martedì 15 settembre 2015

Stampato col fuoco

T.G. - Silvia, sei più fotografa o più ceramista?

Silvia Celeste Calcagno - Non devo essere io a dirlo, puoi chiederlo agli altri e sentire quello che ti dicono, poi vedendo il mio lavoro, la mia forma d'espressione dovrebbe trasparire abbastanza chiaramente.

Fine intervista.

Tra i primi a sperimentare l'effetto fotosensibile del nitrato d'argento, prima ancora di Nièpce, ci fu Thomas Wedgwood, uno scienziato inglese che verso la fine del 1700 fece degli esperimenti stendendo questi sali all'interno di recipienti ceramici.
Wedgwood ha studiato anche gli effetti del calore su diversi materiali, era figlio di un famoso ceramista col quale egli stesso collaborò per un paio d'anni.
Si potrebbe dire che l'invenzione della fotografia fu in qualche modo sollecitata da un ceramista che non riusciva a trovare il modo di fissarne l'immagine ad un supporto ceramico. TG

Alle Officine Saffi, in via Aurelio Saffi, 8, fino al 26 settembre, sarà possibile visitare la mostra: La fleur coupée dell'artista Silvia Celeste Calcagno

Un blogger indipendente dovrebbe essere molto attento alle scelte che fa, non è possibile conoscere tutto, vedere tutto. Meno che meno, non si riesce a parlare, scrivere, mostrare di tutto a coloro che hanno la pazienza, il buon gusto ed il coraggio di scegliere liberamente di leggere certi pensieri, guardare le immagini riportate dal punto di vista di chi fa questa "attività", un po' per passione, un po' per il piacere di fissare in un taccuino immaginario le proprie esperienze, o le proprie idee e dare un senso cronologico allo scorrere del tempo ed ai propri ricordi.
Molti argomenti che compaiono in questo blog li trovo da solo durante i miei giri senza meta, oppure li tratto perché ne sento parlare da altre persone, alcuni mi vengono proposti da amici, raramente dai diretti interessati, oppure decido di trattarli dopo aver letto qualcosa in proposito, da altre fonti.
Quello che preferisco è dedicarmi a soggetti inediti, oppure scegliere di parlare di una determinata questione in modo personale, cercando d'osservarla da un punto di vista inusuale, o andando a cercare quello che mi interessa, più che quello che mi si vorrebbe comunicare, o far dire.
In tutti i casi, se ho a che fare con soggetti viventi o luoghi ben precisi, faccio in modo di contattare coloro che ritengo abbiano fatto qualcosa di particolare ed intervistarli personalmente, magari recandomi anche sul posto, o in un ambiente che possa raccontare qualcosa di loro, anche per poter riportare delle immagini che possano testimoniare che non mi sono inventato tutto di sana pianta.
Quando mi capita di sentire discorsi un po' troppo concettuali, tendo a farmi l'idea che mi si voglia vendere del fumo, oppure che qualcuno stia tentando di nascondere alcune carenze formative ed esperienziali con ragionamenti inconsistenti che sottendono magari cose già viste milioni di volte alle quali sono stati dati dei nomi diversi o di sicuro effetto.
Ma non sempre è così.
L'idea è importante, ma la tecnica che è stata utilizzata per arrivare ad un determinato risultato è fondamentale.
Se non esistesse un equilibrio estetico non avrebbe molto senso voler possedere un oggetto o un'opera d'arte, ci accontenteremmo della sua rappresentazione o di una sua descrizione verbale.
Per quanto Silvia Celeste Calcagno si sforzi di convincerci (a parole) che la sua opera è un'impresa concettuale, è evidente proprio il contrario, ovvero che è la padronanza di una tecnica personale che arricchisce il contenuto di un discorso già fatto (da altri).
Se la sua opera consistesse "soltanto" nel presentare un corpo ed un volto di donna (il suo) per asserire che mostrando più volte se stessa in varie espressioni, in maniera perfino ossessiva, ella ricerchi la propria identità, noi potremmo dire: già visto, già fatto, interessante fino ad un certo punto e via così.
Ciò che invece l'artista ha concepito è stato di aver ricercato, scoperto e brevettato la tecnica più adatta a parlarci di una concretizzazione di uno spirito femminile che esce dalla carne per diventare quasi pietra, pur essendo sostanzialmente etereo.
Anche le motivazioni date dalla giuria del Premio Faenza, un importantissimo premio internazionale della ceramica d'arte, vinto quest'anno proprio da Silvia Celeste Calcagno, esprimono come, pur essendo importante il lavoro ideativo, senza un'adeguata realizzazione tecnica l'opera non avrebbe alcun senso.

Riporto di seguito le parole con le quali la Fondazione del Monte e Cassa di Risparmio di Faenza giustificano l'attribuzione del premio Faenza nella sua 59a edizione all'opera: Interno 8 - La fleur coupée.

Il progetto Interno 8 - La fleur coupée costruisce un racconto legato ad una dimensione sociale e politica molto attuali. La figura femminile è declinata nelle sue fragilità e intimità, narrata attraverso dinamiche contrapposte che mescolano immagini dalla marcata prospettiva emotiva. L’opera gestisce con efficacia i diversi linguaggi della contemporaneità come performance, fotografia, installazione sonora e ambientale, strutturando una complessa stratificazione narrativa che si concretizza in una ricerca ceramica di natura sperimentale dove l’insieme di 2000 piccole tessere sublima la figurazione del singolo dettaglio in una astrazione d’insieme".

La scelta di fondere ceramica e fotografia è un'azione molto interessante, anch'essa già sperimentata da altri autori che sono giunti a risultati analoghi attraverso la fotoceramica e tecniche che hanno riunito antichi procedimenti alternativi poco conosciuti ed ai quali ogni fotografo conferisce le sue varianti e personalizzazioni che ne interpretano lo spirito originario, a seconda dell'uso e del risultato che si vuole ottenere.

La fleur coupée - Silvia Celeste Calcagno (2015)

Il salone principale delle Officine Saffi dove si sta svolgendo, ancora per una decina di giorni, la mostra dell'artista ligure che ha sviluppato e brevettato una propria tecnica per imprimere le immagini fotografiche sul gres chiamata: "Fire printing"

Nonostante quello che ho appena scritto, non mi ritengo né un critico d'arte, né un giornalista, sono solo un tipo curioso che tenta di raccontare delle cose agli altri ed anche un po' a me stesso, perché mi piace imparare qualcosa di nuovo ogni giorno, osservare quello che succede, pormi delle domande e darmi delle risposte.

Una serie di tavole di gres sulle quali compaiono gli autoscatti di Silvia Calcagno esposti  a Milano

Mani, piedi gambe braccia, il corpo dell'artista

Ciò che mi interessava di questo lavoro che non trovo molto originale a livello concettuale, ma  di cui apprezzo moltissimo la realizzazione fotografica e l'unione della parte fotosensibile alla trama della ceramica, era soprattutto l'approccio al mezzo tecnico avuto dall'artista, poiché è proprio a questo procedimento cui riconosco una certa maestria e ingegnosità.
Non si tratta delle solite fotoceramiche che tutti conosciamo per ragioni tristi e meramente rievocative di persone appartenenti al passato che la nostra memoria non riesce più a trovare negli anfratti dei nostri ricordi; qui siamo di fronte a sprazzi di vita vissuta che riescono a sorprenderci perché sembrano essere emersi da una dimensione onirica ed essersi uniti alla materia senza ripensamenti o indecisioni, proprio come se fossero stampate a fuoco.
Ho contattato Silvia telefonicamente per avere da lei dei chiarimenti in proposito, ma questa fotografa/videoartista/ceramista s'è trincerata dietro una frase del tipo: "Ho depositato il brevetto della nostra invenzione da poco e rifiuto di parlare di questioni tecniche."
Sinceramente, per una persona che non considera importante l'aspetto tecnico, Silvia sembra piuttosto spaventata; può essere che non apprezzi che ci si interessi più ai suoi segreti che alla sua creatività artistica? Oppure c'è dietro qualche applicazione industriale della cosa?
Non so cosa pensare, né cosa dirvi in proposito, posso soltanto affermare che non mi piace che mi si mettano in bocca delle cose che non possono essere verificate o dimostrate.
Esistono molte antiche tecniche per fissare un'immagine fotografica alla ceramica, un risultato del genere potrebbe anche essere ottenuto stendendo della gomma bicromatata sull'argilla. 
Certo, c'è molto lavoro dietro le opere dell'artista ligure ed è comprensibile che non si vogliano far trapelare i propri trucchi, però mi sembra anche plausibile che prima di aprire la borsa per acquistare qualcosa che non si sa bene che cos'è e come reagirà nel tempo si desidererebbe capire che cosa si ha in cambio.

La mostra è molto bella e ben allestita, consiglio a tutti di approfittare della sua apertura per andarla a vedere perché sicuramente si tratta di qualcosa di unico che va visto e toccato dal vivo. Difficile farsi un'idea di questi lavori a distanza.

Uno dei lavori preferiti dalla stessa artista

Due composizioni da 441 elementi ceramico-fotografici ciascuna

Silvia in migliaia di espressioni diverse

Sulle piastrelline di un mosaico solitamente impiegato per il rivestimento delle stanze da bagno, Silvia ha impressionato il suo stesso volto molte volte


Chi è Silvia Celeste Calcagno
Nasce a Genova nel 1974, studia al Liceo Artistico A. Martini di Savona, poi presso l'Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova. Allieva di Adriano Leverone, Giovanni Cimatti, Emidio Galassi. E' ceramista designer in gres, approfondisce la tecnica raku in Spagna e sperimenta soluzioni tecniche ed eventi artistici nel suo laboratorio di Albisola Marina: la Off Gallery. 
Ama la videoarte e la fotografia che arriverà ad inglobare nei suoi lavori in ceramica.
I temi centrali dell’opera dell’artista sono quelli dell'ossessiva costante ricerca della propria identità. La Calcagno non mostra se stessa in maniera narcisistica, pur conservando un certo compiacimento nel riproporsi in varie versioni, ma fa del proprio corpo un soggetto dell’opera che poi viene trasposta in altra materia.

Il costo delle opere esposte varia dagli 800 ai 14000 euro


Tutti i diritti riservati




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