"La vita del designer è una vita di lotta contro il brutto." Massimo Vignelli
Davide Bolzonella è un art director che negli anni '80 ha maturato una grande competenza professionale nel campo dell'impaginazione e della grafica editoriale; ha lavorato con gli editori di libri e riviste più importanti, con i leader del mercato italiano come Electa, Mondadori, che all'epoca aveva delle nicchie di mercato piuttosto evolute, oltre che per Condé Nast che ha una copiosa serie di riviste ancora sul mercato ai nostri giorni. Tra i periodici più importati, naturalmente citiamo Vogue Donna. Ancora oggi Bolzonella si occupa di grafica editoriale e di altre forme di grafica e coordina l'immagine editoriale quando un editore non è strutturato per la realizzazione di progetti che vanno curati adeguatamente.
Ho sottoposto all'attenzione di Davide Bolzonella il libro che ho realizzato per lo scorso Basement Party, in modo da capire se l'immagine esposta in copertina era adeguata alla tipologia del prodotto culturale proposto.
Ho deciso di parlare di questo argomento sulle pagine di "Frammenti di Cultura" perché molti lettori potrebbero essere interessati a questa analisi ed eventualmente per stimolare un piccolo dibattito tra gli addetti ai lavori e coloro che hanno contribuito all'ideazione dell'immagine. Premetto che io ho gradito molto il disegno realizzato da Brillantina Moretti e trovo che il suo segno ed i suoi contenuti abbiano portato allegria e freschezza ad una pubblicazione che poco, o nulla, ha di commerciale. TG
Musica in Cantina Viaggio nell'Immaginario Underground della Rock Poster Art Italiana
Davide Bolzonella: Il prodotto editoriale, sia nella linea editoriale libraria, che nella linea editoriale dei periodici è sempre stato molto povero, di conseguenza in questi settori si investono pochi soldi nei professionisti della grafica. Diverso è il discorso per il settore farmaceutico, piuttosto che per coloro che si occupano degli allestimenti fieristici o della comunicazione in senso lato.
Tony Graffio: Caro Davide, vorrei chiederti di darmi una lettura oggettiva di ciò che leggi nella copertina di Musica in Cantina, anche se questo volesse dire esprimere delle critiche ad un libro al quale sono molto legato e del quale sono piuttosto soddisfatto. Vorrei un tuo parere professionale sul significato di quello che vedi, ma anche sull'esecuzione del lavoro e su come si presenta il libro.
DB: Sulla copertina appare subito evidente la scritta "Musica" che sia per la scelta del carattere, che per la sua composizione, risulta essere molto legata al Jazz; vuoi perché è isolato come si fa per le testate, vuoi perché sembra fatto per timbrare e personalizzare qualsiasi tipo di illustrazione. E' musicale per come si intende la parola musica; quello che dà senso a questa scritta sono le illustrazioni avulse da qualsiasi linea di cultura. Oggi tutti i segni sono passati sulla stampa cartonata del fumetto, ma un tempo questo tipo di disegnini erano abbastanza caratteristici degli anni '50. Le ragazze del disegno non sono particolarmente localizzate e poco sembrano aver a che fare con la musica suonata dal vivo; sono però delle spettatrici di un evento musicale che si divertono, lo si capisce da come sono disegnate, da come si muovono e dagli orpelli che hanno addosso e non solo da come sono vestite. Tutto questo caratterizza la parola musica portando il contenuto del libro, che peraltro si presenta in modo molto serio, ad un livello abbastanza popolare. Per popolare intendo qualcosa abbastanza lontano dalla cultura musicale, significato che invece sarebbe stato diverso mantenendo la sola scritta: "musica" priva di altre illustrazioni.
TG: Separare il titolo dall'illustrazione connota il libro come il frutto di una cultura Underground?
DB: Sì, sovrapporre la scritta a qualcosa di non noto, che potrebbe essere un teschio, osservandolo bene, ma potrebbe essere anche un qualsiasi disegno crea già un rapporto con questo mondo. Inoltre, si aggiungono le parole: "in cantina" che si percepiscono collegate a musica. Queste parole ti orientano verso un contenuto Underground che poi viene negato da un'illustrazione che ti fa interpretare diversamente le parole "in cantina". Se tu avessi tolto l'illustrazione e lasciato solo la scritta avresti incuriosito maggiormente il pubblico, mentre l'illustrazione delle ragazze condiziona il lettore e lo circoscrive a questo tipo di linguaggio. Io in copertina avrei messo l'elenco degli intervistati, perché sono dei nomi che possono chiarire il contenuto e dare un'interpretazione alla parola: musica.
TG: Avere una bella illustrazione in copertina è stata una mia richiesta che aveva la necessità di far capire che questo non è soltanto un libro fatto di parole, ma anche di immagini.
DB: Sono d'accordo sul fatto che privilegiare l'illustrazione può attirare maggiormente l'attenzione, ma questa non è una bella illustrazione.
TG: Perché non è una bella illustrazione?
DB: Perché trovo più interessante il disegno di WonderBee che ha un "graffio" educato, di ricerca che lascia trapelare il segno di un'illustratrice donna.
TG: Sì, l'ha disegnato una donna.
Il disegno graffiante a cui si riferisce Davide Bolzonella
DB: Il disegno di WonderBee è più legato alla moda, mentre quello della copertina è più banale, come tipo di illustrazione e nasce e muore sul libro. La grafica inserita all'interno è molto interessante e la trovo bella anche per aver inserito all'interno dei disegnini che mi portano a pensare al bar ed a qualcosa che dà movimento ed è anche molto più esaustiva. Inserendole un titolo, avrebbe potuto essere già una copertina.
La grafica che piace a Davide Bolzonella
TG: Io però avevo chiesto un'illustrazione in copertina...
DB: Allora avresti potuto prendere il disegno di WonderBee.
TG: La IV di copertina come ti sembra?
DB: E' una texture che lascia il tempo che trova.
TG: A me piace e poi è sempre un'immagine che si ricorda.
DB: Non ho bisogno di ricordarla, non mi dice niente, fa giusto da fondo in modo che se l'appoggi non si sporca... O se si macchia non te ne accorgi. E' quasi una necessità d'uso.
TG: Il libro non si macchia comunque perché è plastificato...
DB: Sto guardando i poster... Forse, la copertina poteva essere anche una raccolta di poster. Trovo i disegni in bianco e nero di WonderBee più vicini al contenuto del libro. Il disegno di copertina è stato fatto da un'altra mano.
TG: Certo però è stato fatto da un illustratore che ha contribuito al libro sia con una sua intervista che con i suoi poster che effettivamente è appassionato degli anni '50 e di musica Rockabilly.
DB: Però negli anni '50 quel tipo di disegno si utilizzava sugli oggetti di casa, come era il caso dei prodotti commercializzati dalla Standa. Su certi tessuti e sui bicchieri comparivano quel tipo di disegni.
TG: L'utilizzo di questi disegni che un tempo erano destinati, diciamo a prodotti di tipo casalingo, sulla copertina di un libro può essere vista come un'innovazione grafica?
DB: Certi disegni li avevo già visti fare negli anni '30. Certi disegni sfumati allora erano un'innovazione. Riprendere oggi certe grafiche fasciste o nello stile della Corazzata Potëmkin o i bozzetti delle scenografie già visti è un'innovazione perché si tratta di disegni talmente datati che adesso vengono ricordati e visti attraverso un nuovo filtro. Riproporre disegni anni '50 mai visti che non hanno mai fatto storia sono solo quello che vedi, una cosa che non interessa perché non sollecita curiosità.
TG: Non sono molto d'accordo...
DB: Queste figure sulla copertina sono ragazze in carne che non si sanno truccare ed esprimono una subcultura, ma se questo è quello che volevi ottenere l'hai ottenuto.
TG: Beh certo, volevo dare l'idea di uno spaccato di vita Underground e ritengo che già dalla lettura che hai fatto tu questo elemento emerga con forza. Non avevo interesse a spingere commercialmente un libro che ho pubblicato in tiratura limitata, ma volevo connotarlo fortemente come qualcosa di unico.
DB: Ma l'Underground non è qualcosa di negativo, è qualcosa di alternativo alla cultura ufficiale. I carbonari non era gente sporca, era gente che non poteva apparire ufficialmente.
TG: Quindi questa è una copertina che può funzionare, per te?
DB: No, io questa copertina la butterei via subito. Fai anche presto perché copri tutto e tieni solamente la grafica nell'angolo che è bellissima. Oppure, nella prossima copertina puoi mettere l'elenco di chi hai intervistato.
TG: Non sarebbe da mettere eventualmente sul retro questo elenco?
DB: No, perché questo è quello che ti fa vendere il libro. La copertina è la sintesi del contenuto.
TG: Va bene, ma io volevo un'illustrazione in copertina...
DB: In questo caso è la scritta che illustra, il disegno ti disorienta. Oppure va bene averlo come hai fatto, come intervallo tra i capitoli. L'illustrazione è quello che appare, non è necessariamente un disegno.
TG: Le tue conoscenze di marketing le hai apprese lavorando e risolvendo i problemi che ti ponevano i clienti?
DB: Io ho avuto la fortuna d'avere un insegnante che si chiamava Massimo Vignelli che ho incontrato nel 1968 quando avevo 18 anni proprio qui vicino (durante la chiacchierata eravamo al Palazzo della Triennale di Milano), in via XX Settembre mentre allestivano la mostra del Grande Numero che forse è stato il più bello e scenografico evento della Triennale con contributi anche di Gae Aulenti. Poi, ho continuato a studiare con Bob Noorda e Giancarlo Iliprandi che ho seguito fino all'anno scorso quando è morto a 92 anni. Ho seguito anche tutta una serie di grafici e architetti come Franco Albini che facevano parte di un percorso sui linguaggi grafici.
TG: Per te, questa immagine che ho proposto in copertina è un po' troppo naïf?
DB: Bravo, l'hai trattata bene. Non puoi accostare un'immagine di quel tipo ad un carotaggio di una cultura parallela a quella che esiste oggi.
TG: A me piace.
DB: Certo, altrimenti non l'avresti utilizzata, ma sei fuori tema.
TG: Ho dato carta bianca al disegnatore, gli ho chiesto di rappresentare delle ragazze in un ambiente festoso perché il libro era in qualche modo abbinato all'evento del Basement Party ed, in parte, era anche una specie di catalogo che riportava alcuni poster esposti a Jesi. Brillantina Moretti mi ha proposto questa immagine che a me è piaciuta molto.
DB: Ma forse lui non era a conoscenza del contenuto. Gli hai fatto leggere il libro prima di farglielo illustrare?
TG: No, ma lui sapeva di che cosa parlava. Lui stesso è tra gli intervistati...
DB: Ha visto l'elenco degli autori?
TG: Sì, lo ha visto.
DB: Io non l'avrei fatta così quella copertina. Io ho illustrato una rivista politica di Claudio Martelli che è stata pubblicata per tre anni. Abbiamo reinventato Mondoperaio, abbiamo rifatto tutto che era diventato Mondo Opera Io scomposto in tre argomenti trattati in modo indipendente e facendo un passo avanti da quel Mondo Operaio che era un termine amorfo senza spessore né emozione. Già in quegli anni si trattava di un modo interessante di riproporre una testata storica. In quel caso, ho fatto delle illustrazioni politiche, ma io non posso pensare di fare illustrazioni quando ci sono già delle scritte che eredito da altri, tipo quella che mi hai fatto vedere.
TG: Anche quella è opera del poster artist...
DB: Bene, prendo l'opera di un altro per rappresentare quello che racchiude. Non devo essere protagonista, ma un interprete che dà una veste grafica ad un volume. Per essere obbiettivamente all'altezza di comunicare quello che poi qualcuno andrà a leggere devo attenermi a quello che trovo nel frontespizio. Anche come colore; infatti il rosso l'hai usato da subito. Non c'è altro da aggiungere, ma non volevo dare giudizi troppo critici.
TG: No, figurati, ti ringrazio per quello che mi hai fatto capire, era una mia richiesta conoscere l'opinione di un esperto. Ad altre persone però la copertina è piaciuta molto, anche nei colori utilizzati che sono il rosso il nero e il bianco e tutti mi hanno dato conferma di un certo gradimento nei confronti di un prodotto al quale hanno riconosciuto una certa eleganza...
DB: Sono tornato ieri dalla Biennale di Venezia; lì ci sono due luoghi importanti destinati all'esposizione: ci sono i giardini con i piccoli padiglioni e il padiglione Italia, luoghi che propongono il meglio degli artisti che vengono invitati a questa manifestazione. L'altro luogo deputato alla mostra è l'Arsenale di Venezia. Il mio giudizio finale sui giardini che ho visto nella loro interezza, forse saltando soltanto il padiglione della Francia, è che si tratta di un saggio di fine anno di artisti internazionali che scomodano il mondo intero per andare a vederli in un luogo d'elezione, perché solo lì per tradizione puoi vedere queste opere che sono il meglio dell'arte contemporanea, quello che hanno imparato studiando arte. Si tratta di lavori già visti, non approfonditi e cose che io da grafico, insieme a Max Huber facevo come esercizi di colore molti anni fa...
TG: Conoscevi bene Max Huber?
DB: Sì, è stato un mio insegnante.
TG: Puoi dirmi qualcosa di lui?
DB: Ho un ricordo simpatico di lui di quando tiravamo i petardi insieme con la cerbottana. Io ero un ragazzo e lui era un insegnante istrionico che si permetteva di giocare con noi, forse per essere più in sintonia con i suoi studenti. Lui era un grafico-artista che non aveva fatto una scuola di comunicazione. Era una persona dotata della capacità di muovere delle masse, dei volumi e dei colori. Da lui sono venute anche delle cose discutibili come l'Esselunga che non è un lavoro degno di particolare nota, se non per la sua facile memorizzazione, cosa che conferma come quel logo non potesse essere fatto meglio. Bob Noorda, altro mio insegnante, aveva fatto un'intervento simile per Coop andando a cercare un'armonia particolare per il lettering che ha avuto ben altra evoluzione grafica. Il logo Esselunga fa un po' il verso a Pirelli, è bruttissimo, però è vincente perché anche senza dover fare pagine di pubblicità si identifica facilmente.
TG: A suo tempo Max Huber non è stato tanto considerato, perché?
DB: Allora i pubblicitari erano pochi, venivano anche da Architettura, mentre i "Copywriter", negli anni '60 e '70 arrivavano dalla facoltà di Legge. A Milano trovavano tutte le agenzie pubblicitarie e qui venivano a lavorare. Huber veniva dal mondo dell'arte; prima del computer bisognava avere un'abilità manuale che lui aveva, mentre adesso non è più richiesta. Anche Bob Noorda era molto bravo a disegnare a mano libera, tanto che si permetteva di scrivere con un pennellino a corpo 7 per Ballecchi, al quale faceva i bozzetti a mano per le copertine. Ma questa è un'altra storia. A quei tempi erano così pochi in questo settore che riuscivano ad assurgere subito alla notorietà, grazie ai loro clienti. Loro sono stati abbastanza fortunati perché a Milano hanno trovato una vetrina per farsi conoscere.
TG: Adesso si lavora in équipe; è più difficile che un solo creativo si occupi di un prodotto?
DB: Adesso, il contenuto del messaggio è stato spacchettato. Giustamente è tutto più articolato, non c'è solamente una disciplina che se ne occupa. Io, per esempio, occupandomi di allestimenti fieristici, ho imparato a trattare i contenuti e non solo i volumi. Gli altri hanno molto da insegnarci, specie in una lunga esperienza lavorativa. E' un po' come l'architetto che faceva il modellino; adesso ti rivolgi direttamente a chi si occupa di realizzare i modellini e tu vai avanti a fare l'architetto. Fai quattro schizzi, passi il tutto all'assistente collaboratore che interpreta quello che tu vuoi fare e aggiunge qualcosa di suo, anche perché i lavori sono diventati talmente articolati che tu non puoi fermarti a te stesso, altrimenti faresti un unico lavoro nella vita. Io stesso negli anni '90 e 2000 avevo uno studio chiamato G&R e associati (Grafici e Redattori ndDB) che forse era il più grande di Milano e avevo più di 20 collaboratori, ma le persone erano tante perché tanti erano i lavori da svolgere e poi ognuno aveva bisogno di uno o due referenti perché ci eravamo articolati così. Abbiamo realizzato anche scenografie per teatri, come per il "Pollicino" presentato al Fraschini di Pavia, ma adesso per noi non sarebbe più possibile seguire un lavoro di quella mole. Adesso, si formano dei gruppi a tempo per un certo progetto, è cambiato il modo di lavorare e poi ai nostri giorni c'è il computer che semplifica molto le cose e accorcia i tempi delle lavorazioni.
TG: Per ogni tipo di lavoro bisogna capire qual è il nostro target?
DB: E' fondamentale. Come per il libro che adesso sto preparando per Tomaso Kemeny, dove voi tutti avete fatto i poeti poetando sull'argomento denaro, sulla scalinata che porta al Palazzo della Borsa. Su quella copertina ho messo una marionetta ispirata a Majacowskij con il volto rosso e nero che nelle pupille ha il simbolo dell'euro e quello del dollaro.
TG: E' la copertina che fa vendere un libro?
DB: Sì. Ultimamente, un amico che realizza siti web mi ha raccontato che ha fatto la promozione per un libro che è andata talmente bene che il libro ha dovuto essere ristampato. Si tratta di un giallo, una lettura anche quella di nicchia, come la poesia.
TG: Quando la gente non legge, tutti i libri sono di nicchia.
DB: Una volta c'era il Giallo Mondadori al quale il lettore era abbonato. Adesso il Giallo è un genere che sta riprendendo quota ed il fatto che un libro venga ristampato, non perché è scritto bene o perché l'autore è importante, ma solo perché la copertina ha funzionato promuovendola in video è un caso abbastanza particolare. In quel caso, la copertina ed il linguaggio del mezzo utilizzato per la promozione sono stati vincenti.
TG: Per concludere, che cosa mi consiglieresti di fare per il mio libro autoprodotto?
DB: Il canale che tu hai è anche il limite dell'interesse. Potresti dedicare una parte del tuo sito alla lettura del libro a pagamento, oppure chiedere un abbonamento per la lettura del tuo blog, come già fanno le riviste di cultura.
TG: Ma se dovessi ristampare in modo più economico il libro?
DB: Prenderei quello che tu hai già in casa e per la copertina utilizzerei la grafica con il titolo.
TG: A suo tempo Max Huber non è stato tanto considerato, perché?
DB: Allora i pubblicitari erano pochi, venivano anche da Architettura, mentre i "Copywriter", negli anni '60 e '70 arrivavano dalla facoltà di Legge. A Milano trovavano tutte le agenzie pubblicitarie e qui venivano a lavorare. Huber veniva dal mondo dell'arte; prima del computer bisognava avere un'abilità manuale che lui aveva, mentre adesso non è più richiesta. Anche Bob Noorda era molto bravo a disegnare a mano libera, tanto che si permetteva di scrivere con un pennellino a corpo 7 per Ballecchi, al quale faceva i bozzetti a mano per le copertine. Ma questa è un'altra storia. A quei tempi erano così pochi in questo settore che riuscivano ad assurgere subito alla notorietà, grazie ai loro clienti. Loro sono stati abbastanza fortunati perché a Milano hanno trovato una vetrina per farsi conoscere.
TG: Adesso si lavora in équipe; è più difficile che un solo creativo si occupi di un prodotto?
DB: Adesso, il contenuto del messaggio è stato spacchettato. Giustamente è tutto più articolato, non c'è solamente una disciplina che se ne occupa. Io, per esempio, occupandomi di allestimenti fieristici, ho imparato a trattare i contenuti e non solo i volumi. Gli altri hanno molto da insegnarci, specie in una lunga esperienza lavorativa. E' un po' come l'architetto che faceva il modellino; adesso ti rivolgi direttamente a chi si occupa di realizzare i modellini e tu vai avanti a fare l'architetto. Fai quattro schizzi, passi il tutto all'assistente collaboratore che interpreta quello che tu vuoi fare e aggiunge qualcosa di suo, anche perché i lavori sono diventati talmente articolati che tu non puoi fermarti a te stesso, altrimenti faresti un unico lavoro nella vita. Io stesso negli anni '90 e 2000 avevo uno studio chiamato G&R e associati (Grafici e Redattori ndDB) che forse era il più grande di Milano e avevo più di 20 collaboratori, ma le persone erano tante perché tanti erano i lavori da svolgere e poi ognuno aveva bisogno di uno o due referenti perché ci eravamo articolati così. Abbiamo realizzato anche scenografie per teatri, come per il "Pollicino" presentato al Fraschini di Pavia, ma adesso per noi non sarebbe più possibile seguire un lavoro di quella mole. Adesso, si formano dei gruppi a tempo per un certo progetto, è cambiato il modo di lavorare e poi ai nostri giorni c'è il computer che semplifica molto le cose e accorcia i tempi delle lavorazioni.
TG: Per ogni tipo di lavoro bisogna capire qual è il nostro target?
DB: E' fondamentale. Come per il libro che adesso sto preparando per Tomaso Kemeny, dove voi tutti avete fatto i poeti poetando sull'argomento denaro, sulla scalinata che porta al Palazzo della Borsa. Su quella copertina ho messo una marionetta ispirata a Majacowskij con il volto rosso e nero che nelle pupille ha il simbolo dell'euro e quello del dollaro.
TG: E' la copertina che fa vendere un libro?
DB: Sì. Ultimamente, un amico che realizza siti web mi ha raccontato che ha fatto la promozione per un libro che è andata talmente bene che il libro ha dovuto essere ristampato. Si tratta di un giallo, una lettura anche quella di nicchia, come la poesia.
TG: Quando la gente non legge, tutti i libri sono di nicchia.
DB: Una volta c'era il Giallo Mondadori al quale il lettore era abbonato. Adesso il Giallo è un genere che sta riprendendo quota ed il fatto che un libro venga ristampato, non perché è scritto bene o perché l'autore è importante, ma solo perché la copertina ha funzionato promuovendola in video è un caso abbastanza particolare. In quel caso, la copertina ed il linguaggio del mezzo utilizzato per la promozione sono stati vincenti.
TG: Per concludere, che cosa mi consiglieresti di fare per il mio libro autoprodotto?
DB: Il canale che tu hai è anche il limite dell'interesse. Potresti dedicare una parte del tuo sito alla lettura del libro a pagamento, oppure chiedere un abbonamento per la lettura del tuo blog, come già fanno le riviste di cultura.
TG: Ma se dovessi ristampare in modo più economico il libro?
DB: Prenderei quello che tu hai già in casa e per la copertina utilizzerei la grafica con il titolo.
Conversazione avvenuta il 26 novembre 2017.