martedì 2 febbraio 2016

Osvaldo Minotti da Meda, un maestro predestinato nelle arti dell'intaglio e della scultura

Osvaldo Minotti 88 anni
Un ritratto di Osvaldo Minotti rielaborato cromaticamente in Photoshop per sottolineare l'espressione e lo sguardo intenso dell'artista

Grazie allo scultore Lorenzo Lenzini, ho conosciuto un artista con alle spalle una lunghissima carriera e tante cose da raccontare. A noi, s'è aggiunto un altro amico, Andrea Battistotti, ed insieme siamo andati a Meda per conoscere ed intervistare il Maestro Osvaldo Minotti.
Lenzini ha conosciuto qualche anno fa Minotti poiché quest'ultimo ha insegnato per tantissimi anni presso alcune scuole d'arte ed in particolar modo nelle classi del Castello Sforzesco di Milano. I due scultori avevano una conoscenza comune con Luigi Teruggi, un altro professore ed artista che ha insegnato all'Accademia di Brera. Sia il padre che il fratello di Lorenzo Lenzini hanno insegnato all'Accademia, mentre Lorenzo ha avuto rapporti di tipo giornalistico con questi ambienti accademici, oltre che con molti personaggi del mondo sportivo, militare e delle cronache milanesi.
Incuriosito dal lavoro e dall'esperienza di Minotti, ho deciso di porgli delle domande sulla sua carriera, sulla sua vita e di riportare quanto lui mi ha detto su queste pagine di Frammenti di Cultura, sperando di far cosa gradita al pubblico che è alla ricerca di notizie di prima mano.

Osvaldo Minotti nel suo studio di Meda con lo scultore/giornalista Lorenzo Lenzini

Minotti Luigi & Figli Bottega d'Arte Meda

Una telefonata per prenotare un tavolo in trattoria

L'esterno della casa/laboratorio che per circa una quindicina d'anni ospitò la Trattoria "Al Bersagliere"

Osvaldo Minotti
Pranzo presso "la Tavernetta" di Meda

TG: Osvaldo, partiamo dall'inizio: quali sono le origini della tua famiglia?

OM: La mia famiglia ha una storia molto interessante che risale a molti anni addietro, io non sono più giovane, per parlare di mio nonno bisogna tornare dal XIX secolo. Antonio Minotti era attivo in quel campo che possiamo definire artistico, lui già molto giovane venne mandato a Parigi per prendere delle nozioni di intaglio e scultura e, cosa non secondaria, per apprendere gli stili francesi. Dopo di che, dopo qualche anno tornò in Italia, dove era già sposato, ebbe un bambino che nacque nel 1898 e riprese il suo lavoro con impegno. Mio nonno, come molti giovani amava andare a ballare e fu proprio una di quelle sere invernali trascorse fuori casa che si ammalò di polmonite ed in breve tempo morì a causa di questo male. Eravamo all'incirca nel 1899-1900 e lui aveva soltanto 21 anni. Qui finisce la sua breve storia, ma inizia quella di mio padre, Luigi Minotti, che ebbe la fortuna d'avere dei maestri veneziani che gli insegnarono l'arte dell'intaglio e della scultura e gli fecero conoscere gli stili francesi. Il professor Tognon fu il maestro veneto più illustre che ebbe mio padre, purtroppo non ricordo il nome di battesimo di questo artista perché con il trascorrere degli anni alcuni dettagli, inevitabilmente, si perdono. Ricordo però che questi maestri veneziani, in quel periodo, vennero qui da noi in Brianza perché a Venezia non c'era molto lavoro. Alcuni di loro si recarono proprio qui a Meda perché nella nostra zona c'erano parecchie industrie d'arredamento rinomate in tutto il mondo che rifornivano le case reali e l'élite internazionale. Mio papà è stato uno dei primi ad apprendere l'arte figurativa perché in un primo tempo qui da noi si faceva soltanto arte ornamentale. Questo fatto gli ha dato la possibilità di sviluppare un suo commercio e metter su bottega per proprio conto. Col tempo la bottega s'è ingrandita e sono stati assunti parecchi operai provenienti da tutte le parti d'Europa, compresa Parigi ed il Veneto che erano le zone dove si trovava la maggior parte della manodopera specializzata, a quei tempi. Tra la sua clientela c'erano i milanesi più ricchi; i migliori architetti della nostra zona facevano da tramite con la crème della società.

Osvaldo ci fa strada per portarci a vedere le sue opere

 Particolare di un lavoro eseguito dalla Bottega di Luigi Minotti per il Coro del Duomo di Milano

Luigi Minotti fu insignito del Cavalierato di Vittorio Veneto per aver combattuto durante la I Guerra Mondiale

Un disegno di Osvaldo Minotti

Studio d'artista
Lo studio

Testa di donna

Angeli

A sinistra una testa di Don Bosco

Minotti realizzò anche una grande chiocciola di polistirolo per una mostra su Carlo Bugatti

TG: Chi erano questi architetti?

OM: Erano gli architetti Quarti e Grazioli che facevano parte di un'organizzazione che aveva in mano l'élite di Milano, quindi tramite loro la bottega lavorava per il Duomo di Milano, per la Scala e per l'aristocrazia milanese. I lavori dovevano essere fatti alla perfezione perché questo era quello che richiedevano gli architetti. Tutto doveva essere fatto a regola d'arte e non c'erano margini d'errore. Mio padre si presentò a soli 17 anni alla leva per la prima guerra mondiale. Fu fatto prigioniero e portato in Germania dove si ammalò di tisiade in campo di prigionia. La Croce Rossa Svizzera gli fece lasciare la Germania per raggiungere un ospedale italiano dove venir curato adeguatamente, come prevedevano le sue condizioni di salute. Fortunatamente, il treno della Croce Rossa essendo diretto nel bresciano sarebbe passato da una vecchia linea ferroviaria nazionale tra Como e Milano, con un casello ferroviario in prossimità di Meda e della casa della famiglia di Luigi Minotti. Il padre d'Osvaldo riesce a far cadere una cartolina dal treno che spiega il suo malanno e dove sarebbe stato ricoverato. La madre di Luigi, nonna di Osvaldo, riceve la cartolina e subito si dirige a Brescia per curare suo figlio che grazie a queste attenzioni si salva e guarisce. In poche parole, una volta guarito Luigi ritorna al paese e mette su bottega per lavorare in proprio. Come abbiamo visto, fu grazie ai maestri veneziani che si riuscì ad allargare l'esperienza e le capacità degli intagliatori locali che a loro volta sopperivano alla carenza dei vivai dei lavoratori presenti a Parigi, a Londra e a New York. Tuttavia, essendo quella una manodopera molto costosa, veniva tenuta da parte per far lavorare maestranze più a buon mercato. Mio padre col tempo riuscì a selezionare degli intagliatori e degli scultori capaci di sbrigare lavori di una complessità eccezionale, ognuno aveva una sua particolare specializzazione che permetteva di far fronte a qualsiasi richiesta. C'era chi faceva arte figurativa, chi l'ornato, chi i fiori, ed ognuno era un maestro nel suo campo. Mia nonna si risposò con un uomo che aveva lavorato anche lui nella bottega di mio nonno, ma dopo aprì una trattoria in questa casa dove ci troviamo adesso che chiamò “Al Bersagliere”, in onore di mio padre che aveva combattuto in quest'arma. Anche mio padre si sposò ed io nacqui nel 1928, il 6 giugno. Ero appena nato, ma mia mamma doveva dare un aiuto in trattoria al nonno, così non si sapeva a chi lasciarmi. Avevo solo un mese di vita e mi misero sotto un banco di lavoro in laboratorio, dove un operaio batteva con la mazzetta per svolgere il suo lavoro. Durante i momenti di riposo e di gioco ero sempre con gli operai in mezzo alla bottega piena di rumore, polvere e segatura. Si trattava della bottega che mio padre dirigeva e questa vita per me era normale. Quando ero stanco e volevo dormire mi collocavano sotto il banco di qualche operaio. Ancora oggi sento i colpi delle loro mazzuole nelle orecchie e la polvere della bottega nel naso. Crescendo in mezzo a loro ho imparato tutti i trucchi del mestiere, perché io penso che ci portiamo dentro di noi in maniera amplificata tutti i ricordi dell'infanzia. Quando abbiamo bisogno di farci forza ricordiamo quei momenti della nostra fanciullezza in cui abbiamo sentito o visto o capacitato quello che facevano gli altri in bottega, o altrove. Finiti i miei studi a scuola, la bottega s'è trasferita a Treviglio perché mio papà fu ingaggiato da un'industria in quella località che costruiva casse da morto, lui decorava i cofani delle bare. Tutto il periodo della seconda guerra mondiale lo abbiamo trascorso a Treviglio. Io frequentai lì delle scuole d'arte, ma una volta finita la guerra siamo tornati tutti a Meda. Qui ho continuato a studiare arte e poi mi sono iscritto all'Accademia del Castello Sforzesco, a Milano. Avevo circa 21 anni e per altri 5 anni ho continuato a studiare lì. Terminati quegli studi, ho iniziato ad insegnare nelle scuole qui dei dintorni: alla scuola di Lentate sul Seveso, alla scuola Civica di Meda, alla Scuola d'Arte della Regione Lombardia, sempre a Meda, all'Ignasa di Meda, poi a Cabiate e ancora a Lentate. Insegnavo di tutto, scultura, ornato, pittura e disegno. Mi hanno conferito il Cavalierato della Repubblica per meriti legati all'insegnamento. Se si considera che ho insegnato anche in due scuole diverse nello stesso anno, ho accumulato un totale di 83 anni di insegnamento. Ho chiuso con l'insegnamento nel 2014, ma a quasi 88 anni continuo a lavorare nel campo della scultura e della pittura, anche perché la salute mi consente di star bene e di continuare a farlo. E di avere le idee chiare.

 La bottega ha realizzato molti mobili stupendi. Questo è un mobile di forma ottagonale per fumatori 

 Sotheby's Preview, la rivista della casa d'aste londinese

Sotheby's Review
Il mobile "Top smoker" della Bottega Minotti in un'inserzione su Sotheby's Preview

Andrea Battistotti: Quali sono i lavori più rappresentativi che ha fatto?

OM: Ho fatto tanti lavori, dai monumenti ai caduti, ad altri tipi di monumenti, in più, nel 2004, ho fatto anche la Porta di Santa Caterina di Betlemme, dove c'è la Natività, ho fatto altre porte di chiese, sia in legno che in bronzo, ma le soddisfazioni più belle, a volte, arrivano per delle cose impensabili. Ad esempio, con le scuole d'arte noi partecipavamo a dei concorsi internazionali di sculture sulla neve. Siamo stati a Cortina d'Ampezzo, nella Svizzera tedesca ed in parecchi altri posti. In queste occasioni, ci siamo sempre fatti valere nei confronti di artisti che arrivavano dalle Americhe al Giappone, alla Cina e tutto il resto del mondo. Abbiamo vinto un primo premio a Cortina, in Svizzera un primo ed un secondo premio. Queste per me sono state grandi soddisfazioni, perché fare delle opere così perfezionate in un ambiente così competitivo tra tanti concorrenti, tutti accademici, o ingegneri e arrivare sempre nei primi posti è stato per me un motivo di grande orgoglio.

 Arte funeraria e religiosa

"L'arte adesso è come un dentifricio: se non fai pubblicità non vendi" Osvaldo Minotti

Sculture di legno decorate con foglia d'oro

 Battistotti, Minotti, Lenzini nel magazzino dei mobili della bottega di Meda

 Il forno per cuocere  le ceramiche circondato da statuette e sculture

 Il gesso che è servito per la statua dell'intagliatore esposta nel cortile della casa di riposo per artigiani a Meda

 Sedie, tavoli, putti

 Una grande scacchiera di legno ed i pezzi del gioco degli scacchi

Minotti e Lenzini

TG: Che cos'era successo in Francia nei primi del '900 che ha portato tutto il lavoro qua da voi?

OM: In Francia il costo della manodopera era aumentato molto, le persone che si occupavano degli intagli stavano sparendo, non c'era più il vivaio dei giovani apprendisti, così le commissioni arrivavano nei nostri paesi sapendo di poter trovare maestranze preparate che avevano già servito la casa reale ed altri regnati per arredamenti molto importanti. Il triangolo d'oro del nostro settore si trovva tra Cantù, Meda e Lissone; era qui che i francesi ed altri committenti da tutto il mondo ci proponevano i loro lavori. A Parigi, gli artisti dell'intaglio erano rari perché loro si recavano sul posto a realizzare le commissioni. Gli intagliatori facevano le stagioni e per questo bisognava prenotarli con un certo anticipo perché si recavano a lavorare in Russia, in Italia, in Francia e nei luoghi dove gli veniva richiesto di farlo. Lavoravano per le varie casate reali ed erano pagati di conseguenza molto bene. Tra gli intagliatori ci sono vari livelli di bravura, c'è chi è in grado di fare opere da museo ed altri che fanno semplicemente delle cornici e cose molto semplici. Bisogna anche essere in grado di saper distinguere le abilità dell'uno e dell'altro. Non si possono pagare tutti allo stesso modo. E' poi il passaparola e la fama del singolo artista che permettono di farti conoscere e di essere richiesto più degli altri e queste voci una volta correvano velocemente, anche senza bisogno della televisione. A me è capitato di fare una conferenza per un gruppo di persone che pretendeva di pagare gli intagliatori come gli operai: tutti ad uno stesso costo orario, ma questo non è possibile farlo. Così ho dovuto spiegare che gli uomini non sono delle macchine, gli uomini intagliano in maniera diversa, non sono tutti in grado di ripetere uno stesso lavoro sempre nel medesimo tempo e con la stessa qualità. Non è così. Nel campo dell'intaglio c'è l'intagliatore che è bravo e impiega molto meno tempo di quello meno bravo. Il costo orario in questi tipi di lavori non può essere uguale per tutti, allo stesso modo come per i pittori. Ognuno ha un prezzo particolare, a seconda della sua abilità.

Un'immagine della costruzione della Tour Eiffel

TG: C'era qualche figura particolare tra gli intagliatori, qui a Meda?

OM: C'era il Barozzi Pericle che era nato a Parigi, ma era di origine italiana, perché i nonni abitavano a Luino, sul Lago Maggiore. Da ragazzo scappò da casa dalla sua famiglia perché veniva maltrattato, non essendoci più la mamma il padre stava con un altra donna e obbligava il figlio a lavorare in un garage poco illuminato. Per questo, anche d'inverno, il Pericle doveva tenere il portone aperto e quando si lamentava che aveva freddo e non sentiva le mani, il padre gli diceva che ci avrebbe pensato lui a scaldarlo; dopo di che gli faceva fare il giro intorno ai banchi di lavoro a pedate nel sedere. Dopo di che gli chiedeva se si era scaldato. Questo ragazzo aveva sui 13-14 anni quando decise d'andarsene da Parigi e mi disse d'aver visto costruire la Tour Eiffel. Quei lavori erano costati molte vite umane. Qualcuno cadeva e via via mi raccontava come era stata fatta la torre e come lui aveva vissuto la sua vita. Quando era un bambino delle elementari, andando a scuola passava attraverso delle vie dove vedeva sempre un intagliatore intento nel suo lavoro, dentro ad uno scantinato. Pericle s'accostava all'inferriata della finestrella e restava per diversi minuti a guardare un uomo vecchio che intagliava il legno. Fu così che s'innamorò di questo lavoro. Nella sua vita Pericle fece di tutto per poter frequentare le scuole per diventare un intagliatore. A Parigi, all'epoca, esistevano già delle scuole specializzate per questo tipo d'attività. Pericle riuscì a realizzare il suo sogno, frequentò le scuole, apprese molto bene il lavoro e anche gli stili francesi. Suo padre era un falegname ed appena il figlio fu in grado di realizzare qualche lavoro pretese di farlo lavorare nella sua bottega che per l'appunto si trovava in un garage perché Parigi era una città molto cara per le abitazioni ed i laboratori. Il bambino e suo padre lavoravano e vivevano nello stesso garage. Pericle cercava di lavorare fuori casa per raccogliere qualche mancia per pagarsi il viaggio in Italia ed andare a vivere dai nonni. A Parigi era amico di un anziano che lo aiutava dandogli del lavoro e qualche soldo. Appena Pericle mise insieme una sommetta sufficiente alle sue necessità fuggì immediatamente senza dir niente a nessuno, con una valigia di cartone in mano ed un ombrello a tracolla. Una volta arrivato dai nonni intraprese una vita diversa, dopo di che iniziò ad andare in giro per trovare qualche lavoro. Arrivò da noi in Brianza e qui lavorò un po' ovunque, a Lissone, a Meda e a Cantù.

Autentici arredamenti "Fatti a mano in Brianza"

 Un mobile bar molto particolare. Per comprarlo ci vogliono circa 6000 euro

Sostegni per lastre di vetro che diventano tavoli

Osvaldo Minotti

Un esempio di ornato e foglie intagliate

TG: E vi siete conosciuti allora?

OM: Sì, lui è venuto a lavorare qui, conosceva mio papà, più di me, perché aveva anche lui la bottega in paese. Barozzi trovò una fidanzata a Meda e si stabilì qui. Conoscendo bene gli stili francesi, lavorava molto e divulgando questi stili nella zona ha diede una svolta non indifferente all'arte dell'arredamento della nostra zona. Barozzi si sposò ed iniziò a stare bene, aveva l'abitudine di frequentare il teatro alla Scala di Milano andando fin lì col landò. Aveva amici di un certo livello e viveva bene, ma dopo un po' si ammalò e dovette abbandonare la sua bottega. Una volta guarito, riprese a lavorare nelle botteghe della zona e venne anche qui da noi, nella bottega di mio papà. Eravamo all'incirca nel 1945. Barozzi aveva dei figli, uno di loro andò all'Accademia di Brera ad insegnare scultura; durante la guerra fu tenuto prigioniero in un campo di concentramento in Germania, si ammalò e riuscì a guarire. Da ragazzo, Gino, il figlio del Luin, Barozzi veniva chiamatio così perché veniva da Luino, andava a studiare a Milano, a Brera, partendo da Meda in bicicletta; mi ricordo perché anch'io ci andavo quando lavoravo lì come modello. Ginin ha sposato una professoressa di pianoforte, ma dopo un po' morì perché l'esperienza del campo di concentramento gli aveva minato la salute. Il Luin era un personaggio molto conosciuto nella nostra zona perché ha lavorato un po' dappertutto. Con me parlava molto perché mi conosceva bene e mi aveva in simpatia, io lo ascoltavo volentieri perché la sua storia era come un best-seller. Ha avuto mille traversie ed ha cercato di riprendersi per ricominciare un'attività in proprio; aveva finalmente trovato un socio, a dopo circa 7 o 8 mesi quest'uomo si suicidò. Nessuno seppe mai il perché, il socio andò fuori dal cimitero e si sparò un colpo di pistola e morì. Per l'ennesima volta il Barozzi dovette ricominciare tutto da capo, ma non si diede per vinto. Ha avuto però una vita tragica ed è andato a morire sulle montagne di Torino dove si era sposato l'altro suo figlio che aveva messo incinta una ragazza di quelle parti mentre faceva il militare. In tarda età il Barozzi che non lavorava più, si ritirò a Torino e proprio come diceva sempre: “Io morirò all'età d Michelangelo ed al mio funerale non ci sarà nemmeno un cane”, avvenne. Mio papà andò a Torino per il funerale del suo amico. Era un funerale di montagna, c'erano solo 3 o 4 persone che seguivano la bara e un cagnolino che gli correva dietro. Il Barozzi era un personaggio molto particolare. Quando ancora viveva a Meda diceva: ”Ingrata terra non avrai le mie spoglie”. Ed anche questo ebbe ragione, perché andò a morire a Torino. Qui da noi è diventato un personaggio storico il Luin; quando lavorava, magari faceva delle specchiere o delle consolle o altri mobili e quando le persone gli chiedevano il prezzo lui rispondeva: “Costa tot”, ma se questi si permettevano di tirare indietro sui prezzi il Barozzi impazziva e diceva che il prezzo che aveva fatto era un prezzo onesto e che se volevano era quello, altrimenti era meglio lasciar stare. Ma se questi insistevano, capitava che il “Luin” prendesse il lavoro finito per romperlo sul banco. Aveva un carattere fortissimo. Io di lui sapevo vita, morte e miracoli perché lui mi spiegava le sfumature delle cose, mi diceva che si sognava d'andare in chiesa e questo cosa la collegava al fatto che lui andava in casa della fidanzata senza essere sposato. Cosa che per quei tempi era uno scandalo e provocava pettegolezzi in tutta la gente del posto. Ce l'aveva a morte coi preti, una volta sognò un prete con le corna, come un diavolo. Interpretò quel sogno come se il prete fosse il diavolo, anche perché costui anziché predicare amore e comprensione predicava odio e cattiveria.

TG: A che età morì questo “Luin”?

OM: E' morto che aveva circa 83-84 anni. (Secondo i miei calcoli sarà nato intorno al 1874 e morto nel 1957 ndTG)

TG: Prima di tuo nonno qualcun altro in famiglia faceva l'intagliatore?

OM: Non lo so, mi hanno raccontato la storia di mio nonno perché io non l'ho conosciuto e mi hanno detto che è morto a 21 anni e che a 19-20 anni, da dipendente della Baserica, una ditta di arredamenti. L'avevano mandato a Parigi ad imparare gli stili. Già mio nonno era indirizzato in quel settore.

Nonostante sia difficile dopo tanto tempo risalire con precisione agli anni in cui si siano verificati certi avvenimenti, i racconti di Osvaldo sono veritieri e fa piacere ascoltarli. Anche perché non siamo più abituati a sentire queste cose. Decido così di proseguire l'intervista.

Terrecotte

TG: Osvaldo, tu hai iniziato a lavorare come intagliatore?

OM: Sì, come intagliatore, diciamo, come neonato in questo campo... Non è che sono nato come intagliatore, scultore, o disegnatore, sono nato in questo campo allo stesso modo in cui può crescere il prezzemolo se viene seminato nel campo giusto. Nei tempi addietro i contadini seminavano a secondo dei terreni che potevano dare i frutti più buoni. C'era il terreno per le patate, quello per i pomodori, e via di seguito. Era il contadino che doveva capire qual'era il campo che doveva seminare ed in un determinato campo veniva seminato il prodotto che poteva crescere meglio. Voglio dire che io sono nato in un campo dove nascono queste cose... (gli intagliatori ndTG) Non puoi prevedere quello che devi fare, se tu nasci in questo campo, tu devi stare al gioco. Sei stato seminato in questo campo per dar vita ad un certo fiore, o ad un certo frutto. Non è che io abbia scelto quello che volevo fare, sono nato qui, sono cresciuto e sono rimasto quello che sono. Io mi sento un predestinato, altrimenti non mi potevano mettere sotto il banco (dell'intagliatore) a pochi mesi ad assaporare quello che ti circonda, quello che ti aiuta, quello che ti copre. Quel vestito non è che l'hai comprato tu, ma ti viene messo addosso. Da quando son nato, son sempre cresciuto dentro la bottega...

TG: Come hai fatto a diventare scultore?

OM: Io sapevo disegnare molto bene, fin dalla prima elementare mi mandavano alla lavagna per fare i disegni per gli altri. Mio papà aveva sempre una matita molto appuntita nella tuta da lavoro e quando mi prendeva in braccio mi faceva certe punture con la punta della matita. Questo vuol dire che crescendo in quel mondo disegnare è sempre stato uno scherzo. La matita l'avevo sempre in mano e disegnavo sempre. Tante volte per giocare lavoravo il legno e così son diventato adulto...

 Osvaldo ci mostra  un suo lavoro molto prestigioso...

Si tratta dell'arredamento da lui creato per una sala d'attesa del palazzo di Hirohito, il 124° Imperatore del Giappone

AB: Nella sua attività c'è molto lavoro artigianale e c'è dell'arte, che rapporto c'è tra questi due mondi? Lei come si considera?

OM: Per riuscire ad emergere ci vogliono le fondamenta, bisogna sempre partire dai primi gradini, in tutte le cose, se vuoi andare in alto parti dai primi gradini, ma se li salti, poi devi tornare indietro perché non puoi saltarli. Io ho cominciato dal nulla, poi gradino per gradino sono andato avanti. Io ho avuto la fortuna di nascere in quell'ambiente e di avere la predisposizione per quel tipo di arte, e dico fortuna perché è così. Io conosco anche quello che è artigianato e che non si considera arte, però per me è arte anche quella perché ci sono grandi artisti nell'artigianato. Un bravo artigiano non è inferiore ad uno che viene chiamato artista. Anche l'artigiano è un'artista perché crea e inventa e tutte le macchine che usiamo sono state create dall'artigianato, manualmente, fatte di legno magari, e poi perfezionate coi materiali che sono venuti dopo. Io non vedo differenza tra quando faccio un lavoro artigianale e quando faccio un lavoro artistico, per me è uguale. Anche se faccio un lavoro artigianale io devo pensarlo e realizzarlo, allo stesso modo di un lavoro artistico.
Mentre se tu fai i lavori in serie e copi le cose, quello diventa un artigianato normale, ma se tu crei fai qualcosa di speciale. Nella nostra bottega noi abbiamo sempre fatto delle cose firmate in numero limitato, sempre un pezzo diverso dall'altro. Nella mia vita io non ho mai ripetuto una cosa uguale ad un'altra. Ho sempre cambiato progetto. I miei pezzi scaturiscono dalla riflessione e dall'equilibrio. Controllo sempre se quello che faccio è meglio di prima o è peggio, cercando di conferire ai miei lavori sempre qualcosa in più. Bisogna andare per gradi. Io ho molte opere nei musei, in Vaticano, o da altre parti, monumenti nelle piazze, porte di chiese ed altre opere. Dopo che faccio un'opera non torno più a rivederla perché dopo ho paura di vedere in quel lavoro dei grandi difetti. Per ogni giorno che passa la nostra maturazione continua, se faccio qualcosa oggi, domani potrei vederla in modo diverso e trovare dei difetti in ciò che ho fatto. Per non vergognarmi non torno più a vedere quello che ho fatto. Eros Pellini, personaggio eccezionale, era il mio vecchio maestro della Scuola del Castello Sforzesco, insegnava contemporaneamente anche a Brera, un giorno che avevamo terminato un pulpito bizantino mi chiama: “Minotti!”, c'era anche il Gariboldi che insegnava le tecniche col gesso ed aveva formato la porta del Duomo di Milano, “Che cosa vuoi fare adesso, Minotti?”. Io rispondo che mi piacerebbe fare un Cristo. Ero già al secondo o al terzo anno di scuola da lui, ma Pellini mi guarda con due occhi di fuori. Al che io chiedo se ho detto qualcosa di sbagliato. Mi sento dire: “Ma lo sai che per fare un Cristo ci vogliono due coglioni così? Il Cristo non è una persona normale, ma dev'essere qualcosa d'ineccepibile! Di una bontà infinita, con un carattere fortissimo. Dev'essere un conduttore. Se tu vuoi fare un Cristo devi avere una preparazione infinita. Anche filosofica”. Io adesso, tutte le volte che vedo i Cristi crocifissi non mi piacciono più, perché mi sembra di vedere qualcuno che fa la ginnastica. Oppure mi sembrano dei morti di fame scarnificati; un altro mi sembra che stia dormendo... Cioè, aveva ragione il mio professore, il Cristo non è un soggetto così semplice perché non è un uomo normale. Io, in un modo o nell'altro avrò fatto un centinaio di Cristi, ma ogni volta mi vengono in mente quelle parole ascoltate tato tempo fa. Non sono mai riuscito a fare un Cristo come diceva lui, perché per farlo bene, avrei dovuto farlo per iscritto! Con le parole, non con la materia che si può vedere. Secondo me i più bei Cristi che ci sono in giro sono quelli del '300 e del 400. Io li apprezzo perché sono ingenui, non vogliono mostrare la bravura dell'artista che mostra tutte le vene, il viso bello o la barba perfetta, ma che abbia qualcosa in più a livello interiore, qualcosa di nascosto che si scopra entrandoci dentro personalmente, non che venga esibito pubblicamente. Dev'essere un'opera che mostri quello che c'è dietro a questo uomo ed è per questo che io faccio fatica a rappresentare questo personaggio. Io l'ho dentro lo sento questo discorso, ma faccio fatica a definirlo in modo visivo per gli altri.
Basta dire che Cristo è un personaggio universale, io so di non essere un credente al 100% come vorrebbe impormi la religione, ma so che Cristo potrebbe essere qualsiasi personaggio, però dev'essere un personaggio talmente profondo e religioso che anche se non dovesse essere stato il figlio di Dio, deve ugualmente essere stato un personaggio straordinario. Bisogna amarlo per quello che predicava, se poi lo si riconosce anche come il figlio del Padre Eterno, meglio ancora. E va amato, proprio perché era una figura eccezionale.

Osvaldo Minotti, 87 anni, durante l'intervista di Tony Graffio

Scuola d'Arte di Cabiate

Un bozzetto su argilla firmato Minotti

Guardando nel libro dei ricordi

TG: Com'è il tuo rapporto con la materia? Hai delle preferenze? Il legno? La pietra? Il bronzo?

OM: Ma no, guarda, quando io insegno a scuola indico la via, il processo da seguire, il modo per arrivare ad essere bravi. Nel campo dell'arte c'è un punto che è come un muro e non si arriva ad andare oltre. Se tu cedi e ti fermi davanti a quel muro sei un bravo scultore, però non sei eccezionale; se tu riesci ad oltrepassare quel muro lì, sei un grande artista. Il percorso che si fa con l'insegnamento è sempre quello, ma sei tu, da solo che devi attraversare quel muro. Devi avere dentro te stesso qualcosa che ti dà il coraggio, la forza e la capacità per superare questo muro. Altrimenti rimani di qua, non ci sono storie.
Se hai le qualità, il percorso è questo, bisogna passare dalla copia dal vero, conoscere tutto quello che è tradizionale e via via bisogna imparare a disegnare, molto, perché il disegno è alla base di tutto. Se non sai disegnare non sei nessuno. Quando poi arrivi a modellare in creta, plastilina, o quello che è, i materiali puoi affrontarli tutti, tu sei uno scultore ed hai dentro di te la capacità. Non dipende dal materiale se tu sei bravo o meno bravo; ciò che serve son gli arnesi che devi saper adoperare per poter fare quello che vuoi. La materia è sempre quella, è quello che c'è dentro che tu sviluppi. Io andavo a fare le statue di ghiaccio e vincevo i concorsi, ma io non avevo mai provato a lavorare il ghiaccio prima d'allora. Eppure, con un minimo d'esperienza che mi son fatto sul posto, riuscivo a fare lavori migliori di altri. E allora? E' necessario imparare a lavorare il ghiaccio?, O il bronzo? O il legno? E' uguale. E' solo questione d'imparare ad usare gli arnesi giusti. Se sei un artista sei un artista, se sei nessuno sei nessuno. Per me la materia non conta niente, per quello che io discuto con la gente impreparata che dice: “E' fatto d'oro! Guarda lì!” Pensano che sia il materiale che dà importanza all'opera, ma non è così, ti sbagli. L'opera artistica non è il materiale, è l'opera in se stessa che è arte e quindi il valore è quello.

TG: Ma non hai preferenze?

OM: La preferenza in campo artistico per me è per l'argilla, la terra cotta e il legno. Per questi materiali esiste l'impronta primaria, l'impronta di quello che è l'artista, la sua freschezza, del colpo del dito dell'artista. Negli altri materiali che modelli manca questa immediatezza perché il gesso e il bronzo vanno modellati, si fa la forma, la controforma, si fa la cera, si parte per fare la fusione, poi c'è il cesello. Tutti questi passaggi mortificano l'impronta viva dell'artista. Michelangelo diceva: “Con carne si fa carne”. Cioè con l'impronta della tua mano puoi dar vita alla materia. Invece, con più passaggi muore questa vita. Anche per il legno ci vuole un'impronta precisa al primo colpo e per il cotto, perché quando lo cuoci non lo tocchi più e rimane intatta l'impronta dell'artista.


Difficile distinguere il laboratorio, dai magazzini e l'abitazione

TG: Chi consideri come maestro?

OM: Si può imparare qualcosa da tutti, non c'è un solo maestro, c'è un maestro che arriva dalla filosofia, c'è un maestro per la materia, c'è un maestro che ti indica le preferenze, c'è un maestro che t'insegna a sorprendere sempre il tuo pubblico, perché altrimenti ti ripeti. Il tuo committente deve sempre restare sorpreso dalla tua opera. Il tuo lavoro è come l'uovo di Pasqua, se tu sai già cosa c'è dentro, non vale più niente.

TG: Osvaldo, forse ho capito male, hai detto che tu hai insegnato per 83 anni?

OM: Sì, accumulando contemporaneamente 10 anni di qua e 10 di là nelle varie scuole. Io son partito ad insegnare a 25 anni ed ho smesso due anni fa a 86 anni.

TG: Beh comunque sia, anche 61 anni d'insegnamento non sono pochi.

OM: Sì esatto.

TG: Quindi per te l'insegnamento è qualcosa di molto importante?

OM: Tu nasci e la vita ti propone qualcosa, tu poi ti chiedi: perché sono nato? Che cosa devo fare? A che cosa serve la mia presenza al mondo? Servo a qualcosa? O servo solo a me stesso? Pensando a questa cosa mi son detto che la mia missione nella vita era di dare un indirizzo ai giovani per poter sbarcare il lunario tutti i giorni. Ho voluto dare un mio contributo a questa umanità, insegnando ai giovani un lavoro e permette a loro di mantenere una famiglia. Ecco perché ho insistito, anche se è pesante. Insegnavo anche alle serali ed alle serali ad una certa età diventa dura. Devi andare ad insegnare d'inverno e d'estate, tutti i giorni. Io nella mia vita ho mancato pochissime lezioni e per motivi seri. Io credo nei giovani e lo faccio perché io avuto la fortuna di vivere decentemente bene avendo la mia professione. Quando incontro in giro i miei ex allievi mi salutano e mi ringraziano. Alcuni mi salutano, hanno la barba bianca ed i figli, magari io li ho avuti con me quando avevano 13-14 anni, come faccio a riconoscerli? Loro ti riconoscono, ma tu non puoi. Quando ti ringraziano, anche dopo tutto questo tempo, hai la più grande soddisfazione per quello che hai fatto per loro.

TG: Hai avuto degli allievi che son diventati bravi?

OM: Sì, ne ho avuti, alcuni avevano delle qualità eccelse nei campi del mio insegnamento, però, oggi come oggi, fuori della scuola non c'è più continuità. Per me fuori della scuola ne avevo un'altra da un'altra parte, ma erano due scuole. Ho sempre vissuto così, invece ci sono dei ragazzi che fuori della scuola non trovano un posto per poter migliorare, perché anche chi ti prende per lavorare vuole guadagnare su di te e allora non ti fa imparare i segreti. Ti fanno fare solo i lavori in serie e via così. E' difficile diventare bravi a certi livelli e ti fermi.

 Una stampa souvenir di un'opera importante

Maranatha. Disegno della Porta della Natività di Betlemme

TG: Volevo sapere, come sei stato scelto per fare la Porta della Natività a Betlemme?

OM: Sono stato scelto anche un po' per caso, alcuni miei amici antiquari mi avevano segnalato ai responsabili di Banca Intesa che erano venuti da me per chiedermi di realizzare un cofanetto che conteneva un CD musicale del maestro Muti per Papa Giovanni Paolo II, era il 2000. Avevano bisogno di una scultura di pregio fatta di legno, da mettere sul coperchio di questo cofanetto. Il Papa dopo aver visto questo piccolo lavoro mi ha tenuto in considerazione per il progetto della porta della Basilica di Santa Caterina di Betlemme, dove c'è la natività. Naturalmente, ho fatto degli schizzi e dei progetti e non era una cosa facile perché a Betlemme ci sono tanti altri culti di cui bisognava tener conto per fare qualcosa di bello ed apprezzato da tutti. Senza che questo figura potesse andar contro al pensiero degli ebrei, o degli islamici. Ho pensato ad un soggetto che potesse essere gradito e fosse d'auspicio per la pace nel mondo. Ho disegnato un portone con 5 personaggi femminili che rappresentano i 5 continenti. Ognuno di questi personaggi (potete vederci chi volete, una donna, un angelo, una persona normale ndTG) è intento a pregare Dio d'accorrere a salvare il mondo, perché stiamo attraversando un momento difficile. L'organo alle spalle di queste 5 figure amplifica la loro voce di Dio che sta arrivando, mentre al centro c'è la forma di un giglio che nasce solo nella zona di Betlemme. Il giglio è simbolo di amore sublime e di purezza. Maranathà è una parola in lingua aramaica che significa “Vieni Signore a salvarci” e riprende una frase della Bibbia che troviamo nell'Apocalisse. La porta è stata realizzata in legno di cirmolo perché è un legno resinoso che non prende il tarlo e resiste bene nel tempo a quelle latitudini. Il legno è uno dei materiali più difficili da lavorare perché non si può andare contro-vena. Bisogna conoscere le vene del legno e seguirle ed avere una grande esperienza. Invece il marmo si può lavorare anche contro-vena, naturalmente ci vuole più attenzione e maggiore delicatezza, ma è possibile farlo. Nella stessa basilica è presente anche un'altra porta in bronzo realizzata da un altro artista italiano.

Papa Giovanni Paolo II incontra Osvaldo Minotti, nel 2002, dopo che fu istallata la sua Porta della Natività a Betlemme

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