Una fotografia di Edo Bertona con un soggetto floreale stampato su carta Kozo.
Epson, da quasi un anno, ha introdotto sul mercato una nuova carta per le sue stampanti che ha denominato Japanese Kozo Paper Thin. Questa carta diventa un nuovo supporto fotografico per la stampa fotografica a getto d'inchiostro, s'ispira alla carta giapponese ricavata dalle fibre del gelso ed è destinato a chi è alla ricerca di nuovi mezzi d'espressione, o desidera poter disporre di nuove idee per distinguere il proprio prodotto.
Renato Sanalli, Business Manager Pro Graphis di Epson Italia ha dichiarato: <L'introduzione della carta Kozo di Epson avviene in un momento in cui progettisti ed artisti richiedono supporti nuovi e alternativi, in grado di catturare l'attenzione. Japanese Kozo Paper Thin di Epson risponde perfettamente a questa esigenza, grazie alla sua semplicità di utilizzo con le stampanti e alla perfetta combinazione tra peso ridotto, elevata resistenza, semitrasparenza ed elevata saturazione dei colori>.
La carta kozo è un'antica carta tradizionale giapponese che viene ricavata dalla fibra vegetale. Gli arbusti del gelso vengono tagliati in inverno, quando la pianta ferma la sua attività vegetativa, una volta raggruppati in fascine vengono trattati con una bollitura che permetterà, in una seconda fase, d'andare a martellare il ramo per separare la corteccia dal fusto. La corteccia viene aperta e sfilacciata manualmente, poi viene essiccata, e si separa ancora una volta la parte esterna dalla parte interna.
Si fa nuovamente bollire la fibra interna, prima di ri-separarla e batterla fino a che diventa una pasta. Da questo punto in avanti, il procedimento di produzione coincide con quello della carta normale fatta con la lignina.
La pasta viene miscelata e poi con i telai a mano, come si faceva una volta, dal gelso si ricavano fogli estremamente sottili per metterli ad asciugare.
I fogli vengono rifilati a misura, per quello che riguarda la parte esterna, per le impurità e confezionati.
Questo, a grandi linee, è il procedimento che si segue per produrre la carta kozo.
La produzione della Japanese Kozo Paper Thin di Epson segue sistemi industriali, ma ciò che si ottiene ha le proprietà e le caratteristiche della carta tradizionale.
Il vantaggio dati dai metodi industriali, ci permettono d'ottenere la carta in rulli e di poterla stampare con una moderna stampante ad inkjet.
Questa carta, ha una trama abbastanza visibile che limita la definizione di stampa e la rende più adatta a certi soggetti piuttosto che altri.
E' un supporto poco indicato al ritratto classico perché introduce una trama di fondo all'immagine, ma ovviamente, questa texture la si potrebbe considerare un effetto che ha una ragione d'essere per soggetti particolari, come potrebbe essere un ritratto glamour, per esempio.
Lo spessore della kozo di Epson è molto sottile, tanto da richiedere un suo supporto incorporato per poterla stampare; non si tratta di una carta bianca, ma leggermente colorata, dai toni caldi, color panna. Essendo una carta certificata Digigraphie, è fabbricata senza acidi, non ha riserva alcalina, non ha sbiancanti ottici (Oba), e deve rispettare le norme Iso per la conservazione museale. E' una carta totalmente diversa da ogni altra carta Fine Art che si possa incontrare.
Stampandola con la Epson SC P800 si ha la possibilità di caricare la carta in rotoli da tagliare, cosa che prima non era possibile fare con la stampante 3880.
La vecchia stampante di Edo, la Epson Stylus Pro 9900 era già in grado di stampare la carta Japanese Kozo Thin di Epson.
Tony Graffio intervista
Edo Bertona
Tony Graffio: ho
assistito al tuo seminario sulla carta Kozo, al Photoshow 2015, mi è
piaciuto molto, adesso vorrei conoscerti meglio, mi puoi dire da che
esperienze arrivi, quanti anni hai, dove sei nato, dove lavori e
qualcosa del tuo passato.
Edo Bertona: Ok, ho 52 anni,
tra qualche mese compirà 30 anni, come fotografo professionista e dal
2007 ho iniziato la mia esperienza, anche come stampatore Fine Art.
La mia attività principale era quella di fotografo, ma pian, piano
si sta trasformando sempre più in quella di uno stampatore, continuo
comunque a vivere, grazie alla fotografia. Nel 2008 ho iniziato ad
approcciarmi alla stampa Fine Art perché volevo avere un controllo
totale sulle immagini che io producevo. Queste immagini non dovevano
avere soltanto il mio stile, dato dalla post-produzione, ma volevo
avere la libertà di scegliere il tipo di carta, la densità della
stampa e tutto il resto. Cose che normalmente mi erano impedite da un
laboratorio; così ho iniziato il mio percorso e da lì sono andato
avanti.
TG: Edo, il fatto che
tu abbia iniziato a lavorare come fotografo e adesso fai
prevalentemente lo stampatore, vuol dire che il fotografo ha un occhio
tale che riesce a valutare l'immagine stampata, oltre che l'immagine
reale?
EB: Sì, sicuramente, per
quanto riguarda il risultato finale che dev'essere la stampa, se la
tua storia arriva dalla fotografia avrai un approccio diverso alla
stampa, tant'è che molto spesso, quando mi capitava d'andare in
laboratorio, ero io a fornire allo stampatore indicazioni su come
volevo che fosse sentita la mia stampa.
TG: Tu hai iniziato con
la fotografia tradizionale, giusto?
EB: Io ho iniziato
facendo fotografia di moda e pubblicità, o meglio, cataloghi
d'abbigliamento e pubblicità, in lastra. Io lavoravo con la Sinar
20X25 e la Sinar 10X12. Utilizzavo anche la Mamiya 6X7 ed utilizzavo
soprattutto quello che erano gli strumenti della sala di posa, fino
all'anno 2000.
TG: Hai cambiato
abitudini con l'avvento del digitale?
EB: No, in quell'anno mi
era saltato in testa uno scrupolo morale che mi ha fatto riflettere
sulla durata delle mie immagini. Mi ero accorto che le mie immagini
duravano 6 mesi; un anno per quello che riguardava i cataloghi
d'abbigliamento e poi tutta la mia fatica veniva cestinata. Questa
scoperta ha avuto un cattivo influsso su di me perché voleva dire
che il mio lavoro era legato al ciclo di vita della campagna
pubblicitaria. Io mi dicevo: ma come faccio una gran fatica a
realizzare belle immagini e dopo sei mesi me le buttano via? No,
questa cosa non mi va bene. Una mattina mi sono alzato, ho finito
l'ultimo lavoro che mi aveva commissionato l'agenzia, ricordo che
stavo fotografando dei gioielli e ho detto: ragazzi, da domani non
farò più questa fotografia.
Mi sono fermato per un
anno, per cercare qual'era la fotografia che poteva darmi
soddisfazione.
Parlando con un vecchio
fotografo delle mie parti (Borgomanero), un signore che all'epoca
aveva 80 anni, mi accorgevo che lui mi prendeva in giro, dicendomi:
volevi fare il "figo" ad andare a fare fotografia pubblicitaria a
Milano e guarda come ti sei conciato. Io ho fatto fotografie ai
matrimoni per tutta la vita, guarda come sono bello e arzillo.
Io non me la sentivo di
passare dalla moda ai matrimoni che consideravo un po' l'ultimo
stadio del fotografo.
Il vecchio fotografo mi
aveva detto di pensarla come volevo, ma di pensare anche a quanto
durano quelle fotografie di cerimonie. A quel punto, mi sono sentito
toccare sul vivo, perché mi sono ricordato che io a casa avevo due
fotografie in bianco e nero di mia nonna, soltanto due e mi son
detto: ma qui siamo alla terza generazione che sta guardando queste
immagini...
Ho iniziato a
documentarmi un po' e mi sono detto: se dobbiamo ricominciare,
facciamolo completamente, iniziando dal basso, perché in Italia la
fotografia di matrimoni era considerato il fondo.
Ci ho messo del mio, mi
sono messo in gioco cercando di capire che cosa la gente volesse e mi
sono accorto che c'era una richiesta di spontaneità, mentre io
pensavo che la gente volesse la bella fotografia studiata. Venendo
dalla moda, pensavo di farcela tranquillamente e invece no, i clienti
volevano altro: stava iniziando il grosso cambiamento.
Ho capito questa cosa in
tempo, la ho interpretata ed ho iniziato a fare il reportage di
matrimonio.
TG: Si può dire che tu
hai precorso i tempi della crisi, portata in qualche modo
dall'avvento della tecnologia digitale?
EB: Diciamo che mi è
andata di lusso, perché proprio in quel periodo bisognava decidere
se iniziare ad investire su un dorso a scansione che all'epoca
costava circa 40 milioni di lire, oppure no. Io non me la sono
sentita ed ho detto di no, io tutti questi soldi non li spendo.
Ancora adesso c'è un mio caro amico che mi prende in giro perché
dissi che il digitale non prenderà mai piede. Eppure, oggi anch'io
non potrei mai rinunciare al digitale, questa è stata veramente una
svolta epocale di fine millennio.
TG: Quindi per un attimo
sei stato tentato dai dorsi Betterlight?
EB: Figuriamoci, i dorsi
a scansione Betterlight erano lentissimi, ingombranti, costosissimi
ed un impegno davvero gravoso per il banco ottico. La mia fortuna è
stata quella di non buttarmi in quell'investimento e difatti, da lì
a sei mesi, gli stessi dorsi costavano meno della metà ed erano
molto più per formanti.
Io non ho più fatto una
fotografia pubblicitaria dal 2000. Quando faccio un cambiamento nella
mia vita, lo faccio in maniera totale.
L'idea di fare i
matrimoni con la spontaneità del reportage, quando ancora tutti li
facevano mettendo in posa i soggetti, s'è invece rivelata la strada
giusta per rinnovare la mia attività.
Per me quest'idea ha
voluto dire tanto ed ha significato conquistare un mercato che
continua tuttora a darmi lavoro, anche se con numeri nettamente
inferiori a qualche anno fa perché, grazie a Dio, anche la
fotografia di matrimoni in Italia s'è evoluta ed infatti oggi tutti
i fotografi di matrimonio dichiarano di fare reportage. Di
conseguenza, seguendo questa logica i numeri sul mercato si
ridimensionano un pochino, ma se lavori sulla qualità, lavori
sempre.
TG: Di cosa ti occupi
oggi?
EB: Io mi occupo tutt'ora
esclusivamente di matrimoni e ritratti di gravidanza. Sono stato uno
tra i primi fotografi in Italia ad occuparmi specificatamente di
ritrarre donne incinte.
TG: Nude o vestite?
EB: E' indifferente, da
me arrivano donne in qualunque condizione, non ci sono limiti.
Trattando il tutto con un discorso di Fine Art, va bene la ripresa
fatta bene, ma l'obiettivo finale dev'essere quello di produrre una
buona stampa. Il servizio di consegna dei file, fine a se stesso, non
fa parte del mio modo d'interpretare la fotografia. Per me la
fotografia è scatto e stampa.
TG: Insomma, tu mi
vorresti dire che hai iniziato a stampare Fine Art dal nulla, nel
2006?
EB: Nel 2006 ho iniziato
a stampare, la mia produzione è diventata Fine Art nel 2009, quindi
ho fatto 3 anni di auto-apprendistato, in questo periodo di tempo ho
fatto le mie prove ed i miei errori, fino ad arrivare ad una qualità
di stampa che mi ha permesso d'ottenere la certificazione Digigraphie
da parte di Epson.
TG: Possiamo dire che sei
uno stampatore abbastanza “fresco”?
EB: Sì, assolutamente,
mi ritengo giovanissimo, come stampatore, nonostante lo scorso anno
io abbia aperto un laboratorio conto terzi: prima dell'anno scorso
stampavo solo per me, o per qualche collega che voleva venire da me a
stampare, ma io non avevo mai pubblicizzato la cosa, perché il mio
scopo principale era quello d'essere certificato verso me stesso.
Essendo molto pignolo e severo con me stesso, io dovevo raggiungere
questa certificazione, poi se qualcuno voleva venire a stampare da me, ben
volentieri.
TG: E' difficile ottenere
la certificazione Digigraphie?
EB: Allora, per quello
che riguarda Digigraphie, è obbligatorio avere una macchina da
stampa Epson, usare inchiostri Ultrachrome HD e dimostrare che si
rispettano dei parametri di stampa attraverso delle chart
periodiche. Questa chart che è una stampa che riporta dei
quadratini di colore, viene esaminata ed in base al valore
risultante i tuoi esaminatori capiscono se tu stai stampando
correttamente su quella carta, è semplice.
TG: Come spieghi la tua
affermazione professionale da stampatore in così poco tempo?
EB: Secondo me dipende
dall'impegno che ci metti nel fare le cose, a dicembre 2014, sono
stato certificato anche da Hahnemuhle, che probabilmente è la più
prestigiosa cartiera al mondo. Il loro metodo di certificazione è
interessantissimo: tu fai richiesta, ti mandano un questionario
chilometrico, dopo di che non si sa più niente. A quel punto le pensi
un po' tutte, ti dici: avrò dato delle risposte non corrette, perché
loro incrociando le risposte, valutano se quello che dici ha un
senso, non so esattamente come funzioni, ma ho capito una cosa del
genere.
Dopo circa 6 mesi, era un
venerdì pomeriggio, ricevo una telefonata che mi preannuncia
l'arrivo di una commissione dalla Germania per il lunedì successivo.
Il lunedì,
effettivamente arriva un responsabile di Hahnemuhle che parla solo il
tedesco che dando così poco preavviso non ti permette di mettere in
piedi uno studio, se non ce l'hai. Stesso discorso per le
stampanti o i profili colore; o ce li hai, o non ce li hai.
L'intervista (molto
tecnica) che mi ha fatto questo signore è durata più di un'ora,
dopo di che mi ha chiesto, se per cortesia gli potevo stampare
qualcosa. Dopo il controllo della stampa, ha controllato
l'illuminazione, ha controllato che io avessi un ambiente di lavoro
con temperatura e umidità costante, l'ho visto annuire, ho stampato
quello che lui mi ha chiesto, alla fine ha approvato il mio lavoro ed
ha detto che loro potevano certificare la mia struttura.
TG: L'esigenza d'avere
umidità e temperatura costante è dettata più dalla carta che
dalla stampante?
EB: Prima di tutto si
tratta di una mia fissazione che mi è stata trasmessa da un mio
amico che è un guru del colore e poi effettivamente è buona norma
avere meno parametri che variano all'interno di un processo
produttivo. Ritengo che sia importante agire in questo modo.
TG: Tu consiglieresti a
tutti coloro che vogliono intraprendere seriamente questo cammino
professionale la ricerca delle certificazioni di queste ditte? O se
ne può fare a meno, volendo?
EB: Se ne può fare a
meno, certo, l'importante è che uno sia corretto verso se stesso.
Per me è stata una sfida, per riuscire a raggiungere un livello di
stampa da certificazione.
E' pacifico poi che
disporre di certe certificazione può giocare a favore del cliente
che così può sapere che venendo da te che sei certificato, gli
garantisci che certi parametri vengano rispettati con precisione.
Ovviamente, ci sono anche ottimi stampatori che non sono certificati
che lavorano tantissimo e benissimo.
TG: Come ti dicevo, ho
assistito al tuo seminario sulla carta Kozo, come sei arrivato a
scegliere d'utilizzare questo supporto?
EB: Arrivare alla carta
Kozo è stata la diretta conseguenza di un rapporto che ho sviluppato
in questi anni con Epson. Un rapporto di fiducia che ha portato ad
uno scambio d'idee. Io sono uno che quando sta lavorando in team ha
il piacere di dire la sua, sempre nel rispetto di quello che è il
progetto generale.
L'anno scorso, prima che
la carta Kozo venisse presentata Epson mi chiese di testare questo
nuovo prodotto, chiedendomi che cosa ne pensavo; si trattava dei
famosi rotoli pre-launch.
TG: Sai se Epson s'è
rivolta anche ad altri stampatori, per queste prove?
EB: Che io sappia, Epson,
in Italia, l'ha fatto anche con un altro stampatore.
TG: Che impressioni hai
avuto dall'utilizzo di questa carta Kozo?
EB: Mi sono innamorato
subito della Kozo, dopo averla provata ho iniziato subito a lavorarci
per conoscerne i pregi ed i difetti. La cosa è andata così fino a
che mi sono inventato la stropicciatura che mi ha aiutato a rendere
la carta tridimensionale. Oltretutto quella stampa è anche finita
nel museo Epson, a fianco delle fotografie di Franco Fontana e
Maurizio Galimberti.
TG: Anche gli scatti sono
tuoi?
EB: Gli scatti sono
sempre miei. Certo, non potrei proporre scatti di altri, con la Kozo
interpretata a modo mio, quindi con questa stropicciatura.
TG: Ho visto anche dei
colori molto belli, molto saturi...
EB: Sì, in questo caso,
in questa serie di immagini che sto realizzando sulla natura, sulle
fioriture, le immagini hanno una lavorazione artistica legata a
quello che io voglio esprimere. Ti dirò di più, le immagini che
avete visto prima, e anche l'immagine che hanno messo nel museo, sono
state scattate tutte con un Ipad Mini, lo so che è una cosa che può
stupire, però è così. Questa è una scelta ben precisa, perché
volevo dimostrare che anche con uno strumento di bassissima qualità
si possono ottenere delle cose molto particolari, basta avere
qualcosa da raccontare.
TG: Normalmente, invece
cosa succede nel tuo laboratorio? Il cliente si presenta con un file
già preparato, o si affida a te per lo sviluppo?
EB: Normalmente, il
cliente arriva con un file già preparato, io preferisco rispettare
le volontà del cliente; poi se c'è la possibilità ci si siede ed
insieme si valuta il file.
TG: Quindi si arriva da
te con un TIFF?
EB: Sì, certo, si
presume che la stampa parta da un Tiff. Tiff in Adobe RGB 1998. Si
valuta insieme il file a monitor, si valuta se bisogna fare dei
piccoli accogimenti ed interventi sulle curve, per adattarlo alla
carta che si intende utilizzare e poi si stampa.
TG: Per evitare
dominanti?
EB: No, per esaltare di
più l'immagine su quella specifica carta. Se stampo la stessa
immagine su 10 tipi di carte diverse, ottengo 10 immagini diverse,
questo accade per la densità della carta e dalla resa della carta.
TG: Cosa pensi dei neri
che si riescono a stampare sulla Kozo?
EB: Io sono molto
soddisfatto della resa dei neri, soprattutto con le nuove stampanti.
Rispetto a prima c'è
stato un netto miglioramento specialmente utilizzando delle carte che
richiedono l'utilizzo dell'inchiostro nero photo, lì l'esaltazione
dei neri è massima ed il nero è veramente nero e profondo.
TG: Quando tu hai
iniziato a stampare c'erano 6 colori per la stampa, adesso ce ne sono
9, è così? Si vede un miglioramento in stampa?
EB: Sì. Si può notare
una differenza anche tra una stampante e l'altra, sì, senza dubbio.
TG: Quini quanto può
durare una stampante, prima che si senta la necessità di sostituirla
con un prodotto più moderno e valido?
EB: Onestamente, non
riesco a rispondere a questa domanda, perché sicuramente questa
necessità varia, anche a seconda dell'utilizzo che viene fatto della
stampante stessa e a seconda della manutenzione che viene fatta su di essa.
Io ho lavorato con
un'Epson 4008 per quasi 6 anni senza avere problemi. Il che vuol dire
non avere mai il problema dei famosi ugelli ostruiti. E' stato un
peccato doverla abbandonare, dal punto di vista affettivo, ho avuto
la possibilità d'andare in sala demo e testare tutte le macchine, ma
chiunque può farlo, basta chiederlo ad Epson.
Sapevo che i gradini da
salire erano tanti, quando è stato il momento, anche economicamente, per me
giusto, sono passato ad una stampante di un formato nettamente
superiore.
Adesso, lavoro con una
Epson 9900, più la nuova Sure Color P800 che io uso per altre lavorazioni.
TG: Edo, sarò
provocatorio, volevo sapere da te se l'arte prevede un intervento
manuale, oppure basta schiacciare un bottone per essere considerato
un artista.
EB: (Ride a lungo).
TG: Insomma, ti
ritieni un artista?
EB: Non lo so, spero che
lo dicano gli altri. Io penso di essere un artigiano che tutte le
mattine si alza e mette tutte le sue energie per tirare fuori un
prodotto che soprattutto soddisfi il proprio ego, di conseguenza la
soddisfazione del cliente arriva in automatico.
Ho un po' paura ad
affrontare la parola artista perché ormai basta aprire qualunque
social network e trovi tutti che si definiscono artisti. E'
molto difficile capire se si è degli artisti, io non lo so se sono
un artista, sono uno che ci mette l'anima per fare i lavori. Escono
bene, vuoi considerarli arte, va bene, grazie, io l'etichetta non me
la metto di sicuro.
TG: Non è che ti sei
inventato quel famoso tocco della stropicciatura manuale per fare
l'artista?
EB: Questa domanda è
azzeccatissima, non ti nascondo che quando l'ho fatta vedere e mi
sono sentito dire: <Eh, ma questa è un'opera d'arte!>, mi
sono gasato e mi son detto, finalmente sono anch'io un
artista. Certo, anche partire da un file di bassa qualità per
arrivare a qualcosa che avevo in testa prevede un intervento creativo
che mi porta ad ottenere i colori e le densità che voglio in fase
di stampa.
Il tocco finale della
stropicciatura è la mia firma.
Una stampa di Edo Bertona che ha subito il suo tocco finale di stropicciatura manuale.
TG: E' una cosa che fai
sempre, o solo quando lo ritieni opportuno?
EB: No, lo faccio solo
con la mia collezione.
TG: E per i clienti?
EB: Ma, se un giorno un
cliente avrà bisogno di farsi stropicciare una stampa, ben
volentieri lo farò.
TG: Mi è piaciuta molto
anche la tua cornice luminosa, è anche quello un tuo prodotto?
Qualcosa che hai pensato tu?
EB: Quello è un progetto
nuovo che ho iniziato da poco, non ti nascondo che quello che hai
visto è un Mock-up, quindi è
una brutta copia di quello che dovrà essere in futuro. Ad oggi (23
ottobre 2015 ndTG) quella cornice ha due giorni di vita. Tu hai visto un
anteprima, quasi in esclusiva. Sto collaborando con un ragazzo in
gambissima a studiare l'illuminazione a led con tutta tecnologia
italiana molto all'avanguardia. Vorrei proporre questo prodotto
legato allo studio di una passione che ho sempre avuto per le fonti
d'illuminazione.
Attualmente, riusciamo ad illuminare la Japan Kozo paper in maniera omogenea, con la
densità e la brillantezza di cui avevo bisogno, in uno spessore di
pochi millimetri.
Edo Bertona, 52 anni, fotografo e stampatore.
Principali caratteristiche della carta Kozo di Epson
-Peso di
soli 34 gr/m²
-Supporto
traslucido-Ideale
per l'uso con gli inchiostri UltraChrome HDR e UltraChrome K3 con
Vivid Magenta
-Supporto
per stampa a getto d'inchiostro con fibre naturali a base di gelso
-Pellicola
rimovibile sul retro per una maggiore resistenza durante il processo
di stampa
-Supporto
per stampa a getto d'inchiostro con fibre naturali a base di gelso
-Pellicola
rimovibile sul retro per una maggiore resistenza durante il processo
di stampa
-Compatibile
con le stampanti SP4900, SP-7900, SP9900, SP7890, SP9890 e SP11880
-Disponibile
in rotoli da 432 mm x 10 m e da 610 mm x 10 m a partire da novembre
2013 e in rotoli da 1.118 mm x 10 m nel 2014
-Elevata saturazione dei colori
-Elevata saturazione dei colori
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