Beslan 2004 è la raccolta di fotografie pubblicate su "La Repubblica" e "Il Corriere della Sera" da giovedì 2 settembre a venerdì 9 settembre 2004.
Giuliano Banfi, Vicepresidente dell'Aned, un'associazione che ha sede all'interno della Casa della Memoria e rappresenta tutte le deportazioni, commenta così l'inaugurazione della mostra di Paolo Gallerani: "Sono impressionato e contento di questa mostra perché con queste "macchine armate" Gallerani testimonia una volontà di pace. Esibire oggetti orrendi nati per la distruzione, in modo da scavarne le forme e manipolarne l'aspetto induce grande terrore. Come conseguenza, si produce così una reazione uguale e contraria capace da indurre nel visitatore una volontà di pace che quindi è nello spirito della Casa della Memoria. Un'altra cosa estremamente importante è che durante il periodo d'apertura della mostra: Le macchine armate sculture e frammenti visivi, Gallerani continuerà a lavorare, implementando le sculture ed i momenti di riflessione con nuovi apporti di materiale artistico per rendere più vitale il ruolo della Casa della Memoria nel tessuto culturale della città. Siamo soddisfatti di constatare che in questo modo stiamo sviluppando un prezioso processo di autocoscienza nel visitatore."
Giuliano Banfi, Vicepresidente di Aned.
Personalmente,
sono stato molto impressionato, dall'esposizione sopra tavoli di
ferro, preparati dall'artista, delle riproduzioni fotografiche tratte dai giornali quotidiani italiani che
mostravano i volti ed i corpi dei bambini e dei loro genitori colpiti
dall'attacco terroristico degli estremisti islamici ceceni nel
"Giorno della conoscenza", nel 2004, nella città di Beslan.
Ciò
che non ci riguarda direttamente viene dimenticato, ma come possiamo
non pensare alla tragedia che ha colpito coloro che hanno subito il
dolore più grande?
Fa
bene Paolo Gallerani a ricordarci fino a che punto può
spingersi la crudeltà umana, o disumana, e ad accostare gli
strumenti di guerra alle immagini della sofferenza che causa la sete
di vendetta, di sangue e di potere.
La
guerra ha cambiato il suo volto e ci coinvolge tutti in ogni luogo del
mondo; vedere soffrire un mio simile colpisce anche me, indipendentemente da chi abbia sparato il primo colpo.
96
fotografie scelte tra 145 immagini documentano e testimoniano
dell'eccidio di Beslan, una pagina di orrore della storia
dell'umanità che ha tenuto il mondo col fiato sospeso per tre
giorni e on può essere in alcun modo cancellata. Il dolore che colpisce noi tutti finisce nelle parole del
poeta russo Evgenij Evtushenko, del quale riproduco una poesia ed un testo che descrivono perfettamente la tragedia. TG
La bomba dei terroristi islamici ceceni era piazzata nel canestro della palestra piena di bambini della scuola Numero 1 di Beslan
LA
SCUOLA DI BESLAN di Evgenij Evtushenko
Io
sono uno che non ha mai finito una scuola in vita sua
uno
che ha sempre pagato per le malefatte altrui
ma
ora vengo a te, Beslan,
per
imparare davanti alle rovine della scuola tua.
Beslan,
lo so, sono un cattivo padre io,
ma
davvero dovrò assistere
alla
fine di tutti i cinque figli miei
sopravvivendo
nella vecchiaia per castigo?
Lo
so, non sono in una città straniera
mentre
cerco il mio cuore tra i fiotti del dolore
inciso
goffamente col coltello
in
quell'ultimo banco bruciato della scuola.
Che
cosa farai mai in Russia tu, o poeta?
Paragonato
al tritolo, sei un moscerino.
E
non abbiamo oggi scusa alcuna
se
sulla terra tutto questo accade.
Come
ad un tratto lì a Beslam tutto si fonde ancora:
l'inafferrabilità,
il caos, l'orrore
l'imperizia
di saper salvare senza fare vittime
e
al tempo stesso tutte quelle storie di coraggio.
E
il passato, guardandoci, trema
e
il futuro, promessa innocente,
tra
i cespugli si sottrae al presente
che
gli spara alla schiena.
Ma
la mezza luna abbraccia la croce.
Tra
i banchi bruciati e tra i cespugli
come
fratelli vagano Maometto e Cristo
raccogliendo
dei bambini a pezzi.
Oh
Dio dai tanti nomi, abbracciaci tutti!
Che
davvero dovremo seppellire senza gloria
accanto
ai bambini di ogni credo
noi
stessi nel cimitero di Beslan?
Quando
andavano i convogli in Kazahstan,
stracolmi
di ceceni ammassati l'un sull'altro,
il
terrore futuro si stava generando là,
nel
liquido amniotico di quei nascituri.
Laggiù,
in quella prima culla sempre più cattivi,
si
stringevano loro, felici di nascondersi così,
eppur
sentivano attraverso il grembo della madre
il
calcio dei fucili sulle teste.
E
certo non pregavano Mosca
che
li confinava nella steppa, dove tutto è piatto e spoglio,
come
se per incanto sulla terra
Satana
avesse cancellato i monti antichi.
Ma
la lama ricurva della luna, lì
tra
le fessure dei tetti nelle case di terra
ricordava
loro il segreto dell'Islam
tra
gli slogan sovietici dell'inganno.
E
l'arroganza plebea di Eltsin,
e
la fanfaronata di Graciov su quella "guerra-lampo"
li
spinsero poi verso i primi attentati,
e
allora alla guerra non ci fu più scampo...
Le
kamikaze cecene portano esplosioni sul petto,
alla
vita, e al posto della collana al collo.
E
come sempre, tanti più morti si lasciano alle spalle
tanto
più basso è il prezzo della vita.
Com'è
cambiato il volto del firmamento,
la
tenebra a Beslan esplode solo per i tank,
e
ha sussultato al pensiero della fine
in
quella scuola e in quel campo di basket laggiù
la
mina innescata da Stalin.
Ma
a niente serve la vendetta.
Salvaci,
Dio dai molti nomi, dalla vendetta.
Finché
ci sono ancora bimbi vivi
non
ci dimentichiamo la parola "insieme".
Nessuno
di noi è eroe da solo,
ma
dinnanzi alla nuda verità tutti noi siamo nudi.
Io
sto insieme ai bambini bruciati.
Sono
anch'io uno di loro... Uno della scuola di Beslan...
Traduzione di Nadia Cicognini
L'istallazione sui tavoli di ferro progettati da Paolo Gallerani
Quest'operazione
culturale, vorrei evitare di chiamarla opera d'arte, in quanto a
mio giudizio, prendere fotografia, scultura, poesia ed
assemblare il tutto in un'istallazione è un po' diverso da creare
qualcosa partendo da materiale originale che sia soltanto frutto
della propria creatività. Tutto ciò è comunque molto interessante ed apre un
discorso molto controverso che spero di poter affrontare
nuovamente con Paolo Gallerani che invece sostiene quanto segue:
"La fotografia è un documento che si brucia con un impatto momentaneo sui giornali o nelle immagini che scorrono nei video o alla tv. Io fermo e recupero queste immagini e presento la fotografia come opera d'arte. Tutte le fotografie che ho utilizzato, realizzate da bravi reporter o meno, diventa arte e deve essere considerata come tale. Collocando la fotografia in questo spazio io creo una scultura che vive nel presente. Una delle funzioni di ciò che si chiama arte, o della pittura e della scultura, non è produrre estetismi gratuiti, ma partecipare alla vita degli uomini." P.G.
IL PERDONO E' IMPOSSIBILE di Evgenij Evtushenko
"La fotografia è un documento che si brucia con un impatto momentaneo sui giornali o nelle immagini che scorrono nei video o alla tv. Io fermo e recupero queste immagini e presento la fotografia come opera d'arte. Tutte le fotografie che ho utilizzato, realizzate da bravi reporter o meno, diventa arte e deve essere considerata come tale. Collocando la fotografia in questo spazio io creo una scultura che vive nel presente. Una delle funzioni di ciò che si chiama arte, o della pittura e della scultura, non è produrre estetismi gratuiti, ma partecipare alla vita degli uomini." P.G.
Paolo Gallerani ed alla sua sinistra Andrea Kerbaker
IL PERDONO E' IMPOSSIBILE di Evgenij Evtushenko
La
carneficina di parecchie centinaia di scolari innocenti a Beslan è
ingiustificabile e per i terroristi non c'è perdono. Ma non c'è
perdono neppure per noi se trenta e più terroristi hanno varcato il
confine e raggiunto indisturbati la scuola dove hanno alacremente
staccato le assi del pavimento sotto le quali fin dall'estate erano
lì in attesa gli ordigni premurosamente lasciati dagli operai
addetti alla ristrutturazione che poi sono stati appesi nella
palestra sopra le teste dei bambini.
Non
c'è perdono neppure per noi che non siamo stati in grado di salvarne
così tanti. Volevamo, ma non siamo stati in grado. Riconoscendo il
coraggio di coloro che hanno rischiato la propria vita, non dobbiamo
temere l'amara lezione che ancora non abbiamo imparato a salvare vite
umane al prezzo di minime perdite o senza nessuna. Non serve
innervosirsi quando le corrispondenze giornalistiche sono discordanti
e non sempre collimano coi dati ufficiali. Nessuna cronaca di nessuna
guerra si fonda solo su dati ufficiali. Altrimenti non si
raggiungerebbe mai una verità esaustiva.
Un
po' di storia: per capire ciò che è avvenuto a Beslan non si può
dimenticare l'annessione del Caucaso all'impero zarista e se il
presidente Eltsin avesse letto Chadzi Murat di Tolstoj è assai
improbabile che si sarebbe imbarcato in un conflitto coi ceceni. Temo
che abbia rimosso anche il Kazachstan come vendetta nei confronti di
alcuni ceceni che avevano combattuto dalla parte di Hitler. Di gran
lunga più numerosi furono i russi e gli ucraini che diventarono
collaborazionisti e tuttavia della loro colpa è stato investito un
intero popolo. Ma furono molti i ceceni che combatterono fianco a
fianco coi russi contro il fascismo e che furono decorati come Eroi
dell'Unione Sovietica e insigniti di ordini e medaglie.
Quella
profonda offesa inferta a un intero popolo che ha patito lunghi anni
di deportazione si riflesse sulla sua psicologia e nelle pieghe più
riposte del suo animo si rafforzò la speranza in un futuro
d'indipendenza dalla Russia. Quando il tentativo di Eltsin di
collocare il suo favorito al posto del presidente della Cecenia fallì
e venne eletto invece con la maggioranza dei voti il generale
sovietico Dudaev, il generale chiese senza indugio a Eltsin di essere
riconosciuto.
La
storia non tollera i se e i forse, ma non dimeno ritengo che se
avessero steso a Dudaev un tappeto rosso e l'avessero accolto con
l'orchestra e il picchetto d'onore, avessero aggiunto altre stellette
alle sue mostrine e gli avessero donato un destriero arabo, e se poi
Eltsin dopo aver bevuto forte con lui, al mattino avesse condiviso la
sauna e quindi secondo l'usanza caucasica avessero inciso le mani e
sfregato i tagli diventando kunak, fratelli di sangue, e nel Caucaso
questo è considerato un gesto sacro, non vi sarebbe stata alcuna
guerra. Ma lo scostante Dudaev, che si sentiva mortalmente offeso e
aveva inoltre avuto prove evidenti di come i russi stessero per
accordarsi coi rappresentanti di altre tejp (tribù) e anche con
l'avventuriero Ruslan Labazanov, si rivolse ai separatisti ortodossi.
Sapute
le intenzioni di Dudaev, il ministro della guerra Grachev convinse
Eltsin che avrebbe domato la Cecenia con una "guerra-lampo"
e gli promise che avrebbe preso Grozny addirittura nel giorno del suo
compleanno. Tuttavia, questo piano non ebbe alcun esito trionfale.
Ma
io, grazie al cielo, ho letto Chadzi Murat e conosco bene il Caucaso.
Nel
1993 in segno di protesta rifiutai di ricevere al Cremlino dalle mani
di Eltsin l'ordine dell'"Amicizia tra i popoli",
comprendendo che, se si fosse sviluppato un conflitto, esso sarebbe
stato lungo e sanguinoso.
Dudaev
fu ucciso in maniera del tutto assurda da un missile telecomandato,
il neoeletto Maschadov non riuscì a spuntarla sui comandanti in
campo ciascuno dei quali coltivava delle ambizioni personali e gli
accordi per ristabilire la pace risultarono precari.
Gli
atti terroristici in tutto il pianeta si sono trasformati in un
ricorrente incubo quotidiano e la Russia non è sfuggita alla stessa
sorte. Essere in grado di difendersi è indispensabile, ma un
terrorismo al contrario non porterebbe a nulla di buono. Non esistono
guerre non crudeli, ma il bilaterale inasprimento della crudeltà
significa l'autodistruzione bilaterale. Prendiamo solo gli ultimi
avvenimenti: l'attentato alla metropolitana di Mosca, ai due aerei e
infine la cattura senza precedenti di ostaggi-bambini all'interno
della scuola di Beslan...
Non
ho nessuna ricetta su quale soluzione si debba adottare in una
situazione che pare essere senza vie d'uscita. Ma non ci sono guerre
senza soluzione. Ritengo che l'unica via d'uscita tra tutte quelle in
apparenza insolubili e inestricabili dai nodi della politica non stia
affatto in un approccio di tipo politico, bensì semplicemente in uno
umano.
Per
comprendere quale possa essere tale approccio mi sono seduto a un
banco bruciato della scuola di Beslan...
Immagini che non vorremmo mai vedere.
Al cospetto di tanta crudeltà, mi sembra fuori luogo parlare d'arte, pertanto, anche se avrei molte cose da dire che oltretutto rischierebbero di farmi emulare qualche critico (cosa che mi sono sempre ripromesso di evitare) o di apparire un po' troppo polemico. Specialmente per l'utilizzo scriteriato del lavoro altrui da parte di chi è convinto di trasformare l'attualità (ormai storicizzata) in arte, preferisco tacere e passare oltre. Fermo restando che in futuro affronterò questo discorso in modo più rigoroso. TG
Andrò a vederla, raccontata così sembra un assemblaggio, ma Gallerani dicendo: "Una delle funzioni di ciò che si chiama arte, o della pittura e della scultura, non è produrre estetismi gratuiti, ma partecipare alla vita degli uomini." ricontestualizza il tutto, dicendo l'unica verità evocando l'unico valore dell'arte, quello di partecipare alla vita degli uomini, alla loro memoria collettiva sociale, culturale e storica, il resto sono solo inutile estetismi, appunto, anche se è quello che ci vogliono fare credere, che la forma sia più importante dei contenuti.
RispondiEliminaIo trovo preoccupante che la nostra società sia diventata incapace di produrre qualcosa di bello.
RispondiEliminaQuasi esattamente quaranta anni fa ('77) fui invitato a intervenire con un'opera d'arte in uno qualsiasi degli spazi pubblici disponibili a Ferrara (la manifestazione si chiamava Evento '77).
RispondiEliminaScelsi il Manicomio (la legge Basaglia li aveva appena “aperti”) e all'interno di esso il reparto degli “irrecuperabili”, il B. Per 15 giorni mi sono chiuso lì dentro, perché pensavo che il contatto diretto e quotidiano con l'orrore della mente umana, della mente di malcapitate vittime innocenti della società avrebbe potuto insegnare alle mie velleità artistiche un'etica che ritenevo parte integrante e irrinunciabile dell'estetica. Se racconto tutto questo non è per il fatto che quell'insegnamento non mi sia stato impartito radicalmente, non è per rievocare, sia pur di sfuggita come sto facendo oggi, profonde ferite che ancora vivificano il mio lavoro, ferite che il chiusomente insondabile e purtroppo irreversibile, quello che oso definire una scelta precisa e la fuga per eccellenza, ha inferto per sempre al mio foro interiore, quanto per riferire un episodio successivo: alcuni intellettuali locali, prendendo a pretesto il prodotto del mio intervento, mi davano dello speculatore della miseria altrui. Ho ricordato (solo a me stesso, degli accusatori non mi importava niente) che Caravaggio si alzò la mattina presto per essere in prima fila ad assistere all'esecuzione della famiglia Cenci, per guardare bene il modo in cui usciva il sangue dalla gola di Beatrice, nel momento in cui il coltellaccio del boia incideva la carotide della “soave fanciulla”. L'artista deve stare in prima fila, rischiare magari per questo, sporcarsi, perché la con-passione gli richiede una testimonianza esatta (e nell'esattezza, aggiungo, ci deve essere il rischio di bruciarsi oltre che l'equilibrio del proprio distacco). Lo ricordo sempre, l'arte è liberazione, l'unica forma di liberazione possibile.
Gallerani fa un'operazione di memoria, come Caravaggio dipigendo l'assassinio di Oloferne, ma come? Con un assemblaggio di fotografie che altri hanno scattato: per quanto ben inquadrate e incorniciate, non evitano che la presentazione soffochi l'opera. C'è da meditare sulla inadeguatezza del mezzo a rendere la tragicità di un evento e se posso permettermi di fare una critica, dai tempi di Caravaggio sono passati quattro secoli: non basta il verismo documentativo. Federico De Leonardis