Che cosa c'entra questa serie televisiva con un blog che parla d'arte, di cultura e dintorni? Sicuramente il cinema e la televisione fanno parte di quei linguaggi delle arti visive che sono più facilmente comprensibili dai giovani, come lo fu un tempo la Pop-Art americana, quindi anche questi fenomeni delle serie televisive vanno seguiti per analizzarne i risvolti socio-culturali e non solo. A livello di filmografia possiamo citare alcuni film, tra i più famosi: La notte dei morti viventi (1968); Zombie (1978) di George Romero; 28 giorni dopo; L'armata delle tenebre; Planet terror; Io sono Leggenda, World War Z; Zombieland; The Horde; Resident Evil; Dead snow; Fear the walking dead e tanti altri.
Nella serie "The Walking Dead", nessuno sa ancora perché, quando la gente muore dopo poco tempo si trasforma in Zombie (termine di origine haitiana connesso ai riti Voodoo) ovvero, ai morti viventi. Quello che notiamo è il disgregamento delle leggi e delle norme sociali preesistenti. L'unica cosa che conta è sopravvivere. Per far ciò, qualsiasi mezzo e strategia sono leciti. Il pericolo infatti non solo viene dagli zombie, ma anche da altri uomini in cerca di cibo e di risorse di ogni genere, indispensabili alla vita. Notiamo che nel corso degli episodi si formano gruppi di persone che unendo risorse e capacità creano delle piccole comunità. Ecco allora che in questo nuovo mondo solo i più forti ed i più furbi sopravvivono. È una metafora del nostro mondo?
Un altro aspetto molto interessante della serie è la dinamica dei rapporti sociali all'interno del gruppo dei protagonisti. Nascono amicizie, amori, odi e così via.Questi ingredienti vengono sapientemente miscelati e sviluppati.
Ma chi sono gli zombie? Esseri cerebralmente morti, ma ancora fisicamente viventi come molte persone che ci circondano nella vita reale.
Una cosa che non ho mai capito è perché in alcune produzioni televisive/cinematografiche corrono veloci come gazzelle della savana, mentre in altre sembrano dei bradipi sudamericani.
Comunque il risultato è sempre lo stesso: mangiano i vivi, non facendo altro che soddisfare un'esigenza primaria per la sopravvivenza (come dargli torto?).
Oggi, questi zombie potrebbero essere come i profughi che scappano dalle zone di guerra: hanno solo quello che indossano, cercano cibo e non si fermano di fronte a niente, muri e recinzioni comprese.
Queste scene le abbiamo viste recentemente ai confini dell'Ungheria e assistiamo alla creazioni di barriere al Brennero. Sicuramente le recinzioni più note sono quelle che separano il Messico dagli Stati Uniti d'America. Muri molto alti sono stati costruiti dagli israeliani nel film World war Z, ma anche nella realtà. Questo è l'unico popolo al mondo ad essersi attivato prima del contagio, mentre nel giro di poco tempo, nella finzione, verrà scavalcato dai non morti. Molto interessante l'idea di creare un gruppo di persone per affrontare un problema e tra queste mettere qualcuno che dissente dall'idea comune che tutti condividono.
Tornando a "The Walking Dead", la storia che viene raccontata nella serie televisiva non è altro che la lotta dell'uomo per la sopravvivenza in un mondo post apocalittico e post industriale, buono o cattivo, giusto o sbagliato ormai sono parole che non hanno più significato in questa nuova realtà. Qui, non siamo nel coraggioso mondo nuovo di Huxley, qui importa solo arrivare al giorno dopo. Se fossimo dei ragazzini e ci facessimo raccontare una storia prima di andare a dormire, sicuramente ne vorremmo una che faccia paura e "The Walking Dead" farebbe al caso nostro: è una storia a puntate come in "Mille e una notte", ma sicuramente più adatta ai maschi che alle femmine mancando il principe, la principessa e il lieto fine.
Siamo giunti alla fine della sesta stagione con l'attesa di sapere chi dei protagonisti storici verrà eliminato: nell'ultima scena vediamo del sangue e uno dei nostri eroi perire, ma la cinepresa non inquadra il predestinato (Cliffhanger). La serie televisiva di "The Walking Dead" è tratta da una serie a fumetti, le due procedono spesso in parallelo ma a volte con delle variazioni, sia nella storia che nei personaggi. Ecco che come accennato nell'introduzione di questo articolo ritroviamo i fumetti: un classico della cultura Pop, rappresentato in arte negli anni '60 da Roy Lichtenstein, esposto dal famoso gallerista Leo Castelli nel 1962.
Come negli anni sessanta la Pop Art rivoluzionò in concetto d'arte, forse oggi questo tipo di prodotto per la televisione costituito da una serie e per la massa, forse potrebbe rappresentare la cultura artistica di questo decennio (pensiamo ad altre serie di pari successo: Lost o Il trono di spade, in cui anche qui aldilà del muro troviamo delle creature simili agli zombie). Come sempre, soltanto fra diversi lustri sapremo se la cultura ufficiale la riterrà arte cinematografica o meno, nel frattempo buona visione a tutti. A.B.
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