Loris De Filippi, presidente di Medici Senza Frontiere, 50 anni
Tony Graffio: Ciao
Loris, raccontami qualcosa di te. Che studi hai fatto e come hai
iniziato ad occuparti delle sofferenze degli altri?
Loris De Filippi: Ciao
Tony, io sono nato nel 1966 a Udine. Intorno ai 13 anni ho deciso che
in qualche modo avrei voluto lavorare in un paese in via di sviluppo
per dare il mio contributo umano e professionale a persone meno
fortunate di me.
Ero molto
interessato all'agronomia e frequentavo un'organizzazione di questo
settore dalle mie parti. Successivamente, ho abbracciato l'interesse
per la medicina in modo molto casuale, perché era il modo più
veloce per lavorare in un paese in via di sviluppo. Ho seguito un
corso di infermiere professionale a Udine, dopo di che ho iniziato
rapidamente a lavorare all'Ospedale di Udine. In seguito mi sono
iscritto ad un corso di Medicina Tropicale ad Anversa, in Belgio.
Dopo 6 mesi, al termine di questo corso, avevo acquisito le
competenze per lavorare in scenari sanitari difficili, dove la
malaria ed altre malattie tropicali erano un primo ostacolo per la
salute delle persone. Ho iniziato a partecipare alle mie prime
missioni umanitarie con alcune organizzazioni internazionali ed al
tempo stesso ho continuato a lavorare in ospedale; sono stato tra i
primi a lavorare per il 118 di Udine che poi è diventato il primo
servizio di emergenza in Italia, di fatto il vero 118.
Ad un certo
punto mi sono trovato da un lato a voler partire per missioni
all'estero e dall'altro a continuare a voler lavorare all'interno
dell'ospedale, in quel periodo ho conosciuto Medici Senza Frontiere,
è successo intorno al 1997, quasi vent'anni fa. Ricordo che
all'uscita del mio reparto ho trovato un dépliant
che
presentava quest'associazione dicendo: “Se ti chiediamo dei soldi
non mandarci all'inferno: ci siamo già”. Al di là di questo
titolo ad effetto, ho visto una fotografia terribile di qualcuno che
stava intubando un malato in una situazione d'urgenza. E' stata
un'immagine che mi ha colpito molto e mi ha convinto a partire con
MSF.
TG:
S'è trattato d'un impatto visivo molto forte?
LDF:
Sì, un impatto molto forte, al punto che ho deciso di telefonare
subito a MSF, grazie a quella fotografia, e dieci giorni dopo, anche
grazie ad una serie di coincidenze incredibili, sono partito con MSF.
Avevo tutti i requisiti giusti per partire, dal corso in medicina
tropicale alle conoscenze di un paio di lingue straniere. All'epoca
parlavo solo inglese e francese, adesso parlo anche spagnolo,
portoghese ed ho appreso anche altre lingue nei paesi dove ho
lavorato. Sono partito per la mia prima missione con MSF tra Kenya e
Somalia nel campo profughi di Dadaab, sono stato lì circa sette mesi,
poi ho fatte tantissime altre missioni. Da subito, ho capito che
c'era qualcosa di cambiato in me e che volevo fare quel tipo di vita.
Per un paio d'anni ho continuato a partire per le missioni lasciando
l'ospedale con delle aspettative senza assegni, dove peraltro stavo
benissimo; ho lavorato sia a Udine che a Gemona, sempre in ambienti
di terapia intensiva, 118 ed emergenze, ad un certo punto non ce l'ho
fatta più ed ho deciso di partire stabilmente con Medici Senza
Frontiere. Da quel momento in poi ho iniziato a lavorare
continuativamente a queste missioni umanitarie in vari paesi.
TG:
E' una cosa che si può fare? O bisogna continuare a fare richieste
in questo senso?
LDF:
Sì, si può fare tranquillamente. Molti preferiscono scegliere una
vita un po' complicata con continue richieste di aspettative per
poter partire, io invece mi sono licenziato ed ho lasciato l'ospedale
ed il lavoro sicuro per darmi ad un lavoro altamente insicuro, ma
molto soddisfacente. Sono stato in molti paesi, acquisendo sempre
maggiori competenze, sono diventato coordinatore, poi capo missione,
fino a diventare il direttore delle operazioni del centro MSF più
grosso che era quello di Bruxelles. Eravamo tra il 2008 ed il 2011,
possiamo dire che questo è stato il mio impegno più grande.
Poi
per motivi personali, una malattia di mia madre, sono rientrato in
Italia ed adesso ho un ruolo più istituzionale come presidente,
anche se questo non mi impedisce di partire per nuove missioni. Io
penso che chi svolge questo tipo di lavoro, anche in ruoli apicali,
deve necessariamente mantenere i piedi sul terreno operativo. Questa
è una chance che riesce a darmi un'organizzazione come la nostra
perché ogni qual volta che sento d'avere la possibilità ed il tempo
per poter essere operativo sul territorio parto per portare il mio
contributo personale sul posto, dove c'è bisogno che io faccia il
mio lavoro. Cerco comunque d'essere un padre responsabile, crescere i
miei 3 figli e portare avanti una vita familiare, più o meno
normale.
TG:
Loris come sei diventato presidente? Ti ha proposto qualcuno? Sei
stato eletto?
LDF:
Sì, da noi le cose vanno avanti come in tantissime altre
organizzazioni con un'assemblea generale, lì sono stato votato, i
soci continuano a votarmi, io sono al secondo anno di mandato,
quest'anno non so se mi ripresenterò. E' stata un'esperienza molto
bella, ma il presidente da noi non è il solo portavoce. A differenza
di altre organizzazioni che sono identificabili nel proprio leader
(vedi
Emergency ndTG), da noi c'è molta attenzione nel dare voce a chi non
ne ha, piuttosto che a creare il personaggio. Tu, per esempio, non
mi avevi mai visto in vita tua ed è un bene che sia così, no? Il
vero problema sono le vittime delle situazioni che si creano nel
mondo. Il frontman
delle organizzazioni può benissimo fare il suo lavoro senza
diventare un caso mediatico, o politico. E' anche per questo motivo
che MSF mi calza addosso perfettamente.
TG:
Come si finanzia MSF?
LDF:
MSF, in Italia, si finanzia completamente dai donatori privati. A
differenza di molte organizzazioni che si finanziano attraverso
canali governativi, piuttosto che dal ministero degli affari esteri,
o dalla cooperazione regionale, da noi tutti soldi ci arrivano,
parliamo di più di 50 milioni di euro, da cittadini privati italiani
e sono fondi totalmente trasparenti e leggibili. Noi siamo molto
attenti alla spesa di questi soldi e per mandato destiniamo l'85% del
nostro budget alle missioni sui territori all'estero mentre soltanto
il 15% serve alle spese per il mantenimento delle strutture. Anche
questa è una ratio
che difficilmente trovi in altre organizzazioni. Forse è per questo
che c'è gente che si lamenta perché non paghiamo eccessivamente i
medici e gli infermieri che lavorano con noi. Noi garantiamo soltanto
uno stipendio normale che è un rimborso spese, o poco più. Questo
fatto fa storcere il naso a molti, ma è la nostra forza perché il
nostro bilancio viene certificato, non solo al nostro interno, ma
anche dal KPMG, o da qualsiasi altro revisore internazionale. Questa
trasparenza è uno dei motivi principali per i quali gli italiani si
fidino di noi e continuano a destinarci le loro donazioni.
TG:
Avete la possibilità di farvi donare il 5 per mille sulla
dichiarazione dei redditi?
LDF:
Sì, ovviamente il 5 per mille esiste e sono i cittadini italiani che
in maniera cosciente scelgono di affidarci il loro contributo. E'
sicuramente una parte importante dei nostri introiti annui, ma non è
la preponderante. Credo che si tratti soltanto del 15% delle entrati
totali.
TG:
In quali territori s'è svolta la tua missione più dura?
LDF:
C'è ne sono state moltissime. Dal punto di vista personale, una
abbastanza recente un paio d'anni fa in Repubblica Centrafricana mi
ha esposto molto, anche dal punto di vista della sicurezza e mi ha
intaccato profondamente perché s'è trattato di una situazione di
violenza brutale generalizzata in un ambiente urbano. Per un po' di
tempo sono rimasto sconvolto. Poi, altre. Haiti è un posto che mi è
rimasto sicuramente nel cuore, ho lavorato lì per 2 anni e ci ho
vissuto con la mia famiglia. Era un momento storico molto delicato quando è avvenuto l'allontanamento forzato del presidente Jean Bertrand Aristide per la seconda volta. Questo
fatto ha provocato una guerra civile molto grave. Anche in Siria le
condizioni sono molto dure: dov'ero io siamo stati bombardati un paio
di volte, si tratta di situazioni sempre estreme. Questi sono
sicuramente i ricordi più vivi, ma ce ne sono tanti altri bellissimi
e indimenticabili, come per esempio tutte le volte che i bambini
riescono a guarire dalle loro patologie e lasciare l'ospedale col
sorriso. Al di là di quello che può sembrare banale dire, questa è
veramente la parte più bella del nostro lavoro, quella che ti fa
pensare che vale la pena fare quello che facciamo, nonostante i
rischi ed i mille problemi. Soprattutto durante le carestie, quando
sei nei centri nutrizionali e solo un ragazzino riesce ad uscire
perché tu hai portato quel farmaco, o quel cibo pronto per essere
utilizzato, dal punto di vista terapeutico, ti rendi conto che il tuo
lavoro ha avuto un peso determinante per la salvezza di vite umane.
In questo modo dai un senso alla tua vita. Solo con un impegno,
perché questa è la spina dorsale della nostra scelta di vita.
TG:
Vuoi dire qualcosa sui bombardamenti di Kunduz e gli altri
bombardamenti che le vostre strutture hanno subito?
LDF:
Quello che ci preoccupa maggiormente è il progressivo bombardamento
delle strutture sanitarie, in particolare nostre, ma in generale
quello che sta accadendo in moltissimi paesi. L'Afganistan è molto
colpito da queste azioni di guerra indiscriminate. Lo scorso 3
ottobre abbiamo subito un attacco assassino che ha ucciso 12 dei
nostri operatori, togliendo la vita complessivamente a 30 persone,
distruggendo la terapia intensiva, la sala operatoria e tutte le
strutture sanitarie del più importante centro traumatologico di
Kunduz che per noi era il fiore all'occhiello su quel territorio.
Da
quel momento in poi abbiamo assistito ad altri attacchi ad altre
strutture, in altri paesi. In Yemen abbiamo subito 3 attacchi
assassini in pochissimo tempo con la distruzione quasi totale delle
strutture sanitarie. In Siria, dall'inizio dell'anno, 13 strutture
sono state colpite e, complessivamente, dall'inizio della guerra 177
strutture sono state distrutte, con 700 morti tra infermieri e
medici. Questi dati sono impressionanti e chiedere il rispetto della
Convenzione di Ginevra in modo sistematico da parte di tutti i paesi
e tutte le forze o le coalizioni in gioco. La nostra è una richiesta
chiara, determinata al fine di sospendere tutti gli attacchi alle
strutture sanitarie e civili come prevede la Convenzione di Ginevra
ed i diritti umanitari internazionali, come prevedono tutte le leggi
della guerra ed il buon senso. Quello che sta succedendo non è
tollerabile e noi siamo messi in pericolo e mi chiedo quanto
dureremo. Se continueranno questi attacchi, quanti operatori sanitari
vorranno lavorare con noi nelle nostre strutture? In questo momento,
quello che ci stiamo chiedendo è: se noi continuimo a lavorare in
queste strutture, di fatto metteremo in pericolo le persone che ne
tentativo di curarsi si prendono una bomba.
TG:
Secondo te, esiste la volontà di colpirvi?
LDF:
Non credo si tratti di una strategia per colpire MSF, penso che si
tratti di un inasprimento della guerra al terrore che sta prendendo
delle derive di una durezza incalcolabile. La guerra deve avere delle
regole. La differenza tra una polizia di stato e una milizia privata
dovrebbe stare proprio nel rispetto delle regole. In questo momento
non ci sono più regole, in particolare, la Convenzione di Ginevra
viene calpestata quotidianamente.
TG:
Da quando sono capitati questi fatti terribili avete riscontrato una
diminuzione delle domande per partecipare alle vostre missioni?
LDF:
No, anzi, la partecipazione avviene sulla spinta di grandi risposte
emotive. Quando succedono questi fatti la gente s'indigna e scopre di
voler fare qualcosa in prima persona per combattere le ingiustizie e
le sofferenze altrui. Però ci potrebbero essere dei problemi a lungo
termine a livello morale: non è che le nostre strutture possano
diventare una specie di gabbia? O una trappola per vedere morire i
nostri colleghi? Noi chiediamo a tutte le strutture ed ai governi di fare il possibile per far rispettare le regole. L'abbiamo chiesto a Mario Giro al Ministero degli Affari Esteri, a Paolo Gentiloni, affinché l'Italia ricordi
questo imperativo. Benché noi abbiamo ricevuto un Premio Nobel per
la pace, noi non siamo un'organizzazione pacifista, noi ci teniamo
alla larga da queste diatribe, noi facciamo azioni umanitarie, non
abbiamo nessun commento da fare sull'opportunità o meno della
presenza dei soldati. Noi rispettiamo i soldati in quanto attori del
conflitto. Noi chiediamo che loro rispettino le regole. Siamo certi
che i soldati italiani non hanno niente da nascondere, perlomeno
negli ultimi anni, non hanno causato problemi di questo tipo, per cui
non è una richiesta diretta al Ministero della Difesa. Più che
altro vorremmo che la nostra diplomazia fosse molto chiara su questo
punto. Vorremmo che andasse da Obama, da Putin e da tutti per dire
che non è pensabile che una struttura sanitaria possa essere
colpita.
TG:
Qual è la tua posizione a livello politico, hai delle preferenze nei
confronti di Obama o di Putin?
LDF:
No, no, non ne faccio un discorso politico, io insieme a tutta MSF siamo
molto intransigenti ed arrabbiati per quello che gli USA hanno
combinato a Kunduz, basti dire che gli americani hanno bombardato la
nostra struttura per più di 50 minuti. Non tutti si rendono conto
di cosa voglia dire questa cosa... Cinque raid aerei sono passati su
di noi e ci hanno bombardati disintegrando quello che era l'ospedale
di MSF più moderno ed attrezzato in un contesto di guerra. Io non
sono morbido con nessuno, nemmeno con l'Arabia Saudita, gli attacchi
in Yemen sono stati condotti da loro. Putin sta facendo degli
attacchi indiscriminati nel Nord della Siria. Più che un problema
politico legato ad un paese in particolare, io credo sia un problema
legato alla mentalità della guerra al terrore che sta facendo
perdere la testa alle persone ed agli eserciti. Sta passando un
concetto pericoloso che è quello che un ospedale è bombardabile.
TG:
E' difficile mantenere un'indipendenza politica in queste situazioni?
LDF:
Dipende dalle organizzazioni. Io credo che la nostra organizzazione
sia facilitata in questo dal fatto che noi non crediamo nelle ricette
politiche perché lavorando da operatori umanitari ci rendiamo conto
che noi stessi siamo spessissimo strumentalizzati dalla politica,
perché la politica non risolve i conflitti, o le situazioni
complicate ed è poi l'azione umanitaria a dover poi pulire i cocci
da terra. Sicuramente, questo è un po' il nostro lavoro, ma questo
ti allontana da una posizione manichea che ti porterebbe a schierarti
da una parte o quell'altra. Rimani equidistante da quello che succede
perché in queste storie dove ti trovi a lavorare, in questi
conflitti, non ci sono i buoni e i cattivi. Ci sono solo i cattivi e
i cattivi e tu cerchi di restare equidistante da tutti.
TG:
Un'ultima domanda: credi in Dio?
LDF:
No.
Tutti i diritti sono riservati
"Caro Loris, Ti ho ascoltato ieri sera a "In onda" con Telese e l'altro, quello che ride sempre anche se francamente sul modo di come vengono condotte le cose inerenti i migranti, ci sia poco da ridere. Il pressappochismo, il timore non di creare guai e problemi ai poveri migranti e a noi cittadini italiani (costretti poi a pagare per i loro marchiani errori) ma a stessi. ossia a loro, i ministri e quindi ai politici. Il tema è serio e ne vedremo delle belle. Assieme ad una lampante ignoranza dei modi di affrontare un problema che già venne brillantemente risolto nel 45 alla fine dell'Ultima guerra quando a mezzo navi ospedale della CRI vennero salvati e trasportati più di militari 100.000 italiani cacciati dall'Albania, poi nel 70-74 con la cacciata degli italiani dalla Libia di re Idris prima e di Gheddafi poi, il fatto si è ripetuto senza lasciar morire nessuno. E ora? E' un incubo la gente che viene brutalizzata per strappar loro i pochi soldi che riesce a portar via, i gommoni con gli scafisti , poi ci siete Voi di MSF cheli salvate e infine la minaccia di un embargo militare ...Niente di tutto questo, ci vuole calma e competenza e un progetto, un Progetto con la P maiuscola che possa semplicemente riportare un pò di giudizio, di pace di giustizia e di dignità a quelle persone ma anche a noi europei che non ci stiamo facendo una bella figura! Il "Progetto Migranti" che ho preparato glielo invio se me ne dà la possibilità ...altrimenti saluti ed auguri
RispondiEliminaCapt. Franco Masini Lucca/Italia
Cell. 3398996823