domenica 2 aprile 2017

Basement Party - the Story - La cultura della birra.

Jack Rabbit beer
Jack Rabbit Brewpub Indipendente. I fermentatori dietro al vetro.
La birra è cultura, ha una storia multimillenaria, è conosciuta da tutti i popoli, ha un'infinità di varianti, aiuta a socializzare ed è un alimento sano. In Irlanda è considerata alla stregua di una medicina perché si ritiene che in piccole dosi possa aiutare la montata lattea, anche perché ha un effetto diuretico. E' nutriente, ha un apporto calorico moderato, fa bene alle ossa, è ricca di vitamina B6 e di sali minerali essenziali. Se tutto questo non bastasse, sappiate che sembra che la birra abbia perfino un effetto afrodisiaco. Sicuramente, predispone ad una maggiore facilità di relazione ed è la regina delle feste perché, a differenza di altre bevande più alcooliche, ha minori effetti collaterali ed è facilmente digeribile. Era impossibile non parlare di lei, tanto più che ha dimostrato di essere un'opportunità di sviluppo per alcuni giovani imprenditori di Jesi e dintorni che operano con serietà e dedizione nei settori dell'alimentazione e della ristorazione. In occasione del Warm-up del Basement Party, ho voluto fare qualche domanda a Marco Tombini, uno dei gestori di un particolarissimo locale di Jesi che ha al suo interno un micro-birrificio molto innovativo. Purtroppo, non sono riuscito a gustarmi le birre Jack Rabbit perché le scorte erano già esaurite, ma in futuro, chissà... Potrei decidere di recarmi a Jesi per una trasferta alcoolica, visto nei dintorni ci sono altri birrifici artigianali, come il Godog, il Mastio ed altri, qualche chilometro più in là; mentre a giugno arriverà anche Wallop.
E' sempre interessante carpire qualche notizia direttamente a chi ha a che fare con la preparazione della birra, per questo vi riporto di seguito cosa mi ha detto Marco, nel caso qualcuno già stia pensando di seguirne le orme. TG

Marco Tombini dietro il banco del Jack Rabbit, a Jesi. Alle sue spalle si scorge l'artista Sabaprodaktion che era alle prese con il Live Painting sulle volte del Brewpub.
Tony Graffio: Ciao Marco, raccontami qualcosa. Per cominciare: chi siete? E in quante persone gestite questo locale?
Marco Tombini: Allora... siamo tre soci: io, Elisa la mia compagna e il terzo socio è un birraio. Ci siamo conosciuti circa un anno e mezzo fa. Jack Rabbit nasce da un'idea di base che è fondamentalmente l'amore per la birra in generale. Io e Elisa venivamo da un'esperienza di beer shop di tre anni, sempre qui a Jesi. Poi, si è unito alla squadra quest'altro ragazzo che è un mastro birraio.
TG: Come si chiama?
MT: Thomas Mutti. Siamo tutti volenterosi, ma diciamo che a livello di titoli... non siamo nessuno.
TG: La birra è buona?
MT: Funziona tutto molto bene. Infatti, la birra l'abbiamo già finita. Non riusciamo a stare dietro alla produzione perché finisce subito.
TG: Quanta ne producete?
MT: Abbiamo un impianto da 250 litri. E una cantina da 2300 litri, più o meno.
TG: Fate anche l'imbottigliamento?
MT: Abbiamo imbottigliato qualche lotto. Qui all'interno del locale però possiamo fare solo fusti. Poi, abbiamo trovato dei sistemi anche per imbottigliarla esternamente. E così abbiamo fatto anche qualche bottiglia, però ti ripeto non basta neanche per il consumo interno. Che altro ti posso dire: molto semplicemente l'idea è quella di andare contro la standardizzazione del gusto, in generale. Cerchiamo d'uscire dalla logica di mercato e del commercio che negli ultimi anni ha interessato molto il fenomeno della birra artigianale a prezzi sempre molto alti. Fenomeno che provoca una caduta di popolarità per questo tipo di prodotto.
TG: In Italia la birra è troppo tassata.
MT: Sì, la birra in Italia è sicuramente molto tassata. Inoltre, le materie prime buone costano tantissimo.
TG: La fermentazione avviene qui da voi?
MT: Si, certamente. 
TG: Quindi lo fate germogliare voi l'orzo?
MT: Allora, stiamo piantando il luppolo e a livello di malti no, per ora, compriamo tutto. Anche perché comunque la qualità e la sicurezza del prodotto fondamentalmente te la danno i maltifici che lavorano da decine di anni. Soprattutto quelli tedeschi o belgi. Dopo di che tutti i progetti relativi all'agricoltura che possono riguardare anche il campo della birra sono comunque interessanti. E' un modo per riqualificare il territorio. Adesso molti piantano orzo e riescono a maltarlo. Ad Ancona abbiamo l’unico maltificio artigianale italiano. Siamo a Cobi, è una cooperativa. Conferisci l'orzo e ritiri il malto, funziona come una cantina sociale. Fondamentalmente, l'idea è buona, poi piano piano si arriverà anche ad avere un certo tipo di offerta. Ci vorranno anni, sicuramente. E' un fenomeno in ascesa anche in zona. Quello che vogliamo fare noi è portare un'idea di territorio sulla tavola attraverso il cibo. La birra rimane il nostro parco giochi. In quel caso la territorialità c'è relativamente. Il bello della birra è un po' quello, cioè di creare delle ricette dal nulla, in laboratorio. Come se il birraio fosse un piccolo chimico. E lì seguiamo più o meno i gusti personali e cerchiamo di dare un'identità a quelle che sono le nostre birre.

Federica, il volto sorridente del Jack Rabbit
TG: Come si chiama il vostro brand?
MT: Jack Rabbit Brewpub Indipendente. Abbiamo sede qui in Via Federico Conti a Jesi.
TG: E il birrificio è questo che vedo dietro a quel vetro?
MT: Sì, è qui attivo internamente al locale. La birra prodotta qui e messa nei maturatori non vede luce e non prende aria fino a quando non cade nel bicchiere del cliente la prima volta. Quindi da quando è orzo, prodotto fermentato alle fasi successive, è tutto in isobarico, a pressione e a temperature controllate. Hai un'integrità ottimale rispetto al prodotto che vai a servire.
TG: Che birra producete? Ale? Stout?
MT: Siamo molto masochisti, siamo partiti da una Pils, anche se chiaramente non sarebbe una cosa da fare.
TG: Perché?
MT: Perché le basse fermentazioni richiedono un periodo di stoccaggio e di maturazione due volte, tre volte più lungo rispetto ad un'alta fermentazione. In più, è una birra molto difficile da fare, giochi su tre fattori: è una birra semplice, ma dove anche un minimo di errore, una temperatura sbagliata, rischia di rovinarti l'esperienza sensoriale, a livello olfattivo e gustativo. Rischi di avere un prodotto che non va bene. Fondamentalmente è più "semplice" la Ale. Siamo partiti con la Pils perché era una carta che il birraio voleva giocarsi subito, perché era una birra che faceva già da dieci anni. Poi, noi siamo innamorati dei luppoli quindi Ipa e tutto quello che è il mondo delle luppolate. Amiamo sperimentare e spingerci molto oltre, la birra per noi deve essere amara. Abbiamo fatto una double Ipa 146 Ibu, che sono i gradi di amaro. E' una birra estrema, selettiva come dico io. Perché se a una persona piace il luppolato deve comunque piacere anche l’amaro, secondo me. Poi ci piace sperimentare, quindi abbiamo fatto una Strong Ale a Natale, la piccola aiutante di Babbo Natale, che è stata il nostro primo esempio di Strong Ale, una birra rossa con una gradazione sugli otto gradi. E' piaciuta tantissimo anche quella. Sperimentiamo man mano degli stili diversi. Faremo una finta Weiss: lo diciamo non siamo troppo amanti del frumento. Sperimenteremo poi tutte le varie blanche che ci interessano di più. Penso che faremo a breve una, non proprio single hop: produrremo delle Ipa semplici dove la semplicità del corpo e la secchezza, la facilità di beva saranno le caratteristiche, con una luppolatura fresca. Quindi chi verrà, avrà la possibilità di assaggiare delle birre semplici con un buon impatto, a livello di luppolo. Inutile mettere quaranta luppoli in una birra, ne metti due che risaltano bene con un corpo leggero molto snello. L'idea è questa, semplicità e sperimentare un po' i vari stili.
TG: Birre Stout?
MT: Stout. Assolutamente. Una birra Stout affumicata l'abbiamo già messa in cantiere. Ci sta sfuggendo la stagione invernale. Probabilmente, anzi sicuramente sarà pronta per la prossima stagione. Faremo anche una Pumpkin Ale, una birra alla zucca che è un altro asso nella manica del nostro birraio. E una Stout sicuramente, da vedere se faremo un'affumicata come già abbiamo sperimentato. O più una stout da tavola, cioè una Dry Stout con una gradazione più gentile, vedremo. Ci piace provare. Soprattutto avendo un piccolo laboratorio e non avendo i vincoli del birrificio classico che deve ripetere le stesse ricette perfettamente, qui il birraio ha il lusso di potersi permettere di giocare come vuole con le proprie birre. Quando c'è una materia prima buona, andiamo a prenderla e poi, al limite, concepiamo la birra, cioè partiamo da punti diversi. Se troviamo un ingrediente, uno lievito, un malto, o abbiamo un luppolo che ci piace tra le mani, da lì partiamo a pensare la ricetta. O viceversa, se vogliamo fare qualcosa perché vogliamo farlo assolutamente, cerchiamo successivamente la materia prima. Non abbiamo vincoli. Questo è lo spirito del locale, sia in cucina che per la birra: giocare.
TG: Da che esperienza e preparazione arrivi?
MT: Abbiamo avuto per tre anni questo beer shop, io e la mia compagna. Sono laureato in filosofia, anche se questo non centra nulla con il mio percorso professionale. Prima non ero nemmeno troppo appassionato di birra, mi sono dato alla la birra quando ho scoperto la birra artigianale e il fenomeno italiano. Da lì chiaramente è partita una passione che mi ha portato in Belgio, un po' in giro a vedere quello che erano le tradizioni. Quando ho aperto il beer shop ero un novizio sotto tutti i punti di vista. Ho conosciuto questo fenomeno bello, giovane e colorato della birra artigianale e il suo rovescio della medaglia che è il lato economico. La moda ossessiva, la ricerca di uno stile sempre più particolare, o delle birre sempre più estreme. Comunque sia, è una delle poche cose in Italia che attualmente, secondo me, possono inspirare e inculcare un po' di voglia di fare, una spinta emotiva che poi porta a sperimentare e a buttarsi in imprese imprenditoriali come questa che per tre ragazzi sotto i trentacinque anni è stata una cosa folle. Per fortuna che qualcuno ci ha dato retta e ci ha in qualche modo permesso di realizzare questa impresa. Aprire un brewpub in Italia, nel centro storico, dentro le mura cittadine è stato difficile come scalare l’Everest.
TG: Senti, ma mi sembra che tu abbia vinto un premio. Per questo motivo sei riuscito a far partire questa attività?
MT: No, assolutamente. Ti sbagli, però è carino raccontarlo, ci tengo a dirlo, perché è un'altra bella storia imprenditoriale che si sta realizzando in questa zona. Si tratta di un gruppo di ragazzi di Monsano, molto simpatici: hanno vinto il premio Homebrewers l'anno scorso, in occasione del Beer Attraction. Loro adesso stanno finalmente arrivando a conclusione di questo progetto. Apriranno un birrificio qui vicino. Ha aperto un altro birrificio ancora qui a Jesi l'anno scorso: si chiama Godog. In zona comunque si tra creando un po' di movimento, qualcosa di credibile, mentre prima c'erano tanti esperimenti, ora siamo diventati “imprenditori”.
TG: Io a Milano conosco Paolo Polli, è abbastanza un'autorità nel campo della birra. Aveva una trasmissione su Sky. Con lui mi sono sempre trovato un po' in disaccordo perché lui è vero che sostiene molto i birrifici italiani, però a me il mastro birraio italiano quando inizia a speziarmi la birra in mille modi non mi entusiasma… Io preferisco bermi una birra tradizionale fatta bene. Capisco che uno voglia distinguere il proprio prodotto, però per me la birra deve sapere di malto, di birra, di luppolo. Che cosa ne pensi?
MT: Allora guarda: sulla birra il discorso è molto aperto, nel senso che essendo appunto una ricetta che nasce in laboratorio dall'idea di qualcuno, questo qualcuno può avere qualsiasi tipo di pulsione nel momento in cui crea. Mentre il commercio, cioè la birra industriale va a scegliere il proprio prodotto in base ai gusti del pubblico, nel nostro caso si inverte il discorso: il gusto del birraio va poi a incontrare il pubblico e non è detto che piaccia. Ognuno può fare le cose folli che vuole. Poi ognuno ha il proprio gusto e il proprio modo di vedere il prodotto.
TG: La birra alla castagna, allo zenzero, all'arancia dopo un po' stancano.
MT: Sì. Ok, ti dico ognuno ha i propri gusti. Secondo me certe scelte si abbinano bene… certi esperimenti ci possono stare, qualche spezia anche. Ti ripeto, la moda ossessiva, o andare in gruppo verso una direzione effettivamente è una cosa che non capisco nemmeno io. Capisco il singolo che magari nasce pazzo, per dire, e vuole fare la birra con l'ortica, però la fa lui! Che piaccia o no è originale, se poi altri mille fanno la birra con l'ortica perché un disciplinare ha detto che probabilmente diventa lo stile italiano… Mi viene in mente il fenomeno delle Italian Grape Ale… O la ricerca con i mosti d’uva o la birra alle castagna che hai citato prima. La ricerca di un brand, di una tipologia di birra italiana, autoctona, che abbia la sua valenza nazionale. Se c'è un'esasperazione in questo senso, anche io non lo comprendo e preferisco assolutamente cose semplici che è quello che cerchiamo di fare noi. A parte che noi siamo proprio all'inizio di questa attività. Essendo stati appunto in mezzo a questo commercio caotico che c’è ora, per tre anni, non tantissimo: quello che ho visto mi ha insegnato a ripartire un po' da capo, cioè da quelli che sono gusti semplici, sperimentando piano piano, e arrivare ad un prodotto che deve dare una soddisfazione genuina a chi hai davanti. Se io ti spiego una birra e mi ci vogliono dieci minuti per spiegartela forse qualcosa non va bene. Questo è quello che vedo io al bancone, perché nasco publican piuttosto che birraio. Il birraio magari ti dirà un'altra cosa. Quello che vedo io è che la birra deve essere un qualcosa di diretto, le sfumature è vero ci sono, è bellissimo fermarsi a meditare sopra delle birre, e la capacità di tanti di usare le spezie. Però quello che qui facciamo, parlando di noi, è cercare di fare dei prodotti fatti bene, con una certa semplicità, di beva ma soprattutto di gusto. Poi magari fra qualche anno sperimenteremo barriccature, chips in rovere. Vedremo dove ci porterà. Però l'idea fondamentalmente è che la birra deve essere una bevanda popolare. Da qui anche l'idea di tenere i prezzi bassi, cioè aprire un locale dove produciamo la birra per riuscire a far diventare un po' più popolare questa bevanda. Perché per un ragazzo spendere 12 euro al litro è un problema. Già se porti il prezzo a dieci ci arrivano. Se riesci a tirarla anche un po' più bassa, sicuramente è meglio, anche per introdurre il fenomeno nelle fasce più giovani. E' un movimento giovane però essendo tale mi sembra un controsenso che una bottiglia vada costare 16-18 euro. A quel punto non è più giovane, è un super vino o qualsiasi altra cosa. Poi che il prezzo abbia sia giustificato ci sta: non sono prezzi sparati, tranne per qualche moda. Il luppolo costa tantissimo, l'accisa è molto alta, il costo del laboratorio c'è, l’etichetta, la bottiglia, in Italia costa tutto otto volte di più rispetto a qualsiasi altro posto.
TG: A quel punto, uno sceglie una birra tradizionale, che sa che cos’è, una birra belga o inglese…
MT: Sì, però quello che mi piace tantissimo del fenomeno italiano è l’essere svincolati dalla tradizione. Noi, paese tradizionalmente legato al vino, dove il vino è la nostra cifra identificativa, abbiamo visto scoppiare questo boom inarrestabile su una bevanda complementare dove, ripeto, siamo completamente svincolati dalla tradizione e stiamo tirando fuori tutta la fantasia e la capacità manuale, o anche artigianale, nel creare dei prodotti da zero. Ispirandoci ad un qualcosa che ci ha fatto provare delle emozioni. Tutti i grandi birrai, Musso o Arioli o compagnia bella, sono stati ispirati comunque dai loro viaggi, dalle emozioni che hanno provato bevendo birra belga o andando nei monasteri. Bello questo: tanta fantasia e tanta spinta anche giovane perché è un fenomeno con dei picchi su fasce di età anche molto basse. Ci sono anche giovani imprenditori, giovani birrai. E' carino insomma, molto colorato.
TG:Tu quanti anni hai?
MT: Io 35 quest'anno e sono tra i più vecchi dello staff. Arriviamo fino ai 21, è bello insomma tutto quanto. Il locale è un po' ibrido, nel senso che non siamo solo birrificio. Perciò parlare già con un birraio che fa solo quello, è estremamente diverso. Io sicuramente non avrei mai fatto una scelta di birrificio “secco”, diciamo così. Anche perché il locale ti permette un'ampia libertà di manovra, qui puoi decidere cosa proporre e come proporlo. E in più non sei vincolato unicamente al mercato: sei tu che vendi al bancone. I tuoi prodotti hanno un appeal, per quanto lo vedo io, molto più alto rispetto a grandissime birre. In più qua siamo in un posto dove la selettività è poca da parte del cliente. Se metto per esempio una tipo Pils, tanti non sanno cosa sia, o anche grandi birre italiane. Però vedo che l'appeal che ha la birra prodotta nel locale è molto forte, la gente tende a prendere quello che è stato fatto qua dentro.
TG: Senti, volevo chiederti un'ultima cosa: qual'è l’importanza dell’acqua?
MT: E' fondamentale. Qui, purtroppo, abbiamo una specie di cisterna in questo palazzo storico, quindi abbiamo dovuto mettere una serie di filtri per riuscire ad avere comunque un prodotto pulito e sicuro, privo di batteri.
TG: Quindi è un'acqua di raccolta?
MT: No, è comunque acqua dell'acquedotto, gira, però sì c’è un bacino all'interno del palazzo. Abbiamo fatto delle analisi: l’acqua ha un ottimo grado di durezza, è un acqua praticamente quasi dolce. Funziona molto bene, per il discorso che ho fatto prima, per la Pils, è un'acqua poco dura. Abbiamo la fortuna che aggiungendo qualche sale va bene anche per fare Ipa o birre super luppolate. Però l'importanza dell'acqua è chiaramente fondamentale. Per fare un brewpub il discorso cambia. Se dovessi fare solo un birrificio magari sceglierei la mia fonte. Il brewpub dovevamo collocarlo in un posto dove comunque ci fosse movimento. E poi, noi siamo nati con il beer shop qui vicinissimo perciò abbiamo la nostra clientela affezionata e abbiamo trovato comunque un'acqua buona. Va bene, non sarà la migliore, ma è buona. L'acqua è l'ingrediente fondamentale di partenza.
TG: Quanto puntate di produrre in futuro?
MT: Oddio, questo è tutta una scoperta perché già in partenza abbiamo calibrato l’impianto. Come dicevo, questa cantina è più o meno sui 2300 litri, però non sappiamo bene, già adesso, come muoverci. Nel senso che appunto tu sei venuto qua e noi non abbiamo più birre nostre alla spina  da darti, perché quando siamo partiti, evidentemente, abbiamo fatto male i conti. Dobbiamo vedere, questo è tutto una scoperta: per adesso abbiamo prodotto continuativamente però non saprei darti una stima. Siamo partiti a settembre e dobbiamo ancora capire in un medio periodo quanto produrremo. Per ora posso dirti solo il più possibile. Mi viene da ridere.
TG: Senti, ho visto che adesso vendete la birra del birrificio di Lambrate…
MT: Sì, abbiamo preso qualcosa adesso del Birrificio di Lambrate, è quella la birra che stai bevendo. Siamo scesi al Beer Attraction, abbiamo trovato qualche fusto fresco, l'abbiamo preso al volo. La filosofia chiaramente o uno degli esempi, anzi “l'esempio” di brewpub sono sicuramente loro de “Il Birrificio di Lambrate”. Un mito assoluto per tutti noi.
TG: Grazie Marco, buon lavoro.
Jack Rabbit Brewpub Indipendente, via Federico Conti3/a, Jesi


Ho voluto chiedere un parere a Giuseppe De Filippis, un amico che da tanti anni segue il mondo della birra, per avere un consiglio autorevole da dare a tutti coloro che stanno preparandosi ad avviare nuove attività o a confermare la loro presenza in questo settore, in un momento di espansione del mercato come quello che stiamo vivendo che potrebbe anche rivelarsi un momento particolare, per quello che riguarda la saturazione dell'offerta di questo tipo di prodotto. Ecco che cosa ci ha detto:
"Le giovani realtà che si affacciano in uno scenario di mercato che vede ormai la presenza di più di mille tra birrifici, brewpub e beer firm devono sapere che il momento è abbastanza delicato perché la crescita in questo settore non può essere illimitata. La passione e l'attenzione alla qualità sono elementi fondamentali e lo è altrettanto avere ben chiara la direzione che si vuole intraprendere, unita ad un approccio imprenditoriale da cui, ormai, proprio per i numeri di cui sopra, non si può prescindere. Ben vengano le "mode" del momento, Juicy, NEIPA ed altro, ma ricordiamoci anche che è importante saper offrire una proposta stabile che contribuisca a costruire la personalità del birrificio. In bocca al lup(pol)o!" GDF

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2 commenti:

  1. Giuseppe De Filippis4 aprile 2017 alle ore 17:51

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    1. Il commento di Giuseppe De Filippis, vista la pertinenza del discorso, è stato inserito nel testo come un consiglio generale.

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