Un ritratto di Osvaldo Minotti rielaborato cromaticamente in Photoshop per sottolineare l'espressione e lo sguardo intenso dell'artista
Grazie
allo scultore Lorenzo Lenzini, ho conosciuto un artista con alle
spalle una lunghissima carriera e tante cose da raccontare. A noi,
s'è aggiunto un altro amico, Andrea Battistotti, ed insieme siamo
andati a Meda per conoscere ed intervistare il Maestro Osvaldo
Minotti.
Lenzini
ha conosciuto qualche anno fa Minotti poiché quest'ultimo ha
insegnato per tantissimi anni presso alcune scuole d'arte ed in
particolar modo nelle classi del Castello Sforzesco di Milano. I due
scultori avevano una conoscenza comune con Luigi Teruggi, un altro
professore ed artista che ha insegnato all'Accademia di Brera. Sia il
padre che il fratello di Lorenzo Lenzini hanno insegnato
all'Accademia, mentre Lorenzo ha avuto rapporti di tipo giornalistico
con questi ambienti accademici, oltre che con molti personaggi del
mondo sportivo, militare e delle cronache milanesi.
Incuriosito
dal lavoro e dall'esperienza di Minotti, ho deciso di porgli delle
domande sulla sua carriera, sulla sua vita e di riportare quanto lui
mi ha detto su queste pagine di Frammenti di Cultura, sperando di far
cosa gradita al pubblico che è alla ricerca di notizie di prima
mano.
Osvaldo Minotti nel suo studio di Meda con lo scultore/giornalista Lorenzo Lenzini
Minotti Luigi & Figli Bottega d'Arte Meda
Una telefonata per prenotare un tavolo in trattoria
L'esterno della casa/laboratorio che per circa una quindicina d'anni ospitò la Trattoria "Al Bersagliere"
Pranzo presso "la Tavernetta" di Meda
TG:
Osvaldo, partiamo dall'inizio: quali sono le origini della tua
famiglia?
OM:
La mia famiglia ha una storia molto interessante che risale a molti
anni addietro, io non sono più giovane, per parlare di mio nonno
bisogna tornare dal XIX secolo. Antonio Minotti era attivo in quel
campo che possiamo definire artistico, lui già molto giovane venne
mandato a Parigi per prendere delle nozioni di intaglio e scultura e,
cosa non secondaria, per apprendere gli stili francesi. Dopo di che,
dopo qualche anno tornò in Italia, dove era già sposato, ebbe un
bambino che nacque nel 1898 e riprese il suo lavoro con impegno. Mio
nonno, come molti giovani amava andare a ballare e fu proprio una di
quelle sere invernali trascorse fuori casa che si ammalò di
polmonite ed in breve tempo morì a causa di questo male. Eravamo
all'incirca nel 1899-1900 e lui aveva soltanto 21 anni. Qui finisce
la sua breve storia, ma inizia quella di mio padre, Luigi Minotti,
che ebbe la fortuna d'avere dei maestri veneziani che gli insegnarono
l'arte dell'intaglio e della scultura e gli fecero conoscere gli
stili francesi. Il professor Tognon fu il maestro veneto più
illustre che ebbe mio padre, purtroppo non ricordo il nome di
battesimo di questo artista perché con il trascorrere degli anni
alcuni dettagli, inevitabilmente, si perdono. Ricordo però che
questi maestri veneziani, in quel periodo, vennero qui da noi in
Brianza perché a Venezia non c'era molto lavoro. Alcuni di loro si
recarono proprio qui a Meda perché nella nostra zona c'erano
parecchie industrie d'arredamento rinomate in tutto il mondo che
rifornivano le case reali e l'élite internazionale. Mio papà è
stato uno dei primi ad apprendere l'arte figurativa perché in un
primo tempo qui da noi si faceva soltanto arte ornamentale. Questo
fatto gli ha dato la possibilità di sviluppare un suo commercio e
metter su bottega per proprio conto. Col tempo la bottega s'è
ingrandita e sono stati assunti parecchi operai provenienti da tutte
le parti d'Europa, compresa Parigi ed il Veneto che erano le zone
dove si trovava la maggior parte della manodopera specializzata, a
quei tempi. Tra la sua clientela c'erano i milanesi più ricchi; i
migliori architetti della nostra zona facevano da tramite con la
crème della società.
Osvaldo ci fa strada per portarci a vedere le sue opere
Particolare di un lavoro eseguito dalla Bottega di Luigi Minotti per il Coro del Duomo di Milano
Luigi Minotti fu insignito del Cavalierato di Vittorio Veneto per aver combattuto durante la I Guerra Mondiale
Un disegno di Osvaldo Minotti
Lo studio
Testa di donna
Angeli
A sinistra una testa di Don Bosco
Minotti realizzò anche una grande chiocciola di polistirolo per una mostra su Carlo Bugatti
TG:
Chi erano questi architetti?
OM:
Erano gli architetti Quarti e Grazioli che facevano parte di
un'organizzazione che aveva in mano l'élite di Milano, quindi
tramite loro la bottega lavorava per il Duomo di Milano, per la Scala
e per l'aristocrazia milanese. I lavori dovevano essere fatti alla
perfezione perché questo era quello che richiedevano gli
architetti. Tutto doveva essere fatto a regola d'arte e non c'erano
margini d'errore. Mio padre si presentò a soli 17 anni alla leva per
la prima guerra mondiale. Fu fatto prigioniero e portato in Germania
dove si ammalò di tisiade in campo di prigionia. La Croce Rossa
Svizzera gli fece lasciare la Germania per raggiungere un ospedale
italiano dove venir curato adeguatamente, come prevedevano le sue
condizioni di salute. Fortunatamente, il treno della Croce Rossa
essendo diretto nel bresciano sarebbe passato da una vecchia linea
ferroviaria nazionale tra Como e Milano, con un casello ferroviario
in prossimità di Meda e della casa della famiglia di Luigi Minotti.
Il padre d'Osvaldo riesce a far cadere una cartolina dal treno che
spiega il suo malanno e dove sarebbe stato ricoverato. La madre di
Luigi, nonna di Osvaldo, riceve la cartolina e subito si dirige a
Brescia per curare suo figlio che grazie a queste attenzioni si salva
e guarisce. In poche parole, una volta guarito Luigi ritorna al paese
e mette su bottega per lavorare in proprio. Come abbiamo visto, fu
grazie ai maestri veneziani che si riuscì ad allargare l'esperienza
e le capacità degli intagliatori locali che a loro volta sopperivano
alla carenza dei vivai dei lavoratori presenti a Parigi, a Londra e a
New York. Tuttavia, essendo quella una manodopera molto costosa,
veniva tenuta da parte per far lavorare maestranze più a buon
mercato. Mio padre col tempo riuscì a selezionare degli intagliatori
e degli scultori capaci di sbrigare lavori di una complessità
eccezionale, ognuno aveva una sua particolare specializzazione che
permetteva di far fronte a qualsiasi richiesta. C'era chi faceva arte
figurativa, chi l'ornato, chi i fiori, ed ognuno era un maestro nel
suo campo. Mia nonna si risposò con un uomo che aveva lavorato anche
lui nella bottega di mio nonno, ma dopo aprì una trattoria in questa
casa dove ci troviamo adesso che chiamò “Al Bersagliere”, in
onore di mio padre che aveva combattuto in quest'arma. Anche mio
padre si sposò ed io nacqui nel 1928, il 6 giugno. Ero appena nato,
ma mia mamma doveva dare un aiuto in trattoria al nonno, così non si
sapeva a chi lasciarmi. Avevo solo un mese di vita e mi misero sotto
un banco di lavoro in laboratorio, dove un operaio batteva con la
mazzetta per svolgere il suo lavoro. Durante i momenti di riposo e di
gioco ero sempre con gli operai in mezzo alla bottega piena di
rumore, polvere e segatura. Si trattava della bottega che mio padre
dirigeva e questa vita per me era normale. Quando ero stanco e volevo
dormire mi collocavano sotto il banco di qualche operaio. Ancora oggi
sento i colpi delle loro mazzuole nelle orecchie e la polvere della
bottega nel naso. Crescendo in mezzo a loro ho imparato tutti i
trucchi del mestiere, perché io penso che ci portiamo dentro di noi
in maniera amplificata tutti i ricordi dell'infanzia. Quando abbiamo
bisogno di farci forza ricordiamo quei momenti della nostra
fanciullezza in cui abbiamo sentito o visto o capacitato quello che
facevano gli altri in bottega, o altrove. Finiti i miei studi a
scuola, la bottega s'è trasferita a Treviglio perché mio papà fu
ingaggiato da un'industria in quella località che costruiva casse da
morto, lui decorava i cofani delle bare. Tutto il periodo della
seconda guerra mondiale lo abbiamo trascorso a Treviglio. Io
frequentai lì delle scuole d'arte, ma una volta finita la guerra
siamo tornati tutti a Meda. Qui ho continuato a studiare arte e poi
mi sono iscritto all'Accademia del Castello Sforzesco, a Milano.
Avevo circa 21 anni e per altri 5 anni ho continuato a studiare lì.
Terminati quegli studi, ho iniziato ad insegnare nelle scuole qui dei
dintorni: alla scuola di Lentate sul Seveso, alla scuola Civica di
Meda, alla Scuola d'Arte della Regione Lombardia, sempre a Meda,
all'Ignasa di Meda, poi a Cabiate e ancora a Lentate. Insegnavo di
tutto, scultura, ornato, pittura e disegno. Mi hanno conferito il
Cavalierato della Repubblica per meriti legati all'insegnamento. Se
si considera che ho insegnato anche in due scuole diverse nello
stesso anno, ho accumulato un totale di 83 anni di insegnamento. Ho
chiuso con l'insegnamento nel 2014, ma a quasi 88 anni continuo a
lavorare nel campo della scultura e della pittura, anche perché la
salute mi consente di star bene e di continuare a farlo. E di avere
le idee chiare.
La bottega ha realizzato molti mobili stupendi. Questo è un mobile di forma ottagonale per fumatori
Sotheby's Preview, la rivista della casa d'aste londinese
Il mobile "Top smoker" della Bottega Minotti in un'inserzione su Sotheby's Preview
Andrea
Battistotti: Quali sono i lavori più rappresentativi che ha fatto?
OM:
Ho fatto tanti lavori, dai monumenti ai caduti, ad altri tipi di
monumenti, in più, nel 2004, ho fatto anche la Porta di Santa
Caterina di Betlemme, dove c'è la Natività, ho fatto altre porte di
chiese, sia in legno che in bronzo, ma le soddisfazioni più belle, a
volte, arrivano per delle cose impensabili. Ad esempio, con le scuole
d'arte noi partecipavamo a dei concorsi internazionali di sculture
sulla neve. Siamo stati a Cortina d'Ampezzo, nella Svizzera tedesca
ed in parecchi altri posti. In queste occasioni, ci siamo sempre
fatti valere nei confronti di artisti che arrivavano dalle Americhe
al Giappone, alla Cina e tutto il resto del mondo. Abbiamo vinto un
primo premio a Cortina, in Svizzera un primo ed un secondo premio.
Queste per me sono state grandi soddisfazioni, perché fare delle
opere così perfezionate in un ambiente così competitivo tra tanti
concorrenti, tutti accademici, o ingegneri e arrivare sempre nei
primi posti è stato per me un motivo di grande orgoglio.
Arte funeraria e religiosa
"L'arte adesso è come un dentifricio: se non fai pubblicità non vendi" Osvaldo Minotti
Sculture di legno decorate con foglia d'oro
Battistotti, Minotti, Lenzini nel magazzino dei mobili della bottega di Meda
Il forno per cuocere le ceramiche circondato da statuette e sculture
Il gesso che è servito per la statua dell'intagliatore esposta nel cortile della casa di riposo per artigiani a Meda
Sedie, tavoli, putti
Una grande scacchiera di legno ed i pezzi del gioco degli scacchi
Minotti e Lenzini
TG:
Che cos'era successo in Francia nei primi del '900 che ha portato
tutto il lavoro qua da voi?
OM:
In Francia il costo della manodopera era aumentato molto, le persone
che si occupavano degli intagli stavano sparendo, non c'era più il
vivaio dei giovani apprendisti, così le commissioni arrivavano nei
nostri paesi sapendo di poter trovare maestranze preparate che
avevano già servito la casa reale ed altri regnati per arredamenti
molto importanti. Il triangolo d'oro del nostro settore si trovva tra
Cantù, Meda e Lissone; era qui che i francesi ed altri committenti
da tutto il mondo ci proponevano i loro lavori. A Parigi, gli artisti
dell'intaglio erano rari perché loro si recavano sul posto a
realizzare le commissioni. Gli intagliatori facevano le stagioni e
per questo bisognava prenotarli con un certo anticipo perché si
recavano a lavorare in Russia, in Italia, in Francia e nei luoghi
dove gli veniva richiesto di farlo. Lavoravano per le varie casate
reali ed erano pagati di conseguenza molto bene. Tra gli intagliatori
ci sono vari livelli di bravura, c'è chi è in grado di fare opere
da museo ed altri che fanno semplicemente delle cornici e cose molto
semplici. Bisogna anche essere in grado di saper distinguere le
abilità dell'uno e dell'altro. Non si possono pagare tutti allo
stesso modo. E' poi il passaparola e la fama del singolo artista che
permettono di farti conoscere e di essere richiesto più degli altri
e queste voci una volta correvano velocemente, anche senza bisogno
della televisione. A me è capitato di fare una conferenza per un
gruppo di persone che pretendeva di pagare gli intagliatori come gli
operai: tutti ad uno stesso costo orario, ma questo non è possibile
farlo. Così ho dovuto spiegare che gli uomini non sono delle
macchine, gli uomini intagliano in maniera diversa, non sono tutti in
grado di ripetere uno stesso lavoro sempre nel medesimo tempo e con
la stessa qualità. Non è così. Nel campo dell'intaglio c'è
l'intagliatore che è bravo e impiega molto meno tempo di quello meno
bravo. Il costo orario in questi tipi di lavori non può essere
uguale per tutti, allo stesso modo come per i pittori. Ognuno ha un
prezzo particolare, a seconda della sua abilità.
Un'immagine della costruzione della Tour Eiffel
TG:
C'era qualche figura particolare tra gli intagliatori, qui a Meda?
OM:
C'era il Barozzi Pericle che era nato a Parigi, ma era di origine
italiana, perché i nonni abitavano a Luino, sul Lago Maggiore. Da
ragazzo scappò da casa dalla sua famiglia perché veniva
maltrattato, non essendoci più la mamma il padre stava con un altra
donna e obbligava il figlio a lavorare in un garage poco illuminato.
Per questo, anche d'inverno, il Pericle doveva tenere il portone
aperto e quando si lamentava che aveva freddo e non sentiva le mani,
il padre gli diceva che ci avrebbe pensato lui a scaldarlo; dopo di
che gli faceva fare il giro intorno ai banchi di lavoro a pedate nel
sedere. Dopo di che gli chiedeva se si era scaldato. Questo ragazzo
aveva sui 13-14 anni quando decise d'andarsene da Parigi e mi disse
d'aver visto costruire la Tour Eiffel. Quei lavori erano costati
molte vite umane. Qualcuno cadeva e via via mi raccontava come era
stata fatta la torre e come lui aveva vissuto la sua vita. Quando
era un bambino delle elementari, andando a scuola passava attraverso
delle vie dove vedeva sempre un intagliatore intento nel suo lavoro,
dentro ad uno scantinato. Pericle s'accostava all'inferriata della
finestrella e restava per diversi minuti a guardare un uomo vecchio
che intagliava il legno. Fu così che s'innamorò di questo lavoro.
Nella sua vita Pericle fece di tutto per poter frequentare le scuole
per diventare un intagliatore. A Parigi, all'epoca, esistevano già
delle scuole specializzate per questo tipo d'attività. Pericle
riuscì a realizzare il suo sogno, frequentò le scuole, apprese
molto bene il lavoro e anche gli stili francesi. Suo padre era un
falegname ed appena il figlio fu in grado di realizzare qualche
lavoro pretese di farlo lavorare nella sua bottega che per l'appunto
si trovava in un garage perché Parigi era una città molto cara per
le abitazioni ed i laboratori. Il bambino e suo padre lavoravano e
vivevano nello stesso garage. Pericle cercava di lavorare fuori casa
per raccogliere qualche mancia per pagarsi il viaggio in Italia ed
andare a vivere dai nonni. A Parigi era amico di un anziano che lo
aiutava dandogli del lavoro e qualche soldo. Appena Pericle mise
insieme una sommetta sufficiente alle sue necessità fuggì
immediatamente senza dir niente a nessuno, con una valigia di cartone
in mano ed un ombrello a tracolla. Una volta arrivato dai nonni
intraprese una vita diversa, dopo di che iniziò ad andare in giro
per trovare qualche lavoro. Arrivò da noi in Brianza e qui lavorò
un po' ovunque, a Lissone, a Meda e a Cantù.
Autentici arredamenti "Fatti a mano in Brianza"
Un mobile bar molto particolare. Per comprarlo ci vogliono circa 6000 euro
Sostegni per lastre di vetro che diventano tavoli
Osvaldo Minotti
Un esempio di ornato e foglie intagliate
TG:
E vi siete conosciuti allora?
OM:
Sì, lui è venuto a lavorare qui, conosceva mio papà, più di me,
perché aveva anche lui la bottega in paese. Barozzi trovò una
fidanzata a Meda e si stabilì qui. Conoscendo bene gli stili
francesi, lavorava molto e divulgando questi stili nella zona ha
diede una svolta non indifferente all'arte dell'arredamento della
nostra zona. Barozzi si sposò ed iniziò a stare bene, aveva
l'abitudine di frequentare il teatro alla Scala di Milano andando fin
lì col landò. Aveva amici di un certo livello e viveva bene, ma
dopo un po' si ammalò e dovette abbandonare la sua bottega. Una
volta guarito, riprese a lavorare nelle botteghe della zona e venne
anche qui da noi, nella bottega di mio papà. Eravamo all'incirca nel
1945. Barozzi aveva dei figli, uno di loro andò all'Accademia di
Brera ad insegnare scultura; durante la guerra fu tenuto prigioniero
in un campo di concentramento in Germania, si ammalò e riuscì a
guarire. Da ragazzo, Gino, il figlio del Luin, Barozzi veniva
chiamatio così perché veniva da Luino, andava a studiare a Milano,
a Brera, partendo da Meda in bicicletta; mi ricordo perché anch'io
ci andavo quando lavoravo lì come modello. Ginin ha sposato una
professoressa di pianoforte, ma dopo un po' morì perché
l'esperienza del campo di concentramento gli aveva minato la salute.
Il Luin era un personaggio molto conosciuto nella nostra zona perché
ha lavorato un po' dappertutto. Con me parlava molto perché mi
conosceva bene e mi aveva in simpatia, io lo ascoltavo volentieri
perché la sua storia era come un best-seller.
Ha
avuto mille traversie ed ha cercato di riprendersi per ricominciare
un'attività in proprio; aveva finalmente trovato un socio, a dopo
circa 7 o 8 mesi quest'uomo si suicidò. Nessuno seppe mai il perché,
il socio andò fuori dal cimitero e si sparò un colpo di pistola e
morì. Per l'ennesima volta il Barozzi dovette ricominciare tutto da
capo, ma non si diede per vinto. Ha avuto però una vita tragica ed è
andato a morire sulle montagne di Torino dove si era sposato l'altro
suo figlio che aveva messo incinta una ragazza di quelle parti mentre
faceva il militare. In tarda età il Barozzi che non lavorava più,
si ritirò a Torino e proprio come diceva sempre: “Io morirò
all'età d Michelangelo ed al mio funerale non ci sarà nemmeno un
cane”, avvenne. Mio papà andò a Torino per il funerale del suo
amico. Era un funerale di montagna, c'erano solo 3 o 4 persone che
seguivano la bara e un cagnolino che gli correva dietro. Il Barozzi
era un personaggio molto particolare. Quando ancora viveva a Meda
diceva: ”Ingrata terra non avrai le mie spoglie”. Ed anche questo
ebbe ragione, perché andò a morire a Torino. Qui da noi è
diventato un personaggio storico il Luin; quando lavorava, magari
faceva delle specchiere o delle consolle
o
altri mobili e quando le persone gli chiedevano il prezzo lui
rispondeva: “Costa tot”, ma se questi si permettevano di tirare
indietro sui prezzi il Barozzi impazziva e diceva che il prezzo che
aveva fatto era un prezzo onesto e che se volevano era quello,
altrimenti era meglio lasciar stare. Ma se questi insistevano,
capitava che il “Luin” prendesse il lavoro finito per romperlo
sul banco. Aveva un carattere fortissimo. Io di lui sapevo vita,
morte e miracoli perché lui mi spiegava le sfumature delle cose, mi
diceva che si sognava d'andare in chiesa e questo cosa la collegava
al fatto che lui andava in casa della fidanzata senza essere sposato.
Cosa che per quei tempi era uno scandalo e provocava pettegolezzi in
tutta la gente del posto. Ce l'aveva a morte coi preti, una volta
sognò un prete con le corna, come un diavolo. Interpretò quel sogno
come se il prete fosse il diavolo, anche perché costui anziché
predicare amore e comprensione predicava odio e cattiveria.
TG: A che età morì questo “Luin”?
OM: E' morto che aveva circa 83-84 anni. (Secondo i miei
calcoli sarà nato intorno al 1874 e morto nel 1957 ndTG)
TG: Prima di tuo nonno qualcun altro in famiglia faceva
l'intagliatore?
OM: Non lo so, mi hanno raccontato la storia di mio
nonno perché io non l'ho conosciuto e mi hanno detto che è morto a
21 anni e che a 19-20 anni, da dipendente della Baserica, una ditta
di arredamenti. L'avevano mandato a Parigi ad imparare gli stili. Già
mio nonno era indirizzato in quel settore.
Nonostante sia difficile dopo tanto tempo risalire con
precisione agli anni in cui si siano verificati certi avvenimenti, i
racconti di Osvaldo sono veritieri e fa piacere ascoltarli. Anche
perché non siamo più abituati a sentire queste cose. Decido così
di proseguire l'intervista.
Terrecotte
TG: Osvaldo, tu hai iniziato a lavorare come
intagliatore?
OM: Sì, come intagliatore, diciamo, come neonato in
questo campo... Non è che sono nato come intagliatore, scultore, o
disegnatore, sono nato in questo campo allo stesso modo in cui può
crescere il prezzemolo se viene seminato nel campo giusto. Nei tempi
addietro i contadini seminavano a secondo dei terreni che potevano
dare i frutti più buoni. C'era il terreno per le patate, quello per
i pomodori, e via di seguito. Era il contadino che doveva capire
qual'era il campo che doveva seminare ed in un determinato campo
veniva seminato il prodotto che poteva crescere meglio. Voglio dire
che io sono nato in un campo dove nascono queste cose... (gli
intagliatori ndTG) Non puoi prevedere quello che devi fare, se tu
nasci in questo campo, tu devi stare al gioco. Sei stato seminato in
questo campo per dar vita ad un certo fiore, o ad un certo frutto.
Non è che io abbia scelto quello che volevo fare, sono nato qui,
sono cresciuto e sono rimasto quello che sono. Io mi sento un
predestinato, altrimenti non mi potevano mettere sotto il banco
(dell'intagliatore) a pochi mesi ad assaporare quello che ti
circonda, quello che ti aiuta, quello che ti copre. Quel vestito non
è che l'hai comprato tu, ma ti viene messo addosso. Da quando son
nato, son sempre cresciuto dentro la bottega...
TG: Come hai fatto a diventare scultore?
OM: Io sapevo disegnare molto bene, fin dalla prima
elementare mi mandavano alla lavagna per fare i disegni per gli
altri. Mio papà aveva sempre una matita molto appuntita nella tuta
da lavoro e quando mi prendeva in braccio mi faceva certe punture con
la punta della matita. Questo vuol dire che crescendo in quel mondo
disegnare è sempre stato uno scherzo. La matita l'avevo sempre in
mano e disegnavo sempre. Tante volte per giocare lavoravo il legno e
così son diventato adulto...
Osvaldo ci mostra un suo lavoro molto prestigioso...
Si tratta dell'arredamento da lui creato per una sala d'attesa del palazzo di Hirohito, il 124° Imperatore del Giappone
AB: Nella sua attività c'è molto lavoro artigianale e
c'è dell'arte, che rapporto c'è tra questi due mondi? Lei come si
considera?
OM: Per riuscire ad emergere ci vogliono le fondamenta,
bisogna sempre partire dai primi gradini, in tutte le cose, se vuoi
andare in alto parti dai primi gradini, ma se li salti, poi devi
tornare indietro perché non puoi saltarli. Io ho cominciato dal
nulla, poi gradino per gradino sono andato avanti. Io ho avuto la
fortuna di nascere in quell'ambiente e di avere la predisposizione
per quel tipo di arte, e dico fortuna perché è così. Io conosco
anche quello che è artigianato e che non si considera arte, però
per me è arte anche quella perché ci sono grandi artisti
nell'artigianato. Un bravo artigiano non è inferiore ad uno che
viene chiamato artista. Anche l'artigiano è un'artista perché crea
e inventa e tutte le macchine che usiamo sono state create
dall'artigianato, manualmente, fatte di legno magari, e poi
perfezionate coi materiali che sono venuti dopo. Io non vedo
differenza tra quando faccio un lavoro artigianale e quando faccio un
lavoro artistico, per me è uguale. Anche se faccio un lavoro
artigianale io devo pensarlo e realizzarlo, allo stesso modo di un
lavoro artistico.
Mentre se tu fai i lavori in serie e copi le cose,
quello diventa un artigianato normale, ma se tu crei fai qualcosa di
speciale. Nella nostra bottega noi abbiamo sempre fatto delle cose
firmate in numero limitato, sempre un pezzo diverso dall'altro. Nella
mia vita io non ho mai ripetuto una cosa uguale ad un'altra. Ho
sempre cambiato progetto. I miei pezzi scaturiscono dalla riflessione
e dall'equilibrio. Controllo sempre se quello che faccio è meglio di
prima o è peggio, cercando di conferire ai miei lavori sempre
qualcosa in più. Bisogna andare per gradi. Io ho molte opere nei
musei, in Vaticano, o da altre parti, monumenti nelle piazze, porte
di chiese ed altre opere. Dopo che faccio un'opera non torno più a
rivederla perché dopo ho paura di vedere in quel lavoro dei grandi
difetti. Per ogni giorno che passa la nostra maturazione continua, se
faccio qualcosa oggi, domani potrei vederla in modo diverso e trovare
dei difetti in ciò che ho fatto. Per non vergognarmi non torno più
a vedere quello che ho fatto. Eros Pellini, personaggio eccezionale,
era il mio vecchio maestro della Scuola del Castello Sforzesco,
insegnava contemporaneamente anche a Brera, un giorno che avevamo
terminato un pulpito bizantino mi chiama: “Minotti!”, c'era
anche il Gariboldi che insegnava le tecniche col gesso ed aveva
formato la porta del Duomo di Milano, “Che cosa vuoi fare adesso,
Minotti?”. Io rispondo che mi piacerebbe fare un Cristo. Ero già
al secondo o al terzo anno di scuola da lui, ma Pellini mi guarda con
due occhi di fuori. Al che io chiedo se ho detto qualcosa di
sbagliato. Mi sento dire: “Ma lo sai che per fare un Cristo ci
vogliono due coglioni così? Il Cristo non è una persona normale, ma
dev'essere qualcosa d'ineccepibile! Di una bontà infinita, con un
carattere fortissimo. Dev'essere un conduttore. Se tu vuoi fare un
Cristo devi avere una preparazione infinita. Anche filosofica”. Io
adesso, tutte le volte che vedo i Cristi crocifissi non mi piacciono
più, perché mi sembra di vedere qualcuno che fa la ginnastica.
Oppure mi sembrano dei morti di fame scarnificati; un altro mi sembra
che stia dormendo... Cioè, aveva ragione il mio professore, il
Cristo non è un soggetto così semplice perché non è un uomo
normale. Io, in un modo o nell'altro avrò fatto un centinaio di
Cristi, ma ogni volta mi vengono in mente quelle parole ascoltate
tato tempo fa. Non sono mai riuscito a fare un Cristo come diceva
lui, perché per farlo bene, avrei dovuto farlo per iscritto! Con le
parole, non con la materia che si può vedere. Secondo me i più bei
Cristi che ci sono in giro sono quelli del '300 e del 400. Io li
apprezzo perché sono ingenui, non vogliono mostrare la bravura
dell'artista che mostra tutte le vene, il viso bello o la barba
perfetta, ma che abbia qualcosa in più a livello interiore, qualcosa
di nascosto che si scopra entrandoci dentro personalmente, non che
venga esibito pubblicamente. Dev'essere un'opera che mostri quello
che c'è dietro a questo uomo ed è per questo che io faccio fatica a
rappresentare questo personaggio. Io l'ho dentro lo sento questo
discorso, ma faccio fatica a definirlo in modo visivo per gli altri.
Basta dire che Cristo è un personaggio universale, io
so di non essere un credente al 100% come vorrebbe impormi la
religione, ma so che Cristo potrebbe essere qualsiasi personaggio,
però dev'essere un personaggio talmente profondo e religioso che
anche se non dovesse essere stato il figlio di Dio, deve ugualmente
essere stato un personaggio straordinario. Bisogna amarlo per quello
che predicava, se poi lo si riconosce anche come il figlio del Padre
Eterno, meglio ancora. E va amato, proprio perché era una figura
eccezionale.
Osvaldo Minotti, 87 anni, durante l'intervista di Tony Graffio
Scuola d'Arte di Cabiate
Un bozzetto su argilla firmato Minotti
Guardando nel libro dei ricordi
TG: Com'è il tuo rapporto con la materia? Hai delle
preferenze? Il legno? La pietra? Il bronzo?
OM: Ma no, guarda, quando io insegno a scuola indico la
via, il processo da seguire, il modo per arrivare ad essere bravi.
Nel campo dell'arte c'è un punto che è come un muro e non si arriva
ad andare oltre. Se tu cedi e ti fermi davanti a quel muro sei un
bravo scultore, però non sei eccezionale; se tu riesci ad
oltrepassare quel muro lì, sei un grande artista. Il percorso che si
fa con l'insegnamento è sempre quello, ma sei tu, da solo che devi
attraversare quel muro. Devi avere dentro te stesso qualcosa che ti
dà il coraggio, la forza e la capacità per superare questo muro.
Altrimenti rimani di qua, non ci sono storie.
Se hai le qualità, il percorso è questo, bisogna
passare dalla copia dal vero, conoscere tutto quello che è
tradizionale e via via bisogna imparare a disegnare, molto, perché
il disegno è alla base di tutto. Se non sai disegnare non sei
nessuno. Quando poi arrivi a modellare in creta, plastilina, o quello
che è, i materiali puoi affrontarli tutti, tu sei uno scultore ed
hai dentro di te la capacità. Non dipende dal materiale se tu sei
bravo o meno bravo; ciò che serve son gli arnesi che devi saper
adoperare per poter fare quello che vuoi. La materia è sempre
quella, è quello che c'è dentro che tu sviluppi. Io andavo a fare
le statue di ghiaccio e vincevo i concorsi, ma io non avevo mai
provato a lavorare il ghiaccio prima d'allora. Eppure, con un minimo
d'esperienza che mi son fatto sul posto, riuscivo a fare lavori
migliori di altri. E allora? E' necessario imparare a lavorare il
ghiaccio?, O il bronzo? O il legno? E' uguale. E' solo questione
d'imparare ad usare gli arnesi giusti. Se sei un artista sei un
artista, se sei nessuno sei nessuno. Per me la materia non conta
niente, per quello che io discuto con la gente impreparata che dice:
“E' fatto d'oro! Guarda lì!” Pensano che sia il materiale che dà
importanza all'opera, ma non è così, ti sbagli. L'opera artistica
non è il materiale, è l'opera in se stessa che è arte e quindi il
valore è quello.
TG: Ma non hai preferenze?
OM: La preferenza in campo artistico per me è per
l'argilla, la terra cotta e il legno. Per questi materiali esiste
l'impronta primaria, l'impronta di quello che è l'artista, la sua
freschezza, del colpo del dito dell'artista. Negli altri materiali
che modelli manca questa immediatezza perché il gesso e il bronzo
vanno modellati, si fa la forma, la controforma, si fa la cera, si
parte per fare la fusione, poi c'è il cesello. Tutti questi passaggi
mortificano l'impronta viva dell'artista. Michelangelo diceva: “Con
carne si fa carne”. Cioè con l'impronta della tua mano puoi dar
vita alla materia. Invece, con più passaggi muore questa vita. Anche
per il legno ci vuole un'impronta precisa al primo colpo e per il
cotto, perché quando lo cuoci non lo tocchi più e rimane intatta
l'impronta dell'artista.
Difficile distinguere il laboratorio, dai magazzini e l'abitazione
TG: Chi consideri come maestro?
OM: Si può imparare qualcosa da tutti, non c'è un solo
maestro, c'è un maestro che arriva dalla filosofia, c'è un maestro
per la materia, c'è un maestro che ti indica le preferenze, c'è un
maestro che t'insegna a sorprendere sempre il tuo pubblico, perché
altrimenti ti ripeti. Il tuo committente deve sempre restare sorpreso
dalla tua opera. Il tuo lavoro è come l'uovo di Pasqua, se tu sai
già cosa c'è dentro, non vale più niente.
TG: Osvaldo, forse ho capito male, hai detto che tu hai
insegnato per 83 anni?
OM: Sì, accumulando contemporaneamente 10 anni di qua e
10 di là nelle varie scuole. Io son partito ad insegnare a 25 anni
ed ho smesso due anni fa a 86 anni.
TG: Beh comunque sia, anche 61 anni d'insegnamento non
sono pochi.
OM: Sì esatto.
TG: Quindi per te l'insegnamento è qualcosa di molto
importante?
OM: Tu nasci e la vita ti propone qualcosa, tu poi ti
chiedi: perché sono nato? Che cosa devo fare? A che cosa serve la
mia presenza al mondo? Servo a qualcosa? O servo solo a me stesso?
Pensando a questa cosa mi son detto che la mia missione nella vita
era di dare un indirizzo ai giovani per poter sbarcare il lunario
tutti i giorni. Ho voluto dare un mio contributo a questa umanità,
insegnando ai giovani un lavoro e permette a loro di mantenere una
famiglia. Ecco perché ho insistito, anche se è pesante. Insegnavo
anche alle serali ed alle serali ad una certa età diventa dura. Devi
andare ad insegnare d'inverno e d'estate, tutti i giorni. Io nella
mia vita ho mancato pochissime lezioni e per motivi seri. Io credo
nei giovani e lo faccio perché io avuto la fortuna di vivere
decentemente bene avendo la mia professione. Quando incontro in giro
i miei ex allievi mi salutano e mi ringraziano. Alcuni mi salutano,
hanno la barba bianca ed i figli, magari io li ho avuti con me quando
avevano 13-14 anni, come faccio a riconoscerli? Loro ti riconoscono,
ma tu non puoi. Quando ti ringraziano, anche dopo tutto questo tempo,
hai la più grande soddisfazione per quello che hai fatto per loro.
TG: Hai avuto degli allievi che son diventati bravi?
OM: Sì, ne ho avuti, alcuni avevano delle qualità
eccelse nei campi del mio insegnamento, però, oggi come oggi, fuori
della scuola non c'è più continuità. Per me fuori della scuola ne
avevo un'altra da un'altra parte, ma erano due scuole. Ho sempre
vissuto così, invece ci sono dei ragazzi che fuori della scuola non
trovano un posto per poter migliorare, perché anche chi ti prende
per lavorare vuole guadagnare su di te e allora non ti fa imparare i
segreti. Ti fanno fare solo i lavori in serie e via così. E'
difficile diventare bravi a certi livelli e ti fermi.
Una stampa souvenir di un'opera importante
Maranatha. Disegno della Porta della Natività di Betlemme
TG: Volevo sapere, come sei stato scelto per fare la
Porta della Natività a Betlemme?
OM: Sono stato scelto anche un po' per caso, alcuni miei
amici antiquari mi avevano segnalato ai responsabili di Banca Intesa
che erano venuti da me per chiedermi di realizzare un cofanetto che
conteneva un CD musicale del maestro Muti per Papa Giovanni Paolo II,
era il 2000. Avevano bisogno di una scultura di pregio fatta di
legno, da mettere sul coperchio di questo cofanetto. Il Papa dopo
aver visto questo piccolo lavoro mi ha tenuto in considerazione per
il progetto della porta della Basilica di Santa Caterina di Betlemme,
dove c'è la natività. Naturalmente, ho fatto degli schizzi e dei
progetti e non era una cosa facile perché a Betlemme ci sono tanti
altri culti di cui bisognava tener conto per fare qualcosa di bello
ed apprezzato da tutti. Senza che questo figura potesse andar contro
al pensiero degli ebrei, o degli islamici. Ho pensato ad un soggetto
che potesse essere gradito e fosse d'auspicio per la pace nel mondo.
Ho disegnato un portone con 5 personaggi femminili che rappresentano
i 5 continenti. Ognuno di questi personaggi (potete vederci chi
volete, una donna, un angelo, una persona normale ndTG) è intento a
pregare Dio d'accorrere a salvare il mondo, perché stiamo
attraversando un momento difficile. L'organo alle spalle di queste 5
figure amplifica la loro voce di Dio che sta arrivando, mentre al
centro c'è la forma di un giglio che nasce solo nella zona di
Betlemme. Il giglio è simbolo di amore sublime e di purezza.
Maranathà è una parola in lingua aramaica che significa “Vieni
Signore a salvarci” e riprende una frase della Bibbia che troviamo
nell'Apocalisse. La porta è stata realizzata in legno di cirmolo
perché è un legno resinoso che non prende il tarlo e resiste bene
nel tempo a quelle latitudini. Il legno è uno dei materiali più
difficili da lavorare perché non si può andare contro-vena. Bisogna
conoscere le vene del legno e seguirle ed avere una grande
esperienza. Invece il marmo si può lavorare anche contro-vena,
naturalmente ci vuole più attenzione e maggiore delicatezza, ma è
possibile farlo. Nella stessa basilica è presente anche un'altra
porta in bronzo realizzata da un altro artista italiano.
Papa Giovanni Paolo II incontra Osvaldo Minotti, nel 2002, dopo che fu istallata la sua Porta della Natività a Betlemme
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