"Ci abbiamo messo secoli per passare dalla fotografia al cinema ed il mi figliolo ha inventato di nuovo il cinema da fermo." Mario Benvenuti, documentarista pisano.
Come sa bene il pubblico di Frammenti di Cultura, più che le storie dei grandi artisti o dei grandi personaggi di spettacolo, mi piacciono le storie particolari, un po' al limite dell'assurdo e del fantastico. Meglio ancora se sono storie che ci fanno sognare e possono dare a tutti la voglia di fare qualcosa di buono o di bello nella loro vita.
Conosco Stefano Bacci da qualche anno e finalmente sono riuscito a convincerlo a trovare la situazione giusta per raccontarmi nei dettagli come improvvisamente gli sia capitato di diventare un autore di successo, per poi tornare alla vita di sempre. Pur conservando le capacità per raccontare storie eccezionali. TG
Tony Graffio: Ciao Stefano, la tua è una storia un po' particolare, tu qualche anno fa hai partecipato ad una produzione cinematografica come autore, provenendo dal mondo televisivo. E' un caso piuttosto raro, anche in considerazione del fatto che da "esordiente" hai vinto un premio molto importante. E' vero?
Stefano Bacci: Beh sì, da mestierante della tv, ovvero operatore di ripresa - cameraman, circa 17 anni fa mi sono ritrovato ad essere lo sceneggiatore e l'operatore alla macchina di un lungometraggio d'autore per la regia di Paolo Benvenuti, mio vecchio insegnante di linguaggio dell'immagine presso i corsi della Regione Toscana, dove ho imparato il mestiere che svolgo normalmente per i maggiori broadcaster televisivi italiani. Gostanza da Libbiano è stato un film molto interessante che ha vinto un riconoscimento speciale della giuria del Festival di Locarno nel 2000, proprio in virtù di un accurato lavoro di ricostruzione dei dialoghi che dovevano essere riscritti e resi più comprensibili ad un pubblico del XXI secolo.
TG: Stefano, parlami di te. Quanti anni hai? Da dove vieni? Che formazione hai avuto e che cosa volevi fare nella vita?
SB: Ho 58 anni, sono pisano, ho una maturità scientifica e ho percorso per tre quarti una formazione universitaria per ottenere una laurea in storia presso l'ateneo di Pisa. Non sapevo cosa volevo fare e lo scopro tuttora, strada facendo. Attualmente, faccio l'operatore di ripresa presso la sede Rai di Milano.
TG: Hai sempre avuto una passione per la scrittura?
SB: Sì, ho una passione assoluta per la scrittura. Dilettantesca e artigianale.
TG: Dove ti ha portato questa passione?
SB: Nella circostanza di cui parlavo prima, la passione mi ha portato ad essere chiamato da Paolo Benvenuti ed a prendere in mano un libro di storia per fare uno sbobinamento pedissequo degli interrogatori di una presunta strega nel 1500, a San Miniato, in Toscana. Per trasformare quella lingua sbalorditiva, affascinantissima ed incredibile degli sbirri dell'epoca in dialoghi serrati di una linguaggio più moderno che rispettasse l'arcaicità del Toscano originale, ma al tempo stesso che fosse più ritmata e più digeribile ad orecchie che non fossero necessariamente di quei luoghi dove si sono verificati i fatti narrati nel film.
TG: Il linguaggio del 1500 poteva risultare noioso, oltre che poco comprensibile, ad un pubblico abituato ad ascoltare la lingua italiana contemporanea?
SB: Era immaginifico e per certi versi complesso. Rispetto ai nostri standard era anche più ricco. Forse perché la Toscana aveva un suo specifico di italianità.
TG: Quel modo di parlare e di scrivere, oggi sarebbe più difficile da comprendere o da seguire con attenzione?
SB: No, con un po' di buona volontà, almeno nella versione resa più popolare ed abbordabile, ascoltando i dialoghi del film si riesce a capire ciò che accade integralmente. Lucia Poli, attrice che ha interpretato la parte di Gostanza è stata bravissima a rendere questo personaggio credibile. Alcune parole che oggi possono risultare desuete sono facilmente ricostruibili e comprensibili grazie al contesto in cui sono inserite. Dire desinare anziché pranzare non credo sia un grosso ostacolo per la comprensione del testo.
TG: Non c'erano parole in dialetto toscano? Se possiamo chiamare il toscano dialetto...
SB: Il punto è proprio questo: non esiste il dialetto toscano. Essendo l'italiano stato eletto dal toscano, il toscano ha una serie di vernacoli molto diversi dai loro, ma mai molto discosti dalla lingua originale. E' un po' una sorta di italiano universale, bene o male compreso da tutti. Tranne alcune espressioni francamente incomprensibili ad un non pisano.
TG: Perché Paolo Benvenuti ha scelto te come sceneggiatore?
SB: Perché la sua maestria, e ne ha molta, sta nel fare la sintesi finale, autoriale del lavoro, ma tende a perdersi ed a ridondare nei dettagli. La sua specialità è forse quella di rapportarsi con gli attori ed ha una maestria assoluta nel dipingere le singole inquadrature e nel portare avanti la narrazione per immagini. Io, all'epoca della produzione, ero un ragazzotto con ancora parecchia freschezza intellettuale e molta spregiudicatezza. Per indole sono antisacrale, quindi ho poco senso della sacralità. Trovandomi una storia ricca di significati allegorici, oltre a tutti gli altri significati che venivano dati da tutti coloro che ci mettevano le mani sopra, ho cercato d'andare all'osso. Adoro mettermi a disposizione di un progetto altrui, quella storia poi mi piaceva molto. Paolo era stato mio insegnante di linguaggio, quindi conoscendo le mie caratteristiche mi ha ingaggiato in questo lavoro strepitoso. Io ho un ricordo fantastico di quei momenti in cui si sentiva ardere un vero fuoco creativo.
TG: Ti interessava molto l'argomento della storia, ti interessava il soggetto e ti interessava l'autore, il regista del film?
SB: Con il regista, ho ancora adesso, nonostante le nostre vite siano molto separate, un rapporto di grande stima e grande affetto. Il lavoro e il progetto dell'opera in sé mi ha intrigato strada facendo.
TG: Avevi già scritto sceneggiature o soggetti per filmati, cortometraggi o altri audiovisivi?
SB: Mai prima e mai dopo. Dopo questo strepitoso successo, se vuoi per una nicchia di amatori di questo tipo di prodotto, ho scritto in maniera sfusa e discontinua, senza un progetto organico. Modo tipico di procedere di chi non ha una vera storia da raccontare al mondo. Ero consapevole che come s'era realizzata una volta la felice congiunzione astrale che ha generato questo prodotto, tutto può generarsi e tornare a proporsi. Certo, bisogna essere sempre pronti e non bersi il cervello. Sostanzialmente, n on bisogna lasciare che la propria testa si atrofizzi.
SB: Tu partendo dal nulla e non avendo esperienze professionali di scrittura in questo settore ti sei immerso in questo progetto che addirittura è riuscito a vincere un premio prestigioso. E' proprio vero?
SB: Sì, se vogliamo fare una piccola gerarchia dei festival cinematografici in Europa possiamo dire che c'è Cannes, Venezia, Berlino e Locarno credo lo si possa pacificamente collocare al quarto posto. Non avevo una preparazione specifica, nemmeno di studi e sono stato un fortunato debuttante. Tutto è stato molto estemporaneo. La cosa più curiosa è forse quella che nel mio caso, per la prima volta dopo i Fratelli Lumière qualcuno si sia occupato contemporaneamente della scrittura del prodotto audiovisivo e della ripresa come operatore di una macchina da presa a 35mm. Quando il film ha vinto anche il Premio Qualità del Ministero degli Interni, ho vinto premi in due reparti, sia come co-sceneggiatore nel reparto autoriale che nel reparto fotografia.
TG: Il film era girato in 35mm bianco e nero?
SB: Sì, esatto.
TG: Vuoi raccontarmi qualcosa delle riprese?
SB: Abbiamo trovato delle location bellissime, cercate prima da un gruppetto di persone tra le quali c'ero anch'io. Siamo stati in una vecchia tabaccaia in Toscana; una vecchia chiesa sconsacrata a San Miniato; le campagne; i vicoli dei tipici borghi medievali toscani. Aldo Di Marcantonio è un vecchio volpone di Cinecittà, è stato il direttore della fotografia di Gostanza da Libbiano. Se lui o soprattutto il mio assistente, Lucio Granelli, storico collaboratore di Aldo avesse voluto avrebbe potuto mettermi in condizione di fare figure ridicole: io per lui ero un ragazzino che veniva dalla televisione. Prese una settimana per studiarmi, se non gli fossi andato a genio mi avrebbe bonariamente messo in difficoltà. E' un uomo di poche parole, un po' musone che quando apre bocca ti massacra. Per mia fortuna ha ritenuto che io non fossi né troppo arrogante, né troppo presuntuoso, mi ha insegnato un po' di mestiere e mi ha permesso di portare a casa questa esperienza assolutamente indimenticabile.
TG: Chi decideva le inquadrature?
SB: Mi sono inventato tante belle inquadrature, senza timore d'essere smentito e dei bei movimenti di macchina, ma il mio contributo per la ripresa non è andato oltre, la fotografia l'ha firmata Aldo.
TG: Chi ha deciso di girare in bianco e nero?
SB: Paolo e Aldo in queste decisioni sono stati un tutt'uno. E' stata un'idea del regista che il direttore della fotografia ha immediatamente recepito. Il primo tempo del film è strepitoso, non c'è una scena che non ti lasci a bocca aperta. Un po' per la bravura di Lucia Poli, un po' per la fotografia eccelsa ed un po' per alcune soluzioni di cinema di vecchia maniera. Trucchi fatti in ripresa, non in post-produzione rendono quei primi 40 minuti della pellicola una vera sorpresa. Il secondo tempo si perde un po' in ritmi più blandi, ma quello è il limite del cinema di Paolo, il cui padre, morto da pochi giorni, era un vecchio documentarista degli anni '30 e '40. Alla Dziga Vertov, per intenderci. Arriflex in spalla andava a fare le documentazioni per la Pisa universitaria disse una volta: "Ci abbiamo messo secoli per passare dalla fotografia al cinema ed il mi figliolo ha inventato di nuovo il cinema da fermo.". E' un aneddoto, ma anche un ricordo di Mario Benvenuti, una persona straordinaria che ci ha lasciato a novanta e rotti anni.
TG: La tua era una sceneggiatura ferrea che non si poteva toccare o hai dovuto metterci mano anche durante le riprese?
SB: Per quanto riguarda la parte letteraria, ho difeso la sceneggiatura ogni volta che s'è presentato il caso. Non è stata una battaglia vera e propria, ma quando si volevano modificare le parole mi sono un po' impuntato, perché per me le parole avevano un loro ritmo. Ad un certo punto, un'opera letteraria la devi pure licenziare e mandare nel mondo. Altrimenti non finiresti mai di metterci mano. Quando decidi di aver terminato il lavoro, stop, non ci devi ripensare. I dialoghi per me erano quelli e quelli sono rimasti. La parte iconografica della sceneggiatura invece ha subito delle notevoli modifiche. Io detesto i sopralluoghi, preferisco improvvisare e questo mi ha permesso di trovare soluzioni in ripresa che non erano state previste dalla sceneggiatura originale. Nonostante Benvenuti sia stato molto meticoloso. Ha fatto anche dei disegnini per spiegarci cosa dovevamo fare.
TG: Non ci sono stati attori che volevano modificare delle parole o inserire loro "creazioni"?
SB: No. Non so se questo è dovuto al grande carisma di Paolo Benvenuti sul set, cosa che fa sì che ogni attore senta sua la parte oppure perché s'era creato quell'equilibrio un po' magico che episodicamente può arrivare quando c'è un gruppo di lavoro che va d'accordo. In quel gruppo di professionisti non ci sono state pressioni interne, ad ognuno è andato bene quello che hanno trovato scritto facendolo proprio. Sono stati molto bravi, nonostante alcuni fossero amatori o debuttanti. Tutti se la sono cavata benissimo.
TG: in quanti giorni è stato girato il film e che budget ha avuto?
SB: Lo abbiamo girato in circa 4 settimane e avevamo un budget stanziato dal Ministero, quindi era un opera di interesse artistico e culturale...
TG: Era un articolo 28? della Legge sul Cinema?
SB: Sì, era un articolo 28 con piccole aggiunte di capitali privati favoriti da un signore un po' maneggione che era un vecchio amico di Paolo con qualche "ammanicamento" qua e là. Come ogni volta che Paolo Benvenuti realizza un progetto, è stato speso molto più del budget iniziale, perché lui butta nel film tutto quello che ha ed anche quello che non ha. A differenza di alcune situazioni in cui si spende molto meno del dichiarato, per Gostanza da Libbiano sono stati spesi molti più soldi di quelli dichiarati.
TG: Hai idea di che cifra?
SB: Mi pare, ma si parla di quasi vent'anni fa, mi pare che il primo stanziamento fosse intorno ai 180 milioni delle vecchie lire, poi integrati con altri soldi. Credo che vennero spesi intorno ai 250 milioni.
TG: C'è stato un ritorno economico?
SB: Scarsissimo, per quello che ne so. Il Premio Qualità ha permesso, a chi aveva investito, di recuperare qualche soldo: specie a qualche amico che aveva prestato piccoli capitali all'autore. Costoro, in qualche modo sono stati risarciti, poi sai,in Italia i criteri della distribuzione, non lo scopro io, sono privi di capacità di rischio. Difficile che un film del genere venga spinto e pubblicizzato per bene. Viene proposto in poche sale e proiettato in giorni ed orari assurdi. Ha avuto ed ha tutt'ora dei buoni passaggi televisivi. E' andato subito in onda su Sky, credo che all'epoca si chiamasse ancora Telepiù. E' stato trasmesso anche dalla Rai. Da quel punto di vista qualche soldo è stato recuperato.
TG: Il film è stato distribuito solo nelle sale cinematografiche italiane o anche all'estero?
SB: All'estero è stato invitato in molte rassegne cinematografiche, festival d'autore ed eventi di questo tipo perché Paolo forse ha riconoscimenti maggiori all'estero che in Italia, dove sostanzialmente è un nome che dice poco alle grandi masse, diciamo così. Era fondamentalmente un film per i circuiti dei cineclub e all'epoca ce n'erano ancora parecchi. Pensa che a Pisa, una città di 100'000 abitanti, aveva un cineclub con 12'000 tesserati. Si chiamava e si chiama ancora adesso "L'Arsenale".
TG: Il premio a Locarno è arrivato inaspettatamente?
SB: Per quello che mi riguarda, è stata una sorpresa assoluta. Ho seguito altri film di Paolo anche se non avevo un ruolo specifico e posso dire che hanno avuto un interesse minore, magari sollevando più polemiche. Ritengo che Gostanza da Libbiano abbia fatto il pieno del pubblico che voleva vedere quel film, andando anche al di là delle più rosee aspettative. Se un film di Paolo dovesse avere un grosso successo di pubblico, lui si chiederebbe che cosa non ha funzionato, dico questo per farti capire com'è il suo pensiero...
TG: Non hai avuto timore d'affrontare un'esperienza di questo tipo, senza avere avuto esperienze precedenti?
SB: Se ti lasci guidare dalla prudenza non fai mai niente. Sì, sono stato completamente incosciente, potevo fare una figura barbina, ma sono stato fortunato, mettendoci quel poco di abilità che potevo avere. L'ho fatto, è andata bene ed ho capito che più che i sogni nel cassetto, bisogna saper coltivare la capacità di prendere al volo gli autobus quando ti passano davanti. Per poterlo fare devi però avere le gambe in efficienza, il cervello che funziona ed aver voglia di perfezionare le cose che credi di sapere già.
TG: Aver vinto questo premio ti ha fatto arrivare proposte per altri lavori, oppure era talmente un lavoro di nicchia, legato alla toscanità di un'opera che alla fine ti hanno considerato solo come un outsider?
SB: Forse un po' dell'uno e un po' dell'altro. Nel momento in cui mi sono messo dietro la macchina da presa per riprendere un'opera della quale avevo scritto i dialoghi e molte altre componenti sapevo benissimo d'essere un outsider. Nel mondo del cinema romano ci sono delle gerarchie estremamente rigide, o perlomeno cerano, non so se adesso sono saltate per la scomparsa della pellicola. Sapevo che il buon film o la buonissima prestazione che avrei potuto produrre in quel contesto non mi avrebbe garantito ingressi o scorciatoie. E vero che il prodotto era legato ad uno specifico di toscanità, però aveva anche una sua universalità narrativa e culturale. Da un certo punto di vista quel film avrebbe potuto accreditarmi, ma io non mi sono mai fatto illusioni su questo punto, anche se non metto limiti al fatto che qualcosa del genere potrebbe succedere di nuovo.
TG: Con Gostanza da Libbiano tu hai realizzato un sogno?
SB: Sarebbe facile rispondere di sì e questa risposta metterebbe d'accordo molte persone che sostengono sia giusto coltivare ad oltranza un sogno nel cassetto; in realtà devo dire che questo non era un mio specifico sogno. Ho un'infinità di cassetti dei quali non conosco il contenuto. Che cosa ci sia dentro lo scopro solo vivendo, se mi passi questa affermazione un po' "Marzulliana"... E' stato un sogno fare quel lavoro, questo sì, ma non era un mio sogno nel cassetto. I sogni nel cassetto sono ambigui perché puoi non realizzarli mai e può non essere colpa tua. Se poi nasci in una discarica di Manila puoi avere tutti i sogni che vuoi, ma può essere estremamente difficile realizzarli. Oppure puoi semplicemente trovare persone più talentuose di te che ci riescono e tu no. Scoprendo nel tempo quello che ti piace fare, hai anche più margine di manovra per riuscire a farlo. Se non del tutto, almeno in parte. E' una sintesi un po' prosaica di quello che penso. Questa è la mia indole.
SB: Sarebbe facile rispondere di sì e questa risposta metterebbe d'accordo molte persone che sostengono sia giusto coltivare ad oltranza un sogno nel cassetto; in realtà devo dire che questo non era un mio specifico sogno. Ho un'infinità di cassetti dei quali non conosco il contenuto. Che cosa ci sia dentro lo scopro solo vivendo, se mi passi questa affermazione un po' "Marzulliana"... E' stato un sogno fare quel lavoro, questo sì, ma non era un mio sogno nel cassetto. I sogni nel cassetto sono ambigui perché puoi non realizzarli mai e può non essere colpa tua. Se poi nasci in una discarica di Manila puoi avere tutti i sogni che vuoi, ma può essere estremamente difficile realizzarli. Oppure puoi semplicemente trovare persone più talentuose di te che ci riescono e tu no. Scoprendo nel tempo quello che ti piace fare, hai anche più margine di manovra per riuscire a farlo. Se non del tutto, almeno in parte. E' una sintesi un po' prosaica di quello che penso. Questa è la mia indole.
TG: Stai scrivendo qualcosa da proporre a qualcuno? Hai nuovi progetti?
SB: Te lo dico col cuore in mano. Fin da ragazzino ho pensato: "Da vecchio scriverò". E penso all'uso della carta e della penna o della tastiera, ormai. Ho già una certa età e cerco d'affinare il mio stile. Affino anche le mie idee. Non ho ancora una storia da raccontare al mondo e non è detto che l'avrò mai, però mi sto attrezzando. Mi dovesse venire o dovesse venire a qualcuno che ha bisogno d'ottimizzarla, cosa che mi riesce benissimo, perché mi piace mettermi a disposizione di un'idea altrui, io mi attrezzo per farlo. Sarei contento se succedesse. Sia l'una che l'altra cosa.
TG: E' più facile lavorare con delle scadenze allora?
SB: Sì, avere un termine ultimativo aiuta. Se dentro hai qualcosa lo devi tirar fuori dentro e non oltre una certa data. Se non cela fai, vuol dire che la tua pigrizia s'è decomposta in indolenza, oppure non hai i numeri per farlo. Non in quel momento almeno.
TG: Tu in quanto tempo hai portato a compimento quel progetto?
SB: Partendo dai documenti del processo a Gostanza da Libbiano, Paolo ha iniziato a fare il trattamento del film chiedendomi che cosa pensavo di questa idea. In sette o otto mesi, poi siamo riusciti a trasformare quegli scritti nei dialoghi del film.
TG: Stefano, io continuo a non capire una cosa. Tu non eri uno scrittore eppure Paolo Benvenuti ti ha scelto come co-sceneggiatore. Dimmi la verità, perché il regista ti ha affidato questo compito? Come faceva a sapere che tu eri la persona giusta per lui?
SB: Da come parlo. (Ride) Sono verboso e chiacchierone.
TG: Quindi lui ha proprio rischiato?
SB: Sì, s'è fidato della sua intuizione iniziale. Di qualcosa che aveva percepito che doveva andare in un certo modo. Perché ha avuto quell'intuizione? Perché io ho lavorato in quel modo? Ci sono dei momenti in cui le cose ti sembrano che s'impantanino, che non abbiano un futuro, un riscontro o un ritorno. Bisogna fidarsi delle proprie intuizioni perché spesso capitano in momenti benedetti, come noi li possiamo chiamare laicamente. Ci sono momenti in cui ti devi fidare e lui s'è fidato della sua intuizione ed ha avuto ragione. Eravamo in altri a metter mano a quel lavoro. Per esempio, Mario Cereghino, persona stravagante, eccentrica, brillantissima, non so dove sia ora: se in Sud America o a Trieste. A fare chissà cosa, forse a rovistare archivi.Un personaggio a metà strada tra un giornalista, uno storico o un uomo di cinema. Però alla fine la penna in mano ce l'avevo io...
Stefano Bacci, 58 anni, uomo di cinema e televisione.
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