"Non
sono il mattatore-mitomodernista, ma semplicemente colui che ha avuto
l'idea a cui altri convergono e liberamente esprimono la loro
protesta." Tomaso Kemeny
Precedentemente,
mi ero già interessato alle questioni riguardanti i Mitomodernisti,
un movimento di poeti che spinti a contrastare l'Impero del Brutto
avevano affermato con azioni eclatanti la loro volontà di far
rinascere il bello ed i valori umanistici che hanno reso grande la
stirpe dell'uomo. Riporto di seguito, per comprenderne meglio gli
intenti, la prima parte di una piacevole conversazione avuta lo
scorso 18 novembre con Tomaso Kemeny, un poeta molto noto a livello internazionale che è stato uno dei promotori di questo progetto
culturale, insieme a Pietro Berra, Flaminia Cruciani, Germain
Droogenbroodt, Mirna Ortiz, Paola Pennecchi, Gèza Szocs, Angelo
Tonelli e tanti altri poeti, anche non mitomodernisti. TG
Tony
Graffio: Questo mondo ha sicuramente bisogno di bellezza, troppe cose
brutte accadono e troppa gente ha perduto il senso estetico, oltre
che forse tutti i canoni di riferimento etici e culturali. Voi poeti
che cosa vi proponete di fare con l'azione di protesta che avete in
programma per il giorno 3 dicembre 2016, sugli scalini della Borsa,
in
Piazza degli Affari, a Milano?
Tomaso
Kemeny: Oggi domina l'Impero del Brutto che si articola su vari
piani: economici, prima di tutto; politici; oltre che di violenze e
di religioni che spuntano con le armi in pugno, come ben si sa.
Persino nelle arti spesso domina il mercato sul valore estetico. Ciò
significa, enunciando un facile slogan, che tutto ha un prezzo e
niente ha un valore. La bellezza invece è l'unica cosa che non è
pagabile.
TG:
Anche l'amore, non crede?
TK:
Vero, solo che l'amore non può essere collettivizzato. In genere, è
un sentimento che si vive tra due persone; nei casi più viziosi
anche tra tre o quattro, però è qualcosa che sfugge alla
socializzazione.
TG:
Esiste un rapporto tra la bellezza e l'amore?
TK:
Dipende, perché la parola “Amore” è ambigua. L'amore
sessuale-sentimentale è: “io e tu”, “tu ed io”; mentre
l'amore della bellezza è sempre: “noi”. Cioè, un fatto
collettivo, soprattutto in un paese come questo dove ci sono i grandi
mattatori, i grandi individualisti e la mancanza del senso comune.
L'Italia è, o dovrebbe essere, il paese della bellezza intesa come:
“noi”.
TG:
Maestro, lei ritiene che imperi il brutto poiché ci troviamo a
vivere in un'epoca di decadenza?
TK:
E' un po' la conseguenza dei vari interessi che si sono accumulati.
Per esempio, In Tibet la Cina fa quello che vuole e nessuno dice
niente perché la Cina è un paese molto potente; mentre se Israele
strappa un pelo della barba di un arabo accade di tutto... Cosa vuol
dire? Giustamente, si reagisce contro i meno forti, mentre si subisce
qualsiasi cosa da parte dei più forti. Queste situazioni esprimono
bene l'idea del brutto. Shiller aveva scritto un libro piuttosto
importante sull'educazione estetica. Ritengo che quel testo oggi sia
ancora più importante. Naturalmente, l'educazione estetica non è
soltanto la moda, il modo di presentarci o la formalità, ma
soprattutto l'essenza: quella luce che potremmo chiamare anima.
Ognuno di noi ha dentro di sé tutto il cosmo, ma non ha il tempo di
vederlo... Quando Kant diceva: il cielo stellato sopra di me... Io
direi anche: il cielo stellato dentro di me.
TG:
In che senso?
TK:
Sono i greci che hanno inventato il culto della bellezza e dicevano
che il cielo stellato Uranos aveva posseduto Gea, la Terra, ed
avevano avuto la figlia Mnemosine, la memoria, che era la madre delle
Muse. Ergo, tutto ciò che è estetico è cosmico in un rapporto tra
la Terra e l'Universo. Questo è il respiro ampio dei greci, poi le
poetiche si sono un po' impoverite diventando molto più commerciali,
ai nostri giorni. Questo è il problema, mentre non era ancora così
nell'Ottocento, anche se Beaudelaire che era già contro l'Impero del
Brutto diceva: “Se scrivo una poesia il cane abbaia, ma se
all'angolo della strada gli faccio sentire il piscio di una cagna,
scodinzola.”. Così è il gran pubblico. Non si sapeva ancora cosa
sarebbe successo più tardi con la globalizzazione.
TG:
Il brutto lo possiamo trovare in tutti i campi?
TK:
Sì, ci sono anche opere belle, ma anch'esse vengono un po'
contaminate. Questo non è solo colpa del Liberalismo, ma di un
sistema generale di valori in cui, se un grande come Aragon diceva
che l'unico Dio rimasto era il caso, non c'è più provvidenza.
Questa era un'idea surrealista. Adesso, io credo che nemmeno il caso
c'è più perché è dominato dal dio denaro.
TG:
Allora, i mali di questa nostra epoca contemporanea sono la
globalizzazione, la perdita d'identità culturale e la divinizzazione
del denaro?
TK:
Sì. Essendo morti tutti gli altri valori. Nietzsche diceva: “Dio è
morto...”, ma era solo l'ouverture di quello che sarebbe
successo dopo. Adesso, non solo Dio è morto, ma sono scomparsi gli
angeli protettori dell'uomo, sono rimasti solo i diavoletti
tentatori. Il Consumismo è basato proprio su queste figure che fanno
comprare oggetti che non servono. Il movimento Mitomodernista è
rivoluzionario proprio nel piccolo, perché ritiene il dono
alternativo al consumo. Il dono è un rapporto reciproco tra persone,
mentre il consumo mette in relazione l'uomo con un oggetto. Io e la
cravatta; io e la scarpa; io e la macchina... Il consumo che in sé
sarebbe un bene, diventa un male quando nell'Impero del Brutto
l'individuo non viene valorizzato per quello che è, ma per quello
che possiede.
TG:
C'è un'alternativa al Consumismo?
TK:
Naturalmente, per gli esteti sarà il dono. Questo nuovo sistema non
potrà sovvertire la struttura economica mondiale, però potrà
portare un po' di luce nella psiche umana.
TG:
L'alternativa è agire per il piacere di fare?
TK:
Sì, un ritorno all'autenticità. E' difficile definire
l'autenticità: il problema è che gli dei sono stati introiettati
dalla scienza psicanalitica, per cui non c'è più Venere, Marte,
eccetera, ma permangono solo i sintomi del malessere. Oggi, c'è un
sintomo narcisista che ci fa capire come non siano più gli dei a
dominare, ma le manie. Ormai, se non si appare si crede di non
essere. Questo però è solo un sintomo del malessere che viviamo. Il
vero problema è il denaro, la smania di possesso, la capacità
d'acquisto. E' crollata anche l'idea Marxiana delle classi sociali:
non c'è più lotta di classe, ma lotta d'acquisto.
TG:
Maestro, qualche mese fa a Roma, i
Mitomodernisti sono andati a Roma e sotto la statua di Giordano Bruno
hanno bruciato il denaro. Questa nuova azione che farete a breve
in Piazza degli Affari, a Milano, è collegata alla protesta romana?
TK:
Noi abbiamo iniziato nel 1980 a manifestare contro certi falsi
valori. Non abbiamo avuto fortuna, però siamo riusciti a
sensibilizzare una piccola società all'interno della società e a
portare le persone in piazza ad agire nel rispetto di certi principi,
come la donazione e non favorire il divismo individuale. Almeno, si
spera che sia così... Certamente anche questa nostra azione è
legata in maniera simbolica alla protesta per la divinizzazione del
denaro. Il denaro è utile perché il mio denaro vale come quello di
un altro cittadino e non c'è discriminazione. Si tratta di un fatto
democratico, ma diventa un fatto di repressione quando capita che
qualcuno abbia 70 miliardi di dollari ed io soltanto due euro in
tasca. Il denaro può essere un bene democratico, ma nell'Impero del
Brutto troviamo diseguaglianze eclatanti che non vediamo più in
chiave Marxiana, ma in chiave estetica. Se pensiamo ad un personaggio
come Trump, sempre circondato di belle donne, ci accorgiamo che è il
ricco che ha il segno del divino, cioè del trascendente, ovvero di
ciò che trascende la corporeità. Si potrebbe essere anche piccoli e
gobbi, ma con 70 miliardi di patrimonio si diventa molto appetibili.
In questo caso si è colpiti dalla grazia. Non è più la grazia
divina, ma la grazia del denaro. Questa non è retorica, ma un fatto
fenomenologico. Già Mosé scendendo dal monte Sinai aveva contestato
contro l'adorazione del Vitello d'oro. Noi siamo molto meno
significativi, pur non avendo il decalogo e non avendo parlato con
Dio, però abbiamo parlato con le stelle e l'Universo che dicono che
quello che conta è l'armonia e l'armonia vuol dire giustizia e
bellezza. Tutto quello che manca al mondo.
TG:
Solo i poeti, in quanto non vendono la loro arte e sono un po' fuori
dal commercio, possono permettersi di protestare e cercare di
risvegliare le coscienze degli uomini medi scendendo in piazza a
gridare la loro indignazione davanti a questo sistema di cose?
TK:
Io direi che i poeti, come tutti gli altri, sono un po' contaminati
dall'Impero del Brutto, solo che cercano di superare questa
condizione. Non diciamo che noi siamo i migliori, ma che la poesia è
di tutti e di nessuno, però rivela a coloro che la praticano, la
disarmonia. Senza essere cristianamente umili, ma solo oggettivamente
consapevoli della propria piccolezza, si cerca quello che Nietszche
chiamava l'Oltreuomo; non di diventare superuomini che è una
traduzione sbagliata, ma di andare al di là dell'integrazione dei
pregiudizi di un'epoca per cercare di vedere che cosa ci unisce
all'Universo. Anche un non poeta può partecipare alle nostre azioni.
TG:
Allora perché lo fanno proprio i poeti?
TK:
Il fatto che i poeti non navighino nell'oro potrebbe essere una
risposta, ma non basta. Parteciperanno a questa azione anche persone
che non hanno a che vedere con la poesia, perché sentono di voler
andare al di là dei confini del: “do ut des”.
TG:
Può farmi qualche esempio di quando i poeti sono scesi in strada a
protestare, nel passato, per risvegliare la gente?
TK:
Sì. Sándor Petőfi ha scatenato nel 1848 la rivoluzione magiara
contro gli Asburgo, cadendo poi in battaglia, come soldato semplice,
contro le truppe zariste in Transilvania. Dal Circolo Petőfi di
Budapest è sorta la sollevazione contro la tirannia sovietica, nel
1956.
TG:
Le cosiddette “istituzioni” o il “sistema”, si accorgono che
è grave quando un poeta scende in piazza per dire: “Così non
va!”?
TK:
No. In genere, in questi casi il poeta viene esiliato, vedi Ovidio
che quando Augusto vuole essere epicamente cantato il poeta
preferisce comporre le sue "Metamorfosi" (che hanno
ispirato la poesia italiana da Dante in poi). Virgilio compone
l'"Eneide" che inneggia alle origini mitiche di Roma e di
Augusto. Ovidio viene allontanato da Roma per apparenti motivi.
L'Eneide di Virgilio è un'opera immortale, un capolavoro, ma è
chiaramente un'opera per il regime. Esiste il poeta che s'adegua, il
poeta non è per forza un rivoluzionario o una coscienza della tribù.
Ci sono poeti, anche grandissimi, che nuotano nel conformismo, poeti
cortigiani. Più che ai poeti, è ai cittadini che credono nei valori
della fratellanza, della libertà e dell'uguaglianza, secondo i
termini delle Rivoluzione Francese, che è dato il compito di
difendere i diritti dell'uomo. "Poetry and Discovery" è
invece un movimento che ritiene di dover diffondere i valori che
rendono la vita dell'uomo e della donna "bella".
TG:
Il poeta però è anche un filosofo, è un intellettuale che è una
guida un po' anche per gli altri artisti. Ho parlato con moltissimi e
quasi tutti leggono poesia, citano poeti che prendono ad esempio.
Perché? I poeti riescono a descriverci ed a sintetizzare meglio di
altri quello che ci circonda?
TK:
In Italia, per esempio, i poeti erano sempre col potere, però un
Alfieri ha scritto sul tirannicidio, forse per questo è onorato in
tutti i paesi eccetto che in Italia. Byron che era un poeta
rivoluzionario amava Alfieri. Pasolini è stata un'altra figura
importante del dissenso italiano. Ci sono dei poeti che sono dei fari
e per questo diventano un riferimento per molti. Adesso, in
quest'epoca del brutto, si cerca però di distruggere gli antenati
validi ed io mi arrabbio molto, si sono dette delle falsità su Freud
solo per fare notizia; allo stesso modo, sono state dette delle cose
di Marx poco edificanti. Ma ciò che mi ha fatto veramente infuriare
l'ho letto l'altro giorno su l'inserto di Venerdì, dove s'è parlato
di André Bréton che io considero la persona più elevata che ho
conosciuto, come uno che fosse comunista senza dirne i motivi e il suo trozkismo. Come se il Surrealismo fosse stato un movimento di stravaganti e folli.
TG:
Il tempo distorce la realtà dei fatti se non si conservano documenti
probatori.
TK:
Non solo il tempo, oggi si tenta deliberatamente di distruggere i
validi. Bréton era entrato nel Partito Comunista al tempo del
Nazismo, nella speranza di combattere le dittature e nella speranza
di una rivoluzione surrealista, ma fu espulso un anno
dopo andando a Mosca a portare il latte in polvere ai bambini che
morivano di fame, perché il sistema comunista non funzionava. Quando
s'è reso conto che il latte in polvere lo accaparrava solo chi
apparteneva al partito per portarlo ai propri figli, ha
schiaffeggiato il ministro della cultura sovietico. Poi è andato in
Messico da con Trozkij a stendere un manifesto degli antinazisti, ma
non stalinisti... Trozkij è stato ucciso, come sappiamo tutti. Quindi
possiamo non condividere il suo punto di vista, ma dire che era stalinista fa ridere i polli! Sarebbe come dire che Ungaretti era
fascista, solo perché il Duce ha fatto la prefazione del suo primo
libro, onde per cui, nonostante fosse il più grande poeta del
Novecento, dopo D'Annunzio, non ha mai ricevuto il Nobel. Mentre
forse, tra i tre grandi poeti, il più grande era proprio Ungaretti.
Questo per dire che il brutto c'è dappertutto, nel senso che i valori specifici della poesia vengono elusi.
TG:
Spieghiamo meglio. Qual'è il vantaggio del brutto nel rovinare il
bello?
TK:
Secondo me il motivo è abbastanza triste. L'essere umano è un
essere repellente perché finalmente con la democrazia tutti possono
esprimersi, ma la maggioranza preferisce il brutto.
TG:
Perché?
TK:
I gusti delle masse sono discutibili: c'è chi dice che il più
grande poeta sia Vecchioni, per esempio. Senza dir nulla contro
Vecchioni: è un ottimo cantante, ma non è un poeta. La morale può
essere diversamente ideologizzata, ma l'estetica no.
TG:
Portando alle masse certi concetti, non si rischia di semplificare
troppo?
TK:
Ma fin dai tempi di Cristo quando la massa ha potuto scegliere tra
Barabba o Gesù ha preferito crocifiggere l'innocente... Come diceva
Churchill: “La democrazia è una schifezza, ma non c'è niente di
meglio.”. Sono d'accordo, però è una schifezza! Ci sono tanti
moti che hanno decostituito l'idealizzazione dell'uomo.
Probabilmente, ha ragione anche Freud quando dice che secondo
un'economia psichica, l'uomo fa quello che fa meno fatica a fare.
TG:
E' un animale pigro l'uomo?
TK:
E' un economico. Il rapporto sessuale va bene, ma in pochi andrebbero
in pellegrinaggio per la loro bella. La maggioranza preferisce la
vicina di casa ben pasciuta, piuttosto che far fatica alla ricerca della donna ideale. E così in
tutte le cose. E' meglio tacere sul fatto che le donne, spesso, si concedono al danaroso. Per fortuna, non tutte sono così, e quelle più raffinate spesso privilegiano i poeti.
TG:
Non ci può essere anche un'invidia dell'uomo medio nei confronti di
chi ottiene qualcosa grazie al proprio lavoro ed alla fatica? O verso
il genio?
TK:
Esiste anche quello, ma soprattutto c'è una propensione ad
accalappiare, possedere ed a godere di cose che richiedono meno fatica e procacciano più privilegi...
Il poeta potrebbe essere quell'uomo che, a detta di Camus, affronta la fatica, come Sisifo, trascinando l'innata pigrizia. Per pigrizia intendo
proprio il fatto di cogliere la prima opportunità sotto i propri
occhi, anziché costruirsela. I poeti hanno inventato l'amore, per
dirne una, perché prima c'era solo il sesso. Dai latini Catullo e
Tibullo, ai provenzali molto è cambiato. Con il Petrarca è stata
fatta una rivoluzione del costume europeo perché fino al
Rinascimento i cavalieri caricavano sul cavallo la prima ragazzotta
che incontravano, la violentavano in un vicolo e poi la buttavano
via. Ho documentato il fatto che le cortigiane di Elisabetta la
Grande avevano un “Petrarchino” nella scollatura e quando un
giovanotto si avvicinava ad una dama e diceva: “Andiamo!” Lei
rispondeva: “Prima leggi Petrarca!” Petrarca ha inventato
l'adorazione della donna e la religione dell'amore. In questo caso
lui è un grande ribelle, al di là della sua vita.
TG:
E' questo il merito dei poeti?
TK:
Di alcuni poeti che hanno inciso, come l'Alfieri in Italia contro la
tirannide. Anche se non credo che durante il fascismo fosse molto
coltivato. Ma neppure oggi... Quando la tirannia dei pochi sembra
democrazia, ma non lo è. Una maggior democrazia esiste per i
consumi. Se voglio bere Coca Cola posso farlo; nessuno mi vieta di
bere Champagne. Il vantaggio è che se hai il denaro i bisogni sono
uguali per tutti, però è il dio denaro a renderci uguali, non i
valori... Il mio euro ha lo stesso valore di quello di un'altra
persona, mentre con l'aristocrazia non era così. E' una grande
rivoluzione, ma non basta. Il poeta come tale, non è solo un privilegiato
in quanto visionario, ma è un cittadino come tutti gli altri, con il dovere di diffondere i valori fondati sulla bellezza (la bellezza ingloba anche il senso morale).
Tomaso
Kemeny, poeta mitomodernista.
TG:
Maestro, con le vostre manifestazioni poetiche pacifiche, che cosa
vorreste ottenere?
TK:
Il nuovo movimento poetico "Poetry and Discovery", nato dal
Mitomodernismo e da "Il Gran Tour Poetico" darà luogo a
queste azioni a cui parteciperanno anche poeti da altri paesi.
Abbiamo rapporti con ungheresi, belgi, americani, francesi ed altri;
tenderemo a dare un respiro più internazionale a ciò che faremo.
Già sulla collina dell'infinito di Leopardi erano intervenuti amici da
tutto il mondo.
TG:
Ma il vostro obiettivo più grande qual'è? Distruggere l'Impero del
Brutto? O Ridimensionare lo strapotere del denaro?
TK:
A livello utopico, vorremo tornare alle origini dello scambio di
doni. Inoltre, contro la logica del: "se non appaio non sono";
cerchiamo d'imporre il: "se non sono, è meglio che studi prima
d'apparire". E' una vecchia dialettica tra l'apparire e
l'essere. Il denaro favorisce l'apparire, anche di personaggi non
presentabili, ma il fatto di avere soldi li rende gli apostoli del
Dio Denaro.
TG:
Chiedete un ritorno ai valori essenziali?
TK:
I valori dell'umano. Si potrebbe obiettare che nell'Antica Grecia
c'erano gli schiavi. E' vero. Però è misterioso come un piccolo
paese di pecorai abbia avuto un Platone. Naturalmente, il nostro è
un movimento in azione ed anche il pensiero deve essere sviluppato La
cosa fondamentale è di risvegliare l'immaginazione collettiva al di
là delle convenzioni.
Risvegliare la creatività che c'è in tutti, almeno a livello
teorico...
TG:
Beh, sì, a livello teorico, va bene, ma bisogna anche crederci nelle
cose, senza pensare d'essere utopisti.
TK:
Certo, si crede che prima di lasciare questa valle di lacrime si
debba almeno cambiare una Jota nel mondo. Credere nel proprio
destino. Il Mitomodernismo diceva che hanno tolto il valore del
destino, dell'eroico e soprattutto del bello di cui abbiamo molto
parlato, ma è importante anche l'eroico. L'eroe è colui che al di
là degli interessi combatte per dei valori.
TG:
Questo concetto di eroe non è un po' legato al concetto di patria?
TK:
No, oggi potrebbe essere legato alla Patria dell'umano. La poesia è
ciò che scorre sotto tutte le lingue. Il pensiero Mitomodernista è
sempre stato quello che il pensiero etnico è importante per
radicarci. Se uno è nato a Milano, è giusto che ami Milano e la sua
terra. Il pensiero mitico invece è quello che ci rende tutti
fratelli. Ecco, che il pensiero eroico è necessario e va integrato
col pensiero mitico: da qui deriva il Mitomodernismo.
TG:
Ci sono pensatori che ritengono i più grandi problemi del XXI secolo
irrisolvibili.
TK:
Non è vero.
TG:
Perché?
TK:
Perché non dobbiamo credere ai dogmi. C'è il pensiero dogmatico e
quello probabilistico. Come dice Popper: gli scienziati vedono quello
che è più probabile ed anche Freud che è un esempio si
contraddiceva. Se vedeva che sbagliava si correggeva. Lo scienziato
verifica sempre quello che fa, mentre nel dogma non si può
correggere niente portando così a conflitti inevitabili.
TG:
E' innegabile che la situazione, a livello planetario, s'è molto
complicata per ogni cosa. Perfino per queste migrazioni bibliche con
spostamenti di milioni di esseri umani nessuno sa cosa fare.
TK:
La soluzione ci sarebbe, ma i poeti non possono attuarla, possono
solo attivare l'immaginazione per dare a tutti dignità individuale.
Mentre a livello politico si potrebbe intervenire. Martin Luther King
in modo pacifico ha dato dignità alla sua gente.
TG:
A proposito di premi Nobel, Bob Dylan è o no un poeta?
TK:
Il Comitato svedese per il Premio Nobel ha fatto l'errore di
privilegiare da anni i motivi politici rispetto ai motivi estetici.
Già Dario Fo, ottimo attore che ha scritto opere decenti ed anche
buone, sicuramente non era come Montale, un poeta, ma un ottimo uomo
di teatro. Ci sono tanti altri personaggi, penso a Luis Borges, che
non hanno mai vinto il Nobel. O anche Ungaretti. Bob Dylan è un
ottimo chansonnier, però in inglese per queste persone c'è
un termine che forse è più adatto, cioè: light poetry. Un
po' come c'è la musica leggera o la musica di Beethoven. Nessuno
direbbe che Claudio Villa o Beethoven hanno fatto parte della stessa
categoria, no? Anche se Claudio Villa aveva una bellissima voce.
Nella decadenza odierna per molti la poesia si manifesta in canzoni
in sé validissime, ma lontane anni luce dal sublime poetico.
TG:
Possono esistere dei Beethoven nella nostra epoca?
TK:
In teoria sì. Il problema è che hanno sbagliato ad attribuire il
Premio Nobel secondo i canoni dell'Impero del Brutto e del gusto
collettivo. Io faccio parte di un premio internazionale, lo Janus
Pannonius, dove diamo 50'000 euro ai massimi poeti. Il premio è
stato istituito dal grande poeta Gèza Szocs, presidente del PEN
ungherese, che ha partecipato a nostre azioni e parteciperà
all'azione del 3 dicembre. Siccome sono di quelle origini mi hanno
messo nella commissione del Janus Pannonius (primo poeta ungherese) e
ricordo che quest'anno abbiamo conferito il premio ad uno straordinario poeta
polacco che pochi conoscono in Italia, Adam Zadajewki. Negli anni
precedenti, l'abbiamo assegnato, nel 2013, alla poetessa iraniana
Szimin Behbàhani, nel 2014 a pari merito al francese Yves Bonnefoye
e al siriano in esilio Ali Esber Adonis. Infine nel 2015, sempre a
pari merito all'americano Charles Bernstein e al nostro italiano Giuseppe Conte. La poesia è una pratica diversa dalla musica, alla
quale mancano solo le parole. Il sommo Beethoven giustamente ha
affermato che si riesce a fare un'opera d'arte solo se c'è un
ostacolo; gli uccelli riescono a volare se c'è l'aria e così in
poesia si riesce a fare poesia se c'è un metro, comunque una misura,
un limite. Anche in musica. Se invece tutti sbrodolano, dicendo
quello che pensano, quella non è poesia, né musica, ma rumore o
cicaleccio. Siamo nell'epoca in cui spesso i musicisti o i pittori
sbrodolano perché non ci sono i canoni. I canoni ci devono essere.
Se non ci sono canoni epocali, ogni artista-poeta dovrebbe inventare
il proprio canone, i propri limiti, pur cosmici.
TG:
L'armonia è un canone?
TK:
Sì, un canone fisico: se uno ha due nasi secondo il nostro gusto
percettivo risulta fuori dall'armonia. In musica c'è uno sviluppo,
da Bach fino in avanti, oltre tutto è stato riconosciuto 40 anni
dopo da Brahms, perché prima pensavano che quella fosse musica da
chiesa. Lo è, ma non solo... E così, attraverso Debussy e la
dodecafonia, la musica s'è sviluppata e ci sono sempre dei tentativi
di bellezza nuova con canoni diversi e nuovi.
La cittadinanza è invitata
La
poesia come dono
La
poesia, come parola, viene oggi spesso usata in
modo indebito.
Per
noi la poesia è un dono nato dall'esperienza-intuizione e lavoro di
una persona, ma appartiene a nessuno e a tutti.
La
poesia nel contesto di una civiltà sull'orlo di un tramonto
indecoroso, è in grado di offrire la forma e l'idea di una bellezza
nuova.
Le
rivoluzioni possono assumere una connotazione poetica perché la
poesia è rivoluzione che come tale risveglia le energie del
pensiero, l'entusiasmo esistenziale e traccia i confini dinamici di
un cosmo nato dal caos indecente contemporaneo.
Nei
suoi momenti più alti la poesia sa contrapporsi al tempo che tutto
devasta, muta e cancella, e dona ai cittadini quella libertà in cui
la loro anima, in un istante fuggevole, si nutre delle sostanze
dell'eterno.
Tomaso
Kemeny
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