lunedì 8 maggio 2017

Calendario Pirelli: perché s'è incrinato il mito dello status-symbol di carta

Fu a Londra, in un taxi, che il Calendario venne definito "Il più grande status symbol del potere nel mondo" dal direttore di un giornale, che giustificava così l'ampio spazio che dedicava ogni anno alla pubblicazione di fotografie tratte dal Cal. Questa fantasiosa esagerazione divenne poi realtà, ma oggi è ancora così?

Dal Calendario Pirelli del 2008 firmato da Patrick Demarchelier

In questo periodo dell'anno Pirelli inizia a lasciar trapelare notizie sul fotografo che si occuperà del prossimo progetto del suo prestigioso calendario. Per il 2018, è stato scelto Tim Walker, ma le modelle che poseranno per lui non si conoscono ancora.
Quando fui invitato alla presentazione del Calendario Epson, nel 2015, iniziò a prendere forma l'idea di presentare un servizio su queste pagine per parlare della storia del Calendario Pirelli, ma mi resi immediatamente conto che sarebbe stato un lavoro titanico e forse anche un po' inutile, dato che quasi tutto era già stato scritto e sarebbe stato anche difficile, non tanto entrare in contatto con l'ufficio stampa di Pirelli, quanto avere libertà di azione su ciò che avevo intenzione di scrivere. 
Verso la fine del 2015 mi capitò un colpo di fortuna che mi ha incoraggiato a credere di poter presentare qualcosa di nuovo su questo argomento. Casualmente, un giorno andai presso un'argenteria in disuso per scattare alcune fotografie che raccontassero della fine del mondo del lavoro, come lo abbiamo conosciuto noi ragazzi della generazione della lira, ho incontrato un uomo che aveva diverse cose interessanti da raccontarmi. 
Angelo Vavassori nasce nel 1942 All'età di 14 anni va a bottega. Il suo primo lavoro lo svolge in una tipografia dove si stampavano fumetti, nel quartiere Isola: aveva il compito di andare a prendere le tavole dal disegnatore per poi portarle a fare i cliché e via di seguito. Ha cambiato diversi posti di lavoro; è stato alla Litografia Fasan, dove ha imparato il mestiere del litografo: anche qui si stampavano fumetti. Presso la ditta Moreschi ha stampato Tiramolla, si occupava solo delle copertine, il resto del giornalino veniva stampato altrove. Come dice lui stesso, nel 1963 era soltanto un "ragazzotto" e ricorda in modo non molto preciso di aver fatto l'aiutante di un tipografo che lavorava ad una macchina offset (litografiaca) piccola, 50x70 monocolore in quadricromia (forse anche più piccola 37X?), per stampare i calendari della Pirelli. La litografia alla quale era stata commissionata la stampa era la GBM di Milano, ditta che poco tempo dopo chiuse i battenti, nonostante lavorasse molto bene. Anche in quegli anni l'azienda che si occupava della stampa non era direttamente collegata alla Pirelli. La GBM si occupava di stampare anche per conto dell'Olivetti che in quel periodo produceva la Lettera 22 e aveva la necessità di allegare i dépliant informativi della macchina da scrivere a diversi tipi di prodotti confezionati. Angelo in quegli anni era molto giovane e adesso non sa dirmi se ci fosse qualche incaricato della Pirelli che si recava in litografia per effettuare un controllo qualità. Probabilmente, immagino io, un'agenzia aveva preso in appalto questo lavoro e ne gestiva la produzione. In quella ditta si stampava di tutto, dai manifesti ai libri scolastici, ai fumetti. Il direttore era anche il socio principale, si chiamava Renato Bianconi, disegnava e pubblicava, pensate un po', tantissimi fumetti. L'altro socio, il Signor Giola, era anche il direttore della IGS, la tipografia dove stampavano "La Settimana Enigmistica". Una volta staccatosi da quel settimanale, ha fondato la GBM, con sede in via Monte Nevoso. Angelo mi ha raccontato di aver stampato due edizioni del Calendario Pirelli, probabilmente quella del 1963 e quella del 1964. Ricorda d'aver lavorato su una macchina Parva Roland Quando utilizzava macchine grosse, stampava in formato di un metro per centoquaranta centimetri, ma la stampa del calendario non richiedeva queste macchine. 
Al foglio grande del calendario veniva attaccato il blocchetto con la fotografia della modella. Si eseguivano prove cianografiche su pellicole, ma adesso questa tecnica non viene più utilizzata. C'era a disposizione una scala di colori che comprendeva il giallo, il blu, il rosso, il nero e così si ricavavano gli altri colori. Era indispensabile allineare i retini con i "crocini negli angoli" e con il lentino si controllava ad occhio che il colore cadesse esattamente sull'altro colore, altrimenti si aveva un'immagine sdoppiata o annebbiata. Con la squadra ed il registro, si montavano le lastre, si utilizzava della carta normale di prova, poi si controllava anche in questo modo l'allineamento e una volta che anche questo era perfetto si procedeva con la stampa vera e propria. I calendari venivano stampati su carta patinata e dovevano risultare perfetti. Secondo Angelo Vavassori che ha lavorato per circa 18 anni in questo settore, sono state stampate circa 5'000 copie del Calendario, in quei primi anni. Poteva capitare che si facessero delle ristampe all'inizio dell'anno nuovo. La qualità della stampa si otteneva grazie alle macchine più sofisticate che erano destinate ai prodotti migliori. In GBM, aggiunge Angelo, si stampavano anche riviste di arredamento.



Angelo Vavassori, 75 anni, ex-litografo e tipografo.

Le tecnologie di stampa e di ripresa sono molto cambiate, così come le abitudini degli uomini del nuovo millennio. Oggi si fa tutto molto di fretta, in nome della massima resa con la minima spesa; l'automazione e la digitalizzazione hanno fatto irruzione nella vita di tutti. 
Il nostro paese, assurdamente, anziché proseguire una tradizione di qualità e di artigianato s'è messo in concorrenza con i paesi in via di sviluppo che producono a costi irrisori, negando diritti fondamentali che sono stati ottenuti con decenni di lotte da parte dei nostri lavoratori. La globalizzazione ha livellato tutto, o quasi, ma il lavoro rimane una ricchezza. Paesi un tempo ricchi si sono trovati ad affrontare la crisi, lasciando spesso che le proprie industrie/aziende di eccellenza andassero in mano anche ad acquirenti stranieri, o poco legati alla tradizione, perdendo così la propria autenticità. Chi è rimasto a guardare lavorare gli altri o chi ha fatto scelte strategiche, politiche, sociali ed economiche sbagliate adesso si trova in difficoltà. Non è un caso se anche certi status-symbol hanno perso il loro prestigio o hanno subito forti ridimensionamenti del proprio mercato e d'immagine.
Per quello che riguarda il mondo della fotografia, le fotocamere digitali hanno sostituito perfino i banchi ottici di grande formato, permettendo a chiunque di ottenere ottimi risultati, con la semplice accortezza di moltiplicare il numero degli scatti. Questa operazione che permette di trovare, magari anche in maniera casuale, la giusta espressione del soggetto inquadrato o il momento magico. In effetti, negli ultimi 15-20 anni abbiamo assistito ad un'esplosione di interesse per la fotografia, tutti fotografano tutto e vogliono mostrarlo a tutti. Nonostante questo, la fotografia professionale non sorride più; per un'operazione di comunicazione, Pirelli si rivolge ancora ai grandi nomi della fotografia internazionale e cerca in qualche modo di stupire per far parlare del proprio Calendario che di conseguenza veicola il suo marchio. Eppure, tutto è talmente cambiato e banalizzato che per essere sicuri di avere per le mani qualcosa di prezioso si preferisce ricercare un oggetto, una fotografia o un calendario d'epoca, capace di trasmettere l'alone di un carisma ormai appannato di un prodotto che si proponeva come esclusivo.
Per approfondire meglio questo discorso ho parlato con Gioacchino del Balzo che ha gentilmente accettato di raccontarmi cosa accadeva nel periodo di maggior diffusione di un mito che ha influenzato il mondo della moda, della pubblicità, della comunicazione, del costume e, ovviamente, della fotografia. TG

Intervista esclusiva a Gioacchino del Balzo

Tony Graffio: Buongiorno Gioacchino, l'ho contattata perché ho saputo che lei è stato responsabile del Calendario Pirelli per un lungo periodo di tempo, in qualità di Executive Producer.

Gioacchino del Balzo: Buongiorno. Sì, è vero, ho seguito quel progetto per quasi 18 anni, fino al 2012. Poi basta, anche perché il mondo è un po' cambiato.

TG: Sicuramente, lei avrà tantissime cose interessanti da raccontarmi su questo progetto così prestigioso. Sono arrivato fino a lei perché sono appassionato di tecniche di stampa e sono riuscito a trovare il primo tipografo che ha stampato il Calendario nel 1963 ed anche l'ultimo.


La prima fotografia del Primo Calendario Pirelli del 1963 riprendeva una ragazza cinese in bicicletta a Hong Kong perché in quel paese Pirelli vendeva molti pneumatici e camere d'aria per biciclette.

GdB: Interessante, la maggior parte dei tipografi che ho utilizzato io erano in Inghilterra.

TG: Sì, l'ho saputo, io ho conosciuto quelli in Italia.

GdB: Avevo due tipografie di riferimento in Inghilterra e poi avevo un coordinatore di stampa molto bravo.

TG: Ho incontrato qui a Milano uno dei tipografi della prima edizione del Calendario del 1963. Quanto ho sentito dire da queste persone mi ha fatto nascere un po' di curiosità che spero lei possa soddisfare. Per prima cosa, vorrei capire come mai quella edizione non viene citata come la prima.

GdB: Il Calendario Pirelli del 1963 è stato fatto come prova/test e non fu pienamente approvato. Non fu mai distribuito, fu fatto circolare pochissimo e nel catalogo è considerato come una forma di inedito. L'idea, che nacque all'interno dell'ufficio marketing inglese, era quella di rappresentare le donne di vari paesi insieme al prodotto da vendere. Allora le autonomie del marchio erano molto forti, anche a livello locale. Il Calendario è sempre stato ideato, concepito e stampato, a prescindere che io mi occupassi del progetto, ed è sempre stato l'espressione di una realtà inglese, in un ambiente inglese che era molto più favorevole a questa iniziativa, per mille motivi. In Italia, non era mai facile creare dei progetti di questo genere. Mi creda.

TG: Immagino...

GdB: Io ho lasciato questo ambiente dopo tanti anni, anche perché durante l'ultimo anno si era un po' italianizzato... Ad ogni modo, il primo calendario fa un po' storia a sé stante; è considerato fuori catalogo, sia da Mondadori che dall'editore tedesco Taschen.

TG: E' una rarità di grande valore?

GdB: Credo che in Inghilterra ce ne sia uno in archivio, ma che libero, non si trovi proprio. Noi l'abbiamo mostrato in varie pubblicazioni per spiegarne la storia, non per un fatto collezionistico. Le edizioni più preziose, ovviamente sono le prime, mentre il valore delle edizioni degli ultimi anni è abbastanza insignificante.

TG: Capisco, io non sono un collezionista, ma mi interesso a tante cose. Da un punto di vista della stampa, mi è stato detto che i primi calendari sono stati fatti molto bene.

GdB: Sicuramente.

TG: Perché c'è stata un'interruzione della stampa tra il 1974 ed il 1981?

GdB: Il Calendario, in Inghilterra e nei paesi anglosassoni era arrivato all'apice del successo, poi è stato bloccato per motivi pratici. Nel 1971, la Pirelli si era fusa con la Dunlop e la complessità del "Merge" delle due Società non facilitava progetti di marketing e negli anni seguenti sopravvenne un'importante crisi petrolifera ed economica che indusse Pirelli ad una pausa di riflessione di un prodotto di comunicazione, considerato forse effimero per il contesto dell'epoca. Nelle immagini del Calendario del 1982 si decise di mostrare il pneumatico, almeno come richiamo più o meno evidente nelle fotografie, cosa che prima non si era mai concepito. Si sceglievano le modelle e si viaggiava verso luoghi esotici dove le fotografie venivano scattate in totale libertà, in modo spontaneo. Da questo modo di agire si sono ottenuti degli scatti di una grande sensualità che sono diventati mitici. Tra il 1983 ed il 1992 è stato scelto invece di far vedere un segno del prodotto. L'idea non era sbagliata e alcuni grandi fotografi come Norman Parkinson, nel 1985 e Arthur Elgort, nel 1990 seppero proporre questo elemento in maniera abbastanza velata; ma nel 1988 questo proposito era un po' troppo presente e ricreava un'ambientazione un po' forzata, imponendo un tema che obbligava il fotografo a rinunciare ad una parte della propria creatività. Credo che già in quel momento il Calendario stava perdendo quell'alone di magia e di esclusività lo avevano contraddistinto in passato. Fu in quel momento che decidemmo, in accordo con la Direzione Pirelli, che bisognava tornare alle origini e le origini erano la libertà e la sensualità.


Calendario Pirelli 1988 Donna-Battistrada.

TG: Secondo lei qual'è stata l'edizione più riuscita?

GdB: Esistono delle bellissime edizioni con le fotografie di Avedon e di Herb Ritts. Il primo Calendario di Herb Ritts, per me, fu forse l'inizio di un'era di entusiasmo e grande creatività emotiva. Splendide modelle, molto belle e spontanee e un fotografo che era perfettamente in grado di trasmettere la grande sensualità femminile. Aveva fatto suo il concetto di Robert Freeman: "Andiamo in un posto meraviglioso ed inventiamoci di fare delle foto." Non c'erano schemi. Tornavano dal viaggio e noi sceglievamo le 12 o 13 immagini migliori. Bastava questo per fare un prodotto eccezionale. Poi, sono andato da Avedon chiedendogli di non porsi limiti. La novità che penso d'aver introdotto è quella che un calendario non doveva essere legato ai mesi. Un mese poteva avere anche tre o quattro soluzioni. Oppure introducevamo dei trimestri... Tutti iniziarono a inventare altre soluzioni, perché era un peccato scartare le fotografie ben riuscite. Avedon presentò addirittura 24 immagini, concordammo sia una versione della donna naturale e sia vestita. Tutte le fotografie erano una scelta, al 90% del fotografo. Poi l'ultima parola, se eliminarne una in più o una in meno spettava a noi, per conto della Pirelli. All'epoca c'era una totale libertà sia per l'artista che per l'art director e si accettavano queste scelte. La fotografia è in gran parte soggettiva, ma ci sono anche dei fattori oggettivi. Le fotografie erano scattate da grandi fotografi che prima producevano le Polaroid in grande formato, valutavano la situazione e l'ambience per ottenere poi quello che volevano. Con la digitalizzazione è tutto cambiato si scattano fotografie a non finire per poi tirar fuori quello che in un numero infinito di scatti... finisce con l'apparire il migliore!

TG: Mi hanno detto che è tutto super-ritoccato.

GdB: Con la digitalizzazione è tutto diverso. Se lei scatta 10'000 fotografie, vuole che non escano una ventina di belle immagini? (Risata)


Calendario Pirelli - Scarti del 1965

TG: Sono anche tutte elaborate in Photoshop. Vero?

GdB: Ma certo sono tutte ritoccate, il mezzo digitale permette di farlo e lo si fa sempre.

TG: Ho visto una pubblicazione francese che riportava anche alcune immagini scartate piuttosto provocanti. Esisteva una censura interna che tendeva ad escludere gli scatti più audaci? 

GdB: La preoccupazione di non spingersi troppo oltre c'è sempre stata, cercavamo di giocare sulle sfumature di certe atmosfere. Diciamo che qualche volta certe scelte hanno fatto un po' discutere, come gli scatti di Terry Richardson, ne ha parlato la televisione francese.


Calendario Pirelli 2010 - Fotografo Terry Richardson.

TG: Che budget avevate a disposizione?

GdB: I budget sono stati dichiarati. Le modelle non guadagnavano molto, mentre i fotografi erano pagati, ai miei tempi, dai 100'000 alle 500'000 dollari. Le modelle erano pagate intorno ai 10'000 dollari.

TG: Il budget generale per l'intera operazione a quanto ammontava?

GdB: Era intorno ai due milioni di dollari. Non era enorme ed il ritorno sa quant'era? 60 volte tanto.

TG: Caspita!

GdB: Eh sì, perché se lei conta tutte le pagine di pubblicità, i minuti di televisione, la radio e tutto il resto, si sarebbe speso una cifra molto, molto superiore. Il telegiornale ne parlava per almeno un quarto d'ora. In Italia perfino Porta a Porta ne parlava!

TG: In che anno?

GdB: Nel 2003-2004.

TG: Adesso il Calendario fa molto meno notizia, perché?

GdB: Sono intervenuti degli interessi collegati al mercato italiano che secondo me hanno fatto perdere al Calendario lo smalto e la spontaneità che aveva un tempo. Le grandi annate del Calendario erano quelle che lasciavano piena libertà al fotografo di esprimere la sua creatività. Nel momento in cui io devo accettare la scelta di un fotografo che mi viene imposto, automaticamente mi trovo di fronte ad una scelta non creativa...

TG: I fotografi normalmente, li sceglieva lei?

GdB: Al 99% li sceglievo io, conoscevo tutti, avevo le competenze tecniche. Il Calendario è stato fatto al 100% in Inghilterra fino al 2010, probabilmente la stampa è stata poi portata in Italia per avere un maggior controllo sul prodotto finale. Il mondo è cambiato e si era iniziato a sentir parlare di ufficio acquisti che intervenisse. Quando s'è incominciato a discutere, per fare delle gare per trovare un tipografo, automaticamente si è perduto in creatività. Non discuto che bisogna stare nei prezzi di mercato, ma c'è modo e modo di fare certe scelte. Una volta c'erano degli stampatori inglesi molto competenti e professionali. Inoltre, questo garantiva anche un piano logistico e di segretezza particolare. Questo mondo è cambiato tra il 2009 ed il 2010.

TG: Si sta più attenti ai costi e meno alla creatività?

GdB: Credo sia ormai una tendenza aziendale in tutti i settori. Non è che prima costasse di più, ma l'attenzione ai costi in modo spasmodico si riflette inevitabilmente sulla creatività.

TG: Nei primi anni '90 si stampavano 40'000 copie all'anno del calendario più famoso del mondo, in seguito la metà, e adesso?

GdB: Ne stampavamo 40'000 copie per diffonderlo in tutto il mondo, adesso la cosa è molto complessa, diciamo che è anche uno strumento di marketing. Quando fui incaricato di produrlo in Inghilterra bisognava farlo conoscere al mondo; l'abbiamo introdotto in Cina, in Unione Sovietica in Sud America e nel mondo intero. Abbiamo organizzato lanci ed eventi del Calendario a Rio, a New York, a Parigi, a Londra, a Berlino, a Napoli, per cercare di renderlo più conosciuto. Era una realtà anglo-inglese e anche italiana, poi piano piano s'è diffusa nel mondo. Negli ultimi anni la tiratura s'è ridotta a 15'000 copie.

TG: Ho sentito dire addirittura 12'000. Perché?

GdB: Probabile. Agli inizi del 2000 c'era più diffusione perché ogni paese dove operava Pirelli richiedeva un certo numero di calendari che venivano diffusi, diciamo, tra i vip. Il numero di diffusione era anche il criterio per il pagamento del Calendario.

TG: All'inizio i calendari erano distribuiti soprattutto ai venditori?

GdB: No, erano dati ai garage. Dobbiamo dividere tutto in quattro decadi. Negli anni '60/'70 veniva dato ai vip inglesi e a un certo numero di garage importanti inglesi. Negli anni '80 in Inghilterra e nei paesi anglosassoni, sempre ai vip e qualcuno arrivava in Italia. Negli anni '90, quando me ne sono occupato, è stato diffuso in tutto il mondo, ovviamente, tramite la direzione commerciale locale. Ultimamente, se ne parla molto meno, perché? Nel momento che si rende il Calendario visibile a tutti,  lo si rende molto meno interessante e più accessibile. Prima, per vedere una fotografia ci voleva un miracolo. Distribuivamo 3 o 4 fotografie in tutto il mondo. Alcuni potevano fare le fotografie del Calendario, se l'avevano, ma se lo mettevano su internet senza autorizzazione li perseguivamo legalmente, perché volevamo che questo fosse un oggetto che si desiderasse molto e si vedesse poco.

TG: Se ne parlava molto e si vedeva poco... adesso è il contrario.

GdB: Esatto, adesso le cose sono cambiate. Io non ho più rapporti con Pirelli, ma è chiaro che il progetto presenta delle caratteristiche meno esclusive! Oggi, forse, è diventato più difficile parlarne, occorre comunicare e ripetere continuamente. Le notizie spariscono velocemente!
Per questo, sono convinto che il far vedere poco crea curiosità, aspettativa e aspirazione.

TG: La gente ha poca memoria, con internet si parla di qualcosa per un giorno, ma il giorno dopo tutti già pensano ad altro.

GdB: Siamo d'accordo, le cose sono un po' cambiate. Un po' se ne può parlare, ma noi prima giocavamo anche sui piccoli misteri: si davano un po' di notizie prima dell'estate e poi, in seconda battuta, quando si lanciava il servizio. Erano due piccoli teaser.

TG: Adesso girano parecchi video anche del making of. Che cosa ne pensa?

GdB: Sì, su Youtube.

TG: Perché?

GdB: Sono state date, negli ultimi tempi, delle parti del girato. Il video originale completo dura 20-25 minuti. Penso che sia sbagliato fare un'operazione di questo tipo. Creare una diffusione commerciale del Calendario fa perdere l'aspirazione ad avere un prodotto esclusivo. Se io vedo continuamente una determinata cosa, non ho più il desiderio d'averla. Questa è una regola elementare.

TG: Manca l'attesa che fa parte del desiderio.

GdB: Esatto! Ricordo che quando portammo Sofia Loren negli Stati Uniti, in California, annunciammo il suo arrivo e tutti i telegiornali americani ne parlarono fin dalle 8 di mattina. Avevamo dato una copertina di un back stage di Sofia Loren e tutto il mondo ne parlò.

TG: E' difficile dosare equilibratamente qualcosa da mostrare con qualcosa da nascondere.

GdB: E' difficile, siamo d'accordo, però io e chi si occupava della direzione centrale, un caro amico, ottenevamo il giusto risultato. Il Calendario è stato un prodotto mitico che col tempo ha perso il suo smalto perché è stato mostrato troppo. Una volta, di un calendario costituito da 20 fotografie, la metà non si riuscivano a vederle, neanche su Internet. Quelle che noi mettevamo sul nostro sito non si potevano copiare, c'erano vari sistemi per limitare questa diffusione di immagini. Chiunque riceveva una nostra foto era un privilegiato, noi distribuivamo un numero limitatissimo di fotografie in modo che tutti ambissero ad averne. Poi, c'era chi contrabbandava la foto perché la scopiazzava dal Calendario, cosa che ci faceva gioco. A noi andava bene se qualcuno riproduceva la foto della foto, perché così se ne parlava in modo clandestino, non in modo ufficiale, capito? Chi copiava la fotografia era qualcuno che non era legato al sito ufficiale; non si trattava del Corriere della Sera o del Times di Londra... Ciò voleva dire che se ne parlava, c'era un po' di chiasso e poi la cosa cadeva lì. Si creava un'aspettativa.

TG: Tornando alla stampa, che specifiche erano richieste e che tecniche erano usate?

GdB: Era soprattutto il fotografo ad approvare la qualità andando a vedere le prime prove di stampa, per capire se i colori erano giusti e se determinate qualità andavano bene. Una volta, il fotografo andava in tipografia anche per un mese intero prima di riuscire a sistemare i colori della stampa; era un lavoro molto più complicato anche da quel punto di vista. Questa era la normalità fino al 2007-2008, non stiamo parlando di epoche preistoriche. L'infografica digitale ha poi semplificato molto il lavoro.

TG: Perché chi lavora con Pirelli, parlo della tipografia, non può nemmeno risultare pubblicamente come un partner importante nella realizzazione di un prodotto così prestigioso? In questa società in provincia di Bergamo, dove adesso gestiscono il print management della comunicazione su carta stampata, per conto di grossi brand internazionali, avvalendosi di fornitori esterni, sarebbero felici di raccontarmi tutto, ma non possono. Pirelli alla fine non paga nemmeno tantissimo ed in più chi offre i suoi servizi deve rinunciare parzialmente ad un loro ritorno d'immagine, anche se poi dopo c'è un'indicazione dei nomi nei credits finali. Le sembra giusto?

GdB: Per contratto adesso non possono parlare, ma sul Calendario, una volta, c'era impresso il nome della tipografia e da questa informazione la ditta che si occupava della stampa tipografica ne ricavava una grande pubblicità che ci permetteva di ottenere ottimi prezzi per le lavorazioni che richiedevamo loro. Credo che il Management attuale abbia optato per nuove regole.

TG: So che il primo tipografo ad occuparsene era qua a Milano, si chiamava GBM; mentre adesso stampano dalle parti di Treviso, da Grafiche Antigua. In Inghilterra chi si occupava di questa lavorazione?

GdB: Una tipografia che adesso ha chiuso, Pure Print, il suo coordinatore di stampa era Mike Welles.

TG: Come le sembrano i calendari degli ultimi due anni?

GdB: Un po' diversi da quelli che si facevano un tempo; credo che rispecchino in modo abbastanza chiaro i grandi cambiamenti che si sono verificati alla Pirelli. Non c'è più la fantasia di un tempo. Il nudo o il seminudo devono essere visti in funzione di un messaggio che possa far parlare di un tema abbastanza preciso. Annie Leibovitz è una perfetta fotografa di poster per il Vanity Fair americano; è una donna molto anticonformista; fa delle cose stupende, ma secondo me ha una visione della vita priva di fantasia. Peter Lindbergh trovo che abbia lavorato molto meglio, un po' come il Patrick Demarchelier degli anni migliori: questi sono fotografi capaci di realizzare immagini meravigliose, ma anche di far passare un messaggio culturale, capisce?

TG: Esiste qualche altro calendario che lei ritiene sia fatto bene o che varrebbe la pena di collezionare, in previsione di una sua rivalutazione futura?

GdB: No, non credo ci possa mai essere nulla che si avvicini a quanto abbiamo fatto noi con Pirelli negli anni '90 e 2000. Gli inglesi hanno sempre avuto molta fantasia riguardo a questi calendari, chiamiamoli così, da "garage", ce ne erano anche altri divertenti perché fantasiosi. Lavazza ha fatto qualcosa di buono ed anche Campari, però non si sono affidati ai fotografi giusti. C'è da dire che l'oggetto calendario, un po' come molti prodotti dell'editoria cartacea, ha un po' perso il suo fascino. Capisco che il Calendario Cult è finito, perciò nel mondo della digitalizzazione bisognava inventare qualcosa che desse sempre un messaggio cartaceo, ma capace di far parlare di sé. Io ho visto questa trasformazione perché l'ho vissuta con un fotografo come Patrick Demarchelier che un giorno mi ha detto: "Sai cosa ti dico? Adesso mi metto anch'io a fare le foto in digitale!". Quando lui era già famosissimo per essere molto veloce nello scatto, si figuri! Chiaro che il digitale ha reso tutto più facile. Per fare un buono scatto, invece che metterci un giorno, ci mettevamo 10 minuti. Uno che è già veloce con la pellicola, in digitale è velocissimo. Così faceva un po' di scatti in digitale ed un po' in pellicola; in questo modo la vita era più semplice ed i servizi invece che 7 giorni duravano 5, era cambiata la logica del lavoro.

TG: Dottor del Balzo, è vero che voleva portare Demarchelier e una mezza dozzina di modelle seminude al Polo Nord in mezzo agli orsi bianchi?

GdB: Sì, c'era l'idea di fare qualcosa del genere per dare un significato più importante al servizio fotografico che avrebbe potuto diventare così un grido di speranza per una situazione molto preoccupante, ma non ho avuto la possibilità di portare a compimento questo progetto.

TG: Dottor del Balzo, riuscirebbe a procurarmi un calendario del 2018?

GdB: Non c'è problema. Se me l'avesse chiesto 10 anni fa sarebbe stato diverso. Un tempo avevo 50 persone che facevano follie per averne uno. C'era gente che mi ossessionava per un mese intero per averlo. Sa l'anno scorso in quanti me l'hanno chiesto? Uno solo! Adesso non li richiedo più neanch'io, ma se vuole per lei posso fare un'eccezione.

TG: Grazie mille Dottor del Balzo, mi fa sentire un semi-vip, in questo modo.

GdB: Un tempo il Calendario era uno status-symbol e c'era chi lo teneva appositamente sulla scrivania, magari chiuso pure, per far vedere a tutti che ce lo aveva. Questo era il gioco. Il Calendario di Richard Avedon che era un po' grande, lo tenevano sul tavolo. Adesso non è più così.


Gioachino del Balzo Executive Producer Pirelli
Anno 1994, Naomi Campbell è presente nelle fotografie di Richard Avedon scattate per il Calendario Pirelli 1995 nei mesi di Luglio, Agosto e Settembre. Gioacchino del Balzo in questa fotografia personale che ha cortesemente concesso a Frammenti di Cultura è alle spalle della modella britannica. Sulla destra Derek Forsyth.

Nota di TG sul Calendario Pirelli 2017
A riprova che il discorso fatto da Giocchino del Balzo è corretto, vorrei far osservare a tutti il calendario Pirelli 2017 firmato da Peter Lindbergh dove non appare più il logo della Pirelli!
Vedasi la copia fotografata da TG presso il Fotostudio Gianni di Bergamo.

La pagina di settembre del calendario Pirelli 2017


A chi volesse approfondire il discorso sul Calendario Pirelli e vedere le immagini della collezione completa, consiglio di consultare il sito di mistergiuseppe, alias Giuseppe Balzarotti che ringrazio pubblicamente per la consulenza fornitami in qualità di collezionista ed appassionato.

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