martedì 27 giugno 2017

Servadio

“Il piacere della vita sta nel saper amare. In fondo ad ogni opera buona c'è l'amore. L'amore è fonte di bellezza.” Giovanni Segantini


Servadio
Servadio

Michele Servadio è un giovane artista curioso che si esprime in varie forme artistiche, dai monotipi, alla musica sperimentale tra l'ambient e l'industrial, alla serigrafia ai raygramme (esposti attualmente al Black Book Spring Shop di Firenze) e si diverte a mischiare la stampa calcografica con la stampa fotografica utilizzando matrici per la stampa monotipo in proiezione per la stampa fotografica. Un'altra idea che ha in mente prevede l'utilizzo dei chimici per la stampa fotografica nella calcografia, ma è tutto ancora in fase embrionale. Solitamente si trastulla anche con cornici e strutture e oggetti vari, come bottiglie e via discorrendo che portano a creare dei monotipi fotografici che hanno chiaramente una resa al negativo di ciò che mostrano in visione diretta. La serialità non è il suo pane, ma all'occorrenza ricorre alla linoleumgravure, piuttosto che alla xilografia per produzioni di tipo DIY che richiedano la riproducibilità in piccole quantità, come potrebbero essere delle card o le copertine delle fanzine, delle musicassette o gli album musicali. TG

“Il monotipo mi piace perché è un modo veloce di pensare.” Servadio


Servadio a Filler s.e. 2017

Tony Graffio: Ciao Servadio, come stai?

Servadio: Benissimo.

TG: Com'è andata ieri, durante il primo giorno di Filler?

SD: Bene, è stata una giornata calma, ma abbiamo avuto il tempo di conoscere un po' di gente della ciurma e di conseguenza ne abbiamo approfittato per acclimatarci.

TG: Ti ho visto molto occupato, hai tenuto qualche workshop?

SD: No, essendo questa una convention di illustratori e non un'esposizione, cosa a cui non sono troppo abituato, ho pensato il mio banchetto come un work in progress. Ho portato con me una piccola pressa da incisione per dare qualche dimostrazione su come fare i monotipi calcografici.

TG: Una specie di workshop non ufficiale?

SD: Diciamo di sì. Un modo per scambiare idee, conoscenze e fondamentalmente un modo per approcciare la gente, perché non mi piace stare seduto a tentare di vendere le mie cose senza fare niente. Un po' perché non ce la faccio e un po' perché mi annoio. Preferisco sempre tenermi impegnato in qualche modo.

TG: Raccontami qualcosa di te: dove sei nato, che studi hai fatto e dove vivi adesso?

SD: Sono nato a Piove di Sacco, nelle campagne venete, vicino a Padova. Sono cresciuto nelle Alpi, ad Asiago, mi sono trasferito a Venezia dove ho studiato arte allo Iuav, l'Università delle Arti Visive dello Spettacolo che è un po' l'antitesi dell'Accademia, nulla a che vedere con la pittura o l'illustrazione o con il gesto. Sono dei corsi molto legati all'arte concettuale, all'istallazione e all'arte curatoriale. Poi, 7 o 8 anni fa sono andato a Londra, città che è diventata la base da dove mi muovo in Europa.

TG: Hai lì un tuo studio?

SD: A Londra avevo uno studio privato, fino a sei mesi fa, nel quale mescolavo tatuaggio, stampa calcografica e pittura. Ero lì insieme ad un altro ragazzo, Mabe, un caro amico. Con lui avevamo lasciato il tattoo shop per provare altre esperienze.

TG: Come si diventa tatuatori? Si impara da soli?

SD: Si impara da soli, ma di solito si fa l'apprendistato presso uno studio o un tatuatore che diventa il tuo maestro. Io avevo iniziato ancora in Italia e poi ho coltivato questa passione all'interno degli ambienti autogestiti in cui vivevo, a Londra. Dopo, ho iniziato a lavorare in una situazione più istituzionalizzata negli studi di tatuaggio in giro per l'Europa. A Londra dipingo, stampo e faccio i miei lavori, e poi viaggio ed espongo in diverse gallerie dove propongo i miei progetti che vanno dal tatuaggio, in primis, alla stampa, alla pittura, all'istallazione, fino alla performance nella quale unisco il tatuaggio al suono e alla ritualità. Il progetto Body of Reverbs è un rituale che va a riprendere quelle qualità perdute del tatuaggio. Oggi c'è l'abitudine di andare a comprare un tatuaggio come se si andasse in un supermercato, ma non è così che bisognerebbe fare.

TG: Dovrebbe essere il tatuatore a scegliere un soggetto per chi si vuol fare tatuare?

SD: No, il tatuaggio viene fatto in due, anche se parte sempre dalla necessità e dalla richiesta di una persona che decide di avere un tatuaggio sul proprio corpo. Non vorrei affrontare un discorso troppo vasto in questo contesto, ma nella società contemporanea la grande quantità di tatuatori ed il grande numero di clienti permette agli uni e agli altri d'incontrare la giusta persona per il giusto lavoro, pertanto credo che si stia svincolando un aspetto di artigianato del tatuaggio a discapito di un approccio più artistico, permettimi il termine, della pratica stessa.

TG: Nulla a che fare con lo sciamanesimo?

SD: No, lo sciamanesimo non c'entra, ma ha un suo significato quando vado a tatuare con lo spirito di Body of Reverbs in modo astratto e improvvisato, all'interno di una performance che connette il tatuaggio al suono, quindi suono sulle persone. Questo è l'ultimo progetto al quale sto lavorando.

TG: Ho parlato con il tuo amico Brunello che mi ha detto che ha conosciuto la stampa del monotipo attraverso di te.

SD: Sì.

TG: Tu come sei arrivato al monotipo?

SD: Credo d'aver visto qualcosa in internet, poi ne ho sentito parlare ed ho sempre voluto stampare in questo modo. Ho provato a fare dei linocut, delle incisioni, ho provato a stamparle a mano con una pressa di recupero e così, appena ho avuto un po' di disponibilità economica, mi sono comprato un torchio calcografico e da lì s'è aperta una porta infinita. Ho subito legato con la tecnica del monotipo perché non sono mai stato tanto affascinato dalla serialità. Concepisco la riproduzione seriale, a patto che sia all'interno di un'etica DIY dove fai le fanzine, oppure piuttosto che commissionare le mie card ad una tipografia, preferisco stamparmele personalmente a casa con materiali di recupero e trovo che così si possano ottenere risultati molto più veri e con maggiore soddisfazione. In quel caso sì, lì si ottiene una serialità che va bene perché è finalizzata ad un prodotto particolare. Per quello che riguarda la creazione di pezzi artistici trovo che il monotipo sia un mezzo d'espressione fresco, spontaneo, aleatorio. Il monotipo è la connessione più vicina tra quello che ho in testa, che viaggia molto velocemente, al risultato creativo. Puoi ottenere un monotipo ogni dieci minuti ed andare come il vento, sono uno più bello dell'altro e magari, su dieci, ne scegli due. Questo metodo artistico rispecchia perfettamente il mio processo creativo.

TG: Quanti anni hai?

SD: Quasi 31. Sono nato il 6 agosto 1986.


Un monotipo che Servadio ha realizzato sotto i miei occhi in un paio di minuti.

TG: Mi sembra che la stampa in monotipo non sia poi una modalità tecnica tanto usata. La state riscoprendo adesso?

SD: Il monotipo, non vorrei dire che ha una storia antichissima, ma è una tecnica che si fa ed è sorprendente quanti monotipi si possano scoprire abbiano fatto anche artisti famosissimi. Mi viene in mente Monet, per esempio. O altri artisti che conosci solo dai libri di storia dell'arte e che credevi avessero dipinto soltanto dei quadri ad olio. Così capisci che tutti questi artisti conosciuti per una manciata di opere, in realtà hanno avuto una produzione artistica molto più vasta di quello che si potesse pensare. Il monotipo mi piace perché è un modo veloce di pensare.

TG: C'è anche il Cliché Verre, o Gravure Diaphane che in qualche modo potrebbe essere considerata una tecnica di stampa incisoria e ha a che fare con la carta fotografica. Si tratta di lasciare un segno su una lastra di vetro annerita con il nerofumo, in questo modo si ottengono disegni che diventano delle specie d'incisioni fotografiche. Non c'è bisogno d'utilizzare l'inchiostro con questa tecnica che era in voga verso la fine del 1800, poi è scomparsa.

SD: Interessante, potrei provare a fare qualcosa anche in questo modo. Con il monotipo lavori su plexiglass, su lastre di zinco o rame, su vetro non credo perché è un materiale piuttosto fragile. Io non ho mai studiato incisione, ho un approccio molto empirico con le varie tecniche: provo e pian piano aggiusto il tiro...


Un  monotipo realizzato al momento, quasi per gioco davanti a me da Servadio e Alberto Brunello.

TG: (Indicando una stampa) Questo monotipo come lo hai realizzato?

SD: Si tratta di una lastra di plexiglass e questa cosa sfumata che ha una texture molto caotica è semplicemente un colore molto diluito, messo a pennello e lavorato con la carta di giornale. L'inchiostro, non potendo essere assorbito dal supporto che lo ospita, perché siede su una lastra liscia, non asciuga e tu lo puoi muovere e portarlo dove vuoi. Di conseguenza, in questo modo riesci ad avere degli effetti che lavorando direttamente su carta non riusciresti mai ad avere. Questo significa che puoi lavorare in modi diversissimi e poi riportare quello che è su lastra su carta ad un livello di definizione incredibile.

TG: Io ci vedo un paesaggio industriale. E' quello il soggetto rappresentato?

SD: Sì, un misto tra l'industria e la campagna. I miei lavori spesso parlano dell'uomo e della sua condizione rispetto all'ambiente che lo ospita. Così, capita che ci siano contrapposizioni tra personaggi umani ed ambiente, inteso come un panorama nel quale si muovono figure molto crude ed un po' sperdute che vagano nei campi e nelle città; dipende...

TG: Mi diceva Alberto che tu lavori anche con la fotografia. E' vero?

SD: Sì, ultimamente mi sono affacciato alla fotografia che è un linguaggio che ho dovuto imparare per lavorare con il tatuaggio, poiché quando fai un tatuaggio dopo devi fotografarlo. Il fatto di dovergli fare una fotografia ti dà una certa attenzione che ti spinge ad allargarti per vedere la persona, cosa che adesso mi ha portato a fare ritratti ai miei clienti o ai miei amici. A volte, sono dei ritratti di persone che portano quei tauaggi che io ho fatto sulla loro pelle. Recentemente, insieme a Mick Boiter, Michele Sesso e Alberto Brunello collaboro al loro laboratorio che si chiama Maniera Scura dove fondiamo la tecnica di stampa fotografica analogica, in camera oscura, con la calcografia. Abbiamo incominciato a sperimentare una fusione tra le due tecniche e di conseguenza abbiamo sviluppato una serie di lavori in cui una lastra dedicata al monotipo viene sovrapposta ad un negativo del cliente che ho tatuato, al quale poi disegno sopra e tutto alla fine viene riportato su carta fotografica per mezzo dell'ingranditore. Ritengo questo mix di tecniche estremamente interessante e per me molto nuovo.


Il banchetto di Servadio a Filler s.e. 2017 ed alcuni grandi monotipi in formato cm 50X70.

TG: Parliamo di prezzi. Un tuo monotipo 50X70 quanto costa?

SD: Qui è intorno ai 300 euro, ma se vai in galleria, solitamente il prezzo raddoppia.

TG: Hai rapporti anche con gallerie d'arte?

SD: Non tantissimo, però recentemente abbiamo fatto una mostra solo di monotipi alla Galleria Varsi di Roma. Tra il marzo e l'aprile scorsi. Abbiamo portato il torchio a Roma e abbiamo utilizzato la galleria come laboratorio ed in 20 giorni abbiamo prodotto tutto il lavoro che poi ha allestito la mostra nella galleria stessa, tenendo il torchio in una posizione centrale. Era una collettiva a cui partecipavano, oltre a me, Gonzalo Borondo, il trio Canemorto e Giacomo Ran. Loro vengono più dalla Urban Art, dipingono muri, non hanno niente a che vedere col tatuaggio o con l'incisione, ma sono arrivati anch'essi al monotipo perché tra il 2014 ed il 2015 eravamo tutti insieme a Londra, io avevo appena comprato la pressa ed avevo appena scoperto il monotipo. Loro sono i miei amici e di conseguenza li avevo invitati tutti da me a sperimentare questo nuovo mezzo. Abbiamo passato notti e notti a stampare convulsivamente nel mio studio e da lì, due o tre anni dopo ci siamo reincontrati a Roma dove abbiamo lavorato esattamente con la stessa tecnica. Abbiamo prodotto ininterrottamente monotipi; spontaneamente almeno 500 lavori.

TG: Quanti sono stati esposti?

SD: Non lo so, non li ho contati, però i muri della galleria erano pieni delle nostre stampe. Solo in una stanzetta dove ho fatto un lavoro un po' più installativo, dove ho esposto una serie di stampe più pensate per poter stare insieme, ce n'erano circa una trentina e quella stanzetta era solo un decimo lo spazio della galleria. Tra una cosa e l'altra, ci saranno stati 200 o 300 pezzi, non lo so, non sono bravo con i numeri... però ce n'erano un bel po'.

TG: Forse non ti interesserò perché è una tecnica che si basa sulla serialità, ma con la serigrafia hai mai avuto a che fare? Ci hai lavorato?

SD: Con la serigrafia ci ho lavorato al tempo delle scuole superiori, con gli amici, non con la scuola. Volevamo fare le magliette perché avevamo un nostro gruppo. Volevamo fare anche i poster. In quegli anni a cavallo tra le superiori e l'Università ho malamente stampato in serigrafia. La pulizia e la serialità richieste da questa tecnica mi stanno un po' strette però mi piace. Ho scoperto che si possono fare un sacco di cose belle con questa tecnica, anche perché può essere una tecnica completamente aleatoria. A breve vorrei riprendere a lavorare in questo modo.


HMS Ledsham (M2706)
HMS Ledsham (M2706)

TG: Alcune mie amiche sono state a Londra nel 2015 e mi hanno detto d'aver stampato serigrafie in un laboratorio attrezzato su una nave di legno che recentemente è bruciata, la conosci?

SD: E' bruciata ed esplosa, certo, era la cara e vecchia Minesweeper. All'inizio io e Kevin, colui che ha fatto partire tutto il progetto, abitavamo insieme in uno squat a Nord di Londra. Ti parlo di fatti che risalgono a circa 5 anni fa. Lui mi aveva proposto di andare a vedere questa nave e lì abbiamo conosciuto delle persone bellissime. Ho partecipato alla ricostruzione della nave: quello è stato un periodo veramente bello, poi la vita ti separa... Abbiamo preso percorsi diversi. La nave era bruciata una prima volta, ma galleggiava, noi l'abbiamo riparata... era una dragamine attiva nel Canale di Suez durante la crisi in questa zona negli anni '50, per non so quali operazioni della marina di Sua Maestà. Ho visto un filmato dove c'era il Duca d'Edimburgo che visitava la nave, proprio lei: pazzesco!

TG: E' andato tutto a fuoco per colpa di una stufetta?

SD: Credo di sì, io non c'ero. Andavo una volta all'anno a visitarli, quindi non ho più molti contatti con il Collettivo della Minesweeper. E' stato un brutto colpo, però adesso hanno un'altra nave. La notizia dell'incidente era stata diffusa dai giornali e qualcuno che aveva un'altra minesweeper, sempre a Londra. Una sorella della HMS Ledsham (M2706), in condizioni migliori, credo sia stata donata ai ragazzi. Non ne sono sicuro, ma indagherò su questa cosa. Devi chiedere a Joe Furlong o a Kevin. Joe è un bravissimo artista, fa parte della ciurma, da sempre è al Crack di Roma e a suo tempo aveva portato il Collettivo Minesweeper a quel festival.

TG: Perché tu hai lasciato la minesweeper?

SD: I miei progetti con il tatuaggio occupavano troppo spazio ed io ho dovuto staccarmi da quel progetto?

TG: Per quanto tempo hai vissuto sulla dragamine?

SD: Per i primi 18 mesi-due anni ero lì con loro ogni giorno, vivevamo sulla barca, potevamo farci delle docce calde e lavorare lì.

TG: L'attracco sul Depford Creek era legale?

SD: Era tutto ben tollerato; la gente conosceva la minesweeper e nessuno s'è mai opposto a questa situazione.

TG: Andrai a vedere cos'è accaduto nel frattempo alla nuova minesweeper?

SD: Adesso finalmente, sto per rientrare a Londra, dopo sei mesi di vagabondaggio in giro per l'Europa e sentirò Joe, perché sono curioso di sapere che cosa stanno combinando i ragazzi.

TG: Un'ultima cosa, conosci Wonderbee?

SD: Sì, ho incrociato Barbara sulla minesweeper mentre faceva una residenza artistica e poi l'ho incontrata anche al Crack Festival. Non la conosco molto bene, ma mi ricordo di lei.

TG: Pensi di riaprire il tuo studio?

SD: Credo che lavorerò a progetti più a lungo termine in posti diversi; è tutto un grande punto di domanda. Purtroppo e per fortuna...

TG: In bocca al lupo allora.

SD: Grazie mille.


Servadio Servadio
Servadio, 30 anni, artista.

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