sabato 27 febbraio 2016

Adami, Del Pezzo, Schifano, Tadini alla fondazione Giò Marconi

Ho rincontrato l’amico e gallerista italo-americano Joe Iannuzzi alla mostra, attualmente riproposta in forma aggiornata, su 4 grandi artisti dei favolosi anni '60, da Marconi.

Valerio Adami Fondazione Marconi
Valerio Adami - L'uovo rotto (1964) Acrilico su tela cm 200X300

Tony Graffio: Caro Joe, vorrei sapere che impressioni riporti dalla visita alla bellissima mostra alla Fondazione Marconi che espone opere di Adami, Del Pezzo, Schifani e Tadini. Mostra che rimarrà aperta fino al 23 aprile e che consiglio vivamente a tutti gli appassionati d'arte di non perdere, anche per non dover attendere altro mezzo secolo, prima di rivederla...

Joe Iannuzzi: Tony, ti dico che mi ha fatto tornare in mente quando ero giovane e vivevo qui a Milano, sai io quella mostra la vidi 50 anni fa. Fu davvero una bellissima serata: a quel tempo lavoravo in un garage/officina di autoriparazioni e per l'occasione andai a vedere la mostra con una Lamborghini Miura nuovissima, logicamente non era mia, ma di un cliente, neppure lavorando tutta una vita come meccanico me la sarei potuta comprare. Comunque fu un successo: mi feci notare con quel bolide, conobbi anche una ragazza molto interessata… Forse più alla macchina che a me, insomma ho dei bellissimi ricordi.

Lucio Del Pezzo - Domestica (1961) Tecnica mista Cm 100X81X10

TG: Per quanto riguarda le opere esposte e gli artisti che cosa mi sai dire?

JI: Beh, questi artisti oggi sono tutti molto noti, allora però non era così. Milano era un centro dell’arte e non solo italiana ma anche europeo, c’era davvero un fermento culturale ed economico: ci si sentiva protagonisti dello sviluppo e della crescita economica del paese, tutto era possibile. Di Valerio Adami vedi le opere del suo ciclo chiamato “le unghiette” (ne intravedi le forme) con dichiarato riferimento al mondo dei fumetti e alla pubblicità del tempo, probabilmente il suo vero inizio a livello di riconoscibilità, notevoli anche le opere di Emilio Tadini: personaggi onirici e metafisici, che in seguito negli anni diventeranno personaggi quasi usciti dalle“favole”, di Schifano qui trovi i pezzi veri, per quanto riguarda Del Pezzo diciamo una sorta di “Nouveau Réalisme all’italiana".

TG: Secondo te, che significato ha oggi allestire una mostra con molte opere di quella fatta 50 anni fa?

JI: Sicuramente evocativo di quel periodo storico, quasi museale e di alto valore. Rivivi inoltre quel momento di sviluppo socio-economico della metà degli anni 60. Oggi come sai tutto ciò non può più avvenire. Con questa mostra si può capire come artisti, un tempo esordienti, oggi siano diventati riconosciuti da tutti con un loro posto nella storia. In Italia, anche a livello commerciale, le opere degli artisti storicizzati interessano di più ai collezionisti rispetto agli artisti emergenti.

TG: Perché?

JI: E’ come puntare sulle Blue Chip rispetto alle azioni di giovani aziende che non sai che fine faranno. Ritengo che in Italia ormai l’arte contemporanea interessi solo agli addetti al settore ed ai collezionisti; alle persone normali interessa altro: il calcio, la tv, altre forme d’arte come il cinema. L’arte è per pochi e se non è per pochi allora vuol dire che non è arte.

TG: Ma la Pop Art allora non era per il popolo: per molti!

JI: Certo Tony, ma eravamo negli anni sessanta. Oggi tutto è cambiato. Schifano probabilmente anticipò di poco gli americani, questo è quello che penso. Poi certamente, a parte le opere “giuste” di Mario, il resto meglio lasciar stare per molti motivi. Sai come è se poi un artista finisce a fare contratti con mercanti sbagliati, archivi e fondazioni varie, insomma poi vengono fuori casini.

TG: Se dovessi dare un suggerimento, su quale di questi quattro artisti punteresti?

JI: Sono tutti validi e con importanti presenze museali, personalmente a me piacciono molto le opere di Valerio Adami con questa sua “nuova figurazione”. Poi, c’è quadro e quadro, sicuramente quelli esposti da Marconi sono molto apprezzabili. Fu anche carina l’idea di creare cinquanta anni fa, come invito alla mostra, una scatola contenente quattro immagini dei quadri riprodotte su cartoncino tagliato a puzzle. Un’idea innovativa di comunicazione, anche questa piaciuta e ripresa dagli americani.

Mario schifano Fondazione Marconi
Mario Schifano - Bisogna farsi un'ottica (1965) Smalto e grafite su tela cm 300X160

TG:  Ecco parlando di comunicazione, che rapporto ha oggi l’arte visiva con i media: tv, radio, web, riviste, eccetera?

JI: Tutti questi mezzi sono fondamentali per diffondere il messaggio artistico, alcuni come la televisione, danno notizie quando c’è un record price o qualcosa che coinvolge molti: per esempio la prossima realizzazione dell’installazione di Christo “The Floating Piers”, molti telegiornali ne parlano, oltre a riviste del settore e generaliste, è apparso anche su Vogue. Puoi capire che è diventato qualcosa di non solo artistico ma di costume: coinvolge la società. Il Web oggi possiamo definirlo quasi come una memoria storica di ciò che è successo, oltre ai libri naturalmente. La forza del web sta anche nel fatto che è gratuito e raggiungibile da tutti in qualsiasi momento. Per questo apprezzo molto il tuo lavoro, pur non essendo il tuo un blog specifico sull'arte, tu riesci a raccontare molto spesso attraverso interviste ad artisti, fotografi, uomini di cultura, ed altri personaggi di riferimento, la storia passata e quella di oggi. Tieni conto che se non vi fosse traccia sul web tramite scritti e immagini di un determinato fatto, di una certa persona e di quello che ha fatto, probabilmente arrivando all'estremo ti direi: quel fatto non è mai accaduto, quella persona non è mai esistita!
Inoltre, come sai anche le aste ormai sono quasi tutte trasmesse in streaming, capisci oggi l’informazione è immediata: puoi sapere tutto e subito, cosa che quando io ero giovane era inimmaginabile.

TG: Da quello che dici si potrebbe pensare che oggi per gli artisti sia più facile farsi conoscere dal pubblico?

JI: Si, e allo stesso tempo no. Essere visibile in mostre marginali o in luoghi non deputati alle esposizioni artistiche ha poco valore in senso assoluto. Come partecipare ad una fiera d’arte marginale o essere ad ArtBasel: c’è una bella differenza! Ti parlo del termine “impact factor” che viene utilizzato nelle pubblicazioni scientifiche, qui è la stessa cosa il fattore d’impatto è ben diverso!

Emilio Tadini
Emilio Tadini - Le vacanze inquiete (1965) Acrilici su tele cm 65X81

martedì 23 febbraio 2016

Enrico Cattaneo documentarista a Milano della storia dell'arte contemporanea mondiale (da professionista)

Prosegue il reportage su Enrico Cattaneo, un uomo dalla grande umanità che ci sa raccontare, in maniera precisa ed emozionante la Milano degli anni '60 e '70. Non mancano i suoi rapporti con alcuni artisti con i quali ha lavorato ed arriva perfino a definire in modo semplice, ma convincente alcuni concetti artistici che continuano ad essere oggetto di dibattito per molti appassionati d'arte ed addetti ai lavori.  
Enrico Cattaneo è un fotografo che ha una doppia valenza: può lavorare sia in abito documentaristico che creativo. TG

Reportage su Enrico Cattaneo Tony Graffio
"...i miei scatti all'epoca non erano gran che, ma adesso non puoi fare la storia dell'arte senza le mie fotografie" EC
Enrico Cattaneo prima d'iniziare la lunga intervista con Tony Graffio, venerdì 19 febbraio 2016.

Tony Graffio intervista Enrico Cattaneo

Tony Graffio: Enrico Cattaneo è un artista che negli anni 1960 e 1970 ha vissuto le esperienze più belle che Milano ha saputo dare in quel periodo di grande fermento culturale; oggi vorrei sentire da lui qualche ricordo, ma da subito qualche dato anagrafico e qualche accenno agli studi che ha fatto.

Enrico Cattaneo: Sono nato il 4 settembre 1933, sotto il segno della Vergine che è un segno particolarmente duro, di gente un po' rompicoglioni, con i piedi sempre per terra...

TG: Un segno al quale appartengono persone molto precise, vero?

EC: Sì precise e precisine, per questo dico rompicoglioni, a loro non va mai bene nulla: se un quadro è storto di un millimetro bisogna raddrizzarlo. Se una fotografia ha un piccolissimo dettaglio fuori posto va tagliato...

TG: Da che tipo di famiglia provieni?

EC: Da una famiglia di tecnocrati, quasi tutti ingegneri, io compreso. Ho fatto ingegneria chimica con l'inventore della plastica, il Natta che poi ha vinto il premio Nobel per l'invenzione del polipropilene che prese il nome commerciale di Moplem. All'epoca, tutta la facoltà d'ingegneria chimica era impegnata a dare una mano a questi ricercatori per le sintesi dei composti derivati del petrolio che servirono per fare il polipropilene.

TG: Il Moplem non è durato molto, no?

EC: Perché dopo s'è molto evoluto. In fondo alle pagine del mio libro di chimica si parlava di come in avvenire ci sarebbe stata la sintesi dei materiali acrilici, figurati te... Quanta strada è stata fatta da allora in questa direzione.

TG: Possiamo dire che agli inizi degli anni '60 Milano era molto attiva, non solo a livello artistico, ma anche industriale, scientifico e culturale?

EC: Milano era la capitale del mondo: tutto avveniva qua. Anche nel nostro campo che poi divenne quello fotografico, Milano era certamente il centro d'Italia e forse d'Europa. Tutta l'editoria più importante era qui, tutte le industrie più importanti erano qui, perciò ti ritrovavi attorno un mondo estremamente vivace ed attivo. Dal punto di vista editoriale c'erano almeno due testate: “l'Europeo” ed “Epoca” di Mondadori che avevano le loro squadre di fotografi di redazione stipendiati regolarmente che inviavano i loro scatti da tutto il mondo: dal Vietnam, al Cile. Naturalmente, erano estremamente pochi ed il nostro desiderio sarebbe sempre stato di diventare uno di loro.

TG: Ti interessava viaggiare?

EC: Non l'avrei fatto per il piacere di viaggiare, quella era una cosa che mi interessava relativamente, io volevo viaggiare per fotografare. Non ho mai fatto il turista in vita mia, non sono mai stato in un posto, tanto per andare in un posto. Se sono stato da qualche parte l'ho fatto per scattare delle fotografie.

TG: Come hai iniziato a fotografare?

EC: Da noi in facoltà, a metà degli anni 1950, c'era un laboratorio di fotografia praticamente inutilizzato. Io e qualcun altro, praticamente occupammo interamente questo laboratorio e lo trasformammo nella nostra camera oscura e sala di posa. Qualcuno arrivava anche da altre facoltà per utilizzare questo laboratorio. Ne ricordo due in particolare che poi sono diventati fotografi professionisti molto noti Toni Nicolini e Franco Vaccari. Entrambi studiavano fisica in via Celoria. In pratica diventammo tutti fotografi professionisti.

TG: Tu però ti sei laureato in ingegneria.

EC: Sì, però non ho mai dato l'esame di stato perché non mi interessava più fare l'ingegnere.

Milano 1959 nebbia
Milano nella nebbia 1959, dalle parti del ponticello di viale Melchiorre Gioia. Fotografia di Enrico Cattaneo esposta alla Ex Fornace nel 2015.

TG: Poi come hai iniziato a lavorare professionalmente?

EC: Questa è una bella storia! Un po' complicata eh! Facevo delle fotografie che forse hai già visto, nelle periferie di Milano. Le atmosfere che ne scaturivano erano abbastanza cupe, molto vicine al modo di lavorare di una serie di pittori che in quegli anni venivano definiti realisti esistenziali, erano Ferroni, Banchieri, Valieri, Guerreschi e qualcun altro. Quando loro videro le mie fotografie incominciammo a frequentarci, per sintonia di visione del mondo.

Uno dei più bei ritratti di Enrico Cattaneo. Enrico Cattaneo Fotografo. Enrico Cattaneo artista
"L'artista può decidere di farsi manipolare da un gallerista fintanto che gli serve, ma quando non è più necessario non deve più farsi manipolare da nessuno" EC

TG: Una volta a Milano era facile conoscersi? Frequentavate gli stessi ambienti?

EC: Beh, relativamente, perché questa gente, vuoi per carattere, ma anche per ideologia, era abbastanza chiusa. Era gente che non frequentava il Jamaica, per esempio. Me compreso. Non ho mai frequentato il Jamaica in quegli anni, perdendomi i Nucleari, perdendomi Manzoni, perdendomi Cy Tombly e altri. Gente che non c'entrava niente con i nomi che ti ho fatto prima, ma che hanno fatto la storia di Milano e la storia dell'arte contemporanea. Io invece ero molto vicino ai realisti esistenziali. Alcuni di loro avevano gli studi dalle parti di corso Garibaldi, altri in via Procaccini; io ero lì pochi passi di distanza perché ero nato in via Giordano Bruno, dietro via Paolo Sarpi. Questi trentenni e quarantenni, forse, ma anche allora a quarant'anni erano ancora ragazzi, figurati! Cominciai a frequentarli, ma io ero ancora un fotografo dilettante, facevo ancora lo studente, però già fotografavo queste cose. Andavamo tutti a mangiare in una trattoriain via Procaccini.


Opere giovanili di Gianfranco Ferroni, il pittore che insieme agli altri realisti esistenzialisti avevano realizzato dei paesaggi metropolitani di una Milano un po' cupa a cui si potevano ricondurre anche le prime fotografie di EC.

TG: Ti ricordi come si chiamava questa trattoria?

EC: Da Forlè, lo ricordo perché proprio tre giorni fa ho scartabellato un po' di cataloghi per recuperare alcune informazioni, tra le quali c'era anche questo nome: ecco perché lo ricordo così facilmente. Questa trattoria, oltre che essere frequentata da noi era frequentata da Sandro Luporini che faceva e fa tuttora il pittore e soprattutto da Gaber che abitava lì in via Londonio. Gaber un giorno convinse il Luporini ad imparare a suonare la chitarra, a fare le canzoni. Da allora tutte le canzoni di Gaber furono scritte da Luporini, poi dipingeva ed anch'io ho appeso qua in casa mia dei suoi lavori. Dopo te li mostrerò, anche se è un po' dura vedere tutto quello che ho qua dentro questa casa (ride sommessamente, anche perché ha la voce un po' debole).

Enrico Cattaneo nelle più belle fotografie di Tony Graffio
Enrico Cattaneo è molto appassionato di musica Jazz.

TG: Tu vivi in questo appartamento da tanto tempo?

EC: Dal '73 e anche questa è una storia abbastanza curiosa.Questa era una casa celebre in quegli anni. Perché in questa casa fu creata, inventata, organizzatala settimana del Nouveau Réalisme che fu un grosso avvenimento nel 1970, nel novembre del '70. Fu un avvenimento celebre che è rimasto nella storia. Venne qui il gruppo raccolto da Pierre Réstany 10 anni prima. La prima loro mostra venne presentata in una galleria che si chiamava “L'Apollinaire”. Tra loro c'era Armand, Rotella, Tinguely, César, Raysse e tanti altri. A Milano fecero grandi cose, anche in interni, dalla Rotonda della Besana ad altri luoghi. Ci furono delle bellissime performance in esterni come quella fatta in Espansione Galleria, Niki de Saint Phalle che sparava contro le bottiglie in Galleria; Rotella che aveva cosparso di manifesti un muro in via Formentini.

TG: In questo appartamento viveva qualcuno di questi artisti?

EC: No, qui stava un giovane editore e la sua compagna che erano molto amici di questi artisti che andavano avanti e indietro da questo appartamento. Tinguely è stato qui e sul terrazzo ci sono ancora degli scarti delle sue macchine. Sul pavimento ci sono ancora i segni delle sue martellate fatte nei momenti in cui sistemava le sue macchine, per cui ogni tanto scassava anche il pavimento.

Enrico Cattaneo Enrico Cattaneo Enrico Cattaneo
Difficile vedere Enrico senza la sigaretta in mano.

TG: Enrico tu fumi davvero tanto...

EC: La mia sigaretta è un classico, non credo che esistano miei ritratti dove compaio senza la sigaretta in mano.

Enrico Cattaneo
Tinguely in piazza Duomo, a Milano, nel 1970 per una sua famosa performance.

TG: Cos'altro puoi dirmi di Tinguely?

EC: Ogni tanto lui era qui con Niki, poi Tinguely organizzò la performance di questo grosso fallo che esplose in piazza del Duomo creando polemiche infinite, Christo ricoprì la statua di Vittorio Emanuele II in piazza del Duomo, creando altre polemiche con i monarchici che chiesero ed ottennero di far togliere la sua copertura dalla statua, con grossa rabbia di Tinguely. Per consolare gli artisti, si concesse loro di ricoprire il Leonardo da Vinci in piazza della Scala. Però era un'altra cosa, il monumento a Vittorio Emanuele II era molto grande. Restano di quell'evento delle fotografie molto spettacolari di Mulas ed anche di Berengo, credo. Purtroppo, io mi persi quell'evento perché ero impegnato da un'altra parte. Ritengo che quello sia un grosso buco nel mio archivio.

Collezione Enrico Cattaneo
Progetto per la performance del grande fallo esplosivo di Tinguely.

Terrazzo Enrico Cattaneo
Sembra un rottame, ma è parte di un'opera d'arte dimenticata da Tinguely su questo terrazzo 46 anni fa.

TG: Quindi eri amico di tutti, da Ugo Mulas a Gianni Berengo Gardin...

EC: Sì, Berengo lo trovo ancora in giro adesso, lui, lo Scianna e tanti altri.

TG: Conoscevi anche Cesare Colombo?

EC: Come conoscevo? Perché, è morto? (TG annuisce in silenzio e qui EC viene colto dalla sorpresa e si dispiace molto). No! Quando?

TG: Circa 20 giorni, un mese fa. Io l'avevo incontrato in una galleria in Svizzera per una presentazione ad una mostra in ricordo di Max Huber fotografo. Avrei dovuto andare a trovarlo, ma il giorno che l'ho chiamato non rispondeva, poi ho capito perché. Lo conoscevi bene?

EC: Certamente, fin da quando eravamo dilettanti, nel 1958-59.

TG: Ti senti di raccontare qualcosa di lui?

EC: Era un fotografo della nostra generazione, faceva delle cose leggermente diverse dal gruppo che frequentavo che faceva del reportage sociale.

TG: Cesare faceva più fotografia d'architettura.

EC: Sì, faceva dell'architettura ed era più vicino ai grafici ed era partito facendo il grafico all'Agfa, mi pare, in quei periodi ormai lontani. Era anche un bravo organizzatore ed infatti organizzò una mostra alla Rotonda della Besana, che se non erro s'intitolava: “I fotografi di Milano”, o qualcosa del genere. Fu una mostra importantissima con un grosso catalogo che è rimasta nella storia della città. Anche attualmente Cesare era molto attivo e cercava d'organizzare sempre delle mostre di un certo tipo.

TG: Suo padre era un bravo pittore vero?

EC: Ecco, questo non l'ho mai saputo, so che suo fratello maggiore, credo di un anno, o di due, era mio compagno di scuola al Liceo Vittorio Veneto in piazza Mentana. Lui ed il fratello abitavano lì vicino e mi pare facesse lo scultore. Secondo me, il rapporto di distanza tra Cesare e suo padre era dato da, come spesso accade ai figli di artisti, problemi di relazione con l'arte. Cosa che lo portava ad avere difficoltà a relazionarsi anche con persone che s'occupavano d'arte. Cesare ha sempre avuto un certo distacco con gli artisti, escluso qualcuno al quale si trovava vicino per ragioni politiche. Lui e Nicolini erano abbastanza vicini a Treccani, per esempio, a Bodini ed ad altri artisti figurativi e con una connotazione politica ben precisa. Erano tutti del PCI, capisci? Pur con qualche distinguo, perché era già passato il 1956 e con la storia dell'invasione sovietica in Ungheria, a qualcuno venne qualche dubbio, ma i duri e puri, nonostante la repressione armata, restarono tutti del PCI. Compresi i miei amici realisti esistenziali che rimasero tutti nel PCI.

Fotografie 1958 - 1964

TG: Hai iniziato subito a lavorare nel mondo dell'arte, o hai proposto qualche altro tipo di fotografia?

EC: All'inizio, da dilettante facevo altre cose, facevo dei paesaggi, facevo della fotografia che per quei tempi era estremamente ai margini del dilettantismo. Io non facevo il bel paesaggino, fotografavo le discariche, in corridoio ne ho ancora qualcuna appesa che ho scattato nel 1957. Le discariche per me avevano una connotazione sociale e poi, sempre da dilettante, ho affrontato anche i primiscioperi dei metalmeccanici, nel 1961. Proprio qua sotto, c'era la Breda che sfilava qua sotto, è stato un grandissimo sciopero contro il governo Fanfani. In quell'occasione, in modo incosciente, non avendo un grande giornale alle spalle che si occupasse di questi temi, rischiavo per conto mio. E il rischio era grande perché allora la polizia non usava il manganello, ma il calcio del fucile. Io lavoravo come free-lance per qualche giornaletto milanese tipo “Le Ore”, “Settimo Giorno”, “Il Corriere Lombardo” e qualche altra testata. Ho pubblicato qualche fotografia su: “La Notte”, perché allora c'erano molti quotidiani del pomeriggio che adesso sono completamente spariti. Questo settimanale che si chiamava: “ Le Ore” divenne poi un giornale scandalistico, ma io allora non c'ero più, per fortuna, era molto attento al nuovo modo di fare fotografia che era molto diverso dalla fotografia che facevano i paparazzi, anche se a Milano non ci sono mai stati i divi delle notti romane.


Le discariche a cielo aperto fotografate nel 1957. Non si trattava di vere discariche, ma di luoghi dove la gente riversava i propri rifiuti illegalmente. Da notare l'assenza della plastica.

Resti di passepartout della Pico-Glass diventati una riuscita scultura appesa al soffitto.

TG: A Milano non c'era Cinecittà...

EC: Sì, infatti, a Milano c'era di tutto, ma mancava l'industria cinematografica, sono stati fatti solo dei tentativi in questo settore. Anche se a Milano sono stati girati film importantissimi, come: “Rocco e i suoi fratelli”, “La notte” di Antonioni, “Miracolo a Milano” di De Sica e anche i film di Ermanno Olmi che inizio con “Il posto” che è una tipica storia milanese. Questi erano i film che noi, parlo di noi perché io mi identificavo in un gruppo di cui facevano parte i giovani fuoriusciti dal Circolo Fotografico Milanese.

TG: Eri amico di Donzelli?

EC: Sì, ma Donzelli era di una generazione precedente alla nostra. Io sto parlando di Fantozzi, di Rosa, di Cosulich e tanti altri, insieme creammo il Gruppo 66. La nostra fotografia era guardata con molto sospetto dai senatori del Circolo Fotografico Milanese, perché loro facevano un tipo di fotografia molto leccata, molto curata, molto elegantina...

Un trittico di Enrico Cattaneo realizzato con vecchi provini ritrovati in cantina. In una delle ultime aste di Finarte alcune opere di EC sono state messe in vendita a 7000 euro, ma non sono state vendute, perché a detta dell'autore erano lavori troppo difficili da capire.

TG: Non scendevano in strada?

EC: No, loro non scendevano in strada, non affrontavano le tematiche sociali perché erano fuori dal loro mondo. Loro ci accusavano innanzitutto di fare della politica, di essere troppo impegnati sia politicamente, sia socialmente, per cui alla fine ci consideravano dei provocatori che facevano delle cose abbastanza assurde, per l'appunto molto vicine alla cinematografia neorealista di allora. Loro invece inseguivano un tipo di fotografia pura che identificavano nelle tematiche degli anni 1940, quella di Cavalli, di Crocenzi, di questi fotoamatori evoluti che noi non accettavamo e ci facevano ridere. Poi c'era Lanfranco Colombo che andava a fotografare in Islanda, a fare cosa poi? Gli amatori allora, esclusa una parte di studenti, o piccoli impiegati, appartenevano ad una borghesia medio-alta, cosa che dava loro la possibilità di permettersi apparecchi fotografici che noi ci sognavamo, tipo Linhof e Plaubel. In più avevano anche i soldi per girare mezzo mondo. Al confronto, molto meno di adesso, però rispetto a noi, loro potevano andare a spasso per fare i safari in Africa o a fotografare i Geyser in Islanda e quelle cose lì.

Enrico Cattaneo nelle bellissime fotografie di Tony Graffio
Ready made è l'ultimo lavoro esposto da Enrico Cattaneo. Le sue fotografie erano esibite sullo schermo di un computer e rifotografate. Gente da Biennale invece era un'esposizione la cui copertina del catalogo mostrava i pass delle 17 edizioni della Biennale visitate e documentate da EC.

TG: Politicamente, qual era la tua posizione?

EC: Eravamo tutti vicini alle posizioni del PCI, ma dubito che capissimo qualcosa (sogghigna). Alla fine, noi facevamo i fotografi, non i politici. Facevamo una fotografia socialmente impegnata. Ripeto, quando io vidi gli scioperi, mi ci buttai a capofitto. Un lavoro che mi diede un po' di celebrità, forse perché fu anche un po' provocatorio è stato quello sulla Prima de La Scala, nel 1960. Mi è capitato poi di esporre contemporaneamente le fotografie degli scioperi insieme a quelle scattate la serata della "Prima".

TG: C'erano già le contestazioni alla "Prima"?

EC: Direi di no, le contestazioni arriveranno dopo. I fotografi che si occupavano di queste cose, ripeto, erano pochissimi. I cronisti, ovviamente c'erano, ma fotografavano il Presidente della Repubblica o il Sindaco. Quella volta a La Scala, io mi ero preparato comprando una delle prime pellicole rapidissime dell'Agfa, credo fosse una 1200 Asa. Nonostante tutta questa sensibilità, io lavoravo ad 1/30 di secondo a 2,8 di diaframma. Per fare quel lavoro comperai anche un obiettivo usato dell'Exakta con un diaframma f 2,8. Prima invece, mi pare che usassi una Contaflex o una Contarex che aveva un obiettivo di apertura massima f 3,5. Quel mezzo diaframma in più mi era estremamente utile per fare quelle riprese al Teatro alla Scala, ma malgrado tutti gli accorgimenti, la luce era talmente scarsa che dovetti sovrasviluppare tutto in maniera spaventosa e la grana andò alle stelle. Dopo di che, feci delle stampe abbastanza grandi, cosa che ancor di più mise in evidenza una grana esagerata. La mia tecnica suscitò il disprezzo dei saloni del Circolo Fotografico Milanese, ma anche l'interesse di altra gente. Io entrai a lavorare a: “Le Ore” proprio perché videro questo mio lavoro fatto a La Scala.

TG: Tu in quell'occasione ti eri infiltrato, vero? Non eri lì per vedere l'opera.

EC: Sì, naturalmente, non avendo il pass giusto dovevo infiltrarmi, allora arrivai lì con lo smoking e il farfallino e feci il furbo, solo che il tutto dura abbastanza poco perché quando ti scoprono ti buttano fuori. Ma se dovessi continuare a raccontarti avventure di questo tipo staremmo qua fino a Natale (ride insieme a TG).

TG: Quali erano i soggetti delle fotografie di quella Prima a La Scala?

EC: Io fotografavo le persone, anche se erano sconosciute, a me non interessava chi fossero.

TG: Dove hai mostrato le fotografie, dopo?

EC: Una delle mie fotografie avrà vinto 20-30 primi premi in tutte le mostre italiane ed europee. L'unica possibilità per far vedere queste fotografie era di appenderle al muro e presentarle alle varie mostre della Fiaf, a livello nazionale, o internazionale.

TG: Quelle fotografie sono piaciute sia per i soggetti che per la tecnica e per il tuo modo coraggioso d'inserirti in quell'ambiente?

EC: Un po' per tutto, si perché tecnicamente il mio modo di lavorare era una novità, poi perché il mio era un modo di lavorare improbabile, per i miei colleghi di allora, o gli amici di allora. Ne venne fuori un lavoro giudicato estremamente interessante.

TG: Da lì sono iniziate ad arrivarti qualche proposta di lavoro?

EC: Ecco, da lì, qualche giornale e qualche critico iniziò a tenermi d'occhio ed io iniziai a pensare di fare il professionista. Quello fu un lavoro che forse diede una svolta alla mia vita. A quei tempi, per un professionista, l'ideale era di fare il fotoreporter e lavorare per le grosse testate giornalistiche. Poi, invece io frequentai il mondo artistico e da quell'ambiente non sono più uscito. Fotografavo gli eventi, ma anche le opere degli artisti. In realtà non ero felice di fare quel lavoro perché non lo ritenevo il mio mestiere, ma poiché me lo chiedevano iniziai a fotografare quadri. Pian piano si sparse la voce che ero bravo a fotografare le opere degli artisti, così mi arrivarono altri lavori da fare. In più, costavo poco. Dopo gli artisti, fui richiesto dalle gallerie d'arte, fino arrivare alle gallerie più prestigiose: Marconi, Schwarz, poi Lorenzelli, Sant'Andrea, Pellegrini e tante altre gallerie.

Enrico Cattaneo e libri d'arte che pubblicano le sue fotografie
Cumuli di libri d'arte arrivati ad Enrico negli ultimi due anni.

"Non capire l'arte contemporanea è qualcosa di tipico, un tempo nessuno capiva i Gauguin, salvo pochissimi illuminati" EC

"Nell'arte contemporanea il gusto non è importante, quello che ti piace oggi domani mattina potrebbe non piacerti più; mentre se una ricerca o un'opera ti interessa oggi, ti interesserà domani ed anche dopodomani. Ciò che conta nell'arte è l'interesse visivo ed intellettuale." EC

TG: Possiamo dire che quei lavori ti hanno portato il vantaggio di arrivare a possedere opere di artisti molto quotati?

EC: Beh, vantaggio forse, ma io ho consumato tante di quelle pellicole e ci ho messo tanto di quel lavoro che forse se avessi comprato il quadretto che invece mi hanno regalato mi sarebbe costato meno. Solo che io non avevo i soldi per comprarlo. Avevo solo le pellicole per riprendere e la carta per stampare.

TG: Tu hai conosciuto tutti gli artisti che sono venuti a Milano per esporre i loro lavori?

EC: Sì, da Tinguely a Warhol.

Enrico Cattaneo in un ritratto fotografico di Tony Graffio
Ritratto di Enrico Cattaneo sul terrazzo.

TG: c'è qualcuno che tu hai apprezzato in modo particolare, o che ricordi con più gioia?

EC: Questa è una domanda che spesso mi viene posta. Quando ho cominciato a lavorare con gli artisti, mi sono sempre ben guardato dal giudicare, perché se lavori con un artista che non stimi, o che giudichi, c'è il rischio che il tuo lavoro scada d'intensità e perda interesse. Cosa che non va bene per un professionista, per cui ho sempre trattato la scultura, o l'opera di un grande maestro esattamente come quella del quadro o la scultura del giovane, ultimo arrivato. A quei tempi l'Accademia di Brera era molto frequentata dai giovani artisti stranieri che non sapendo a chi rivolgersi per farsi fotografare i loro lavori, naturalmente capitavano qua da me. Moltissimi sono spariti, ma tanti altri tra loro sono diventati artisti importanti.

Enrico Cattaneo nel reportage di Tony Graffio
Cattaneo con il carretto abbandonato da Tinguely. Su questo terrazzo negli anni '60 e '70 si organizzavano feste gigantesche cui partecipavano i più grandi artisti dell'epoca.

TG: Che cos'è l'arte visiva, secondo te?

EC: Posso dire quello che faccio io, non giudico quello che fanno gli altri. Credo che l'arte visiva sia un modo di raccontare che ha un linguaggio che ciascuno personalizza. Quasi sempre, anche se in maniera nascosta, si finisce per raccontare di se stessi. Questo è qualcosa che capita a tutti gli scrittori, registi, poeti e anche ai musicisti, perfino loro compongono qualcosa che riguarda la loro autobiografia. Arte visiva, ma anche arte in generale significa raccontare qualcosa che non è narrabile come facciamo adesso a parole. E nemmeno lo si può fare con un pentagramma, o con un computer. Si racconta per mezzo di segni perché il segno è l'alfabeto del racconto e la sintassi, ciscuno se l'inventa per conto suo.

Sulla stessa striscia di negativo un autoritratto di Enrico Cattaneo (compare anche sul libro pubblicato da Mudina: "Enrico Cattaneo, Lavori in corso") e un ritratto di Lucio Fontana che si liscia i baffi.

TG: Quando Fontana ha fatto i suoi primi tagli sulle tele ha fatto una rivoluzione, voi vi rendevate conto che stavate vivendo un momento particolare?

EC: No. (Pausa) Beh, non vale solo per Fontana che ha sconvolto un po' il modo di raccontare, ritornando a quello che dicevamo prima. Fontana ha sconvolto il linguaggio, il segno, l'alfabeto. Vale per lui, per Manzoni, vale per Burri, cito soltanto i maggiori, ma ce ne sono altri. E' difficile rendersi conto della validità di quel periodo storico quando lo vivi dall'interno. Anche le mie fotografie all'epoca non erano gran che, ma adesso non puoi fare la storia dell'arte senza le mie fotografie. Ogni giorno escono libri di tutti i tipi che riportano le mie fotografie. Naturalmente c'è il problema del copyright che nessuno mi paga, malgrado le mie proteste...

TG: Ti citano almeno?

EC: Eh cavolo, almeno quello sì. Ovvio. E mi mandano dei libri che non so più dove mettere. L'importanza di un momento particolare la riconosci dopo 20 o 30 anni che l'hai vissuto.

TG: Quando invece hai iniziato a capire che Milano non era più Milano, che l'Italia non svolgeva più un ruolo culturale dominate e che il paese si stava avviando verso la sua decadenza, a tutti i livelli?

EC: A tutti i livelli non lo so, la gente ha continuato a lavorare, ha continuato a produrre, a scrivere, a far musica, a dipingere o scolpire, per cui da questo punto di vista la crisi non l'ho vista e non la vedo, da questo punto di vista. La vedo però da un lato economico che è un discorso collegato, ma non c'entra niente.


Questa è proprio la pipa disegnata da Magritte e l'orinatoio disegnato da Duchamp.

TG: Spiegami meglio questo concetto.

EC: Una crisi di tipo economico rallenta il lavoro dei mercati, rallenta il lavoro dei critici, rallenta il lavoro dell'editoria. La crisi economica ha molto inciso su di noi perché eravamo abituati alla MiIlano degli anni '70 in cui si facevano molte cose. Probabilmente, per trovare un periodo peggiore bisogna pensare al periodo dei surrealisti, a Parigi, a metà degli anni '30. Forse loro vivevano situazioni economiche peggiori, ma ci erano abituati, perché erano nati all'interno di quel contesto.Mentre noi abbiamo subito un continuo decadimento, dagli anni '70 in poi. Tutto sommato anche gli anni '80 e '90 sono trascorsi bene, ritengo che il grosso problema economico sia quello attuale poiché anche le gallerie importanti fanno fatica a sopravvivere. Ogni anno ci sono centinaia di tentativi, da parte di piccole gallerie, d'inserirsi nel mercato, ma con scarso successo. Gallerie che durano sì e no l'arco di una stagione.

Enrico Cattaneo in un reportage di Tony Graffio
Definire Enrico Cattaneo un fotografo documentarista è riduttivo, considerando che egli ha contribuito a segnare il periodo più creativo dell'arte contemporanea.

TG: Mancano i compratori, il mercato s'è spostato verso altri paesi.

EC: S'è spostato il mercato perché non ci sono più grossi collezionisti alle spalle che sostengono le gallerie.

TG: Mancano gli industriali di un tempo?

EC: Sì, è vero, mancano i soldi degli industriali, i soldi dei grossi collezionisti, anche se io credo che negli anni '70, '80, '90 il mondo dell'arte, dal punto di vista commerciale, era sostenuto dalla media borghesia,che specialmente al sabato, riempiva le gallerie per comprare le piccole opere, sia d'avanguardia che d'estrema avanguardia.

TG: C'era più amore verso l'arte e la cultura?

EC: Esatto, c'era la disponibilità di qualche soldo in più, poi ti racconterò un episodio che mi ha colpito molto, che permetteva ai piccoli amatori d'entrare in possesso di opere, spesso per il desiderio d'entrare in questo mondo per loro affascinante e per qualcuno con l'occhio avanti, anche per ragioni speculative. Io conosco un giornalista che ha sempre lavorato all'Ansa. L'Ansa era in piazza Cavour e lo è tuttora. Fontana aveva il suo studio in Corso Monforte, vale a dire a circa 200 metri di distanza. Ogni mese che questo ragazzotto prendeva lo stipendio dall'Ansa passava da Fontana a comprare un quadro. Magari un quadretto di 50X70 centimetri.

TG: Perché gli piacevano?

EC: Perché gli piacevano. Perché per lui questa era diventata un'abitudine e tutte le volte lui comprava un quadretto che all'epoca costava quattro lire. Nei primi anni '60, ma anche a metà anni '60 era così, non costavano milioni, come adesso... Fontana, tutto contento, gli regalava anche qualche disegno... Quest'uomo, nel giro di qualche anno, s'era fatto una collezione di 70-80, o anche 100 quadri di Fontana. Fai tu i conti di quanto ha guadagnato questo tipo.

Enrico Cattaneo fotografo nel reportage di Tony Graffio
Nel grande appartamento in zona P.ta Venezia Enrico aveva attrezzato sia una sala di posa che una camera oscura. Cattaneo fotografava gli artisti in occasione di presentazioni di mostre, eventi e performance; non utilizzava mai il flash. Nella sala di posa fotografava solamente le opere d'arte.

TG: Conosci Armando Marrocco?

EC: (Sorride) Certo, figurati, da una vita, abbiamo vissuto un sacco d'avventure insieme, anche strampalate.

TG: Puoi raccontarmi qualcosa, un aneddoto, un episodio su di lui?

EC: Ne ho tanti, andavamo spesso a fotografare i suoi lavori a Cascia, al Monastero di Santa Rita. Lui aveva realizzato alcune delle vetrate del Santuario e mi portava lì a fotografarle. Andavamo lì anche d'inverno con delle automobili scassate che avevano problemi ed ogni tanto facevano i capricci; andavamo a dormire nei conventi. Una volta capitò che fotografammo la collezione delle suorine di clausura del convento di Santa Chiara. Lì avevano delle opere di Yves Klein, un artista devoto che le aveva donate alla Santa. Intanto che noi stavamo fotografando i lavori di Marrocco, le suorine mi chiesero di fotografare anche la loro collezione. Io fui d'accordo, ma dissi che dovevo entrare da loro per fare queste fotografie. Ci dissero che non c'era nessun problema. Iniziammo a fotografare i lavori di Klein, ma ad un certo punto io m'innervosii perché ero un po' stanco e dissi. “ Cristo, ma in questo posto qua non c'è un whisky?!”. Le suore mi dissero che se volevo bere un whisky me lo avrebbero portato subito, e fu così. Io e Marrocco sgranammo gli occhi e cinque minuti dopo una suorina ci portò da bere. Noi fummo ben contenti e pensammo a quello che ci stava succedendo...

TG: Non se la passavano poi male eh?

EC: Effettivamente, no. Mi è bastò esprimere un desiderio per vederlo esaudire.

Enrico Cattaneo nel Reportage di Tony Graffio
Parte dell'archivio dei negativi 35 mm contiene l'equivalente di più di 7000 rullini

TG: E invece: Federico De Leonardis?

EC: Ahia, l'argomento è un po' più complicato... Ma come mai tiri fuori dei nomi così strampalati?

TG: Non c'è qualcosa che ricordi anche su di lui?

EC: Figurati! Lui è un ingegnere, credo che anche il suo modo d'esprimersi sia sempre vicino all'ambientazione di oggetti nello spazio. Si interessa di architettura d'avanguardia. Un giorno andammo a fotografare una cartiera abbandonata, a Cairate, e naturalmente ci lavorammo per parecchi mesi, tornando sul posto parecchie volte. Io feci delle fotografie che poi lui utilizzò a suo modo per i suoi libri ed io ne feci un lavoro mio con una trentina di scatti che ho esposto più di una volta. Anche in epoche recenti. Anche al Photo festival. Con De Leonardis facemmo anche un altro lavoro nel porto di La Spezia dove demoliscono le navi. Un altro lavoro lo facemmo a Massa Carrara in una gipsoteca. Abbiamo fatto parecchie cose assieme, però con certe difficoltà, perché la sua personalità tende a scontrarsi con la mia. In più abbiamo interessi diversi. In queste cose qua io faccio il documentarista con il mio occhio, mentre lui vede le cose a suo modo. Le fotografia che lui ha utilizzato erano i miei scarti.

Una misteriosa artista americana alla quale EC era molto affezionato.

TG Per un artista il carattere è importante, però essere troppo egocentrico può essere controproducente. O no? Ti è capitato altre volte di scontrarti con qualcuno?

EC: Quasi mai. Sono sempre andato d'accordo con tutti. Ho tanti nemici non dichiarati, ma col De Leonardis qualche battibecco l'ho avuto. Ai miei assistenti o ai miei collaboratori insegno, come prima cosa, che loro devono considerarsi i più bravi del mondo. Mi spiego meglio: se un artista non è egocentrico e talmente pieno di sé da non ritenersi il più bravo del mondo può cambiare mestiere.

TG: E' anche un modo per superare le proprie insicurezze?

EC: Ovvio, devi superare le insicurezze, ma devi auto-convincerti di fare un lavoro che gli altri non sanno fare e che tu sei l'unico che può farlo. Questo è qualcosa che vale per un sacco di gente, da Picasso in giù, figurati! Anche il mio amico Franco Ferroni era così, se tu gli dicevi che un suo quadro non ti piaceva, te lo rompeva in testa. Ci sono artisti che quando arrivano sui 60-70 anni e capiscono che non ce l'hanno fatta s'incattiviscono e diventano intrattabili. Non puoi illuderti per tutta la vita di essere qualcuno, se poi non lo sei veramente.

Laboratorio del fotografo Enrico Cattaneo
Il lavello della camera oscura. Nel 1968-1969-1970 EC ha stampato alcuni lavori di Man Ray. Proprio in questi giorni Enrico ha ritrovato alcune fotografie del maestro americano che ha incorniciato ed esposto nel corridoio del suo appartamento.

Enrico Cattaneo reportage di Tony Graffio
In camera oscura. Enrico Cattaneo mi ha raccontato che Man Ray anziché comprare le cartoline ritagliava le sue fotografie ci scriveva dietro e le spediva agli amici. Qualcuno le ha poi raccolte, e punzonate per archiviarle, per questo adesso alcune di queste cartoline presentano un paio di fori.

TG: Enrico, continui ancora adesso a fotografare?

EC: Purtroppo, no. Vedi, la borsa è ancora lì pronta con una macchina fotografica dentro, ma sono tre mesi che non la tocco. E sono tre mesi che non stampo una fotografia in camera oscura.

TG: Come mai?

EC: Ho qualche problema fisico e mi affatica molto stare in piedi. Dicono che fumo troppo, cosa che può essere vera.

TG: Ti pesa stare fermo senza lavorare?


EC: Il mio lavoro mi manca da impazzire. Chi non mi vede più in giro mi chiede se sono depresso ed infatti mi viene un po' l'angoscia a non fare niente. Io non ho mai avuto una lira in vita mia, figurati adesso che non lavoro.

Enrico Cattaneo
Un altro archivio è quello che contiene i negativi dei formati più grandi, dal 6X6 al 13X18. I provini a contatto 35mm sono conservati nei raccoglitori sopra al mobile.

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