lunedì 9 novembre 2015

Il mistero della merda scomparsa e di un artista concettuale burlone

Che cosa si nasconde veramente nelle 90 scatolette di metallo che nel 1961 Piero Manzoni disse d'aver riempito, una ad una, con 30 grammi (poco più di un oncia) delle sue feci?
Tony Graffio, come probabilmente milioni d'altri appassionati d'arte, se l'è chiesto ed ha voluto trovare una risposta definitiva a questo rompicapo andando a parlare con Elena, la sorella di Piero Manzoni, che nel 1992 ha costituito la Fondazione Piero Manzoni che si occupa  della tutela dell'autenticità delle opere, con l'archivio, e di preservare il ricordo dell'artista milanese.
Il motivo che mi ha spinto a pormi questa domanda ha a che fare con la credibilità dell'arte concettuale. Personalmente, io preferisco occuparmi d'arte visiva, proprio perché ritengo che vedere qualcosa di bello possa darmi della gioia, farmi stare bene e magari darmi delle informazioni, insegnandomi qualcosa del passato, del presente, o forse anche del futuro del cammino umano.
L'arte concettuale, essendo legata ad un'idea più che ad un'abilità pratica, è qualcosa che ha a che fare con la mente degli esseri umani, più che con i loro sensi. Potrebbe essere raccontata, più che percepita e, proprio per questo, ha senso sapere con cosa l'artista ha voluto inserire nel proprio prodotto culturale. Se un'idea viene raccontata, potrebbe anche non avere senso doverla mostrare, la si potrebbe anche solo immaginare, un po' come un sogno; ma a quel punto saremmo in presenza d'arte? O di un suo (sotto) prodotto?
Non voglio influenzare nessuno, probabilmente esistono dei geni che hanno creato un nuovo modo di vedere e pensare, esistono veri artisti capaci di esprimersi con un linguaggio relativamente nuovo, o rivoluzionario, ed esistono molte persone che prendono alla leggera certe cose e s'improvvisano artisti.
Mentre è facile capire chi ha delle capacità pratiche e riesce a tradurre bene un pensiero in immagini, diventa più difficile capire chi, con un'azione di qualche tipo, trasmette un concetto, o trova un nuovo mezzo per esprimere un concetto e renderlo universalmente comprensibile, al di là di differenze culturali o storiche.
Sicuramente, Manzoni ha compiuto due mosse molto astute nella "operazione artistica" che stiamo osservando: ha detto d'aver collocato qualcosa che noi non possiamo vedere, nemmeno ai raggi X, all'interno di una scatola sigillata che, nel caso venisse aperta, perderebbe il suo valore (commerciale e simbolico). Inoltre, ha detto d'aver inserito in questo contenitore qualcosa di non artistico che non ha valore e che sicuramente potrebbe disgustarci, ed essere qualcosa che non vorremmo vedere, o tanto meno toccare. 
Qui, bisogna essere uomini di fede e credere all'artista, altrimenti non si compirà nemmeno quel rituale "artistico" fatto di innovazioni, sorprese, notizie, mostre, vendite, aste e conservazione delle opere nei musei.
Oltre a questa provocazione culturale, Manzoni aggiunge anche una provocazione commerciale, attribuendo al contenuto di questa scatoletta (o alla scatoletta stessa?) il valore del suo peso equivalente in oro.
Si tratta pertanto di una bella provocazione, di uno scherzo, o di un esperimento sociale? Oltre che commerciale? 
Commercialmente, questa operazione ha funzionato molto bene, infatti queste opere sono state vendute a cifre ben oltre i 150'000 euro, superando di circa 130 volte il valore di un grammo d'oro.  Qualcuno, a questo punto, potrebbe anche obiettare che siccome l'artista è morto ad appena 30 anni d'età, tutto s'è compiuto molto velocemente, ma io non credo che questo sia il punto fondamentale della questione. I collezionisti ed i musei hanno comprato le opere perché l'idea è piaciuta, anche se l'oggetto in se stesso non ha alcun valore, come del resto non ha un suo valore intrinseco neppure un foglio di carta colorato, o una tela con sopra uno strato di terre mischiate da un aggregante oleoso.
Però, quando un pittore paesaggista ci promette di mostrarci un paesaggio agreste, per esempio, la promessa si compie e noi vediamo ciò di cui lui ci ha parlato; nel caso di un artista concettuale che cosa succede? Veniamo provocati? Presi in giro? Si tratta di un gioco? O di realtà?
Ognuno di noi è libero di vedere la cosa come gli pare e d'interpretarla a suo piacimento, a mio avviso spesso, in questi casi, siamo di fronte ad un fenomeno da baraccone, più che a qualcosa cui aspiriamo conoscere, o raggiungere, per poter elevare la nostra anima, ammesso di averne una, ma qua ricadiamo già nella casistica della scatoletta e del suo contenuto...
Non voglio farvi perdere altro tempo con le mie elucubrazioni personali, così come non ho voluto prendere la cosa troppo alla lontana con Elena Manzoni, vi dirò cosa ho fatto.
Questa mattina, mi sono presentato a lei, dopo essere piombato inutilmente già altre volte, sempre all'improvviso, senza alcun appuntamento, nella sede della fondazione che porta il nome di suo fratello, chiedendo a bruciapelo alla presidentessa di questo ente che cosa c'è esattamente in quei 90 cilindretti metallici. Anche alla luce delle perplessità sollevate dall'artista francese Bernarde Bazile nel 1989.

Piero Manzoni

Piero Manzoni Merda d'artista, contenuto netto 30 grammi. Conservata al naturale. Prodotta e inscatolata nel maggio 1961. Scatola n° 3 esposta lo scorso mese di settembre all'Accademia di Brera, Milano

Elena Manzoni è stata molto gentile con me, mi ha ricevuto subito, forse perché ha intuito che io ero mosso da elevati ideali artistici, più che da banali curiosità mondane, spiegandomi che neppure Bazile ha avuto il coraggio di risolvere la questione di cosa ci fosse davvero all'interno della sua scatolina che, una volta aperta, ha rinominato: Boite ouverte de Piero Manzoni.
Sembra che una volta aperta la sua scatolina, Bazile si sia trovato in presenza di un altro contenitore cilindrico circondato (c'è chi parla anche di una ripetizione della scritta: merda d'artista) da una sostanza che dovrebbe essere cotone.
Insomma, siamo di fronte ad un ulteriore mistero nel più classico stile delle scatole cinesi. 
Il motivo che potrebbe aver indotto Manzoni ad inserire una scatola nella scatola potrebbe essere che l'artista, in questo modo abbia voluto tutelare la corrosione della scatola di metallo nel tempo e la conseguente fuoriuscita della sostanza organica dalla scatola più grande. Oppure, potrebbe anche voluto aggiungere mistero, immaginando che prima o poi qualcun volendo curiosare all'interno, avrebbe aperto una, o più delle sue opere.

Merda d'artista n 3
Altro mistero, anche questa scatola aperta di proprietà di Bernard Bazile è la n° 3 ed ha la fascetta con la scritta in francese... Hmmm, sarà autentica?

Effettivamente, un caso di colatura del prodotto all'interno della scatoletta di merda di Manzoni s'è verificato in Danimarca nel 1994, presso  il museo di Randers.
Il collezionista proprietario dell'opera, John Hunov, ha accusato il museo di non aver conservato la scatoletta nel modo più appropriato, sembrerebbe che la temperatura dell'ambiente fosse troppo elevata. Dopo una disputa legale, il collezionista è riuscito a farsi rimborsare l'equivalente di 33'500 euro in corone danesi, vale a dire una cifra molto inferiore al valore dell'opera.
Elena Manzoni mi ha detto che Piero potrebbe aver inserito del gesso nelle scatolette, ma che è molto più probabile che egli abbia semplicemente tolto le fascette di carta ad alcune confezioni di carne in scatola per poi sostituirle con una novantina di fascette personalizzate.
Questa operazione sarebbe sicuramente stata la cosa più semplice da fare ed anche quella economicamente più conveniente. Certamente in una giornata si potevano produrre almeno 90 scatolette in questo modo, mentre con il metodo della defecazione, della manipolazione delle feci e della chiusura delle scatolette, forse ci sarebbe voluto più tempo. 
Senza contare che anche la carne, essendo una sostanza organica, invecchiando e imputridendo avrebbe finito per assomigliare a qualcosa di digerito ed espulso dall'intestino umano.
Sembra che Nanda Vigo, all'epoca fidanzata di Piero Manzoni, abbia detto d'aver partecipato alla "produzione artistica" con il suo apporto organico, ma anche in questo caso siamo più nel campo della leggenda che della realtà, almeno fintanto che non avrò occasione d'interpellare personalmente la Signora Vigo, sempre che lei sia disponibile a parlare di queste cose con me.
Da ciò che ho capito, non ci sono certezze che all'interno delle scatolette ci sia il prodotto biologico di Piero Manzoni. Nel migliore dei casi potremmo trovarci tra le mani gli escrementi di una sua ex-fidanzata, come potremmo vedere della carne in scatola marcia, un po' di gesso, del cotone, o altre scatolette con scritte che si riferiscono alla merda d'artista.
Io credo che in ogni cosa ci sia della verità, forse Piero Manzoni ha prodotto la sua opera più famosa in vari momenti, riempiendo le scatolette di oggetti diversi, perché no?
La vita è un po' come una partita di poker, non ci sono mai certezze, neppure se si ha una scala reale massima in mano, figuriamoci una confezione di merda d'artista...
Armando Marrocco è un artista che ha vissuto pienamente la stagione delle avanguardie artistiche milanesi e non (come quella dei  cinetici, dei programmati,  o del Nouveau Réalisme ed altre scuole di pensiero e d'espressione) degli anni 1960, a lui che ha conosciuto tutti gli artisti, non solo i concettuali italiani, da Gianni Colombo, Gastone Biggi, Agostino Bonalumi, Mario Ballocco, Lucio Fontana, Gabriele De Vecchi, Antonio Calderara, Eugenio Carmi, Enrico Castellani, Giuseppe Cioni, Aldo Carpi, Jean Tinguely, Nanda Vigo, Ugo Mulas e Piero Manzoni stesso; ho voluto chiedere un parere sulla questione della scatoletta e sui 30 grammi di produzione.
Ecco cosa mi ha detto quando l'ho interrogato su questa faccenda.
"Sicuramente ci sarà la merda in queste scatolette. Io non ho visto fare questa operazione direttamente, però sicuramente questi 30 grammi, o quello che sono, sono dentro i contenitori, anche se adesso, dopo più di 50 anni, probabilmente non c'è più niente, o solo qualche minima traccia di materiale biologico.
Il dubbio comunque c'è per tutti, su quello che può essere contenuto o meno in queste opere, però siccome Manzoni ha detto che c'è e siccome quando ha fatto le fiale d'artista lui si è veramente tirato fuori il suo sangue per usarlo, io credo che nelle scatolette ci sia quello che lui dice d'averci messo. Stessa cosa per gli altri lavori.
Il fiato d'artista è veramente fiato d'artista... Poi, lui dava veramente da mangiare le uova nelle sue performance, insomma anche per queste ragioni, io penso che sia realistica questa faccenda. Perché no? Perché non bisognerebbe credergli? In queste cose non bisogna essere come San Tommaso, anche perché non ha senso guastare il lavoro di altri.
Bazile ha fatto male ad aprire la scatoletta perché la curiosità non paga in queste cose e poi, per cosa? Per avere una delusione? Lascia stare, quello è il concetto dell'artista, si tratta di un'idea sua che diventa universale. E' bene che si evitino queste operazioni (riferendosi a quello fatto da Bazile n.d.TG), anche perché poi rovini un'opera. Non ha senso agire così, non ha senso".

Autentico gadget del 2013 che ricorda la merda d'artista, a cinquant'anni dalla morte di Piero Manzoni. La confezione regalo è stata appoggiata su "Scultura vivente" che simbolicamente ci illustra l'assenza dell'autore.

Ognuno di noi può scegliere di credere a quello che preferisce, io penso che le motivazioni di Marrocco siano ammissibili, convincenti e facilmente adottabili, l'arte è un modo attuale di vedere, pensare e comunicare, non è detto che si debba sempre prendere tutto alla lettera ed analizzarlo in maniera scientifica, perché l'arte da sempre, va interpretata, se non capita...
Personalmente, adesso io sono convinto della buona fede di Piero Manzoni e questa piccola inchiesta che ho fatto mi è servita molto a comprendere meglio un genere artistico che non è totalmente affine alla mia sensibilità ed alla mia formazione.
Ringrazio Armando Marrocco che mi ha dato la possibilità di respirare l'aria di uno spaccato di realtà di un'epoca in cui Milano era una delle capitali mondiali della cultura.
Per gli appassionati che volessero entrare in possesso di un simulacro artistico, senza sborsare un patrimonio, segnalo che alla libreria Bocca, in Galleria Vittorio Emanuele II, a Milano, forse è ancora disponibile qualcuna delle 9000 confezioni che riproducono fedelmente la scatoletta incriminata, prodotte nel 2013 per i 50 anni della morte dell'artista. Con una spesa di solo 35 euro ci possiamo regalare il sogno di possedere l'originale, tanto si sa, la differenza è davvero minima, si tratta d'arte concettuale e ciò che conta è l'idea. E non è detto che tra altri 50 anni anche queste repliche possano diventare oggetti da collezione. Tony Graffio





3 commenti:

  1. Complimenti! Bellissimo articolo!
    Anche io mi sono chiesta se effettivamente Piero Manzoni avesse inscatolato le sue feci o fosse tutto una strategia di marketing, ben riuscita, aggiungerei!
    E comunque coincido, questo tipo di arte "concettuale" a mio parere non regge a confronto di quella visiva!
    Buona giornata!
    Kly

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  2. Grazie mille Kly, continua a seguirmi, cordialità, TG

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  3. Posso aggiungere che sei stato molto preciso nella tua analisi sulla questione dell'autenticità della dichiarazione di M, ma dal momento che in arte, l'artificio, l'inganno e lo spiazzamento, a fini di aumentare l'ambiguità del messaggio, sono sempre stati leciti, su questo piano mi sembra che sia inutile insistere e cercare conferme da Nanda Vigo. Il fatto è che purtroppo in questo caso il messaggio non è ambiguo. Ceci n'est pas une pipe è una delle prime opere a giocare su un'ambiguità letteraria, che non ha niente a che vedere con quella visiva. Qui sta il punto: M non va oltre Magritte, il quale a sua volta faceva della letteratura e non dell'arte visiva, come quella di cui tu giustamente senti il bisogno nel tuo articolo; una presa per il culo, sia pur molto giustificata, nei confronti dei collezionisti (era anche l'epoca: il 68 avanzava) non è arte, non nasconde nessun mistero, nessuna ambiguità. Spero che il tuo articolo susciti un dibattito, almeno fra le nuove generazioni. Sono curioso di sapere cosa ne pensano i giovani. Il fatto è, come diceva Rosemberg, che l'arte è un'altra maniera di pensare e se ci affanniamo a pensare letterariamente o filosoficamente non facciamo dell'arte. Tutto qui. Ciao Federico De Leonardis

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