sabato 14 maggio 2016

Che cos'è il Peephole e come è organizzata la mostra antologica di Paolo Gioli

Torno a dirvi di non perdere la mostra antologica di Paolo Gioli, aperta fino al 28 maggio 2016 al Peephole di Milano. Sono noioso? Non credo, pensate che neppure tanti addetti ai lavori sono a conoscenza di questo evento imperdibile ed hanno avuto modo di frequentare questo Centro d'Arte Contemporanea diretto da Vincenzo De Bellis e Bruna Roccasalva. Ho intervistato proprio Bruna, per capire come è stata organizzata la mostra e com'è stato lavorare con l'artista.

Milano, 9 aprile 2016 Paolo Gioli firma le copie del dvd dei suoi filmati ai molti estimatori dei suoi lavori presenti al Peephole.

Tony Graffio intervista Bruna Roccasalva

TG: Bruna che cos'è il Peephole?

Bruna Roccasalva: E' un Centro d'Arte Contemporanea che abbiamo fondato nel 2009 e funziona esattamente come una Kunsthalle. Organizziamo 4 mostre personali all'anno cercando di proporre artisti di generazioni e provenienze diverse. Cerchiamo di portare al pubblico artisti che non hanno mai fatto mostre istituzionali in Italia, oppure quando lavoriamo con italiani, come nel caso di Paolo Gioli, vogliamo mostrare un punto di vista nuovo sul lavoro di quell'artista e far emergere parti della sua produzione che sono meno conosciute e dare una lettura inconsueta al lavoro.

TG: Siete una galleria di tipo tradizionale?

BR: No, non siamo una galleria, siamo un'istituzione no-profit che realizza progetti "ad hoc" per questo spazio. A volte, si tratta proprio di allestire qui lavori site-specific, altre volte invece prepariamo delle mostre, come in questo caso, con materiali già esistenti.

TG: Avete scelto voi le opere esposte qui nelle 8 grandi sale di Peephole?

BR: Certamente.

TG: Possiamo dire che questa di Gioli è una mostra antologica?

BR: Sì, è in qualche modo una retrospettiva, anche se questo spazio non è un museo e non è abbastanza grande da raccogliere tutta la vastissima opera di Gioli. Però, l'impostazione della mostra è quella e c'è l'idea di raccontare un percorso intero. Definiamola una pseudo-retrospettiva.

TG: Avete contattato voi l'autore? E' stato semplice pervenire a questa mostra?

BR: Sì, siamo stati noi, è stato abbastanza semplice perché Paolo è una persona che vive fuori dai circuiti tradizionali ed ama la semplicità in tutto. Non solo tecnicamente nel suo lavoro, ma anche nella vita di tutti i giorni. Lui è un uomo molto generoso, come hai avuto tu stesso modo di constatare. Per noi è stato molto bello lavorare con lui.

TG: Come avete proceduto nella scelta del materiale?

BR: L'idea era di partire dalla pittura di Gioli e di sottolineare l'importanza che questa prima fase della sua produzione artistica che è meno conosciuta rispetto ad altri suoi lavori, ha continuato ad essere presente, come tipo d'approccio anche nei suoi lavori successivi. Infatti, anche dopo aver abbandonato la pittura, il suo modo d'accostarsi agli altri media è rimasto quello di un pittore, cosa che gli ha permesso di osservare in modo molto particolare sia la cinematografia sperimentale che la fotografia. Al di là di questo, noi pensiamo che la prima parte del suo lavoro abbia un valore enorme, sia per la forza espressiva, la freschezza della sua creatività, oltre che, naturalmente, per meglio comprendere il resto della sua opera. Ciò che a noi premeva comunicare era di far emergere la complessità della tecnica di Paolo Gioli che è qualcosa che non è assolutamente catalogabile o circoscrivibile in sperimentazioni cinematografiche, ma è qualcosa di molto più difficile da spiegare, in cui tutte le varie discipline artistiche hanno la stessa importanza. Sia che sia pittura, cinematografia, o fotografia. Tutti i media che lui utilizza non sono identificabili in una tecnica mista, ma sono interconnessi tra di loro in modo sostanziale, in quanto ogni media implica la presenza degli altri. Ecco, questo è quello che noi volevamo sottolineare con questa mostra e speriamo di esserci riusciti. Naturalmente, quanto è qua esposto è solo una piccola parte della vastissima produzione di Paolo Gioli, però la selezione che abbiamo fatto tocca un po' quelli che sono stati i nuclei fondamentali della sua ricerca e di temi ai quali s'è dedicato per tutta la vita, che poi sono pochi temi classici come: il nudo, il paesaggio e la natura morta, declinati poi in tantissimi aspetti diversi.

TG: Secondo te, Paolo Gioli ha un messaggio costante all'interno della sua opera?

BR: Sì, ha tanti messaggi da proporre, ma uno dei più importanti sta proprio nel cercare di catturare le immagini nel modo più semplice possibile, perché per lui le immagini hanno una loro consistenza fisica, per cui si tratta solamente di riuscire a catturarla.

TG: Parlando di prezzi, a quanto vengono vendute le opere?

BR: Noi siamo uno spazio no-profit, come qualsiasi museo, o istituzione pubblica non vendiamo.

TG: OK, grazie, molto gentile.

BR: Prego.

Bruna Roccasalva co-fondatrice e co-direttrice del Centro d'Arte Contemporanea Peephole

Riporto di seguito i testi prodotti da Peephole, che ringrazio, per la presentazione della mostra di Paolo Gioli.

Peep-Hole presenta una mostra personale dell'artista Paolo Gioli.

Paolo Gioli dagli anni Sessanta porta avanti una complessa ricerca attorno alla genesi delle immagini, alla natura dell'esperienza estetica e al funzionamento dei processi visivi. Costantemente improntata alla sperimentazione tecnica e linguistica, la sua pratica artistica si muove con disinvoltura tra forme espressive differenti che spaziano dal disegno alla pittura, dal film alla fotografia, all'insegna di una contaminazione continua che impiega modalità di derivazione cinematografica per scopi fotografici, e un approccio marcatamente pittorico nell'utilizzo dei materiali e nella scelta dei supporti.
Le sue complesse sperimentazioni sono diventate un punto di riferimento nell'ambito del cinema sperimentale e della fotografia contemporanea: dalla riscoperta e l'uso radicale del foro stenopeico all'impiego di strumenti auto-progettati o oggetti trovati per sottrarsi a qualsiasi legame con l'ottica e la meccanica, dall'utilizzo inconsueto dei materiali Polaroid trasferiti sui più svariati supporti come carta da disegno, tela, seta serigrafica, alle indagini sui processi di sviluppo o sulla tecnica del fotofinish.
Tuttavia la complessità del suo lavoro non è circoscrivibile esclusivamente all'interno della sfera cinematografica o fotografica. La sua continua sfida verso le infinite possibilità di ricavare immagini da circostanze spontanee, legate alla natura, al corpo o a oggetti esistenti, è stata portata avanti all'interno di un campo d'indagine ampio in cui il cinema incontra la pittura, la pittura incrocia la fotografia e viceversa.
La mostra presenta un corpo di opere che datano dagli anni Sessanta alla fine degli anni Novanta, a rappresentare i nuclei fondanti e i temi ricorrenti della produzione di Paolo Gioli, attraverso una selezione che evidenzia il fondamentale spostamento dalla pittura al cinema e alla fotografia. Alcune serie chiave della sua produzione come i Fotofinish, le Autoanatomie, le Naturae e gli Omaggi, si affiancano in mostra a lavori più inediti come alcuni dipinti e disegni realizzati negli anni Sessanta, in un percorso che attraversa in modo trasversale la vasta produzione dell'artista dimostrando come il passaggio da un linguaggio a un altro, da un medium o da una tecnica all'altra sia sempre fluido, biunivoco e senza soluzione di continuità.
PRIMO PIANO Sala I
Il lavoro di Paolo Gioli tocca tutti i generi classici della storia dell'arte, dal nudo all'autoritratto, dalla natura morta al paesaggio, elaborati di volta in volta in chiave del tutto personale e attraverso l'impiego di linguaggi, tecniche e materiali differenti. Resta costante in tutta la sua produzione l'interesse per il corpo e uno dei motivi più ricorrenti è senz'altro quello del torso, particolare anatomico sottoposto dall'artista a continue analisi e scomposizioni, a partire dai disegni e i dipinti degli esordi, fino a più recenti cicli fotografici. Nella serie di grandi disegni a carboncino su carta, intitolati Primo Gruppo delle Creature e realizzati tra il 1962 e il1963, l'artista esplora il tema del nudo spingendosi verso anamorfosi anatomiche che abbandonano progressivamente ogni connotazione figurativa. I torsi, ispirati ai crocefissi duecenteschi subiscono una distorsione e un trattamento quasi radiografico che si traduce in una costante tensione tra pieni e vuoti, positivo e negativo. Il modo diverso in cui Gioli affronta la fisicità della figura nei dipinti a olio di grandi dimensioni - realizzati a metà degli anni Sessanta - riflette l'avvenuto incontro con la Pop Art americana alla Biennale del 1964 che si traduce in uno spostamento di interesse verso la composizione dell'immagine. Le metamorfosi anatomiche dei precedenti disegni diventano, in dipinti come Grande nudo coricato sul lato destro (1965) e Cristo morto (1965), giustapposizioni di forme geometriche in cui la figura umana perde ogni connotazione organica per farsi quasi meccanica. Grandi campiture piatte dai colori accesi e dalla lucentezza metallica schermano le sagome dei corpi e l'immagine nasce da una scomposizione e ricomposizione, da un sezionare e un sovrapporre che allude già a un'idea di montaggio cinematografico. Il torso torna a essere protagonista in lavori più recenti, come la serie dei Toraci e delle Vessazioni. In Toraci (2007 - 2010) Gioli affronta l'iconografia classica del corpo "martirizzato” scomponendo le anatomie impresse sulla pellicola fotosensibile attraverso la luce e trasfigurandole in immagini evanescenti dalla forte carica espressiva. Anche nella serie Vessazioni (2007) l'azione dell'artista sembra martirizzare toraci e membra di corpi deposti, in cui il richiamo alla statuaria classica si mescola a riferimenti alle prime avanguardie del Novecento.

Sala II
L'esperienza a New York, dove Gioli vive per circa un anno tra la fine del 1967 e l'autunno del 1968, segna un passaggio fondamentale nella ricerca dell'artista. Da quel momento in poi il suo percorso sarà contrassegnato dal continuo intersecarsi di pittura, cinema e fotografia, linguaggi che nel lavoro di Gioli sono strettamente interconnessi, al punto che ogni forma espressiva implica sempre e inevitabilmente le altre due. Il film e le opere su tela degli anni Settanta presentati in questa sala - serigrafie con interventi manuali e dipinti a olio con inserti fotografici - testimoniano in modo emblematico la natura di queste sovrapposizioni linguistiche, mostrando come Gioli faccia cinema partendo dalla fotografia per finire nella pittura, o viceversa come dipinga partendo dal cinema per finire nella fotografia. La composizione di un'immagine stratificata attraverso l'utilizzo di più media sta alla base del film Immagini disturbate da un intenso parassita (1970), uno dei primi realizzati da Gioii e tra i più complessi e faticosi lavori dell'artista sulle immagini-video. In quest'opera l'immagine prodotta a partire da un quadrato e da altre forme geometriche che derivano da esso, viene trasformata da una serie di interventi apportati sullo schermo stesso del video, utilizzato dall'artista come lavagna luminosa. Un film-collage che rivela, come altre sue produzioni cinematografiche di quegli anni, numerosi livelli di immagini nell'immagine e di schermi nello schermo. L'idea di schermo è centrale nel lavoro di Gioli in quanto elemento che dà consistenza fisica all'immagine, sia essa pittorica o cinematografica, serigrafica o fotografica. Uno dei principi fondanti della sua poetica è l'idea che l'immagine possieda un'intrinseca autonomia fisica e che in virtù di questo abbia la potenzialità di trasferirsi da un luogo a un altro, migrando dallo schermo cinematografico alla tela e al supporto fotografico. Proprio a partire da questa convinzione, nella prima metà degli anni Settanta Gioli utilizza il termine "schermo' comunemente attribuito al linguaggio filmico, per intitolare una serie di dipinti a olio con inserti di carta fotografica (Schermo-Schermo, 1974) e alcune opere serigrafiche ottenute da un collage di frammenti di fotogrammi ingranditi e poi successivamente trattatati con del colore e delle mascherature con ritagli di carta (Schermo-Schermo, 1975).
Se questi lavori sono esemplificativi delle commistioni dirette tra pittura, cinema e fotografica che contraddistinguono la pratica di Gioli, Scomponibile (1970) testimonia come il suo approccio stesso alla pittura sia da un certo momento in poi marcatamente ispirato al linguaggio frazionato della pellicola fotografica e del montaggio filmico.

Sala III
Tutte le opere di Gioli sono in un certo senso progettate e composte con un approccio da pittore, come testimoniato dall'interesse e l'attenzione per la composizione, o dal modo in cui concepisce e tratta la materia - basti pensare al suo manipolare il materiale Polaroid come fosse pigmento pittorico. Questo conferma non solo l'importanza fondamentale che la produzione pittorica degli esordi riveste all'interno del suo percorso, ma anche come !esperienza della pittura - solo apparentemente rimossa in anni di continue indagini e sperimentazioni all'interno di altri territori linguistici - riaffiori in modo insistente e costante in ognuna delle successive fasi della sua vasta produzione.
Il capoluogo veneto - dove si trasferisce all'inizio degli anni Sessanta per studiare all'Accademia Libera del Nudo - con il suo ricchissimo patrimonio visivo storico e contemporaneo, rappresenta per Gioli il territorio simbolico dell'introduzione all'arte e alla sua storia, il luogo in cui si forma quella sorprendente ed eterogenea riserva di memorie e suggestioni a cui attingerà costantemente. La molteplicità di riferimenti rintracciabili nei suoi dipinti testimonia la vastità della cultura visiva che alimenta la sua opera, in cui l'arte antica di chiese, musei e palazzi veneziani si mescola a quella delle avanguardie custodite nei libri dell'archivio storico della Biennale e a quella della Pop Art americana che, sempre a Venezia, Gioii ha modo di conoscere da vicino. I dipinti in mostra, tutti realizzati tra il 1966 e il 1969, sono tra le sue più rappresentative opere pittoriche degli inizi. Si tratta di tele dimensionalmente importanti, dipinte a olio, tutte contraddistinte da un'estrema policromia e dalla giustapposizione di vaste campiture geometriche, caratterizzate da stesure piatte di colori dai toni accesi. I riferimenti che vi si possono rintracciare sono molteplici così come i soggetti da cui prendono le mosse: che si tratti di un paesaggio come le navi che attraversano il canale della Giudecca - in Trittico blu (1966) - o della rivisitazione di una scena dipinta nel Trecento da Buffalmacco - in Scomponibile (1966) - ogni immagine viene trasfigurata in visionarie architetture geometriche e complesse composizioni a sequenza, scomposta e ricomposta attraverso un processo di tipo quasi meccanico e resa in vorticose proiezioni che perdono ogni traccia di riferimento al reale. In questo tentativo di comprimere e frazionare più istanti temporali attraverso una successione di immagini che crea un unico campo visivo, sono già evidenti i prodromi di un interesse crescente per il cinema e la fotografia. A segnare simbolicamente il progressivo passaggio di Gioli dalla pittura a questi linguaggi è un'opera a carboncino e pastello del 1968 intitolata emblematicamente The Big Lens: il ritratto di un gigantesco obiettivo che svela la sua impellente necessità di indagare gli elementi primari del dispositivo fotografico e di avvicinarsi agli studi delle leggi fisiche dell'ottica, delle strutture psico-percettive e delle modalità storiche di ripresa.

PIANO TERRA Sala IV
Nella vasta produzione fotografica di Gioli una parte significativa è quella dedicata alla sperimentazione del fotofinish. Il fotofinish è una tecnica di ripresa semi-scientifica, frequentemente usata in ambito sportivo per determinare l'esatto ordine di arrivo in una competizione: attraverso il dispositivo del fotofinish la pellicola scorre a velocità costante e viene impressionata solo in corrispondenza di una fenditura verticale rivolta, nel caso di una corsa per esempio, sul traguardo. Sono molti gli artisti che si sono interessati a questa tecnica, operando spesso una spettacolarizzazione di quello che è l'aspetto più caratteristico del fotofinish, ovvero la distorsione delle figure. Per Gioli la sperimentazione di questo dispositivo corrisponde alla naturale evoluzione della propria ricerca sul foro stenopeico. Il "punto trasparente", attraverso cui la luce entra nella fotocamera trasportando con sé le immagini, si fa "linea trasparente" generando figure che sono il risultato della registrazione di molteplici gesti e movimenti, quelli compiuti dal soggetto davanti alla fotocamera e quelli compiuti dall'artista che la muove. È su questa linea, situata su una lastrina di metallo che sostituisce l'otturatore, che l'artista interviene in modo quasi ossessivo, con continui sdoppiamenti, amputazioni e incisioni. Per realizzare il fotofinish Gioli mette a punto un personale dispositivo: una comune fotocamera, privata del proprio meccanismo interno, che permette di controllare manualmente lo scorrere della pellicola durante la ripresa, come attraverso l'utilizzo di una cinepresa. In questo modo si creano più movimenti in tempo reale: il movimento manuale della fotocamera, quello della pellicola e quello del soggetto ripreso. Sono due i cicli fotografici concepiti attraverso questa tecnica: il gruppo delle Figure dissolute, che risale agli anni Settanta, e quello di Volti attraverso, realizzato tra il 1987 e il 2002. Nella prima serie i soggetti ripresi sono personaggi quotidiani trasfigurati in quelle che lo stesso Gioli definisce "cronofigure protocinetiche': Le dissonanze fra il gesto dell'operatore e il movimento della figura, i frequenti rallentamenti, le accelerazioni e le improvvise interruzioni generano infatti nei soggetti una serie di raddoppiamenti, dilatazioni e compressioni che vanno ben al di là della semplice deformazione per spingersi a vere e proprie decostruzioni e ricomposizioni della figura. Nella serie Volti attraverso gli esperimenti iniziali si sviluppano in direzioni sempre più complesse e articolate. La linea-fessura tradizionale del fotofinish è sostituita da un frammento di immagine: l'artista dispone adesso nella finestrella d'entrata della fotocamera alcuni elementi di natura organica, come piccoli insetti o frammenti vegetali, attraverso cui l'immagine del soggetto ripreso è "costretta" a passare e, così filtrata, a subire un'inesorabile trasformazione.

Sala V
Il corpo torna con insistenza nella ricerca di Gioli anche come immagine del desiderio e dell'erotismo, attraverso una cospicua serie di opere che hanno tutte come soggetto il nudo femminile. Quello dell'erotismo è un tema che si lega spesso in modo inscindibile alle indagini di Gioli sui fondamenti storici, culturali e ideologici della fotografia, per questo l'esplorazione ravvicinata e quasi tattile di particolari anatomici come il seno o il sesso femminile va di pari passo al complesso procedimento mentale e tecnico nella composizione dell'immagine.
È nel 1977 che Gioli inizia a fare uso del materiale Polaroid, sperimentando tecniche di trasferimento su supporti diversi come la carta da disegno e la seta, talvolta anche la tela e il legno. Nella serie delle Autoanatomie (1987), ad esempio, l'artista trasferisce su seta serigrafica l'impronta lasciata dalla luce sulla pellicola fotosensibile, recuperando la tecnica "a strappo" dell'affresco: "l'immagine - dice Paolo Gioli - staccata dai propri reagenti, dal suo negativo come una pelle dalla carne viva, perde lo smalto-fissatore-protettivo che viene assorbito dalla trama della tela o dallo spessore della carta. A essere rappresentati sono i simboli della sessualità femminile, immagini archetipiche capaci di conservare inalterato il loro potere evocativo anche nelle complesse composizioni geometriche in cui vengono giustapposte. Questa sovrapposizione di tecniche e supporti non ha niente a che fare con il collage, si tratta di "strati di materia”: materia pittorica e fotografica che Gioli rielabora all'insegna di una costante e reciproca contaminazione. Il gesto stesso di trasferire una materia che è il simbolo del consumo immediato e di immagini familiari su materiali nobili e antichissimi, è una questione centrale negli esperimenti di Gioli sulla Polaroid. Anche nel ciclo delle Naturae (2007) l'artista giunge all'immagine finale attraverso questa stratificazione di linguaggi diversi, trattando la pellicola Polaroid come una superficie pittorica. Si tratta in questo caso di ritratti frontali del sesso femminile in cui è inserito un fiore, immagini ambigue di "eccentriche vulve svelate da uno schermo-sipario" in cui maschile (il desiderio) e femminile (l'oggetto del desiderio) coincidono. Gioli interviene sulla superficie sensibile con molteplici tecniche (sfregamenti, tagli, pressioni, trasferimenti su altri supporti), e copre talvolta la metà superiore dell'immagine con uno strato di pittura acrilica combinando, ancora una volta, la meccanica del processo fotografico con la gestualità della pittura. Reiterando la rappresentazione dello stesso soggetto, Gioli sperimenta anche l'ottenimento di un'immagine fotografica attraverso la tecnica del negativo impressionato per contatto riflesso. Nelle opere intitolate Vulva (2004) l'artista arriva all'immagine colpendo con il flash un foglio di carta a contatto con l'anatomia femminile che, attraversato dalla luce, trattiene il riflesso prodotto.

Sala VI
A metà degli anni Novanta Gioli lavora a una serie di fotografie in bianco e nero il cui titolo, Sconosciuti (1994), allude all'identità ignota dei soggetti rappresentati. L'artista attinge a un fondo fotografico, risalente all'immediato dopoguerra, donatogli da uno studio a fine attività: si tratta di negativi - su lastre e pellicole - con i ritratti anonimi di uomini e donne eseguiti per i documenti d'identità. Ciò che più interessa l'artista, oltre all'indeterminatezza dei soggetti, è l'abile intervento di ritocco - pratica comune in quel periodo - che, eseguito con una sapienza quasi artigianale, aveva lo scopo di abbellire e rasserenare i volti ritratti. Gioli interviene su questi materiali illuminando con luce radente il retro del negativo e svelando così, attraverso delle macro-riprese dei riflessi ottenuti, le innumerevoli manipolazioni a cui i soggetti erano stati sottoposti. Con un'attitudine quasi archeologica Gioli riporta alla luce le fitte stratificazioni di segni, tracce, impronte depositati su quelle immagini, e nello svelare il laborioso trattamento di ritocco, conferisce a questi volti una nuova identità o, come la definisce Gioli, una "contro identità". Queste "fisionomie ribaltate" nascono dunque dall'inconsapevole sovrapporsi di più autorialità: quella del fotografo, dell'anonimo ritoccatore e dell'artista che parte dal verso - il lato nascosto e privo di significato - di quelle immagini trovate per costruire la sua immagine. Questa ricerca prosegue con il film Volto sorpreso al buio (1995). Realizzato con la tecnica dello stop-motion a partire dagli stessi fotogrammi della precedente serie fotografica, il film mostra volti anonimi che si sdoppiano e si fondono in un unico flusso cinetico, fino a far emergere dal buio un singolo volto fluttuante.

Sala VII
Nel 2009 Gioli, forzando nuovamente i confini tra fotografia e cinema, ritorna sulle immagini che aveva ottenuto con la tecnica del fotofinish per realizzare il film Il finish delle figure (2009), in cui quelle immagini statiche in un certo senso si rianimano. L'artista fa scorrere i rullini da 35mm che aveva impresso con la tecnica del fotofinish per costruire un racconto cinetico, un film ricavato da immagini fotografiche che possono essere definite un "non-film": immagini fisse ma nate con un procedimento di natura cinematografica, dove lo scorrimento di ripresa manuale è uguale a quello di una cinepresa senza essere una cinepresa.

Sala VIII
Negli anni Ottanta Gioli realizza un ciclo di opere in cui rende "omaggio" ad artisti del passato, come Courbet, van Gogh, Dürer, Signorelli, Piero della Francesca o Mantegna, e realizza film dedicati a Talbot, Muybridge, Lande, Duchamp. Ma i personaggi su cui si sofferma maggiormente sono i pionieri della fotografia come Niépce, Bayard, Cameron, Poitevin, Marey e Eakins che tanto hanno rappresentato per le origini di questa disciplina. Nel ciclo di Polaroid intitolato Eakins/Marey. L'uomo scomposto (1982-83) Gioli cerca di fondere Eakins (l'uomo) con Marey (l'azione) mettendo in relazione due grandi e incompresi sperimentatori ottocenteschi: da un lato Thomas Eakins, pittore realista americano ignorato dal suo tempo e pioniere nel campo della fotografia; dall'altro Etienne Jules Marey, noto fisiologo francese, precursore della cinematografia. Per entrambi la fotografia si lega soprattutto al tema del corpo e al suo movimento e rappresenta un nuovo e fondamentale strumento attraverso cui indagarlo, analizzarlo e scomporlo. Gioli, oltre a rendere omaggio ai due grandi innovatori, intraprende un'intensa riflessione sulle potenzialità del processo visivo, facendo affiorare nessi e collegamenti in una costruzione compositiva quasi teatrale. L'incontro tra la connotazione artistica della ricerca scientifica di Marey e gli esiti tecnico-scientifici dell'arte di Eakins rappresentano per Gioli l'idea di un'arte capace di includere ogni disciplina. Un'altra importante serie di omaggi è quella dedicata a Joseph Nicéphore Niépce, ricercatore francese vissuto agli inizi dell'Ottocento a cui viene attribuito il fondamentale passaggio dall'incisione alla fotografia. L'artista ripercorre la storia di quello che considera l'inventore assoluto della tecnica fotografica lavorando a partire dal ritratto del cardinale D'Amboise, una delle immagini ricondotte con certezza a Niépce. Questa è per Gioli un'occasione per confrontare la propria creatività con quella del grande innovatore, di paragonare le prove di Niépce con le sue sperimentazioni sulla materia Polaroid, tanto da giungere ad una progressiva immedesimazione con il proprio modello. Le opere dedicate a Alphonse Poitevin, precoce sperimentatore del colore, costituiscono per Gioli un'ideale prosecuzione di quelli dedicati a Niépce. Si tratta di studi sul volto, così come avviene anche negli omaggi dedicati a Julia Margaret Cameron, la fotografa inglese celebre per i suoi evanescenti ritratti in cui restituisce la sognante atmosfera dell'epoca vittoriana. In questa serie, intitolata Cameron Obscura (1981), l'artista indaga le enigmatiche e sfuggenti fisionomie femminili ritratte dalla Cameron, agendo su di esse con una serie di delicati sdoppiamenti e ritmiche frammentazioni. Tutte le opere ascrivibili alla categoria degli omaggi sono accomunate da una complessa stratificazione di tecniche e supporti. Spesso, a partire da immagini fotocopiate o fotografate e poi sviluppate attraverso diapositive in bianco e nero, Gioli realizza una prima immagine per contatto e per proiezione. Su di essa applica delle mascherine di carta sagomate che una volta impressionate produrranno una serie di geometrie e tagli e, infine, attraverso la materia plasmabile e fotosensibile della Polaroid, avviene il trasferimento su carta da disegno e su preziosi frammenti di seta. Queste "rivisitazioni" hanno un ruolo importante all'interno del percorso compiuto da Gioli nella misura in cui costituiscono un ulteriore modo di andare alle radici del linguaggio fotografico: le immagini e le vicissitudini dei protofotografi sono interiorizzate e rielaborate da Gioli in prolungate ricerche che trasformano questi modelli in altri modelli, a testimoniare come il suo sguardo rivolto al passato non sia mai nostalgico, e come il confronto con la storia avvenga all'insegna di una sperimentazione e una ricerca senza fine.

Paolo Gioli (Sarzano di Rovigo, 1942. Vive e lavora a Lendinara, Rovigo) dopo aver frequentato l'Accademia di Belle Arti a Venezia, alla fine del 1967 si trasferisce a New York dove vive per circa un anno e inizia ad interessarsi al cinema e alla fotografia. Tornato in Italia nel 1968, si stabilisce a Roma dal 1969 al 1975. Nel 1969 realizza il suo primo film, mentre in fotografia comincia a utilizzare la tecnica del foro stenopeico, e successivamente del fotofinish e dell'emulsione Polaroid trasferita su diversi supporti. Dagli anni Ottanta partecipa a diverse mostre ed eventi espositivi. Tra le principali mostre personali ricordiamo quella all'Istituto Nazionale della Grafica-Calcografia di Roma (1981), al Musée Nicéphore Nièpce di Chàlon s/Saòne e al Centre Georges Pompidou di Parigi (1983), alla George Eastman House, Rochester (1986), a Palazzo Fortuny di Venezia e al Museo Alinari di Firenze (1991), al Palazzo delle Esposizioni di Roma (1996), al Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo, Milano (2008). Dal 1974 a oggi ha partecipato alle principali rassegne di cinema sperimentale oltre che ad importanti mostre internazionali come la Biennale di Venezia. Le sue opere sono presenti nelle collezioni dei più grandi musei europei e statunitensi, tra cui Centre Georges Pompidou Parigi, Art Institute Chicago, MoMA New York, Minneapolis Institute of Art, Istituto Nazionale per la Grafica Roma, Museo di Fotografia Contemporanea Cinisello Balsamo (MI) Nel 2016, la Harvard University lo invita a presentare i suoi filmati sperimentali agli studenti del prestigioso ateneo americano.

Peep-Hole e Frammenti di Cultura ringraziano Paolo Vampa, collezionista e Daniele Fragapane per la consulenza curatoriale.

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