Particolare di una moviola bipasso Intercine 16mm e 35mm
Il racconto di Giorgio Bertone sulla registrazione video magnetica è piaciuto moltissimo al
pubblico di “Frammenti di Cultura”; io che avevo già intenzione
di occuparmi delle varie figure professionali del cinema, avevo iniziato a parlare di questi argomenti dall'intervista che avevo fatto ad
Emanuele Bonapace, un tecnico che si dedica all'acquisizione ed alla gestione dei file digitali nelle moderne produzioni di cinematografia
digitale. Volevo capire se era vero o no che i dati relativi alla
registrazione magnetica di vecchi programmi televisivi, trascrizioni
di filmati in 8mm, 16mm o 35mm su nastro magnetico, o su file
digitale e le moderne riprese ad alta, o altissima definizione, in
futuro saranno a rischio di “evaporazione” dai supporti usati,
oppure se si può fare qualcosa per tutelare il patrimonio storico,
culturale ed artistico del lavoro prodotto da fotografia, cinema e
televisione.
Visitando la ex-PlayVideo di Felice Quaquarella ed il reparto RVM della Rai di Milano ho
capito che la situazione non è poi così drammatica come si potrebbe
pensare in un primo momento e che affidandosi a professionisti di
lungo corso di questo settore (spesso già oltre i limiti della
carriera lavorativa) si può perfino pensare di riuscire a recuperare
nastri magnetici che sembrerebbero inutilizzabili. Bisogna però
ricorrere a pulizie manuali con prodotti chimici speciali, ricerca di
registratori particolarmente adatti allo scopo, conoscenze tecniche
ormai più che desuete ed ad altre soluzioni conosciute solamente da
chi da tanti anni si occupa di queste problematiche, segreti che tra
l'altro non sempre è facile trovare chi è disponibile a divulgare (specie se ha ancora in
corso un'attività commerciale).
La filosofia dei tecnici
delle generazioni più giovani sembra essere molto più pragmatica,
non hanno tanto tempo da perdere, non sono intrisi di sentimentalismi
verso cose di cui raramente hanno sentito parlare e spesso si
affidano in modo un po' troppo acritico a quanto gli viene detto dai
rappresentanti di marchi di apparecchiature tecniche che hanno più
interesse a vendere il nuovo che a rigenerare il vecchio. Spesso, si
sente dire che una certa cosa non si può più fare, o che bisogna
perennemente restare aggiornati passando da ogni stadio evolutivo,
con il rischio reale di perdere immagini e documentazioni
irripetibili.
Ritenendo i tecnici ed i
professionisti della Rai più affidabili dei tecnici che per forza ti
offrono un servizio a pagamento, o che comunque ti vogliono vendere
qualcosa, e comunque il loro lavoro è sotto gli occhi di tutti, esperti e non. Sono tornato ad intervistare un dipendente della Rai
di Milano per capire qual'è il ruolo del montatore cinematografico,
in che cosa consiste questo lavoro e che consigli si possano dare ad
un giovane che intende intraprendere questa carriera, non soltanto
per migliorare alcune soluzioni teoriche o pratiche, ma anche per
trasmettere a queste persone un'idea di continuità storica e di
appartenenza professionale con ciò che avevano fatto coloro che li
hanno preceduti. TG
Moviola Intercine bipasso
Tony Graffio
intervista Walter Bellagente, l'ultimo montatore cinematografico
della Rai di Milano
Tony Graffio: Ciao
Walter, sono venuto qua da te nella tua saletta di montaggio per
parlarti e chiederti alcune cose riguardanti il tuo lavoro e la tua
lunga carriera, poiché mi hanno detto che tu sei l'ultimo montatore,
qui alla Rai di Milano, che è partito dalla pellicola per poi
continuare il tuo lavoro con le più recenti tecnologie elettroniche.
Ti anticipo che ho molte cose da chiederti.
Walter Bellagente: Ciao
Tony Graffio, ti hanno informato bene, sono un po' l'ultimo dei
dinosauri, chiedimi pure cio’ che vuoi.
TG: Intanto volevo sapere
come ti è capitato di fare questo lavoro, in genere non succede per
caso, bisogna avere un bel po' di passione. E' capitato così anche a
te?
WB: Diciamo che fin da
ragazzo ho avuto la passione per il cinema, all'inizio ovviamente
come spettatore, poi come appassionato che già ai tempi delle scuole
superiori ha iniziato a bazzicare il mondo del cinema a Milano che
non è il cinema vero. Per carità, a Milano si sono sempre fatti
soprattutto i documentari industriali ed i cosiddetti “caroselli”,
la pubblicità, mentre la cinematografia più narrativa si fa a Roma.
TG: Tu sei nato a Milano?
WB: Io sono nato a Milano nel 1956 ed ho sempre vissuto in questa città. Non avevo nessuna voglia
d'andare a Roma, per cui sono rimasto qua. Ho frequentato i vari
studi dove si svolgeva attività cinematografica, lavorando
all'inizio, part-time perché all'epoca studiavo ancora...
TG: Tipo la Gamma Film?
WB: Erano altri studi più
piccoli che preferisco non citare, comunque ho fatto varie cose, ho
iniziato facendo l'aiuto-assistente operatore, poi ho fatto
l'assistente operatore e nei momenti morti in cui non c'era da fare
delle riprese negli stessi studi c'erano anche le sale di montaggio
con le moviole. Ho iniziato a vedere come funzionavano le moviole
guardando lavorare i montatori, anche perché il mestiere del
montatore è un mestiere che si ruba, esattamente come si ruba il
mestiere del sarto e tutti questi mestieri fondamentalmente
artigianali. Sono andato avanti facendo questi lavoretti da
free-lance fino a che nel 1979, con l'avvento della terza
rete, ho saputo che in Rai c'erano dei concorsi per selezionare il
personale, perché in Rai fino ad una ventina d'anni fa si entrava
solo per concorso. Io ho partecipato a quel concorso e con
soddisfazione sono entrato come montatore cinematografico-televisivo.
All'epoca esisteva solo quello come montaggio in Rai, parliamo di
pellicola, naturalmente. Quando sono arrivato io il reparto RVM in
Rai esisteva già, ma era proprio agli albori e comunque RVM e
montaggio cinematografico erano due cose diverse. La selezione che ho
fatto io non era una selezione attitudinale, ma era una selezione
professionale, ciò vuol dire che la selezione era abbastanza severa
ed era a sbarramento, se non passavi una prova non potevi accedere a
quella successiva. Il primo esame prevedeva una prova scritta, e lì
c'è stata la prima scrematura, dopo di che c'era un esame orale ed
alla fine, da una quarantina dell'inizio, siamo rimasti in sei ad
affrontare l'esame pratico, andando in moviola a montare un pezzo. Mi
ricordo ancora che era un pezzo girato ad arte con degli errori
tipici che possono capitare nel cinema e che un montatore capace deve
subio riconoscere e correggere.
TG: Tipo scavalcamenti di
campo?
WB: Sì, scavalcamenti di
campo e piccoli trucchetti che potrebbero trarre in inganno chi non è
del mestiere.
TG: Era un girato che
andava rimontato?
WB: No, era un girato di
circa 600 metri di pellicola dal quale bisognava ricavare un
mini-sceneggiato. La storia era semplicissima: un ragazzo ed una
ragazza andavano in gita sul fiume con la macchina, poi i due
litigavano e lei se ne andava. Tutto qui. Però era cinema.
Nuclei colorati per pellicole e perforati magnetici 16mm
TG: In 16mm?
WB: In 16mm, sì,
esattamente. Io ho fatto bene il mio montaggio, ho passato la
selezione e da lì mi hanno chiamato a lavorare nell'ottobre del
1979. Il primo giorno mi hanno fatto fare un giro dell'azienda per
farmi capire dov'ero e farmi conoscere i miei capi ed i miei
colleghi, ma già dal secondo giorno io ero operativo ed ho montato
un pezzo che è andato in onda. Questo è quello che è capitato a
me, ma è stato così anche per i vari operatori che sono entrati in
Rai fino a qualche tempo fa.
TG: Sei stato contento di
lavorare per la Rai? Hai trovato delle differenze nel modo di
lavorare cui eri abituato prima? Come t'è sembrata questa azienda?
WB: Beh, sì, chiaramente
sono stato soddisfatto di lavorare per la Rai anche perché questo
significava avere un posto di lavoro sicuro, ma al di là di questo,
ho trovato fin da subito la possibilità di continuare a lavorare in
un campo che mi interessava e di fare cose anche belle. Io sono
entrato come montatore delle reti televisive, non del telegiornale,
perché questa è una divisione aziendale. La categoria è la stessa,
ma siamo divisi operativamente in modo che c'è chi segue la
produzione televisiva e chi lavora per le news. Può capitare che
durante il periodo estivo ci chiedano di sostituire qualche collega
dell'altro reparto, oppure di sostuire un collega malato, ma
normalmente ci occupiamo solo dei lavori che riguardano il nostro
reparto.
TG: Operativamente ci
sono differenze? Chiaramente, per il montaggio delle news bisognerà
lavorare in tempi più stretti, mentre per i lavori delle reti si
curerà un po' di più la qualità del prodotto finale, è così?
WB: Dipende da quello che
tu fai, perché anche per le reti si montano le news, io ho lavorato
per 20 anni con un signore che si chiamava Enzo Biagi, quindi di news
penso di averne fatte anch'io, ma limitiamoci al periodo della
pellicola, perché se poi parliamo anche dell'RVM complichiamo un po'
il discorso. In effetti i veri lavori per le news li ho fatti con le
macchine RVM. Effettivamente, quando lavoravo con la pellicola non
facevo le news e coloro che montavano i pezzi del telegiornale
avevano problemi di tempi stretti perché allora la pellicola prima
andava sviluppata e si lavorava con l'invertibile. Ricordo che qui a
Milano avevamo un laboratorio di sviluppo e stampa interno che era
tra i migliori al mondo, se non forse il migliore, in quanto
rispettava alla perfezione le curve sensitometriche che ci inviava la
Kodak da Rochester e non esitava a sostituire i bagni di sviluppo
prima che si esaurissero. Con l'invertibile (usato per i TG)
bisognava fare molta attenzione a non rovinarlo graffiandolo o in
altro modo, perché era una pellicola unica ed insostituibile. Non
era una copia, come capitava per le lavorazioni degli sceneggiati e
dei documentari. Forse adesso chi non ha esperienza di montaggio in
pellicola si dimentica che c'è un contatto fisico con questo
supporto. La pellicola bisogna prenderla in mano per lavorarla, per
questo si utilizzava una copia di lavorazione e poi alla fine si
ristampava un'altra copia definitiva. Lavorando in invertibile, cosa
che capitava spesso, bisognava fare la massima attenzione nel
maneggiare la pellicola esattamente come si fa con i negativi
fotografici. Per questo si usano i guanti bianchi di cotone e tutto
il resto.
TG: Alla tua selezione,
in quanti siete risultati idonei per fare questo mestiere?
WB: Soltanto in due.
Quel che resta delle moviole in dotazione alla Rai di Milano si trova in una stanza attigua a dove fino a 30 anni fa si trovava il laboratorio cinematografico della Rai di Milano. Sembra che nuove moviole dovranno essere acquistate, in previsione che il Centro di Produzione di Milano si doti di un telecinema 4K per riversare gran parte del materiale di repertorio su pellicola che ancora non è stato digitalizzato.
TG: Come montatore
cinematografico avrai avuto un assistente, è così?
WB: Sì, avevo
l'assistente, anche se io devo dire non l'ho mai utilizzata troppo.
All'epoca ero abbastanza giovane, per quanto riguarda i mondo della
pellicola ed ero abituato a lavorare abbastanza in autonomia. Certo,
l'assistente era molto utile quando si facevano lavori complessi.
Quando montavo i grandi documentari di Enzo Biagi che partivano con
materiale di repertorio del 1943 e dintorni, parliamo di 10 puntate
di un'ora ciascuna si aveva a che fare con tanto materiale e tante
interviste, in quei casi l'assistente che aiuta a classificare il
materiale, a tenerlo in ordine ed ad aiutare la mia memoria per poi
pescare il pezzo giusto quando serve, è indispensabile.
TG: L'assistente che cosa
faceva esattamente? Metteva da parte i rotolini di pellicola e te li
passava quando servivano?
WB: Il montaggio
cinematografico era ed è ancora un lavoro manuale, anche se penso
che non venga più fatto in moviola da nessuno perché poi montano
tutti in Avid, Final Cut o Da Vinci, anche se girano in pellicola. Il
lavoro consisteva nel mettere insieme una parte visiva ad una parte
audio, una pellicola e un nastro perforato magnetico, quindi audio e
video viaggiavano separatamente. La prima cosa che doveva fare
l'assistente quando aveva il materiale era mettere a ciak, o in
sincrono l'audio ed il video prendendo i fotogrammi sui quali si
vedevano il famoso ciak, se c'era, altrimenti bisognava andare a
occhio, cosa a cui eravamo abbastanza allenati, sia gli assistenti
che noi montatori. Una volta che si era fatta questa operazione lo si
visionava insieme al regista e coinciavo, a quel punto, a selezionare
le varie inquadrature che mi potevano servire. Fisicamente, si
estraeva il rotolino di pellicola dell'inquadratura da punto a punto,
la si avvolgeva e la si metteva su un carrello numerandolo con la
matita dermografica. Il compito dell'assistente era quello di
ricordarsi dove era stato messo il rotolino nello scaffale. Potremmo
dire che l'assistente era un po' una specie di bibliotecario. Man
mano che si lavorava si recuperavano le scene e le si montavano in
sequenza e poi si decideva come effettuare il montaggio.
Un banco di ribobinamento usato per la pulizia delle pellicole dalle cosiddette "passafilm"
TG: Sentivo anche parlare
di “passafilm”. Chi erano le passafilm?
WB: La passafilm non è
nient'altro che una dizione volgare per l'assistente al montaggio.
Coloro che non facevano assistenza al montaggio, oppure, mi ricordo
che da noi c'erano un paio di signore che facevano solo quello,
verificavano le giunte. Prima abbiamo parlato dell'invertibile, la
pellicola si giuntava con la “Catozzo” che era una pressa
italiana che utilizzava uno speciale nastro adesivo molto tasparente
e di ottima qualità per attaccare due spezzoni di film. Tagliava e
contemporaneamente perforava lo scotch. Quando si lavorava,
ovviamente si faceva la giunta da un lato solo della pellicola,
mentre dopo un assistente libero dal lavoro o della passafilm
ripassava tutte le giunte e faceva una doppia giunta anche sull'altro
lato della pellicola, in modo da rinforzare la pellicola, prima di
mandarla al telecinema. L'altro lavoro tipico delle passafilm era
quello di passare col velluto morbido imbevuto di alcool isopropilico
per togliere i pelucchi e la polvere e pulire la pellicola.
Laer Apparecchiature Elettriche Elettroniche Elettromeccaniche Roma
TG: Fino a che anno hai
usato la moviola?
WB: Fintanto che ci sono
state le moviole, qui in Rai, io le ho usate.
Intercine
TG: Voi montatori avevate
voce in capitolo per dire questo lavoro è meglio girarlo in
pellicola?
WB: No, questa è stata
una scelta aziendale. La Rai ha scelto di rinnovare l'attrezzatura ed
abbandonare la pellicola. Lo dico con rimpianto, perché la pellicola
ha occupato un lungo periodo della mia vita lavorativa e poi perché
la pellicola è il cinema. Capisco perfettamente le esigenze
dell'Azienda di sveltire i tempi e adeguare le lavorazioni alle
tecnologie più moderne. Il problema è che quando siamo passati
dalla pellicola all'elettronico non c'erano ancora i sistemi di
montaggio di adesso, non c'era l'Avid e si montava con un sistema
analogico da Beta a Beta o addirittura da U-Matic a U-Matic o da BVU
a BVU, o Pollice-Pollice. Con la centralina di montaggio, o
addirittura da macchina a macchina, cosa che forse può capitare di
fare aancora adesso al telegiornale. Cosa che ho fatto anch'io per
tanti anni. Questo è un sistema di montaggio poco evoluto che
prevede di montare un'inquadratura dopo l'altra in modo lineare nella
sequenza in cui il pubblico dopo le vedrà. Se il montatore dovesse
cambiare idea e volesse magari soltanto accorciare o allungaure la
durata di un'inquadratura risulta necessario rifare tutto il lavoro
per fare una piccola modifica. Altrimenti bisogna duplicare tutto, ma
il nastro magnetico che all'epoca non era digitale, aveva una perdita
ingente di qualità ogni volta che si faceva una copia.
TG: Quanti passaggi si
potevano fare in tutta la lavorazione e quanto si perdeva in ordine
di qualità?
WB: Si potevano fare solo
3 passaggi, altrimenti si perdeva troppo in qualità. Si arrivava a
perdere anche il 20% ad ogni passaggio. Quando siamo passati dalla
pellicola all'analogico, per noi montatori cinematografici che
comunque abbiamo fatto un corso d'aggiornamento per imparare ad usare
le macchine elettroniche, è stato come tornare indietro ad un modo
di montare più arretrato e meno raffinato. Oltre a questo c'erano
altri precisi standard da rispettare: per esempio le barre EBU non
sono lì per bellezza. All'epoca, mi ricordo, cosa che non si fa più,
ogni saletta aveva il suo oscilloscopio vectorscopio per cui si
faceva il controllo della qualità delle barre con un sistema di
barre campione. Con Avid non è più così, con i sistemi di
montaggio digitali, a livello di montaggio, non ha quasi più senso
effettuare queste operazioni. Perché con i computer io entro con il
segnale in 1:1 ed esco in 1.1, sì, c‘è una conversione mpeg, ma
è una conversione di qualità talmente alta che non c'è più differenza.
Mentre col nastro, ad ogni riversamento si perdeva tantissima
qualità. Tieni presente che allora si lavorava spesse volte in
composito, non in component, e nemmeno separando i tre segnali.
TG: Tornando alla
pellicola, hai lavorato anche in 35mm?
WB: Lavorato no, l'ho
utilizzato diverse volte anche perché quando arrivava materiale un
po' particolare come sigle di trasmissioni prodotte esternamente
arrivavano in 35mm, allora si controllavano, si visionavano,
eccetera. Molto materiale di repertorio arrivava in 35mm. Con Biagi
ci arrivò una serie di filmati dalla ex-Unione Sovietica dove
c'erano film e documentari sulla rivoluzione d'ottobre del 1917,
naturalmente erano tutti in 35mm ed io li ho dovuti vedere tutti per
poi decidere che pezzi utilizzare e mandare a mettere i fili, come si
diceva allora, per riversare il tutto in 16mm.
Proiezione per pellicole 35mm o 16mm
TG: Avevate moviole da
35mm?
WB: Le moviole erano
tutte bipasso 16mm e 35mm leggevano entrambi i formati. Molti
colleghi hanno montato in 35mm per fare determinati lavori. I
Promessi Sposi, per citare la produzione più grossa della Rai di
Milano sono stati montati dai colleghi Gianni Lari e Gennaro Oliveti
in 35 mm.
TG: Tu hai lavorato anche
con loro?
WB: No, beh erano
colleghi. Eravamo un bel gruppo, ma il mestiere del montatore, come
ho detto prima, non si insegna, si ruba. Se uno come me all'epoca,
era giovane, volenteroso e interessato al lavoro, spesso, se capitava
d'avere delle ore libere andava a vedere che cosa facevano gli altri.
E molte volte questo diventava interessante.
TG: Ti riferisci a come
fare gli stacchi, il montaggio, l'audio...
WB: Sia per la tecnica,
che per il modo di trovare delle soluzioni di montaggio che ti
permettano di uscire da delle situazioni un po' difficili. Chiaro che
molto del mio lavoro, fatte salve le basi immutabili della grammatica
cinematografica che poi si possono stravolgere per finalità
artistiche, sta nel guardarsi molto attorno e vedere che cosa fanno
gli altri. Io continuo a guardare la televisione e ad andare al
cinema, non solo per piacere mio di spettatore, ma anche per
approfondimento professionale.
TG: Ci sono stati dei
registi qua in Rai che ti hanno insegnato qualcosa? O che ricordi con
piacere?
WB: Ho lavorato con vari
registi, ne ricordo alcuni con affetto e con piacere perché mi hanno
insegnato molto, penso a Luciano Arancio che era uno dei registi
fissi di Biagi con cui ho lavorato molto. Arancio, come me era un
appassionato di lirica, per cui abbiamo fatto molti lavori anche
sulle prove di Riccardo Muti a La Scala.
TG: Un lavoro che ti ha
dato particolare soddisfazione?
WB: In elettronico, il
lavoro che più mi ha dato soddisfazione è stato: “Il Fatto” di
Enzo Biagi, in quel caso utilizzavo già le prime macchine Avid,
eravamo però già nella seconda metà degli anni '90. Era un
approfondimento delle news che prevedeva una trasmissione di 5 minuti
ogni giorno, in onda dal lunedì al venerdì dopo il TG serale della
rete uno. E' stato un bell'impegno anche dal punto di vista
dell'adrenalina perché molte volte si preparava la trasmissione su
un argomento per tutto il giorno, ma poi poteva capitare che un fatto
improvviso di cronaca ci facesse cambiare completamente programma e
bisognava rifare tutto all'ultimo momento. Io ho seguito tutte le
edizioni con la stima, la collaborazione e l'amicizia di Loris
Mazzetti, altro personaggio che io ricordo con piacere.
Varie bobine di pellicola 16mm e nastri perforati magnetici
TG: Invece in pellicola
che cosa ti ricordi con piacere?
WB: Era tutta una serie
di lavori che riguardavano Riccardo Muti in prova. In quel caso si
univa il piacere di vedere come veniva costruite le prove e messa in
scena un'opera a La Scala, ed allo stesso tempo c'era il piacere di
fare una sintesi. Erano dei documentari.
Porte, finestre, chiavistelli e tapparelle che servivano a riprodurre i rumori necessari a sonorizzare sceneggiati tv e radiofonici, o altri tipi di programmi.
TG: Tu che genere
televisivo privilegi? A che lavoro piace lavorare: documentari,
sceneggiati, informazione, musica, varietà?
WB: Io ho fatto un po' di
tutto, ma onestamente di sceneggiati ne ho fatti pochi. Ho sempre
lavorato di più per i documentari. Da un po' di tempo a questa parte
privilegio le opere e le commedie, lavori di tipo teatrale.
TG: Può esserci un
montatore che è più adatto ad un lavoro di tipo documentaristico
piuttosto che musicale? Piuttosto che narrativo?
WB: Assolutamente sì, il
montaggio scaturisce dalla collaborazione con un regista nel cercare
di mettere in pratica le sue idee. Così dovrebbe essere, poi in
televisione non sempre è così. Nella cinematografia classica il
montatore dà forma alle idee del regista che ha seduto al suo fianco
e per far questo ci deve essere unità d'intenti. In più il
montatore dovrebbe essere appassionato da quello che fa. Se
l'argomento non lo interessa o non sta nelle sue corde la cosa
diventa difficile ed il lavoro diventa semplicemente mestiere, ma non
dà luogo a quel qualcosa di più che può farlo diventare, diciamo
la parola grossa, arte. Nel mio caso specifico, non essendo io un
appassionato di musica rock o di musica moderna, i videoclip li
lascio fare volentieri ai montatori più giovani. Questo non vuol
dire che io non possa fare quel tipo di lavori, ma secondo me è
anche giusto che ognuno di noi, nei limiti della disponibilità,
riesca a lavorare per i soggetti a cui è più adatto.
TG: In Rai c'è la
possibilità di proporsi o di scegliere per che progetto lavorare?
WB: Diciamo che a Milano,
noi delle reti, siamo un gruppo di più di una dozzina di montatori
con ognuno le sue qualità, e ritengo che sia i registi interni che
hanno voce in capitolo durante le riunioni di produzione di decidere
a chi affidare un lavoro, sia i nostri responsabili sappiano
benissimo ognuno di noi per cosa è portato. Poiché siamo tutti qui
per dare il nostro meglio, se io do il meglio in una cosa, non vedo
perché dovrei farne un'altra che un collega può fare meglio di
me...
Dettaglio di porta scorrevole
TG: Senti, e il fatto di
lavorare, magari da soli, in una stanzetta per diverse ore di
seguito, o talvolta accompagnato da un regista, ma penso molto più
spesso da soli, è una cosa che può dar fastidio o che pesa? E la
ripetitività? Io ho sempre in mente che quando si fa un montaggio
bisogna vedere tutto il girato, lavorarci su poi rivederlo
un'infinità di volte e risentirlo, questo fa sì che ci vogliano
delle doti particolari per fare questo lavoro? Ci vuole molta
pazienza?
WB: Be sì, ci vuole
pazienza, ci vuole occhio che poi può venire anche con
l'allenamento. Io lavoro da solo perché posso lavorare in autonomia,
fatto salvo che dopo c'è sempre una visione finale insieme ad un
regista, ad un assistente alla regia che sono figure fondamentali del
montaggio anche per quello che dicevi tu, perché funziona
esattamente come in un libro. Tu vuoi scrivere un libro, lo rileggi
20 volte e non ti accorgi della parola sbagliata perché tu rileggi
sempre la stessa cosa. L'occhio fresco che arriva dopo che tu magari
hai fatto 3 giorni di montaggio ed hai montato una sequenza, arriva e
ti dice che c'è qualcosa che non funziona. Normale, ben venga il
regista, o l'assistente.
TG: Tu mi dicevi che
tanti anni fa avevi iniziato come assistente operatore e poi ti sei
buttato sul montaggio; è successo per una tua predisposizione a quel
tipo di lavoro?
WB: Sì, mi piaceva e mi
piace tuttora.
TG: Nel passaggio che c'è
stato dal lavorare con le moviole alle macchine rvm tu hai trovato
difficoltà ad adattarti a questo cambiamento? E i tuoi colleghi più
anziani? C'è chi non ce l'ha fatta?
WB: Quell'epoca non è
stata un periodo gradevole, nel senso che per i colleghi più anziani
di me, adesso in pensione, è stato decisamente uno shock. Alcuni
hanno assolutamente rifiutato questa novità, un paio di loro si sono
rifiutati di convertirsi a questo ruolo. Io invece ero abbastanza
giovane e difatti sono ancora qui come ultimo esemplare dei
montatori in pellicola, per quanto riguarda il Centro di Produzione
di Milano. Io ero entusiasta ed incuriosito da questi nuovi mezzi per
cui forse ho avuto meno difficoltà degli altri ad imparare il
funzionamento di questi mezzi e nell'usarli, pur continuando a fare
il mio mestiere.
TG: Il fatto di venire
dalla pellicola ti ha poi agevolato nell'utilizzo di Avid e dei
sistemi di montaggio non lineare?
WB: Assolutamente sì,
perché Avid e gli altri sistemi sono stati pensati da un montatore
vero, non da un tecnico. Non voglio essere offensivo nei confronti di
nessuno su questo punto, ma Avid funziona tramite un computer
esattamente come la moviola e la pellicola. C'è stato un periodo in
cui la Rai ha unificato la mansione di montatore tra i tecnici dell
RVM ed i montatori cinematografici, in quel momento i tecnici video
sapevano operare sulle macchine, ma non avevano le competenze
teoriche di montaggio e non conoscevano bene il linguaggio che
dovevano utilizzare; mentre noi sapevamo come montare, ma non come
utilizzare le macchine. Col tempo, anche alcuni tecnici sono
diventati dei bravi montatori.
Dettaglio di un chiavistello utilizzato nel cubo del rumorista
TG: Il montaggio RVM
all'inizio poneva dei limiti al linguaggio cinematografico.
WB: Poneva quei limiti
che ho spiegato prima, ovvero che tutto andava pensato prima
d'effettuare il montaggio, cosa che d'altronde andrebbe fatta anche
per un montaggio “vero”, però questa accortezza bisognava averla
molto più di adesso, perché ai nostri giorni con Avid si può anche
arrivare a metà del montaggio e decidere di cambiare tutto, senza
che questo comporti particolari problemi. Mentre con il montaggio
analogico, questo voleva dire rifare tutto e perdere tantissimo
tempo.
TG: Adesso che la
definizione è arrivata a 4K, 5K, 6K, 7K, 8K e chi più ne ha più ne
metta. Adesso che anche la latitudine di posa raggiunge gamme
impensabili fino ed oltre i 14 stop; insomma adesso che l'immagine
elettronica e le possibilità di montaggio sembrano non aver fine,
secondo te, il mondo del cinema e della televisione sono più vicini?
L'immagine elettronica, chiamiamola così, è diventata una cosa
sola?
Un altro tipo di chiavistello montato sulle porte del cubo del rumorista "parcheggiato" al quarto piano del palazzo Rai di Corso Sempione che lo scorso anno è stato aperto al pubblico durante le giornate del FAI
WB: Tecnicamente si
somigliano sempre di più, è vero, tutto è girato con i mezzi
elettronici e dalla fine del 2014 anche tutte le sale
cinematografiche italiane dovrebbero essere attrezzate con i
videoproiettori elettronici, anche perché c'è una legge che esprime
questo obbligo. Come conseguenza, quello che vediamo al cinema non è
più un film. Come vedi, una risposta alla tua domanda siamo riusciti
a darcela. Rimane però molto diverso il l'approccio, il linguaggio e
ciò che si fa in televisione è diverso da quello che si fa nel
cinema. Al cinema si raccontano le storie, in televisione, almeno per
quello che riguarda noi, si fanno soprattutto i talk-show adesso.
TG: Sì, e’ verò però
esistono delle serie americane nate apposta per la televisione che
fanno impallidire anche il cinema.
WB: Beh, io non lavoro ad
Hollywood, posso dirti quello che facciamo noi qua. Anche le opere
per ora non le facciamo in 4K, ma in alta definizione. Ritengo che
sia diverso l'approccio del pensare un prodotto, poi tecnicamente
arriveremo a fare anche noi certi lavori in 4K, non è quello il
problema. Il fatto di lavorare in digitale ha portato grossi vantaggi
sia a livello produttivo, ma soprattutto nella possibilità di non
avere un deterioramento nella qualità dell'immagine che è qualcosa
d'estremamente importante.
TG: Per quello che
riguarda la conservazione del prodotto finito, era meglio la
pellicola? O si riuscirà a conservare anche il file digitale? O la
cassetta? E che durata pensi che possano avere questi tipi di
supporti?
WB: Mi stai facendo una
bella domanda (ride). E chi lo sa? L'evoluzione tecnologica è stata
così veloce che non abbiamo assolutamente avuto il tempo di valutare
e di testare quella che è la resistenza e la durata nel tempo di
certi supporti. Tanto è vero, per quanto ne so, che adesso ci
ritroviamo con nastri che ci riproducono un tipo d'immagine talmente
scadente, per gli standard cui siamo abituati adesso, da risultare
terribile alla visione. La pellicola ha più di 100 anni, sappiamo
come funziona, sappiamo come conservarla, sappiamo come restaurarla,
non ci pone problemi. Il vantaggio del digitale è che tutta
l'informazione numerica si può riversare senza avere perdita di
qualità, basta cambiare il tipo di supporto e passare periodicamente
da un hard-disk ad un altro, o ad una memoria solida, o a
quello che ci sarà in futuro, resterà sempre una fila di 1 e di 0.
Mettila come vuoi, ma una volta che sono registrati e sappiamo che
sono registrati anche in modo ridondante, non dovrebbero porsi
nemmeno qui grossi problemi.
TG: Spiegami meglio la
questione delle informazioni ridondanti per favore.
WB: I sistemi di
registrazione digitale immagazzinano più volte la stessa
informazione, cosa che vale anche per i normali CD audio, questo
significa che poi quando il sistema di lettura va a recuperare i
dati, anche se qualche informazione subisce dei danni il sistema è
ugualmente capace di ricostruire la traccia registrata. E' come se la
registrazione fosse fatta 5 volte in maniera sfalsata per cui diventa
difficile perdere il contenuto della registrazione in quanto è
possibile ricampionare la traccia anche in assenza di qualche dato
numerico. Questa soluzione è stata appositamente studiata in fase di
progettazione, altrimenti basterebbe la perdita di un solo dato
numerico per sentire un buco nell'audio, o perdere dell'informazione
video. Inoltre c'è una correzione di campionamento che tiene conto
anche della perdita d'informazioni ed altre cose.
Una tapparella montata sul cubo del rumorista
TG: Abbiamo parlato poco
della sonorizzazione, questa lavorazione la facevate voi montatori o
un apposito reparto?
WB: Per sonorizzazione
intendi il mixaggio?
TG: Aggiungere dei suoni,
o degli effetti, pulire delle sporcature audio, aggiungere delle
tracce audio e cose così
Un lato di uno dei due cubi da rumorista ancora presenti in Rai a Milano
WB: Allora, il film
veniva montato con una serie di colonne audio: la voce, le musiche,
facciamo l'esempio del documentario, c'era la voce fuori campo, la
voce dei vari intervistati, le varie musiche ed eventuali effetti.
Tutte queste colonne audio venivano missate da un reparto apposta che
c'è ancora adesso che si chiama sincronizzazione audio.
TG: Mi sembra che siano
solo due persone...
WB: Adesso sono solo due
persone, prima erano molte di più e si parlava di sincronizzazione
perché c'era tutta una serie di macchine che mantenevano il
sincrono. Su ognuna si montava una colonna separata, più il video e
si provvedeva al missaggio con personale tecnico, cosa che viene
fatta tuttora da chi ha un orecchio allenato ad una certa
sensibilità. Il lavoro di mixaggio non è un lavoro semplice. Mi
ricordo che esistevano delle figure che adesso non esistono più,
come il rumorista. Negli sceneggiati, anche radiofonici, era
necessario aggiungere degli effetti ricreati dal rumorista che adesso
vengono inseriti da dischi di effetti già pronti. Il consulente
musicale, diplomato al conservatorio, invece, oltre a seguire i
programmi musicali assiste il montatore nella proposta e nella scelta
di musiche da inserire nei prodotti audiovisivi che realizziamo qui
in Rai.
La porta scorrevole utilizzata negli anni '50, '60 e '70 dai rumoristi della Rai
TG: Quindi non è sempre
il regista che sceglie le musiche, ma siete anche voi a proporle?
WB: Sì.
TG: E per quello che
riguarda l'audio voi cosa fate esattamente?
WB: La messa in sincrono
della registrazione fatta col Nagra che veniva trasferita sul
perforato magnetico, alla quale aggiungevamo le musiche, tagliate e
sincronizzate...
TG: Facevate una prima
colonna di base?
WB: Le colonne venivano
tutte preparate in moviola, solo in mixaggio avveniva il filtraggio
dal punto di vista sonoro, e lavorate sulle dissolvenze audio in
entrata ed in uscita, o nelle dissolvenze incrociate fra una musica e
l'altra. Cosa che faccio anche adesso con Avid. Il mixaggio poi
livella, calibra e magari aggiungeva la pasta sonora, schiarendo
un'intervista, mentre gli effetti venivano montati in moviola. Al
rumorista invece si dava il pezzo filmato da proiettare e su questo
si registravano i rumori. Il nastro poi tornava da me che rimettevo
tutto in sincrono correggendo magari il suono dei passi dei
personaggi, in modo che coincidessero alle immagini, stessa cosa per
un oggetto che cadeva a terra. Tutto questo era riportato sul
perforato magnetico che andava in moviola. A questo proposito posso
raccontarti una cosa curiosa che mi ricordo molto bene perché era
stata una delle domande trappola che mi fecero alla selezione del
1979. In Rai, per quanto riguarda il sincrono sonoro, ed è
un'esclusiva della Rai perché non l'ho mai visto fare da nessuna
altra parte, veniva fatto per motivi di risparmio, si utilizzava una
pellicola da 35mm tagliata a metà. Siccome il 35mm viaggia ad una
velocità 4 volte superiore a quella del 16mm ed ha 4 perforazioni
per fotogramma, invece di una, l'utilizzo del 35mm per l'audio
permetteva una lavorazione più precisa dell'audio, ecco perché per
il sincrono dell'audio, specialmente per quello che riguardava i
doppiaggi, in Rai si utilizzava il mezzo 35mm.
TG: E tu non lo sapevi,
però.
WB: No, io lo sapevo
perché durante l'esame un esaminando, durante la prova orale, è
uscito prima di me dalla sala dove si erano riuniti per
l'interrogazione dicendo che gli avevano chiesto una cosa assurda sul
35mm perforato magnetico tagliato a metà. Io che avevo ascoltato
questo discorso, quando poi è stato il mio turno di rispondere alle
domande che la commissione esaminatrice faceva mostrando un mucchietto
di campioni di vari tipi di pellicola ho saputo rispondere
correttamente. Fu proprio Heron Vitaletti, che tu conoscerai, a
prendere uno spezzone di questo tipo di mezzo perforato magnetico da
35mm ed a chiedermi di che cosa si trattasse. Io candidamente risposi
correttamente che era il mezzo 35mm che si usava in Rai per il
doppiaggio audio, aggiungendo che me l'aveva appena detto il ragazzo
l'esaminato prima di me.
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