Il mio bisogno di realtà si manifesta attraverso la ricerca di storie e testimonianze che sappiano raccontare e descrivere le idee e le azioni di persone che hanno vissuto esperienze e situazioni che possano avere un valore umano e un interesse culturale anche per gli altri individui. Non c'è bisogno di andare chissà dove per scoprire che ognuno di noi ha qualcosa da dire, da trasmettere e da insegnare, basta guardarsi intorno o rivolgersi ad un passato, anche recente, e ci potremo accorgere di come certe informazioni cadano nel nulla se non vengono prontamente registrate.
Bastano pochi anni e si fatica a distinguere a memoria se ciò che si è vissuto fa parte della realtà, della fantasia o della confusione provocata dal velo dell'inevitabile oblio che progressivamente avvolge ogni ricordo.
Io stesso mi rendo conto che anche la mia memoria non è così perfetta da saper sempre distinguere in quale mondo, universo, o realtà mi trovavo quando sono entrato in contatto con qualcuno in particolare. La dimensione onirica per me è estremamente concreta e intensa, per questo ascolto sempre con molta attenzione chi mi parla, fino ad entrare quasi in simbiosi con lui per alcuni giorni e poi cerco altre persone con cui confrontare le informazioni che ho ricevuto, in modo da capire un po' più precisamente su che piano mi trovo.
Giuliano Piol è nato il 27 novembre 1928 ed ha visto molte cose in 90 anni, io l'ho conosciuto per ragioni di lavoro intorno al 1986; poi dal 1988 l'ho perso di vista e l'ho ritrovato solo recentemente per farmi raccontare della sua vita professionale in Rai. Sono emersi diversi fatti interessanti che riescono a descrivere perfettamente quella che secondo me è stata l'età d'oro della televisione e ci illustrano uno spaccato di una società che aveva voglia di costruire un futuro migliore su solide basi fatte di valori etici, entusiasmo, sapere e lavoro. Molti programmi televisivi degli anni '50 e '60 avevano finalità educative e se gli italiani hanno iniziato a capirsi meglio a livello linguistico il merito è stato soprattutto della Rai che in quell'epoca faceva molta attenzione ad assumere ed ingaggiare giornalisti, attori, presentatori e annunciatori che sapessero parlare correttamente l'italiano e non avessero inflessioni dialettali di nessun tipo.
Prima della guerra le popolazioni presenti sul territorio nazionale, i costumi regionali, le tradizioni, i dialetti, i diversi saperi difficilmente si mischiavano tra loro; nel dopoguerra nacque l'esigenza di unificare maggiormente il paese e renderlo più coeso, almeno a livello culturale. Per questo la televisione e la radio tentavano d'istruire gli italiani proponendo prosa teatrale, sceneggiati tratti dalla letteratura internazionale, musica colta, musica leggera, balletti, informazione di approfondimento, documentari e quiz o programmi di svago che non vertessero soltanto su argomenti frivoli o legati all'ambiente calcistico. A "Lascia o raddoppia?" si ponevano domande di cultura generale, di storia, di musicologia alla cui formulazione contribuì anche Umberto Eco.
Gli autori, i registi e gli attori, ma anche gli ingegneri ed i tecnici impegnati nelle trasmissioni della Rai erano quanto di meglio la società sapeva esprimere a livello intellettuale e professionale.
È normale che molti di questi ricordi si affievoliscano anche perché poco alla volta i diretti testimoni dell'epoca pionieristica della tv sono scomparsi e non esiste nessuno che si sia preoccupato di registrare con un po' di cura i nomi o i fatti di quello che accadeva dietro le quinte. Ultimamente, ho visionato dei DVD realizzati dai colleghi di Roma dove sono state raccolte delle interviste a chi ha lavorato in tv, si tratta di maestranze, tecnici, giornalisti e dirigenti che raccontano un po' ciò che vogliono senza un vero filo conduttore. Milano che ha visto nascere la televisione ed ha vissuto più di ogni altra sede lo splendore di quell'epoca, non ha saputo porre molta attenzione alla sua storia, né valorizzarla. Per spiegare meglio questo concetto basterebbe dire che invece entrando nella sede Rai di via Verdi, a Torino, sembra di entrare in un museo che ha mantenuto in tutto e per tutto il suo aspetto esteriore allo stato di conservazione degli anni '50. I muri sono puliti, le porte intonse, tutto è autentico e originale al punto che fino ad una decina d'anni fa alcune telecamere con le torrette degli obiettivi ancora montate e altre attrezzature antiche facevano bella mostra di sé all'ingresso, poi sono state spostate in fondo ad un corridoio vicino agli ascensori.
Per i 60 anni della sua storia, nel 2014, nei corridoi della Rai di Milano sono stati appesi dei grandi pannelli che riportano vecchie immagini delle trasmissioni effettuate negli studi della Fiera e di corso Sempione, ma le fotografie sono state riprodotte frettolosamente in malo modo con il risultato che appaiono poco godibili perché sono pixelate. Altre vecchie fotografie originali sono andate perdute o sono scomparse (Piol mi ha detto che nel corridoio che portava allo studio TV3 c'erano molte fotografie originali, ma io non le ho mai viste), qualcosa è presente nelle teche, ma ho paura di andare a visionare che cosa ci sia effettivamente in archivio perché, nonostante in quegli anni in Rai fossero stati assunti dei fotografi professionisti con il compito di documentare tutto, dalle scenografie ai backstage dei programmi, non capita di veder girare facilmente quelle fotografie. Molte erano scattate appositamente per essere pubblicare su il Radiocorriere Tv ed è lì che adesso sono visionabili in forma digitale.
Raccontare la vita di chi conosciamo o gli eventi che abbiamo vissuto parzialmente non è più semplice rispetto a descrivere chi non abbiamo mai incontrato o visto prima; si fa tutto il possibile per scavare tra gli anfratti del tempo, ma inevitabilmente si presentano delle sorprese e qualche conto non torna. Solo con l'aiuto di altri testimoni possiamo incrociare le informazioni e verificare che tutto coincida davvero per riportare alla luce quello che è rimasto nascosto nei nostri pensieri e tra le pieghe dei tanti giorni trascorsi.
Giuliano Piol ha ricordato con precisione molti fatti e fortunatamente ha conservato anche qualche ricordo fotografico del suo passato, ma in alcuni casi è stato difficoltoso risalire ai nomi precisi di alcune persone o persino della nave su cui si era imbarcato nel 1956. Nonostante avesse conservato la carta d'imbarco non si riusciva a distinguere il nome del cargo che poi con altre ricerche abbiamo finalmente recuperato.
Giuliano Piol è una persona molto gentile e disponibile con tutti, ma questo non fa di lui una persona priva di personalità, tutt'altro. Giuliano ha saputo fare delle scelte che lo hanno portato a seguire i suoi interessi e a sviluppare le sue attitudini nell'ambito della precisione con cui si possono eseguire alcuni gesti in successione, ma anche nell'ambito della creatività, del saper vivere e lavorare in gruppo con altre persone perché alcune attività non possono prescindere dall'accordo con gli altri elementi umani della produzione, nell'intesa e nell'interesse reciproco, per arrivare a conseguire il risultato migliore.
Certamente, di ogni storia la fase più interessante e entusiasmante è quella iniziale, in cui c'è tutto da scoprire e da imparare: la televisione, negli anni '50 era ancora un'attività per pochi che ha saputo in breve tempo raggiungere la sua età dell'oro, sia per i contenuti che per la diffusione e il gradimento tra il pubblico. Coloro che hanno lavorato in Rai negli anni pionieristici o del monopolio televisivo hanno avuto la fortuna di conoscere il meglio che questo mezzo di comunicazione di massa poteva dare all'educazione del pubblico e all'arricchimento culturale di chi era coinvolto nel processo ideativo e produttivo. In quegli anni, oltre che a un mezzo tecnico nasceva anche un linguaggio che, pur ispirandosi a quello cinematografico, ha saputo dire e mostrare qualcosa di nuovo facendo entusiasmare e divertire milioni di persone.
La tv non ha mai pensato di raccogliere dettagliatamente la sua storia come invece ha fatto il cinema; all'inizio molto materiale, se non veniva vidigrafato, andava perduto e poi anche i supporti magnetici o elettronici si sono dimostrati abbastanza deteriorabili e difficilmente restaurabili rispetto alla pellicola, in più i formati utilizzati iniziano ad essere tanti e non sempre compatibili tra loro.
Mi sembra importante dar voce a chi non l'ha avuta fino ad ora e raccogliere i ricordi di chi è stato direttamente coinvolto nel processo produttivo per capire in che modo ha vissuto l'esperienza televisiva e cosa sia rimasto nella sua mente. TG
Giuliano Piol a Viareggio nel 1960 con una delle tre telecamere Dumont donate dagli americani negli anni '50 perché erano in pessime condizioni. L'Ing. Bufano che all'epoca era il Direttore del Centro Ricerche della Rai di Torino si occupò di rifare i circuiti elettronici e rendere le telecamere nuovamente utilizzabili.
Tony Graffio: Ciao Giuliano, ti ricordi di me?
Giuliano Piol: Mi devi scusare, ma ho passato i 90 anni e la mia memoria se ne sta andando velocemente...
TG: Ci conosciamo da molto tempo e qualche volta abbiamo lavorato insieme, poi tu sei andato in pensione nel 1988; è giusto?
Piol: Sì è vero. Sei stato mio allievo anche alla CTC?
TG: Alla CTC il mio insegnate di ripresa televisiva è stato Attilio Melloncelli.
Piol: Ah ecco, io sono venuto alla CTC dopo Melloncelli. Credo che anche Pino Clemente e Alfredo Costa abbiano insegnato alla CTC.
TG: Pino Clemente, detto il Cobra per il suo carattere un po' pungente nei confronti dei registi e degli scenografi, l'ho conosciuto in Rai. Costa invece insegnava ad allineare le telecamere ai tecnici della Scuola del Cinema in viale Legioni Romane. C'era anche Giancarlo Brandolini che allora era il dirigente del reparto sviluppo e stampa della Rai di Milano che insegnava sensitometria. L'ingegner Franco Visintin, ci ha insegnato il segnale video ed altre cose; negli anni '80 erano presenti anche Braghiroli e altri dipendenti Rai. Adesso però parliamo di te, di dove sei nato e di che cosa hai studiato.
Giuliano Piol nel 1929 su un mucchio di fieno a Verteneglio d'Istria.
Piol: Io vengo da un paese agricolo dell'Istria che si chiama: Verteneglio. L'Istria ha subito una forte emigrazione; dopo la guerra se ne sono andate 350'000 persone. Tra coloro che sono scappati quando Tito era appoggiato dalla Russia c'ero anch'io. Avevo 17 anni.
TG: Sei stato sfollato? Dove sei andato quando hai lasciato casa tua?
Piol: A Trieste. Sono andato dai miei zii nel novembre del '45. Lì ho studiato ad una scuola di Radio-telegrafia che adesso non esiste più perché il Morse non si usa più. Al termine della scuola ho sostenuto gli esami scritti a Venezia e gli orali a Roma e ho ottenuto il brevetto internazionale di prima classe per le radio-comunicazioni sulle navi mercantili. Poiché la Marina Mercantile in quegli anni in Italia non era ancora in buone condizioni, mi sono arruolato nella polizia-civile del Territorio Libero di Trieste.
Motovededetta della polizia civile italiana che riporta la scritta in inglese "Police", primi anni 1950. Giuliano Piol ha prestato servizio nel Golfo di Trieste dal 1953 al 1956. Sullo sfondo si vede il Faro della Vittoria.
TG: Il famoso TLT.
Piol: Sì, il TLT. Allora eravamo sotto il comando degli inglesi e degli americani; noi della polizia civile eravamo agli ordini degli inglesi. Sono stato in servizio per tre anni (1950-1953), poi è arrivata l'Italia.
TG: Eravate pagati in Am-Lire in quegli anni?
Piol: Sì, esatto.
Giuliano Piol è il primo ragazzo seduto a sinistra che ha in mano il mezzo marinaio, gli altri uomini sono i componenti degli equipaggi delle motovedette, 1954 circa. Il comandante della sua motovedetta era Lucio Pellegrini, il motorista era Gino Casula, il conducente era Pozzetto.
Le motovedette della polizia civile italiana nel porto di Trieste. Nel 1954 la scritta "Police" è stata tradotta in lingua italiana.
TG: Ricordi quegli anni come un bel periodo della tua vita?
Piol: Sì. Sono stato tre anni a Draga Sant'Elia (1950-53), sul confine con la Jugoslavia, come radio-telegrafista e poi ho fatto altri tre anni sulle motovedette del porto di Trieste (1953-1956). Avevamo il compito di perlustrare tutta la zona da Muggia a Duino. Poi ho dato le dimissioni per imbarcarmi sulla Spuma una nave categoria Liberty del Lloyd Triestino e sono arrivato fino in Birmania passando da India e Pakistan. Abbiamo riempito la nave di riso e lo abbiamo scaricate a Fiume.
TG: Quando facevate scalo scendevate a terra e visitavate le città?
Piol: Sì, ho visto anche Rangoon che era una città molto bella. Quando si arrivava in porto era necessario sospendere le comunicazioni radio. Le comunicazioni con l'armatore dovevano essere fatte via telegrafo, così il nostro compito arrivati in un porto cessava. Al ritorno abbiamo avuto un mare molto agitato, ricordo la prua della nave che si infilava dentro le onde; prima di arrivare a Bombay abbiamo incontrato la coda di un monsone molto forte e per dormire ho dovuto mettere un salvagente sotto il materasso in modo da restare incuneato tra la paratia e il materasso senza essere sballottato da una parte all'altra. La nave s'è inclinata fino a 42°.
Piol: No, è normale...
TG: Fino a quanti gradi si poteva inclinare la nave senza rischiare il naufragio?
Piol: Ah, non lo so.
TG: Per quello non ti sei spaventato...
Piol: Può darsi...
TG: Quanto tempo è durato il viaggio?
Piol: Sei mesi. Al ritorno sono sbarcato a Genova, dopo aver toccato anche Napoli per motivi che non ricordo. La nave poi ha proseguito il suo viaggio senza di me.
TG: Ti hanno sostituito?
Piol: Io ero ancora allievo e per 6 mesi dovevo coadiuvare il marconista che era alla stazione radio; era una forma di apprendistato per diventare titolare. Per questo non vestivo la divisa da ufficiale, come faceva il mio collega che si era diplomato alla stessa scuola che avevo frequentato io. Lui si era imbarcato prima di me e stava con gli ufficiali, io invece ero parte della ciurma ed avevo un trattamento diverso. Conclusi i miei sei mesi di apprendistato sbarcai a Genova e prima di tornare a Trieste, dove abitavo, decisi di passare da Milano per salutare il mio amico Adone Nardi che lavorava alla Rai. Mi fermai a Milano, andai a cercare Adone in Corso Sempione dove ci sono gli studi televisivi e fortunatamente lo trovai in pausa, così riuscimmo a parlare tranquillamente per un po'. Dopo i convenevoli, mi disse che era stata aperta una selezione per cameraman e mi chiese se la cosa poteva interessarmi. Risposi di sì perché l'idea di navigare per tutta la vita non mi allettava particolarmente. Se uno si imbarca su una nave è sempre in giro per il mondo. Mentre ero insieme al mio amico passò davanti a noi l'ingegner Liverani che era a capo della struttura a cui facevano riferimento anche i cameramen; Adone lo informò che io avevo intenzione di partecipare alla selezione, così l'ingegnere mi disse di passare da lui nel suo ufficio al mattino seguente. Alla sera restai a dormire dal mio amico e il giorno dopo mi presentai nell'ufficio dell'ingegner Liverani che mi chiese di parlargli delle valvole. Era una sorta di pre-selezione, evidentemente l'ingegnere voleva capire qual'era il mio livello di preparazione. Iniziai subito a tracciare dei grafici. In quinta elementare facevo già esperimenti con l'elettricità, roba da quinta elementare, si capisce, però l'argomento mi interessava. Avevo un libro del Montù del 1924.
Piol: Successivamente, ho avuto un libro del 1938 dove veniva presentata una tecnologia più avanzata. Mentre il primo libro parlava solo dei triodi; il secondo era già molto più avanti nella tecnologia delle valvole. Iniziai a parlare delle valvole, ma l'ingegnere mi interruppe poco dopo perché aveva capito che conoscevo bene l'argomento.
TG: I primi rudimenti di elettronica li hai studiati a Verteneglio?
Piol: Sì.
TG: Nardi che scuola aveva frequentato?
Piol: Nardi aveva frequentato l'Istituto Tecnico Alessandro Volta a Trieste e si era diplomato in radiotecnica, oltre ad aver studiato alle magistrali.
TG: E tu?
Piol: Io mi ero diplomato presso una scuola privata di radio-telegrafia condotta da un bravissimo professore: Pietro Crescia. In seguito mi sono accorto che la teoria di radiotecnica che noi avevamo studiato in quella scuola era al livello di quella studiata negli istituti tecnici. Ho conseguito così il certificato di prima classe per radiotelegrafia con l'abilitazione al servizio sulle navi mercantili di qualsiasi stazza per crociere oceaniche. A Trieste ricevetti offerte di lavoro per imbarcarmi con varie navi ed io non sapevo come cavarmela per rifiutarli perché mi stuzzicava molto l'idea di poter lavorare con la Rai a Milano.
Ho dovuto rifiutare gli imbarchi nella speranza d'essere chiamato per sostenere la selezione di cameraman e difatti, dopo pochi mesi, sono stato convocato. Mi chiesero della mia formazione e delle mie precedenti esperienze lavorative, poi ad una domanda a cui non seppi rispondere sul Museo del Prado di Madrid me la cavai dicendo che se passo davanti ad una mostra d'arte, immancabilmente io entro per visitarla.
TG: Hai saputo dimostrare d'avere comunque un interesse per l'arte, anche se non eri a conoscenza di quello che volevano sapere da te sul Prado.
Piol: Sì. Tornato a Trieste ero ancora incerto sul da farsi perché non avevo ricevuto nessuna risposta sull'esito dei miei esami in Rai. Conoscevo un elettricista che veniva dal mio paese e così riuscii ad entrare a lavorare in una ditta di impianti elettrici.
TG: Lì cosa ti hanno fatto fare?
Piol: Mi mandarono a riparare una gru. Proprio a me che non ero mai entrato prima in un cantiere. Mi diedero le chiavi, perché non c'era lì nessuno e mi dissero di sistemare la gru. Osservai l'impianto della gru e scoprii che c'era un fine corsa elettromagnetico che non funzionava. Staccai quel fine corsa, perché si vede che avevo con me qualche attrezzo e lo portai in officina per farlo riparare. Lì terminò la mia esperienza lavorativa con la ditta di impianti elettrici e mi misi a riparare apparecchi radio perché io avevo anche quella passione e li costruivo da solo. Finalmente poi venni chiamato per lavorare in Rai; era l'aprile del 1957. Gli istituti tecnici di radiotecnica non erano molti in Italia: uno era a Trieste, uno era a Vicenza, uno a Torino, uno a Milano; qualcosa c'era anche a Bologna e Ancona, oltre che a Roma e Napoli.
TG: In Rai sei stato formato in qualche modo per il lavoro che dovevi svolgere?
Piol: No. Il primo giorno mi hanno fatto entrare in uno studio per farmi vedere come funzionava e cosa succedeva in una produzione. Dopo di che ho iniziato a riprendere le annunciatrici perché tutto andava in onda in diretta. L'annunciatrice leggeva il testo da dietro un leggio e bastava che io la tenessi a fuoco nei piccoli spostamenti che poteva fare mentre la inquadravo in primo piano.
TG: Un capo operatore ti avrà spiegato quello che dovevi fare...
Piol: Sì, ma si trattava di un compito semplice. Ricordo che l'annunciatrice era la Marisa Borroni.
TG: Quando facevate scalo scendevate a terra e visitavate le città?
Piol: Sì, ho visto anche Rangoon che era una città molto bella. Quando si arrivava in porto era necessario sospendere le comunicazioni radio. Le comunicazioni con l'armatore dovevano essere fatte via telegrafo, così il nostro compito arrivati in un porto cessava. Al ritorno abbiamo avuto un mare molto agitato, ricordo la prua della nave che si infilava dentro le onde; prima di arrivare a Bombay abbiamo incontrato la coda di un monsone molto forte e per dormire ho dovuto mettere un salvagente sotto il materasso in modo da restare incuneato tra la paratia e il materasso senza essere sballottato da una parte all'altra. La nave s'è inclinata fino a 42°.
La Spuma era la classica nave da cargo della categoria Liberty, una delle 95 cedute al governo italiano nel 1947 a prezzo politico, sulla quale Giuliano Piol ha prestato servizio in qualità di aiuto-marconista. La Spuma nel 1947 era stata chiamata Stella e prima ancora Cornelius Vanderbilt; aveva una stazza lorda di 7170 tonnellate e una velocità massima di 12 nodi. È stata demolita a Trieste nel 1967.
TG: Ti sei spaventato?Piol: No, è normale...
TG: Fino a quanti gradi si poteva inclinare la nave senza rischiare il naufragio?
Piol: Ah, non lo so.
TG: Per quello non ti sei spaventato...
Piol: Può darsi...
TG: Quanto tempo è durato il viaggio?
Piol: Sei mesi. Al ritorno sono sbarcato a Genova, dopo aver toccato anche Napoli per motivi che non ricordo. La nave poi ha proseguito il suo viaggio senza di me.
Giuliano Piol alla radio di una motovedetta della polizia civile (1953-1956).
TG: Ti hanno sostituito?
Piol: Io ero ancora allievo e per 6 mesi dovevo coadiuvare il marconista che era alla stazione radio; era una forma di apprendistato per diventare titolare. Per questo non vestivo la divisa da ufficiale, come faceva il mio collega che si era diplomato alla stessa scuola che avevo frequentato io. Lui si era imbarcato prima di me e stava con gli ufficiali, io invece ero parte della ciurma ed avevo un trattamento diverso. Conclusi i miei sei mesi di apprendistato sbarcai a Genova e prima di tornare a Trieste, dove abitavo, decisi di passare da Milano per salutare il mio amico Adone Nardi che lavorava alla Rai. Mi fermai a Milano, andai a cercare Adone in Corso Sempione dove ci sono gli studi televisivi e fortunatamente lo trovai in pausa, così riuscimmo a parlare tranquillamente per un po'. Dopo i convenevoli, mi disse che era stata aperta una selezione per cameraman e mi chiese se la cosa poteva interessarmi. Risposi di sì perché l'idea di navigare per tutta la vita non mi allettava particolarmente. Se uno si imbarca su una nave è sempre in giro per il mondo. Mentre ero insieme al mio amico passò davanti a noi l'ingegner Liverani che era a capo della struttura a cui facevano riferimento anche i cameramen; Adone lo informò che io avevo intenzione di partecipare alla selezione, così l'ingegnere mi disse di passare da lui nel suo ufficio al mattino seguente. Alla sera restai a dormire dal mio amico e il giorno dopo mi presentai nell'ufficio dell'ingegner Liverani che mi chiese di parlargli delle valvole. Era una sorta di pre-selezione, evidentemente l'ingegnere voleva capire qual'era il mio livello di preparazione. Iniziai subito a tracciare dei grafici. In quinta elementare facevo già esperimenti con l'elettricità, roba da quinta elementare, si capisce, però l'argomento mi interessava. Avevo un libro del Montù del 1924.
Il libro di Ernesto Mantù è stato il primo libro sul quale ha studiato Giuliano Piol da ragazzino.
Piol: Successivamente, ho avuto un libro del 1938 dove veniva presentata una tecnologia più avanzata. Mentre il primo libro parlava solo dei triodi; il secondo era già molto più avanti nella tecnologia delle valvole. Iniziai a parlare delle valvole, ma l'ingegnere mi interruppe poco dopo perché aveva capito che conoscevo bene l'argomento.
TG: I primi rudimenti di elettronica li hai studiati a Verteneglio?
Piol: Sì.
TG: Nardi che scuola aveva frequentato?
Piol: Nardi aveva frequentato l'Istituto Tecnico Alessandro Volta a Trieste e si era diplomato in radiotecnica, oltre ad aver studiato alle magistrali.
TG: E tu?
Piol: Io mi ero diplomato presso una scuola privata di radio-telegrafia condotta da un bravissimo professore: Pietro Crescia. In seguito mi sono accorto che la teoria di radiotecnica che noi avevamo studiato in quella scuola era al livello di quella studiata negli istituti tecnici. Ho conseguito così il certificato di prima classe per radiotelegrafia con l'abilitazione al servizio sulle navi mercantili di qualsiasi stazza per crociere oceaniche. A Trieste ricevetti offerte di lavoro per imbarcarmi con varie navi ed io non sapevo come cavarmela per rifiutarli perché mi stuzzicava molto l'idea di poter lavorare con la Rai a Milano.
Ho dovuto rifiutare gli imbarchi nella speranza d'essere chiamato per sostenere la selezione di cameraman e difatti, dopo pochi mesi, sono stato convocato. Mi chiesero della mia formazione e delle mie precedenti esperienze lavorative, poi ad una domanda a cui non seppi rispondere sul Museo del Prado di Madrid me la cavai dicendo che se passo davanti ad una mostra d'arte, immancabilmente io entro per visitarla.
TG: Hai saputo dimostrare d'avere comunque un interesse per l'arte, anche se non eri a conoscenza di quello che volevano sapere da te sul Prado.
Il Carnevale di Viareggio del 1960 è stato ripreso dall'esterna della Rai sulla quale lavorava Giuliano Piol.
Piol: Sì. Tornato a Trieste ero ancora incerto sul da farsi perché non avevo ricevuto nessuna risposta sull'esito dei miei esami in Rai. Conoscevo un elettricista che veniva dal mio paese e così riuscii ad entrare a lavorare in una ditta di impianti elettrici.
TG: Lì cosa ti hanno fatto fare?
Piol: Mi mandarono a riparare una gru. Proprio a me che non ero mai entrato prima in un cantiere. Mi diedero le chiavi, perché non c'era lì nessuno e mi dissero di sistemare la gru. Osservai l'impianto della gru e scoprii che c'era un fine corsa elettromagnetico che non funzionava. Staccai quel fine corsa, perché si vede che avevo con me qualche attrezzo e lo portai in officina per farlo riparare. Lì terminò la mia esperienza lavorativa con la ditta di impianti elettrici e mi misi a riparare apparecchi radio perché io avevo anche quella passione e li costruivo da solo. Finalmente poi venni chiamato per lavorare in Rai; era l'aprile del 1957. Gli istituti tecnici di radiotecnica non erano molti in Italia: uno era a Trieste, uno era a Vicenza, uno a Torino, uno a Milano; qualcosa c'era anche a Bologna e Ancona, oltre che a Roma e Napoli.
TG: In Rai sei stato formato in qualche modo per il lavoro che dovevi svolgere?
Piol: No. Il primo giorno mi hanno fatto entrare in uno studio per farmi vedere come funzionava e cosa succedeva in una produzione. Dopo di che ho iniziato a riprendere le annunciatrici perché tutto andava in onda in diretta. L'annunciatrice leggeva il testo da dietro un leggio e bastava che io la tenessi a fuoco nei piccoli spostamenti che poteva fare mentre la inquadravo in primo piano.
TG: Un capo operatore ti avrà spiegato quello che dovevi fare...
Piol: Sì, ma si trattava di un compito semplice. Ricordo che l'annunciatrice era la Marisa Borroni.
Marisa Borroni è stata una delle prime annunciatrici della Rai
Piol: Una tra le prime trasmissioni a cui ho partecipato è stata: "Lezioni di inglese". Dopo, mi mandarono a lavorare sulle squadre esterne di ripresa, ricordo che facemmo una trasmissione intitolata: "Gli scoiattoli di Cortina d'Ampezzo in cordata". Era l'agosto del 1958.
TG: Che altre trasmissioni facevate sulle esterne?
Piol: Beh, il calcio. Lo seguivamo con 3 telecamere, una in totale al centro del campo, le altre più strette seguivano il gioco e stavano sulle porte quando si avvicinavano i giocatori. Non si usavano ancora gli zoom.
TG: Era bello?
Piol: Eh sì, era bello; poi si andava fuori. All'Arena, per esempio, o al velodromo Vigorelli per riprendere le gare ciclistiche su pista. Ovunque ci fossero degli eventi sportivi noi andavamo lì con tutta l'attrezzatura per riprenderli e mandarli in onda. Dopo sono tornato negli studi. Mi assegnarono al TV3 che era un grande teatro di posa (il più grande d'Europa all'epoca ndTG), sono stato lì per 10 anni, per tutti gli anni '60. Lì abbiamo fatto: "Il mulino sul Po" (1963); "I promessi sposi" (1966); "La freccia nera" (1968); "La Coscienza di Zeno" (1965) e tutti i grandi sceneggiati di prosa. Lavoravamo con registi come Anton Giulio Majano e Sandro Bolchi. Era bellissimo, solo che allora si andava in diretta perché non c'era la possibilità di fare il montaggio; l'Ampex è venuto dopo. Andare in diretta con una commedia in cui gli stacchi si susseguono ad una certa velocità l'uno dall'altro non è facile. Sul pavimento c'erano dei riferimenti per le posizioni delle telecamere e degli attori che sembravano una carta geografica di segni. Oltre che posizionare le telecamere dovevano cambiare anche l'obiettivo sulla torretta girevole perché gli zoom non c'erano ancora. Era un lavoro difficile.
TG: Ogni tanto capitava di sbagliare?
Piol: A volte capitava che una telecamera non fosse pronta, per fare un primo piano per esempio, e allora in regia staccavano su un'altra che magari era in mezzo primo piano, in figura intera o più larga. Tutto poteva succedere ed era la regia che doveva pensare a sistemare le cose. Andare in diretta era molto impegnativo, ma dava grande soddisfazione.
TG: Chi era il tuo primo cameraman al TV3?
Piol: Antonio Garampi. Poi c'era Pino Clemente che era già lì e io. Lì abbiamo lavorato alle produzioni più importanti della Rai.
TG: Roma non produceva ancora?
Piol: Roma era niente al nostro confronto. Si può dire che la televisione italiana è nata a Milano. La trasmissione che ha decretato il successo della tv è stata: "Lascia o raddoppia?", con Mike Bongiorno. Ricordo che la sera che siamo sbarcati a Napoli, dal ritorno dalla Birmania nel 1956, siamo andati al cinema e a metà proiezione si chiude il sipario e sistemano un televisore davanti per permettere agli spettatori di vedere: "Lascia o raddoppia?". Hai capito?
TG: Facevano così perché temevano che altrimenti la gente non sarebbe andata al cinema per guardare la televisione...
Piol: Può darsi.
TG: Non hanno usato un teleproiettore?
Piol: No, era un televisore grande, il più grande che ci potesse essere e la gente si avvicinava per vedere meglio, tutti si divertivano così.
TG: È una cosa che ti ha sorpreso?
Piol: Sì; non me l'aspettavo di vedere la televisione al cinema.
TG: A Trieste vedevate la tv?
Piol: Sì.
TG: Arrivava anche là e vedevate anche là "Lascia o raddoppia?"?
Piol: Sì.
TG: All'inizio il segnale televisivo non arrivava in tutta Italia, vero?
Piol: Eh no, non tutto il territorio era coperto dal segnale televisivo, mancavano i trasmettitori.
TG: Al Sud e nelle isole la tv è arrivata dopo.
Piol: So che c'erano dei problemi che pian pianino sono stati risolti.
TG: Che attori c'erano nella "Freccia nera"?
Piol: C'era una Loretta Goggi molto giovane, avrà avuto 16 anni e Majano si lamentava perché questa ragazza non riusciva ad esprimere la femminilità e la sensualità che richiedeva la sua parte. Era un'attrice bravissima, ma effettivamente era troppo giovane per interpretare Joan Sedley.
TG: Ti sei occupato solo delle riprese interne de: "I promessi sposi"?
Piol: Sì. Le riprese esterne le ha fatte il reparto cinematografico che adesso non esiste più perché non si usa più la pellicola.
TG: Mario Pellegrini lo conosci bene?
Piol: Sì, ho parlato con lui anche poco tempo fa e mi ha chiesto d'incontrarci. Ci sentiremo... In passato ho lavorato anche con lui. Ho sentito anche Silvano Maletti, tempo fa.
TG: Tra tutti i lavori televisivi che hai ripreso, quale ti è piaciuto di più?
Piol: Erano tutti interessanti. Soprattutto all'inizio si capiva che il risultato finale era determinato da quello che ciascuno dava e così tutti eravamo portati a dare il massimo. Si capiva facilmente il perché, se io sbagliavo era una catena che portava a fare altri errori. In Rai c'era un bell'ambiente, si andava d'accordo tra colleghi.
TG: E coi dirigenti?
Piol: Coi dirigenti avevamo poco a che fare; li vedevamo ogni tanto, tranne qualche ingegnere che si faceva vedere per qualche questione tecnica.
TG: Quale ingegnere?
Piol: Negli ultimi tempi che io ero in Rai si occupava di queste cose l'ingegner Visintin.
TG: Visintin era molto preparato, vero?
Piol: Sì.
TG: Con quali colleghi ti sei trovato meglio? Qual'è stata la tua squadra preferita?
Piol: Mi sono trovato molto bene con Garampi e con Clemente, anche perché abbiamo lavorato parecchio insieme al TV3. Poco prima di andare in pensione sono andato al TV5, lo studio del telegiornale. Saltuariamente andavo in giro a sostituire qualcuno; una volta sono andato fino a Napoli perché un collega si era ammalato.
TG: Hai litigato col regista per colpa di un pulcino?
Piol. Sì, ma non è stato niente di grave. È stata l'unica volta in vita mia che ho avuto da dire con qualcuno.
TG: Da piccolo mi piaceva tantissimo il "Cappuccetto a Pois" di Maria Perego; era fantastico perché rivisitava Cappuccetto Rosso in versione Beat, tu ne sai niente?
Piol: No, quel programma non l'ho fatto io. Probabilmente è stato registrato al TV2. Anche se qualche Topo Gigio ho contribuito anch'io a realizzarlo. Al TV2 facevamo la Domenica Sportiva con la Luciana Veschi; l'hai conosciuta? Era di Fiume.
TG: Sì, ci ho lavorato anch'io.
Giuliano, come hai vissuto lo sviluppo tecnologico delle telecamere e degli obiettivi? Prima le focali fisse, poi gli zoom. L'avvento dell'RVM... E il passaggio dal bianco e nero al colore?
Piol: All'inizio si faceva tutto in diretta, non si poteva dire: aspetta un attimo che sposto il cavo... Tutto avveniva di seguito e quando c'erano degli stacchi tra una camera e l'altra bisognava fare in fretta per spostarsi sul segno successivo. Una volta arriva in Rai una nuova impresa di pulizie e cosa succede? per lavare il pavimento toglie tutti i segni incollati per terra. Io non ero impegnato in quella trasmissione, non so se erano ancora in fase di allestimento o di prova, pertanto non so come sia andata a finire, ma sicuramente i miei colleghi avranno avuto i loro problemi.
TG: E poi negli studi dove si effettuavano riprese musicali c'era il go-kart...
Piol: Sì, il go-kart veniva usato solo per le riprese dal basso che poi sono riprese "effettate" sia quelle dall'alto che quelle dal basso. Diversamente la camera deve restare ad altezza d'uomo per non avere effetti che ci fanno capire che sta accadendo qualcosa di particolare all'attore che stiamo riprendendo.
TG: Giuliano, com'è stato il passaggio dall'ottica fissa su torretta allo zoom? Si è trattato di una specie di rivoluzione?
Piol: Quando in Rai sulle telecamere abbiamo montato i primi zoom, al posto delle ottiche fisse, s'è manifestato il problema di come brandeggiare la testata del supporto della telecamera che aveva due bracci. Su quello di destra era montata una manovella per comandare lo zoom, su quello di sinistra c'era la manopola della messa a fuoco; questo faceva sì che entrambe le mani fossero impegnate: una per zoomare, l'altra per focheggiare. Non sapevamo come spostare la telecamera, allora io ho ideato una famosa pallina...
TG: Quella pallina di plastica nera che noi chiamavamo: "Palla di Piol"...
Piol: (Ride) Esatto... Quella pallina si infilava nel palmo della mano sinistra per spostare la testata sulla quale era collocata la telecamera, mentre con le dita si riusciva a regolare la manopola della messa a fuoco. Altrimenti sarebbe risultato difficoltoso zoomare, focheggiare e panoramicare nello stesso tempo. Clemente invece ha ideato un disco da collegare alla rotella di messa fuoco per essere agevolati nel trovare il fuoco nelle zoomate a schiaffo.
Mio figlio Corrado mi chiede sempre perché non ho brevettato la pallina.
TG: Te lo dicevamo anche noi... Anche il contratto ti avrebbe riconosciuto un premio in denaro, se tu lo avessi chiesto. Da noi a Milano ci furono altri casi del genere; alcuni tecnici riuscirono persino a migliorare il burst del segnale Pal, nessuno gli riconobbe nulla per le loro capacità ingegneristiche, ma la Rai e l'Italia ne trassero un vantaggio economico; questa è una storia non molto conosciuta che mi ha rivelato l'Ingegner Franco Visintin.
Piol: Davvero la chiamavano la "palla di Piol"?
TG: Certo... E a Roma e nelle altre sedi come facevano senza quella palla?
Piol: L'avranno copiata. Uno dei miei figli, per un certo periodo di tempo, ha lavorato in Rai come assistente operatore. Ha viaggiato tanto con "Linea Verde" e mi ha detto che quella pallina la usavano anche a Palermo e un po' dappertutto. Era molto comoda, non c'era niente da fare. Adesso è tutto diverso, basta schiacciare un bottone per attivare lo zoom.
TG: Te le ricordi le cineprese che avevano il viewfinder da telecamera?
Piol: Sì, ci ho lavorato sulle electronic-cam. Erano cineprese che si voleva utilizzare come telecamere, staccando dalla regia, ma la pellicola aveva una certa inerzia pertanto i primi fotogrammi del girato non erano buoni perché il motore doveva raggiungere la velocità giusta. Questo faceva sì che si doveva partire prima che si svolgesse l'azione e dare il via al motore e successivamente arrivare sullo stacco.
TG: Come nel cinema...
Piol: Come nel cinema. Solo che nel cinema si gira una scena e poi ci si ferma, mentre noi facevamo tutto di fila.
TG: Che cosa avete girato in quel modo?
Piol: La Morsa di Pirandello, credo fosse il 1966 (È andato in onda il 17 ottobre 1970 ndTG) ed è stata una della prime produzioni a colori, il regista era Gianfranco Bettettini.
TG: Invece, se adesso me lo puoi dire, chi era quel collega assunto all'epoca del bianco e nero che poi con l'introduzione del colore aveva capito che era daltonico?
Piol: Forse lo sapevo, ma adesso non lo ricordo... Poi, bisogna vedere come si manifesta questo problema, con quale intensità e con quali colori...
TG: Com'è andata col colore?
Piol: All'inizio i colori non erano proprio precisi, durante le panoramiche si avevano anche dei trascinamenti sul rosso e con soggetti molto riflettenti. Qualche ombra era un po' colorata. I tubi da ripresa non erano perfetti, ma poi la qualità è migliorata.
TG: Facevi anche l'allineamento delle telecamere?
Piol: No, quello era il compito dei tecnici.
TG: Sei stato contento di aver lavorato come cameraman o avresti preferito fare il tecnico?
Piol: No no, mi piaceva molto fare l'operatore, mi è andata benissimo. Mi piaceva la fotografia per cui mi è piaciuto molto lavorare così.
TG: Hai mai pensato di tornare a vivere a Trieste, considerato il fatto che anche lì c'è una sede della Rai?
Piol: No. Poiché ho sposato una ligure ho preferito rimanere a Milano per essere più vicino alla Liguria.
TG: Che altre trasmissioni facevate sulle esterne?
Piol: Beh, il calcio. Lo seguivamo con 3 telecamere, una in totale al centro del campo, le altre più strette seguivano il gioco e stavano sulle porte quando si avvicinavano i giocatori. Non si usavano ancora gli zoom.
Le Tofane, Agosto 1958, Giuliano Piol con un elmetto della Prima Guerra Mondiale ritrovato sui sentieri di montagna. Allora non c'era ancora turismo di massa ed era facile ritrovare questo tipo di reperti bellici. La squadra esterna Rai era a Cortina per una trasmissione intitolata: Gli scoiattoli di Cortina d'Ampezzo in cordata.
TG: Era bello?
Piol: Eh sì, era bello; poi si andava fuori. All'Arena, per esempio, o al velodromo Vigorelli per riprendere le gare ciclistiche su pista. Ovunque ci fossero degli eventi sportivi noi andavamo lì con tutta l'attrezzatura per riprenderli e mandarli in onda. Dopo sono tornato negli studi. Mi assegnarono al TV3 che era un grande teatro di posa (il più grande d'Europa all'epoca ndTG), sono stato lì per 10 anni, per tutti gli anni '60. Lì abbiamo fatto: "Il mulino sul Po" (1963); "I promessi sposi" (1966); "La freccia nera" (1968); "La Coscienza di Zeno" (1965) e tutti i grandi sceneggiati di prosa. Lavoravamo con registi come Anton Giulio Majano e Sandro Bolchi. Era bellissimo, solo che allora si andava in diretta perché non c'era la possibilità di fare il montaggio; l'Ampex è venuto dopo. Andare in diretta con una commedia in cui gli stacchi si susseguono ad una certa velocità l'uno dall'altro non è facile. Sul pavimento c'erano dei riferimenti per le posizioni delle telecamere e degli attori che sembravano una carta geografica di segni. Oltre che posizionare le telecamere dovevano cambiare anche l'obiettivo sulla torretta girevole perché gli zoom non c'erano ancora. Era un lavoro difficile.
Un adattamento televisivo de: La coscienza di Zeno al TV3 di Milano. Vedi i titoli di testa del filmato linkato a 2'32" dove vengono riportati i nomi della squadra di ripresa. Giuliano Piol ricorda che la commedia terminava con una zoomata sul fumo della sigaretta del protagonista.
TG: Ogni tanto capitava di sbagliare?
Piol: A volte capitava che una telecamera non fosse pronta, per fare un primo piano per esempio, e allora in regia staccavano su un'altra che magari era in mezzo primo piano, in figura intera o più larga. Tutto poteva succedere ed era la regia che doveva pensare a sistemare le cose. Andare in diretta era molto impegnativo, ma dava grande soddisfazione.
TG: Chi era il tuo primo cameraman al TV3?
Piol: Antonio Garampi. Poi c'era Pino Clemente che era già lì e io. Lì abbiamo lavorato alle produzioni più importanti della Rai.
TG: Roma non produceva ancora?
Piol: Roma era niente al nostro confronto. Si può dire che la televisione italiana è nata a Milano. La trasmissione che ha decretato il successo della tv è stata: "Lascia o raddoppia?", con Mike Bongiorno. Ricordo che la sera che siamo sbarcati a Napoli, dal ritorno dalla Birmania nel 1956, siamo andati al cinema e a metà proiezione si chiude il sipario e sistemano un televisore davanti per permettere agli spettatori di vedere: "Lascia o raddoppia?". Hai capito?
TG: Facevano così perché temevano che altrimenti la gente non sarebbe andata al cinema per guardare la televisione...
Piol: Può darsi.
TG: Non hanno usato un teleproiettore?
Piol: No, era un televisore grande, il più grande che ci potesse essere e la gente si avvicinava per vedere meglio, tutti si divertivano così.
TG: È una cosa che ti ha sorpreso?
Piol: Sì; non me l'aspettavo di vedere la televisione al cinema.
TG: A Trieste vedevate la tv?
Piol: Sì.
TG: Arrivava anche là e vedevate anche là "Lascia o raddoppia?"?
Piol: Sì.
TG: All'inizio il segnale televisivo non arrivava in tutta Italia, vero?
Piol: Eh no, non tutto il territorio era coperto dal segnale televisivo, mancavano i trasmettitori.
TG: Al Sud e nelle isole la tv è arrivata dopo.
Piol: So che c'erano dei problemi che pian pianino sono stati risolti.
TG: Che attori c'erano nella "Freccia nera"?
Piol: C'era una Loretta Goggi molto giovane, avrà avuto 16 anni e Majano si lamentava perché questa ragazza non riusciva ad esprimere la femminilità e la sensualità che richiedeva la sua parte. Era un'attrice bravissima, ma effettivamente era troppo giovane per interpretare Joan Sedley.
TG: Ti sei occupato solo delle riprese interne de: "I promessi sposi"?
Piol: Sì. Le riprese esterne le ha fatte il reparto cinematografico che adesso non esiste più perché non si usa più la pellicola.
TG: Mario Pellegrini lo conosci bene?
Piol: Sì, ho parlato con lui anche poco tempo fa e mi ha chiesto d'incontrarci. Ci sentiremo... In passato ho lavorato anche con lui. Ho sentito anche Silvano Maletti, tempo fa.
Giuliano Piol (con una regista della quale non siamo sicuri dell'identità) durante le riprese di un'opera teatrale di cui non ricordiamo il titolo (qualcuno lo sa?) adattata per la televisione. Fotografia di Giola.
TG: Tra tutti i lavori televisivi che hai ripreso, quale ti è piaciuto di più?
Piol: Erano tutti interessanti. Soprattutto all'inizio si capiva che il risultato finale era determinato da quello che ciascuno dava e così tutti eravamo portati a dare il massimo. Si capiva facilmente il perché, se io sbagliavo era una catena che portava a fare altri errori. In Rai c'era un bell'ambiente, si andava d'accordo tra colleghi.
TG: E coi dirigenti?
Piol: Coi dirigenti avevamo poco a che fare; li vedevamo ogni tanto, tranne qualche ingegnere che si faceva vedere per qualche questione tecnica.
Le baruffe chiozzotte di Goldoni per la regia teatrale di Giorgio Strehler e per la regia televisiva di Lidya C. Ripandelli è un'altra commedia adattata per la televisione nel 1966 e ripresa in diretta da Giuliano Piol nello studio TV3 di Milano. Le attrici erano Carla Gravina e Anna Maestri, sorella della famosa guida alpina Cesare Maestri. Fotografia di Giola.
TG: Quale ingegnere?
Piol: Negli ultimi tempi che io ero in Rai si occupava di queste cose l'ingegner Visintin.
TG: Visintin era molto preparato, vero?
Piol: Sì.
Giuliano Piol (90 anni), ex-cameraman, a casa sua il 9 gennaio 2019, giorno in cui è stato intervistato da Tony Graffio.
TG: Con quali colleghi ti sei trovato meglio? Qual'è stata la tua squadra preferita?
Piol: Mi sono trovato molto bene con Garampi e con Clemente, anche perché abbiamo lavorato parecchio insieme al TV3. Poco prima di andare in pensione sono andato al TV5, lo studio del telegiornale. Saltuariamente andavo in giro a sostituire qualcuno; una volta sono andato fino a Napoli perché un collega si era ammalato.
1987, Auditorio G, oggi TV4, Giuliano Piol riceve la medaglia commemorativa per i 30 anni di servizio in Rai. Aldo De Martino (con gli occhiali scuri) era il Direttore del Centro di Produzione di Milano, dietro di lui, Elio Sparano, responsabile della redazione giornalistica della Rai di Milano.
Piol: Un'incavolatura. Io sono sempre un uomo piuttosto tranquillo, ma stranamente una volta mi hanno fatto arrabbiare; non mi ricordo bene nemmeno perché. Stavamo lavorando ad una trasmissione per bambini e c'erano due pulcini... Uno si chiamava 14... Te li ricordi? Tu sei stato bambino? Non so bene perché ho avuto da dire col regista e me la sono presa con lui perché io ero di passaggio in quel programma e non sapevo il nome del pulcino. Avevo chiesto se era quello il "pollastro" che dovevo inquadrare...
TG: Qual è la cosa più strana che ti è successa nei 31 anni che hai passato in Rai?
TG: Hai litigato col regista per colpa di un pulcino?
Piol. Sì, ma non è stato niente di grave. È stata l'unica volta in vita mia che ho avuto da dire con qualcuno.
TG: Da piccolo mi piaceva tantissimo il "Cappuccetto a Pois" di Maria Perego; era fantastico perché rivisitava Cappuccetto Rosso in versione Beat, tu ne sai niente?
Piol: No, quel programma non l'ho fatto io. Probabilmente è stato registrato al TV2. Anche se qualche Topo Gigio ho contribuito anch'io a realizzarlo. Al TV2 facevamo la Domenica Sportiva con la Luciana Veschi; l'hai conosciuta? Era di Fiume.
TG: Sì, ci ho lavorato anch'io.
Giuliano, come hai vissuto lo sviluppo tecnologico delle telecamere e degli obiettivi? Prima le focali fisse, poi gli zoom. L'avvento dell'RVM... E il passaggio dal bianco e nero al colore?
Piol: All'inizio si faceva tutto in diretta, non si poteva dire: aspetta un attimo che sposto il cavo... Tutto avveniva di seguito e quando c'erano degli stacchi tra una camera e l'altra bisognava fare in fretta per spostarsi sul segno successivo. Una volta arriva in Rai una nuova impresa di pulizie e cosa succede? per lavare il pavimento toglie tutti i segni incollati per terra. Io non ero impegnato in quella trasmissione, non so se erano ancora in fase di allestimento o di prova, pertanto non so come sia andata a finire, ma sicuramente i miei colleghi avranno avuto i loro problemi.
Fine anni '80 al TV5 di Milano Giuliano Piol, Umberto Cazzola e una delle Hitachi SK110A che ancora montavano la famosa "Palla di Piol", non visibile in questa fotografia.
Piol: Certo, con gli obiettivi fissi puoi cambiare il campo di ripresa solo carrellando, mentre con lo zoom non hai bisogno di spostarti. Noi avevamo un carrello grosso con una torretta che poteva ruotare a destra e sinistra, in più poteva anche alzarsi e abbassarsi. Sulla testata della torretta c'era la telecamera e un seggiolino per il cameraman. Dietro c'era chi guidava il carrello che aveva 4 ruote e poi c'era un "manovellista" che guidava il braccio che poteva spostarsi sia in orizzontale che in verticale. Altri due carrelli piccoli su treppiede venivano utilizzati per spostare le telecamere degli altri due cameramen.
TG: Passare dalle ottiche fisse agli zoom ha semplificato il modo di lavorare?
TG: E poi negli studi dove si effettuavano riprese musicali c'era il go-kart...
Piol: Sì, il go-kart veniva usato solo per le riprese dal basso che poi sono riprese "effettate" sia quelle dall'alto che quelle dal basso. Diversamente la camera deve restare ad altezza d'uomo per non avere effetti che ci fanno capire che sta accadendo qualcosa di particolare all'attore che stiamo riprendendo.
La squadra di Rischiatutto del 1973 - 1974 con Mike Bongiorno e Sabina Ciuffini. Il primo in alto a sinistra è un ispettore di studio, Giuliano Piol è il secondo da sinistra; a destra di Sabina Ciuffini, il regista Piero Turchetti. Il secondo uomo dopo Mike è Giancarlo Bernardoni, cameraman, poi direttore della fotografia de: La Morsa e poi responsabile del reparto scenografia della Rai di Milano. A destra di Bernardoni semicoperto, il cameraman Renzo Ratti; con baffi e barbetta il tecnico Redaelli, accanto a lui a destra il capo-tecnico Luigi Portioli. La signora in piedi è una segretaria di edizione, una certa Luigina di Duino (TS). Accosciato a sinistra troviamo Mario Pessina, accanto a lui il tecnico Attilio Pandullo, proveniente da Trieste, mentre a destra troviamo il cameraman preferito da Mike, Dino Tonelli (istriano di Funtane), conosciuto anche come Beckenbauer per la sua somiglianza con il capitano della nazionale tedesca di calcio degli anni '70. L'uomo con i baffi dovrebbe essere un ex-tecnico del laboratorio di sviluppo e stampa della Rai, accanto a lui in giacca e cravatta, Ennio Furia, cameraman.
TG: Giuliano, com'è stato il passaggio dall'ottica fissa su torretta allo zoom? Si è trattato di una specie di rivoluzione?
Piol: Quando in Rai sulle telecamere abbiamo montato i primi zoom, al posto delle ottiche fisse, s'è manifestato il problema di come brandeggiare la testata del supporto della telecamera che aveva due bracci. Su quello di destra era montata una manovella per comandare lo zoom, su quello di sinistra c'era la manopola della messa a fuoco; questo faceva sì che entrambe le mani fossero impegnate: una per zoomare, l'altra per focheggiare. Non sapevamo come spostare la telecamera, allora io ho ideato una famosa pallina...
TG: Quella pallina di plastica nera che noi chiamavamo: "Palla di Piol"...
Piol: (Ride) Esatto... Quella pallina si infilava nel palmo della mano sinistra per spostare la testata sulla quale era collocata la telecamera, mentre con le dita si riusciva a regolare la manopola della messa a fuoco. Altrimenti sarebbe risultato difficoltoso zoomare, focheggiare e panoramicare nello stesso tempo. Clemente invece ha ideato un disco da collegare alla rotella di messa fuoco per essere agevolati nel trovare il fuoco nelle zoomate a schiaffo.
Mio figlio Corrado mi chiede sempre perché non ho brevettato la pallina.
TG: Te lo dicevamo anche noi... Anche il contratto ti avrebbe riconosciuto un premio in denaro, se tu lo avessi chiesto. Da noi a Milano ci furono altri casi del genere; alcuni tecnici riuscirono persino a migliorare il burst del segnale Pal, nessuno gli riconobbe nulla per le loro capacità ingegneristiche, ma la Rai e l'Italia ne trassero un vantaggio economico; questa è una storia non molto conosciuta che mi ha rivelato l'Ingegner Franco Visintin.
La Palla di Piol è stata ideata da Giuliano Piol per avere una manovrabilità più efficace pur avendo le mani già occupate dai comandi di fuoco e zoom. Sono riuscito a reperire l'ultima Palla di Piol dei nostri giorni, forse dimenticata su una cloche, su una sola telecamera dello studio TV1 di Milano. Montata con questo tipo di comandi elettrici non è poi così indispensabile perché la camera in questo caso viene manovrata dalla mano destra che poggia sul comando del servo-zoom. Altra questione quando entrambi i comandi erano manuali e meccanici e la manopola del fuoco era parallela all'impugnatura della cloche. La telecamera si manovrava con la mano sinistra. Stranamente le squadre della Rai di Trieste sono le uniche in Italia che avevano invertito i comandi mettendo il fuoco a destra e lo zoom a sinistra; nel 1997 quando sono stato mandato ad Atene in rinforzo ad una squadra di Trieste per riprendere i Campionati del Mondo di Atletica ho dovuto risistemare i comandi nella posizione "ortodossa" per riuscire ad effettuare le riprese televisive.
TG: Certo... E a Roma e nelle altre sedi come facevano senza quella palla?
Piol: L'avranno copiata. Uno dei miei figli, per un certo periodo di tempo, ha lavorato in Rai come assistente operatore. Ha viaggiato tanto con "Linea Verde" e mi ha detto che quella pallina la usavano anche a Palermo e un po' dappertutto. Era molto comoda, non c'era niente da fare. Adesso è tutto diverso, basta schiacciare un bottone per attivare lo zoom.
TG: Te le ricordi le cineprese che avevano il viewfinder da telecamera?
Piol: Sì, ci ho lavorato sulle electronic-cam. Erano cineprese che si voleva utilizzare come telecamere, staccando dalla regia, ma la pellicola aveva una certa inerzia pertanto i primi fotogrammi del girato non erano buoni perché il motore doveva raggiungere la velocità giusta. Questo faceva sì che si doveva partire prima che si svolgesse l'azione e dare il via al motore e successivamente arrivare sullo stacco.
TG: Come nel cinema...
Piol: Come nel cinema. Solo che nel cinema si gira una scena e poi ci si ferma, mentre noi facevamo tutto di fila.
TG: Che cosa avete girato in quel modo?
Piol: La Morsa di Pirandello, credo fosse il 1966 (È andato in onda il 17 ottobre 1970 ndTG) ed è stata una della prime produzioni a colori, il regista era Gianfranco Bettettini.
TG: Invece, se adesso me lo puoi dire, chi era quel collega assunto all'epoca del bianco e nero che poi con l'introduzione del colore aveva capito che era daltonico?
Piol: Forse lo sapevo, ma adesso non lo ricordo... Poi, bisogna vedere come si manifesta questo problema, con quale intensità e con quali colori...
TG: Com'è andata col colore?
Piol: All'inizio i colori non erano proprio precisi, durante le panoramiche si avevano anche dei trascinamenti sul rosso e con soggetti molto riflettenti. Qualche ombra era un po' colorata. I tubi da ripresa non erano perfetti, ma poi la qualità è migliorata.
TG: Facevi anche l'allineamento delle telecamere?
Piol: No, quello era il compito dei tecnici.
Una Polaroid scattata il giorno del pensionamento di Giuliano Piol, il 25 novembre 1988. Sulla sinistra Giandomenico Gnoato, al centro Giuliano Piol e a destra Roberto Vagnoni.
TG: Sei stato contento di aver lavorato come cameraman o avresti preferito fare il tecnico?
Piol: No no, mi piaceva molto fare l'operatore, mi è andata benissimo. Mi piaceva la fotografia per cui mi è piaciuto molto lavorare così.
TG: Hai mai pensato di tornare a vivere a Trieste, considerato il fatto che anche lì c'è una sede della Rai?
Piol: No. Poiché ho sposato una ligure ho preferito rimanere a Milano per essere più vicino alla Liguria.
Verteneglio d'Istria, l'uomo coi baffi seduto e con un bambino in braccio era Francesco, il nonno di Giuliano Piol; Vittorio, (nato nel 1898) il ragazzo in piedi a destra, era il padre di Giuliano. I Piol erano originari di Revine di Vittorio Veneto, ma un bisnonno di Giuliano aveva deciso di trasferirsi nell'Istria ancora austriaca verso la fine del 1800. La fotografia è stata scattata prima della guerra del 1915/18; durante la guerra Vittorio rimase ferito ad una gamba, mentre all'epoca della Seconda Guerra Mondiale faceva il barbiere. Di giorno veniva accusato dai fascisti che si facevano radere da lui di lavorare anche per i comunisti, mentre di notte i comunisti che si facevano radere da lui lo accusavano di avere clienti fascisti.
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