mercoledì 21 giugno 2017

I Promessi Sposi di Sandro Bolchi nei ricordi di un cineoperatore della Rai di Milano

"A Milano le cose andavano male. Nell'autunno i frutti della sommossa di San Martino cominciavano a farsi sentire, la sproporzione tra i viveri ed il bisogno crebbe. La carestia incominciò ad operare senza ritegno e con tutta la sua forza. C'erano pure e si distinguevano dai ciuffi arruffati e dai cenci sfarzosi molti di quella genia dei bravi che perduto il loro pane scellerato ne andavano chiedendo per carità... In tanto eccesso di stenti mai un grido di sommossa, ma noi uomini siamo, in generale, fatti così: ci rivoltiamo sdegnati e furiosi contro i mali mezzani e ci curviamo in silenzio sotto gli estremi..." da: I Promessi Sposi

Mario Pellegrini I Promessi Sposi
I set dove si realizzavano le riprese dei Promessi Sposi di Sandro Bolchi erano interamente costruiti dalla Scenografia della Rai.

La televisione, a differenza del cinema, non conserva una propria memoria della sua storia, dei nomi dei professionisti dietro le quinte e delle maestranze che hanno contribuito a realizzare un prodotto che il tempo ha trasformato in un'opera di grande rilevanza culturale e di costume.
Il 2 maggio del 1966 iniziavano le riprese televisive dei Promessi Sposi di Sandro Bolchi che poi verranno trasmesse in 8 puntate, dal 1 gennaio 1967 al 19 febbraio 1967 ed ebbero uno straordinario successo di ascolti e di gradimento con più di 18 milioni di telespettatori.
La Rai Tv non è sembrata molto interessata a ricordare questo evento storico, ma fortunatamente Tony Graffio s'è mosso nel suo giro di conoscenze ed è riuscito a trovare uno degli operatori che hanno realizzato le riprese televisive in studio ed in esterni. Mario Pellegrini, 86 anni, oltre a qualche ricordo verbale, mi ha fornito alcuni documenti fotografici inediti che egli stesso ha scattato durante le pause delle riprese televisive. TG


Fotografia di Mario Pellegrini
Con la messe finalmente cessò la carestia, quand'ecco un nuovo flagello: la guerra. Sesta Puntata.

Tony Graffio: In che hanno hai iniziato a lavorare in Rai?

Mario Pellegrini: Nel 1961, me lo ricordo bene.

TG: Come mai te lo ricordi così bene?

MP: Per me quello è stato un anno felice, perché io in Rai sono stato molto bene, ne ho passate tante, ma come la Rai non ce n'è! O meglio, non ce n'era... Non so adesso come funzioni, ma credo che sia cambiato tutto.


L'esercito Alemanno, sotto il comando supremo del Conte Rambaldo di Collalto, nel mese di settembre del 1629 entrò nel Ducato di Milano. Erano 28000 fanti e 7000 cavalli. Colico fu la prima terra del Ducato che invasero quei demoni. Sesta Puntata.

TG: Come hai deciso di fare il lavoro del cameraman, o detto in italiano, il cineoperatore?

MP: Ero un ragazzino e ce l'avevo nella testa, ma non solo la fotografia e le immagini, anche la pittura. In poche parole, ero molto interessato alle arti visive. Sono sempre stato affascinato da tutto quello che era immagine, sia fissa che in movimento. Mio fratello era due anni più giovane di me, ma due anni che cosa vuoi che siano? Ad un bel momento, eravamo due ragazzini che non sapevano che cosa andare a studiare. Mio padre mi ha spronato a prendere questa strada. A quei tempi, la Fiera di Sinigaglia si teneva in fondo a Corso Italia, gli oggetti di seconda mano venivano messi per terra per essere venduti. Si trovavano anche apparecchi radiofonici della Geloso, una fabbrica che oltre al prodotto finito metteva in vendita le scatole di montaggio, in modo che gli studenti e gli appassionati potessero fare le loro prime esperienze con l'elettronica. Una volta che si disponeva di queste scatole di montaggio, ci si divertiva con il saldatore e quant'altro a mettere insieme la propria radiolina.

TG: Anche tu ti divertivi così?

MP: Certo. L'ho fatto anch'io perché sono un essere curioso; la mia mente mi induce a farmi tutto da solo, se non costruisco qualcosa non sto bene. Anche qui a casa mia faccio ogni tipo di lavoro. Ti dico queste cose perché mio padre ci aveva incitato a iscriverci alla scuola di radiotecnica. A Milano esisteva questa scuola privata che si chiamava Beltrami, l'ha frequentata anche un altro amico che poi ho incontrato in Rai: Renato Re. E poi, non so chi altro. Molta gente che ho conosciuto in Rai veniva dall'Istituto Beltrami, ma ti assicuro che quella era una scuola che per conto mio non era così valida. La materia che insegnavano non mi piaceva.

TG: Troppo tecnica?

MP: No, a me piacciono le cose che parlano, non quelle che stanno zitte. Se una radio non funziona, perché? Dimmi qualcosa... Dimmi perché non funzioni? Dove hai bisogno di essere riparata che io ti compro la valvola nuova e te la cambio. Oppure una resistenza che sta nascosta chissà dove... Capito? Frequentavo questa scuola, ma non ero soddisfatto, perché a me sarebbe piaciuto fare altro, ma secondo la mentalità, d'un tempo fare un'attività artistica avrebbe significato morire di fame. Ad un certo punto, ho deciso di andare a scuola la sera e di giorno ho iniziato a lavorare presso un laboratorio fotografico dove facevo l'operaio. Stampavo e facevo le riproduzioni.

TG: Ti ricordi il nome di questa ditta?

MP: Certo, il laboratorio si chiamava Laghi e Minola e si trovava in Corso Garibaldi, a Milano. Poi, si sono trasferiti in via Foppa, ma non credo esista ancora.

TG: No, non c'è più.

MP: Lì ho imparato a sviluppare i negativi e a stampare. Anche quando andavo in vacanza mi portavo gli acidi per sviluppare. Avrò avuto 13 anni. Da cosa nasce cosa e grazie alle mie competenze fotografiche ho ottenuto il posto in Rai. Quando ho fatto la selezione sono stato interrogato da una commissione, e un ingegnere ha iniziato a farmi domande inerenti agli studi televisivi, argomenti che io mi ero premunito di studiare perché avevo un amico, Gigi Spangaro, un tecnico che già lavorava in Rai, che mi aveva informato su come si svolgeva una produzione televisiva. Grazie a Gigi, ero anche riuscito a visitare gli studi di Corso Sempione. Sapevo perfettamente che compiti svolgevano le varie figure professionali, che cosa faceva uno scenografo, che cos'era una scenografia, cosa faceva un regista, o una segretaria di edizione, che cos'era una sceneggiatura e tutto il resto. Allora, non era facile sapere queste cose e proprio queste erano le domande che mi hanno chiesto alla selezione. E poi, mi hanno fatto una domanda stupida. Mi ero accorto che questo ingegnere non sapeva gran che. Voleva sapere che cos'era quella mascherina che si mette davanti all'obiettivo... Sai cos'era?

TG: Il paraluce.

MP: Il paraluce... Ma santo cielo, io mi aspettavo chissà che domande... Poi, in effetti, mi ha fatto altre domande più impegnative ed alla fine ha detto: " Va bene, prendiamo nota." Tra parentesi, devo dire che da giovane ero un figurino di quelli giusti ed andavo da un sarto in centro, a Milano, che si chiamava Tasca. Alla selezione facevo la mia figura, altro che Alain Delon! Indossavo un principe di Galles sartoriale, fatto su misura, avevo una bella camicia bianca con i gemelli e una cravatta rossa a pois bianchi. Tutti mi stringevano la mano, sembrava che fossi il direttore della Rai (lunga risata), fatto sta che mi hanno detto che avrebbero preso nota della mia candidatura ad un posto di operatore di ripresa. Ho salutato e me ne son o andato, ma dopo neanche un mese mi telefona l'Ufficio del Personale proponendomi di riprendere una commedia in studio con più telecamere, non da solo... Io sapevo tutto, mi sentivo sicuro ed ero cosciente che si sarebbero fatte delle prove, che si sarebbero messi dei segni, che avremmo fatto carrellate e tutto quanto. Ho accettato. Mi presento in studio e c'era una grandissima attività. Ricordo che la commedia era "Simone e Laura", era interpretata da Anna Proclemer e da Gianni Santuccio. Il regista era Silverio Blasi. Ho ripreso quella commedia che è stato il mio primo lavoro e tutto è andato per il meglio, mi sembra che venne mandata in onda in prima serata, nel marzo del 1962. Il primo operatore era Antonio Garampi e nella squadra di ripresa c'era anche Giuliano Piol. Dopo di che mi hanno assunto ed ho fatto altri lavori. Ricordo che durante la commedia ho fatto una ripresa abbastanza difficile, c'era un letto d'ottone con tutte le bacchettine e la Proclemer che faceva un ballo frenetico sopra il materasso, saltando come una pazza. Nonostante utilizzassi un 50mm, un'ottica grandangolare fissa, montata sulla torretta della telecamera, non era stato semplice seguire l'attrice con le arie giuste.

TG: Immagino che non sarà stato facile vedere bene nei vecchi viewfinder in bianco e nero delle telecamere a tubi.

MP: No, si vedeva bene. La difficoltà era di mantenere un'inquadratura come la voleva il regista. Blasi era un regista molto bravo, perché era capace di cogliere le sfumature intime delle persone. Aveva molta cura per i dettagli e riusciva a seguire alla perfezione i movimenti che si verificavano sulla scena teatrale. L'ingresso di un attore, e subito dopo un altro che gli passava davanti, poi si seguiva un attore che si spostava e incontrava un'altra figura, bisognava raccogliere a due l'inquadratura. Si facevano campi e controcampi dei primi piani, capito?

TG: Hai sempre lavorato negli studi?

MP: No, dopo mi hanno passato alle riprese esterne.


Una gran parte degli abitanti della Valsassina si rifugiarono sui monti. Sotto le mani dei terribili Lanzichenecchi i mobili diventavano legna da ardere, le case stalle. Tutte le astuzie per salvare la roba erano inutili e qualche volta portavano danni maggiori. Sesta Puntata.

TG: Hai fatto qualche Giro d'Italia?

MP: Poca roba, volevano mandarmi nella botola della macchina, ma io ho detto di no, non sono un galoppino. A me piaceva la prosa.

TG: Che cosa ti ricordi dei Promessi Sposi? Eri contento quando ti hanno proposto di lavorare a quello sceneggiato?

MP: Certo, ero  molto contento. Le riprese in studio venivano fatte a Milano al TV3, quelle in esterne si facevano in un paesino ricostruito dalla nostra scenografia, era uno sceneggiato che si avvicinava più al cinema che alla televisione. Il set erano molto grande, e comprendeva spazi enormi per le scene di massa, al punto che si saliva sui trabatelli da dove si vedeva tutto il paese: questa è una cosa che mi ha molto colpito.





TG: Dove eravate?

MP: Mi sembra che fossimo in Piemonte, vicino a Torino, ma certe cose non le ricordo con precisione (Alcune riprese esterne milanesi sono state girate nelle campagne della Barona, altri esterni sono stati girati sull'Adda e a Casaleggio Boiro, vicino Ovada. ndTG).







TG: Hai lavorato per più di 30 anni in Rai?

MP: Dal 1961 al 1993. Era un lavoro che mi piaceva perché aveva a che fare con la fantasia, con le immagini. Perché ad un certo momento sul set dei Promessi Sposi andavo a fotografare una comparsa che interpretava uno dei bravi di Don Rodrigo che indossava certi costumi ed era truccata alla perfezione? Perché mi piaceva una figura che per me era significativa e per un certo gusto per l'immagine.







TG: Quando la televisione è cambiata?

MP: Intorno agli anni '80, quando non si sono più fatti certi tipi di prodotti televisivi e sono arrivati i contenitori; trasmissioni fatte soltanto per occupare il video con argomenti che possono anche essere interessanti che riguardano la politica italiana, o altri argomenti, ma snaturano il mezzo televisivo e fanno decadere il livello culturale degli spettatori. Questi tipi di trasmissioni mettono insieme molti argomenti e nulla hanno a che spartire con il tipo di prodotto che facevamo noi, una volta. Noi ci occupavamo molto di teatro, cinema, musica colta e letteratura. Questo discorso avrebbe potuto fartelo molto bene la povera Mara Annichiarelli, la moglie di Renato Re, faceva la segretaria di produzione, poi è diventata regista, ma adesso sia lei che Renato non ci sono più.


Mario Pellegrini durante le riprese dei Promessi Sposi nel 1966.

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