"Non
siamo sicuri che le parole possono salvare delle vite, ma sappiamo
con certezza che il silenzio uccide."
Parole
pronunciate nel 1999 dal Dr. James Orbinski ex Presidente di MSF nel
momento in cui ha ritirato il Premio Nobel per la Pace assegnato a Medici Senza Frontiere
ArteGioia 107 conferenza/dibattito: arte e cultura senza frontiere 10 febbraio 2016
Il
giornalista Lorenzo Lenzini, in collaborazione con l'Associazione
culturale Artegioia 107 e Frammenti di Cultura, hanno organizzato un evento, lo scorso
mercoledì 10 febbraio, invitando Loris De Filippi, presidente di
Medici Senza Frontiere per raccontare le proprie esperienze e essere
da stimolo ad un dibattito incentrato sui diritti umani e
l'importanza del ruolo della cultura e del rispetto delle regole che
consentono a tutti una convivenza civile nella nostra società.
E' stato
invitato a dare un suo parere su come che l'arte può migliorare le
nostre vite il noto poeta Tomaso Kemeny, critico letterario,
saggista, traduttore, fondatore della Casa della Poesia di Milano e
professore universitario di lingua e letteratura inglese. Era
presente, come osservatore interessato ai temi trattati, il senatore
Enrico Pianetta, Segretario della 3a Commissione permanente Affari
esteri ed emigrazione e membro della Commissione speciale per la
tutela e la promozione dei diritti umani.
In sala
hanno assistito e partecipato al dibattito una trentina di persone,
tra cui operatori culturali, operatori sanitari, giornalisti,
sportivi, artisti, imprenditori e ricercatori in varie discipline
umanistiche.
La
conferenza/dibattito s'è aperta con la auto-presentazione di Loris
De Filippi che in modo neutro ha parlato di come soltanto andando sul
territorio si possa conoscere la realtà e le problematiche di un
popolo e le sue sofferenze.
In primo piano: Loris De Filippi; dietro di lui Lorenzo Lenzini ed Enrico Pianetta
Medici Senza
Frontiere è un'organizzazione che dal 1971 si batte principalmente
per portare sollievo e supporto alle popolazioni in pericolo che non
hanno la possibilità di curarsi, ma anche per dare voce a chi non ha
voce.
E' molto
importante fare delle azioni umanitarie, ma è anche fondamentale far
conoscere alcune situazioni che per vari motivi non sono conosciute
sufficientemente dall'opinione pubblica lontana dalle aree critiche.
I fondatori
di MSF sono stati alcuni medici e giornalisti francesi che in poco
tempo sono riusciti a diffondere in molti paesi occidentali questa
organizzazione ed il suo modo d'intervenire nelle zone del mondo dove
si verificano guerre ed altre calamità che provocano morti e feriti.
Adesso, ci
sono 23 uffici di MSF nel mondo, tra cui la sezione italiana è una
delle più importanti perché invia sui territori quasi il 15% degli
operatori umanitari sul totale di tutte le sedi nel mondo. Su 3000
medici ed infermieri che partono da tutto il mondo per le zone dove
si svolgono gli interventi di MSF, più di 350 partono dall'Italia.
Complessivamente, più di 35'000 persone nel mondo coadiuvano
l'attività di chi interviene sui territori interessati dalle azioni
umanitarie. MSF esiste anche in Italia dal 1993; da quegli anni sono
state condotte numerose missioni con personale italiano, Loris De
Filippi è intervenuto in moltissime nazioni in quasi tutti i
continenti, escluso l'Oceania, ed in questi momenti ha avuto moto di
condividere gioie e dolori con gli altri compagni di lavoro.
Loris De Filippi ad ArteGioia 107
In questo
periodo, il mondo sta assistendo agli arrivi di un numero
impressionante di profughi dalle più diverse zone dove si svolgono
conflitti armati. L'Occidente vede solo una minima parte di questi
movimenti biblici di popolazioni che si stanno muovendo da una parte
all'altra del pianeta. De Filippi ci assicura che le persone
coinvolte in questi esodi sono ancora più numerose di quelle che noi
percepiamo stando a casa nostra. Ciò che noi vediamo è soltanto la
punta di un iceberg di un fenomeno molto ampio. Ci sono circa 60
milioni di persone che fuggono dalle loro case per cercare di trovare
un conforto, o un futuro migliore per i propri figli.
Secondo i
dati di MSF, nel 2014 sono arrivati 100'000 profughi in Italia, paese
dove si spendendo 2'400 euro pro capite per assicurare la salute ai
suoi cittadini. Paesi come l'Etiopia spendono circa dai 14 ai 20 euro
(cifra che varia dalle fluttuazioni al cambio delle monete locali)
pro capite per lo stesso scopo. Eppure, mentre in Italia sono entrate
100'000 persone in fuga dal loro paese, in Etiopia sono arrivati
400'000 profughi e complessivamente ci sono più di 700'000 persone
che gravano su questo paese. In Turchia, lo scorso anno, si sono
contati 1'700'000 profughi, in gran parte siriani. Paesi
piccolissimi, come il Libano che conta 5'200'000 abitanti, vedono
attualmente sul loro territorio circa 1'200'000 siriani. Queste cifre
sono importanti per darci una visione di quello che accade anche
fuori dall'Italia. Capita che paesi poverissimi spesso ospitino per
anni situazioni difficilissime. Due anni fa, nella Repubblica
Centrafricana s'è svolta una guerra civile intensissima, anche se
non ha fatto molto notizia. Dopo un'esperienza in questo paese
perfino De Filippi dovette ricorrere ad un aiuto psicologico per
uscire da un malessere causatogli dai massacri e dalle violenze viste
sul posto dove i combattenti si affrontavano e si dilaniavano a colpi
di machete per le strade. Anche un paese violento ed estremamente
debole, visitato dal Papa lo scorso novembre, pur nella povertà
assoluta e nel degrado ospita centinaia di migliaia di profughi.
Alcuni scappano dall'Uganda dal LRA, altri dal Ciad. In un mondo
sofferente come quello attuale non si era mai vista una situazione
del genere, dopo la Seconda Guerra Mondiale. Benché molte persone in
Italia siano contrariate dall'attuale congiuntura economica e dalla
perdurante crisi, si deve riuscire a far fronte a questo esodo
impressionante poiché risulta difficile isolarsi da quello che
accade intorno a noi.
C'è da
pensare che anche in futuro, come sostengono gli americani, gli esodi
proseguiranno e sarà impossibile mettere un “tappo” a queste
situazioni.
Loris De
Filippi che ha lavorato in Siria sia nel 2012 che verso la fine del
2013, ci dice che purtroppo MSF non può più operare su questo paese
perché ben 5 membri della sua organizzazione sono stati rapiti
dall'Isis e solo dopo una lunga negoziazione gli ostaggi sono stati
rilasciati. La popolazione siriana sta subendo bombardamenti dal
2012, ovvero da circa 5 anni, in una situazione davvero impossibile
essendo costantemente a rischio delle proprie vite. All'epoca, la
squadra di MSF era composta da 6 persone che lavoravano all'interno
di una grotta che era utilizzata come un deposito per le olive. Una
volta svuotata e ripulita, la grotta è stata attrezzata con
strutture gonfiabili e tensostrutture che servivano da sala
operatoria, terapia intensiva e tutto il necessario per la chirurgia
d'urgenza di guerra. Quando la linea del fronte s'è spostata, i
combattimenti avvenivano a 6 km dalla posizione di MSF, in seguito
l'équipe medica s'è spostata in un altro posto più sicuro ad una
ventina di chilometri dai combattimenti, continuando ad operare in
quella zona. Ogni giorno, dalle prime ore del mattino, un elicottero
stazionava ad un altezza non raggiungibile dalla contraerea leggera del rudimentale Free Syrian Army che altri non erano che
contadini alle prime armi. L'elicottero, per mezzo di cavi d'acciaio,
trasportava barili di petrolio carichi di oggetti metallici e
tritolo. Questi contenitori venivano sganciati dall'elicottero e
fatti cadere molto approssimativamente sui bersagli a terra.
All'arrivo al suolo le deflagrazioni provocavano crateri di circa 20
metri di diametro per una profondità di 4 metri.
In questo
modo, l'esercito regolare siriano di Bashar Assad riusciva a produrre
grossi danni su case, palazzi, ospedali e tutto quello che colpiva.
Oltre a queste forze c'è in campo l'Isis. Altri danni vengono fatti
di recente anche dai bombardamenti effettuati dall'aviazione russa.
Quest'anno, MSF ha visto colpiti già 13 dei suoi centri umanitari.
In 5 anni di combattimenti, complessivamente sono stati colpiti e
distrutte 177 strutture ospedaliere in tutta la Siria, con 700 morti
tra medici ed infermieri. La guerra in questione è molto complessa,
nata sulle ceneri della primavera araba è sfociata in un conflitto
sia civile che religioso e strategico; ci sono molte forze che si
fronteggiano e risulta difficile capire alleanze e inimicizie.
All'inizio, Libia ed Egitto hanno dato origine ad un movimento di
protesta e di ribellione esploso un po' ovunque, anche nel sud della
Siria, per poi portare ad una repressione fortissima e ad un
conflitto sempre più su larga scala che non ha ancora trovato vie
d'uscita.
I primi
gruppi di oppositori al regime di Assad che sono riusciti a scappare
dalle prigioni dove hanno subito violenze particolarmente dure, sono
andati a Nord di Aleppo dove sono riusciti ad organizzare le prime
cellule combattenti di auto-difesa. Ciò che era partito come una
battaglia per dare maggiori diritti e libertà ai cittadini è poi
diventato un conflitto dove sono subentrati gli interessi strategici
di USA, Cina e Russia, per non parlare di paesi arabi importanti, in
particolare del Qatar. Mentre durante i primi mesi era piuttosto
semplice (anche se pericoloso) portare un aiuto umanitario in Siria e
si riusciva a trovando la collaborazone dei siriani, in seguito si
sono aggiunte almeno 6 compagini di fondamentalisti islamici che
hanno modificato le motivazioni del conflitto, dando vita ad una vera
e propria guerra religiosa.
I gruppi che
si fronteggiavano erano tutti sunniti, o perlomeno quasi tutti, ma
anche all'interno dei questa corrente religiosa ci sono differenti
provenienze. Un elemento che può far comprendere meglio la
complessità della situazione è il fatto che in Bashar Assad è
alawita, ovvero di una setta musulmana che si pone tra sciismo e
sunnismo. La diversità d'opinione religiosa all'interno del paese ha
svolto una parte determinante all'interno del conflitto siriano. In
qualche modo, Bashar Assad ha difeso l'inter-religiosità all'interno
del paese, per moltissimo tempo. In alcuni villaggi c'era un clima
disteso tra copti, alawiti, sunniti e sciiti, ma in questo momento il
conflitto sembra voler portare ad un certo integralismo e ad un
settarismo molto forte. In una situazione di questo tipo è molto
difficile trovare una soluzione pacifica.
Se da una
parte è vero che l'Isis è un male assoluto, per ora circoscritto a
Al-Raqqua è anche vero che il governo di Bashar Assad perpetua
continui massacri. A Madaya, un villaggio vicino al confine libanese,
più di 20'000 persone sono assediate dalle forze governative siriane
e stanno morendo di fame.
In Africa
capita di vedere bambini tra gli 0 ed i 5 anni morire di fame a causa
delle carestie, ma vedere un adulto, o un anziano staccare le foglie
agli alberi per bollirle e poi mangiarle per cercare di non morire di
fame è una situazione che nemmeno agli operatori sanitari capita di
vedere, se non in occasioni straordinarie. Quello che succede a
Madaya, o in tantissime altre enclave
all'interno
del paese è qualcosa che non viene fatto conoscere al'opinione
pubblica internazionale. Solamente una piccola o grande
organizzazione internazionale può far conoscere queste realtà
chiedendo di far aprire un corridoio umanitario per salvare delle
vite.
Bisogna
sempre fare attenzione a non dare giudizi affrettati perché i buoni,
o i cattivi non sono mai da una sola parte. Ad ogni modo in questa
guerra non ci sono i buoni, i combattimenti si sono incattiviti, fino
al punto che se non ci sarà una decisione politica ad altissimo
livello che faccia fare dei passi indietro a tutte le super-potenze.
Probabilmente non ci sarà una soluzione che porti ad uscire da
questo conflitto. E fintanto che non si esce da questo conflitto
continueranno ad esserci persone che cercano di lasciare questi
territori, o che eviteranno di ritornare dove sono nate e cresciute.
L'abitudine
a certe situazioni che si stanno creando rischia di addormentare le
coscienze delle persone, per questo motivo bisogna ricordare che le
persone che soffrono vanno aiutate, magari organizzando dei centri di
smistamento in Turchia, prima che le masse affrontino il mare ed i
rischi di una traversata su natanti di fortuna. I soggetti più a
rischio in ogni situazione sono i più deboli, ovvero i bambini e
sono soprattutto i bambini che vanno difesi, anche perché, come
abbiamo visto ultimamente, moltissimi di loro cadono nelle mani di
organizzazioni malavitose per essere avviati ai traffici più
squallidi dai quali vengono sfruttati a loro danno per ogni tipo di
finalità remunerativa illegale.
Tomaso Kemeny tra il pubblico presente da ArteGioia 107
Questo,
in sostanza è quello che ci ha comunicato Loris De Filippi per
aiutarci a comprendere una situazione molto complessa e intricata che
non sembra potersi risolvere a breve, ma che al contrario rischia di
trasformarsi in un teatro di guerra sempre più vasto. Dopo il
presidente di MSF, abbiamo ascoltato le parole di un poeta che
durante la sua infanzia, circa 70 anni fa, ha vissuto l'esperienza
della fuga dalla propria terra e la condizione di profugo per potersi
salvare, insieme alla propria famiglia dalle persecuzioni del regime
comunista. Ecco di seguito quello che ci ha comunicato.
Luigi Teruggi, Osvaldo Minotti, Francesco Alloero, Lorenzo Lenzini, Loris De Filippi
In
mezzo a fenomeni storici così violenti sembrerebbe che la parola
poetica sia un lusso, una cosa inutile, un gla gla, un gargarismo,
eppure senza l'arte e la poesia, come sarebbe il mondo? Cosa sarebbe
l'Inghilterra senza Shakespeare? O l'Italia senza Dante? Sarebbero
dei deserti dell'anima. Il poeta,sa d'essere sempre un po' ridicolo
perché non ha armi, ma soltanto la parola che è un po' obsoleta e
viene utilizzata per fini pratici. Per cui quando viene usata per
volare in alto come diceva Beudelaire: l'élevation
che non è la révolution,
ma la élevation... La
rivoluzione dà sempre delle speranze per il futuro che non sempre
poi verranno soddisfatte. Mentre l'elevazione è quella cosa rara che
salva l'uomo dal nulla, dal viaggiar dal nulla al nulla, di trovare
in se stesso un giardino d'idee, o valori.
C'è
una poesia che ha a che fare con l'emigrazione poiché quando Tomaso
Kemeny aveva circa 8 anni i suoi genitori dovettero fuggire dall'Ungheria
poiché suo padre adottivo è stato un pacifista e per questo fu
rinchiuso in un campo di lavoro in Russia poiché durante la Seconda
Guerra Mondiale si era rifiutato di combattere e di sparare sui
propri simili. Dopo due anni di lavori forzati in compagnia di ebrei,
comunisti ed altri reietti della società, una volta tornato alla
libertà fu convocato dal partito unico. Gli venne proposto di
diventare il direttore di una fabbrica, a patto che si iscrivesse al
partito. Dopo aver ringraziato per la generosa offerta di lavoro, il
padre di Kemeny disse di essere un socialista libertario, non un
comunista, perché egli credeva nella pluralità, non nella
dittatura. La stessa notte che si verificò questo dialogo, il
piccolo Kemeny e la sua famiglia furono avvisati da un amico
comunista pacifista che si stava preparando qualcosa contro il padre
di Tomaso Kemeny. Non persero tempo e subito fuggirono con i
documenti falsi procurati loro da quell'amico, per evitare d'essere
internati da qualche parte. Era il 1947, Il padre di Kemeny restò
molto sorpreso vedendosi trasformato da amico del popolo in nemico,
ma in quel momento quella era la normalità poiché i socialisti
vennero quasi tutti eliminati in Ungheria. Matyas Rakosi fece
uccidere più di 2000 persone e ne incarcerò circa 100'000 che lui
riteneva oppositori politici.
Dopo
la fuga, la famiglia Kemeny arrivò a Bagnoli.
Tomaso Kemeny ad Artegioia 107
Intorno
ai 15 anni Tomaso Kemeny scrisse questa poesia per commemorare la
memoria del padre biologico morto il 2 aprile 1942 in Russia; poesia che
assume un valore universale per tutti i soldati di tutti i tempi.
Per
un soldato
Morì
combattendo.
Nel
suo corpo congelato
caldo era il piombo nemico.
Un
commilitone gli tolse l'orologio.
Un
altro le scarpe.
Lo
ricoprì la neve.
La
patria guardava altrove.
Dopo il dibattito, pranzo al Circolo Ufficiali dell'Esercito a Palazzo Cusani, Milano
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