviluppo di infrastrutture e di trasporti. Se ci guardiamo intorno ci rendiamo conto che stiamo diventando il modello più mitteleuropeo che c'è. Il mio ricordo più vivido è il quartiere dove sono nato. Sono nato all'Isola, a Milano. In quel quartiere, una volta, c'era veramente una situazione complessa e tutti ti dicevano - "Ah sei dell'Isola? Mi dispiace... Ostia, quand'è che vai via?" - perché c'era una realtà un po' difficile...

TG: Era il quartiere della Mala, della Ligera.

Enrico Bertolino: Era il quartiere di una Ligera ancora onesta, quelli che non si spingevano oltre le bastonate. Oggi, invece, tutti dicono: "Sei all'Isola? Porca miseria... Vendi? Perché ci interesserebbe venire lì...". A parte le fashion week e tutte quelle iniziative sulle quali Milano è cresciuta, penso che ci sia stato uno sviluppo positivo (a parte qualche eco-mostro di troppo ndTG) che però non deve lasciare indietro nessuno. È cambiato il profilo sociale del quartiere che da proletario emergente è diventato più borghese, ad uso ufficio e movida. Dobbiamo però ricordarci che anche le periferie fanno parte di Milano. Se dovessi dare un input, ma non sono io a doverlo dare perché io faccio il comico...

TG: Però i comici ultimamente contano in politica...

Enrico Bertolino: Ah beh, certo, ce ne uno che ultimamente ha detto che non sta né a destra né a sinistra, per non essere un bersaglio fisso, forse... Io, sinceramente, mi curerei delle persone che vivono in periferia. L'inurbamento è stato un grande fenomeno a Milano e adesso siamo quasi arrivati a considerare Monza Milano, anche se loro sono targati MB... Attenzione, perché le periferie fanno parte del tessuto urbano e non possiamo più fare come all'epoca delle mure spagnole e chiuderci all'interno di quella cerchia.

TG: Vero. Secondo te, la "Prima Repubblica" era proprio da buttare via?

Enrico Bertolino: No. Finché si parla di Res publica (cosa pubblica) non c'è mai niente da buttare via. Una Res privata mi farebbe più paura.

TG: Grazie Enrico, ma adesso dimmi la verità, ti piace davvero la nuova Isola?

Enrico Bertolino: Sì, io vivo ancora lì. Non ho mai abbandonato il quartiere perché a me piace molto; però ho visto davvero il cambiamento.

TG: La Stecca degli artigiani te la ricordi?

Enrico Bertolino: La Stecca me la ricordo molto bene, ci andavo perché ero lì a fianco, per cui ho fatto molta "attività sociale" lì all'interno. Mi è dispiaciuto quando la hanno abbattuta, però devo dire che ad un certo punto la situazione era un po' degenerata e bisognava fare qualcosa, ci voleva un cambiamento. Avrei preferito che avessero mantenuto la matrice commerciale della vecchia Milano perché quello era un timbro bello.

TG: Adesso sembra tutto finto: bar che aprono e chiudono nel giro di 3 mesi...

Enrico Bertolino: È arrivata Google, ci sono i grandi palazzi, il bosco verticale... Nuovi elementi che hanno arricchito le infrastrutture, ma non bisogna dimenticarsi che ci sono le case Aler lì a fianco. Non si possono chiudere i rubinetti e pensare che la gente sparisca. Non sparisce, bisogna coinvolgerla e farle fare qualcosa.

Reality '80 è a Milano, in corso Magenta 59.

Orari e ingressi: da martedì a venerdì 14.00 –19.00, sabato 9.00 – 12.00, apertura straordinaria sabato 23 febbraio 10.00 – 19.00. Chiuso domenica e lunedì; 25 e 26 dicembre, 1 gennaio.
Fino al 23 febbraio 2019. Ingresso libero. Info: 02.48008015.