domenica 11 giugno 2017

Michele Guidarini, outsider for choice

 "I'm an outsider outside of everything..." Ramones


Michele Guidarini a Filler S.e. 2017

Tony Graffio: Michele, com'è andato il tuo workshop di ieri?

Michele Guidarini: Molto bene, c'è stata anche una bella affluenza, avevo undici ragazzi al lavoro, tra cui anche qualche artista abbastanza importante che ha deciso di darsi da fare con noi. E' stato un piacere, perché ha voluto affrontare un tema che non lo rappresentava troppo come quello del collage, della grafica "Old school" che per artisti che lavorano per l'illustrazione è sempre una bella prova, poiché loro utilizzano media diversi per esprimersi.

TG: Su cosa verteva esattamente questo laboratorio? 

MG: Si trattava di comporre le illustrazioni che dovevano completare una fanzine che auto-produrremo come Filler. Il concetto era quello di utilizzare le tecniche in auge durante il boom delle fanzine, negli anni '70 e '80, ovvero della riproduzione con la fotocopiatrice, la rilegatura fatta a mano, il collage e, soprattutto, volevamo diffondere l'idea di non essere troppo artistici, ma di contribuire a veicolare un messaggio potente attraverso quelle tecniche che erano praticate da persone che non erano iper-competenti in queste produzioni. Per loro, era quasi una questione di sopravvivenza grafica e produttiva a basso costo per esprimere un concetto e fare comunicazione.

TG: Guarda che poi verifico tutto con il mio amico Diego Bonci che ha frequentato il tuo workshop...

MG: Ah sì, Diego è stato bravissimo, ha fatto un bellissimo lavoro, solo che non ha azzardato molto con il collage ed ha avuto un po' di difficoltà ad allontanarsi dal suo stile di illustrazione e disegno. Tutti i ragazzi hanno dato vita a ottimi lavori.

TG: Puoi regalare al pubblico di Frammenti di Cultura una dritta di editoria low-cost DIY?

MG: Certamente. Bisogna scegliere bene la stampante, ovvero la fotocopiatrice, non solo per l'apporto che produce alle fanzine finite, ma per creare quegli effetti analogici che oggi troviamo quasi esclusivamente sui software di grafica ed elaborazione digitale dell'immagine. La fotocopiatrice permette di lavorare direttamente sull'immagine, sui contrasti,  sulle sovrapposizioni e sulla distorsione delle forme e delle linee dando risultati analogici veramente molto belli. Questo è quello che ho cercato d'insegnare, oltre al fatto naturalmente che è un mezzo utile per la riproduzione low-cost.

TG: Bisogna andare oltre Photoshop.

MG: Certo, andare oltre totalmente. Infatti i ragazzi, sono rimasti sorpresi quando hanno visto lo sfondo che ho creato spruzzando dei graffi a bomboletta, molto velocemente, che poi ho lasciato asciugare e ripassato all'interno della fotocopiatrice, facendo dei movimenti mentre l'immagine veniva scansionata dalla macchina. Poi, ho sovrapposto dei lucidi con altri spruzzi di vernice, sovrapponevo nuovamente l'immagine e la rifotocopiavo. Queste operazioni hanno fatto uscire delle texture fantastiche creando quasi dei pezzi unici, perché non sono facilmente riproducibili, anche perché quando riproduci la stessa fotocopia l'effetto cambia ancora. Cambia la grana dell'immagine, cambiano i contrasti. Possiamo tranquillamente dire che ogni volta che esce un foglio di carta dalla fotocopiatrice sulla quale noi stiamo intervenendo esce un pezzo unico.

TG: So che ci sono degli appassionati, come Giacomo Spazio che conservano di tutto, ma c'è chi colleziona queste fanzine, o le ricerca espressamente?

MG: Giacomo Spazio è un ottimo esempio di chi conserva sia fanzine che locandine, vinili e tutto quello che è diventato storico; lui ha molto materiale che risale anche a più di 30 anni fa. Quello che vedo, è che fino a 5-6 anni fa c'erano questi collezionisti che tenevano tutto in casa, ma adesso che è esploso il discorso dell'underground nuovamente sono rientrate in gioco le fanzine; quelle storiche però sono introvabili e raggiungono prezzi folli.

TG: Tipo?

MG: Ci sono fanzine d'epoca prodotte in pochissimi numeri che si aggirano anche sui 300-400 euro, mentre allora costavano intorno alle 1000 lire.

TG: Fammi un esempio.

MG: Se trovi il numero 1 o 2 di Sniffin' Glue, una classica fanzine inglese,  puoi pagarla cifre davvero folli. Inoltre, non sono facilmente reperibili. Le produzioni più grandi andavano intorno ai 3000-4000 pezzi, ma tantissimo materiale è andato perduto.

TG: Come facciamo a sapere che quello che compriamo sia autentico? C'è un sistema per valutarne l'originalità?

Clash
Sniffin' Glue del gennaio 1977

MG: Capirlo è difficilissimo. All'epoca veniva usata la Xerox che era il must per fotocopiare. Devi sapere che ogni fotocopiatrice mantiene una propria grana per le copie che stampa...

TG: Un po' come le macchine da scrivere?

MG: Non saprei come paragonarle... Anche le macchine da scrivere avevano delle caratteristiche che le rendevano riconoscibili?

TG: Beh sì, ma sicuramente non è una cosa facile saperle distinguere...

MG: Per le fotocopiatrici cambia proprio la grana dell'immagine, per esempio, ieri abbiamo usato una macchina diversa dalla Xerox ed ho visto un grosso cambiamento nel puntino della grana che va a costituire la struttura del pattern. Quello è un riferimento, ma sicuramente ci possono essere in giro ancora molte Xerox degli stessi anni con le quali si possono riprodurre le fanzine originali. Oppure, si può vedere se la carta è invecchiata, in quel caso si può dire se la fanzine è originale, o per lo meno, se la fanzine ha veramente 20 anni, 30 o 40.

TG: Insomma, la cosa migliore sarebbe di poterne parlare con gli autori...

MG: Sicuramente. (risata) All'epoca c'era qualcuno che non aveva soldi, prestava queste riviste autoprodotte a qualche amico che a sua volta le riproduceva. Bisognerebbe capire se anche quei pezzi oggi vengono considerati originali... Chi lo sa?

TG: Hai un accento toscano, da dove vieni?

MG: Vengo dal Monte Amiata, in provincia di Grosseto.

TG: Ah, un bellissimo posto! Si va anche a sciare lì?

MG: Assolutamente, anche se negli ultimi due anni scarseggia la neve, è un'ottima meta, ci sono piste un po' corte, ma divertenti.

TG: Come saprai, io sono qua da te anche perché all'interno della mostra Kill your Idols, quando sono passato presso lo studio di Stefano Cerioli, ho trovato solo lui e Thomas Raimondi. Tu eri assente, così ho dovuto recuperarti. Vuoi approfittarne per raccontarmi qualcosa anche di quella mostra?

MG: Certo. Era un progetto interessante. La cosa fondamentale per me, che ho riscoperto anche in Stefano e Thomas, è stato il modo di partire da un rapporto personale, per arrivare poi ad un discorso più generale. Ci siamo scambiati i lavori e poi, a turno, ci abbiamo aggiunto varie idee, senza un obiettivo preciso. Adesso invece ci siamo dati degli obiettivi e cerchiamo degli spazi per fare vedere al pubblico i risultati che abbiamo ottenuto. Quello che mi interessa di più in questo progetto è il lato umano. Quando riesco ad interagire bene con le persone trovo facile lavorare a questo tipo di progetti. Noi tre siamo sulla stessa onda creativa, siamo tutti legati all'underground. Thomas ed io viaggiamo un po' sulla stessa strada, come tipo di tratto e di segno e per il tipo di messaggio che vogliamo mandare. Mentre Stefano è un po' distante dal nostro carattere grafico, però questo era proprio quello che cercavamo per spezzare la nostra immagine e integrare qualcosa di nuovo.

TG: Ho capito. Dopo tutti questi anni c'è ancora un immaginario Punk da illustrare?

MG: Secondo me, bisogna illustrare quello che è rimasto nel pensiero e nell'anima. Nonostante io sia ancora giovane, ho conosciuto il Punk 20 anni fa ma già allora il Punk era un movimento superato, diciamo così; però quando io mi sono avvicinato a questo modo di vivere, non solo all'espressione musicale che rappresenta, ho trovato un nido dove rifugiarmi e poter dire la mia opinione. Non dimentichiamo che io sono un grafico pubblicitario. Per me, è un filone da seguire e credo che il Punk, oggi, possa esprimersi attraverso le radici che gli sono rimaste, e perché no? Può ancora inviare un messaggio valido. Non è ancora tutto finito come si pensa. C'è bisogno di un messaggio diretto, non volgare e non eccessivo, semplicemente spontaneo.

TG: A livello grafico c'è chi ama l'underground? L'imprecisione voluta e l'Art-Brut? Se posso usare questo termine...

MG: Sì, è un termine che puoi usare benissimo per descrivere la mia arte, io faccio molto riferimento all'Art-Brut. Arrivo da una formazione artistica accademica, ho frequentato l'Accademia di Belle Arti di Firenze, ho seguito corsi di disegno classico, corsi di anatomia, di pittura a olio, per poi tornare a lavorare su quello che avevo lasciato sui diari con il disegno improvvisato. Nonostante fossi un conoscitore della tecnica, sono tornato alle origini perché sentivo quel tipo di disegno più vicino a me. Con la pittura non riesco a comunicare il messaggio che voglio, con il disegno classico nemmeno; oltretutto non trovo un disegno classico capace di trasmettere un messaggio come il mio. Guardandomi intorno vedo riproduzioni di quello che già esiste, ma se devi metterci un po' di anima e di te stesso; l'Outsider-art mi stimola e mi rende capace d'esprimermi come voglio. Il fatto che io abbia acquisito delle capacità tecniche mi limita un po' nel modo di affrontare l'Outsider-art, perciò devo in qualche modo cancellare quello che ho imparato per rientrare in uno stile più libero. Ne parlavamo anche prima con Servadio, il tatuatore, quando lui diceva che considera il tatuaggio, non come un mezzo tecnico, ma come un'opera d'arte che lui riporta sul corpo di una persona. Non ha finalità estetiche, ma una sua opera in qualche modo ti arricchisce e te la porterai a vita sulla pelle. Servadio non si concentra troppo sullo stile, sulla precisione o sulla scelta di mille aghi, un po' come faccio io. Non mi interessa che pennino usare. Io lavoro molto con i materiali di riciclo, con quello che mi capita, anche con i pennarelli usati, perché riesco ad ottenere da questi strumenti sfumature eccezionali. Ciò che si trova è importante e va sfruttato nel modo giusto.

TG: Hai qualche tatuaggio di Servadio su di te?

MG: Purtroppo no perché  l'ho conosciuto solo 6-7 mesi fa, grazie ad Alberto Brunello che ha fatto un progetto insieme a lui a Londra. Prossimamente però conto di rivolgermi a lui per farmi tatuare qualcosa.

TG: I tatuaggi che vedo su di te, chi li ha fatti?

MG: Uno studio di Grosseto che si chiama Luxury Tattoo, la mia ex-ragazza che lavorava come tatuatrice a Roma, gli altri sono miei. Me li sono fatti da solo.

TG: E Johnny Cash?

MG: Quello me l'ha fatto il Karma.

Tatuaggio di Johnny Cash
Johnny Cash, tatuaggio de Il Karma, un artista di Grosseto.


Old Shit tratta da "Smoke my Soul and buff Shit-Art", una Fanzine di Michele Guidarini autoprodotta in serie limitata.


“Sono un ragazzo malato, sono un ragazzo con una visione distorta della realtà. Quella realtà che non mi basta, quella realtà che per me è solo una pellicola che nasconde il mio immaginario. Nasconde la purezza dell'essere, nel bene e nel male. Nasconde i mostri, le fate, i chip sottopelle. Sono malato perché non vedo forme, contorni, colori, e bei capelli... ma solo sagome di ombre che esplodono nel buio, alla luce di tutti. Essere malato non significa non aver niente da dire. Essere malato rende solamente più sensibili.” Michele Guidarini

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