Le grandi verità scaturiscono dai discorsi spontanei. T.G.
Ho scelto di parlare di immagine fotografica con uno dei più grandi stampatori al mondo (sia per esperienza che per gusto che per capacità tecniche) perché lo stampatore ha l'occhio molto allenato a vedere qualsiasi imprecisione e difetto, sia per riflessione sulla carta che per proiezione sullo schermo retroilluminato di un computer, o di un monitor. Lo stampatore è un professionista oggettivo che non si lascia influenzare da tutti quegli elementi troppo coinvolgenti per il fotografo che, conoscendo le difficoltà e le situazioni che ha dovuto affrontare per portare a casa una determinata immagine, talvolta si accontenta di un risultato che può anche essere imperfetto. Vuoi per qualche problema di ripresa, organizzativo o d'irripetibilità dello scatto, vuoi per altri motivi sentimentali o affettivi.
Lo stampatore per la fotografia è un po' un giudice, allo stesso modo di un montatore cinematografico che nel caso trovasse una sequenza o un'inquadratura che non funziona all'interno di una narrazione filmica non avrebbe esitazioni ad eliminarla.
Ho voluto conservare, cosa che faccio molto spesso in queste pagine, un linguaggio spontaneo, uno stile scorrevole ed un tono colloquiale con il mio interlocutore, riportando su "Frammenti di Cultura" i pensieri espressi da Roberto Tomasi sulla fotografia argentica e su quella digitale, stimolando il confronto con domande e questioni non sempre facili da affrontare e risolvere in due parole. Questo può andare a discapito di una forma scritta impeccabile, ma si avvicina maggiormente alla realtà di tutti i giorni; pertanto consiglio i puristi della lingua italiana a voler guardare questi scritti più come ad una specie di sceneggiatura che non uscirà mai da un supporto web utilizzato per la lettura che ad un trattato da mandare alla stampa per una pubblicazione cartacea. Ritengo anche che due mezzi diversi abbiano a tutti gli effetti due linguaggi diversi. Un altro motivo che mi induce a non correggere o modificare troppo questi dialoghi è collegabile alla volontà di rendere certi concetti riconducibili indiscutibilmente al teorico che li ha espressi, riportando lo stile, i modi di dire e le parole originali di chi ha parlato. Anche per questo, mi considero un documentarista e non un giornalista o uno scrittore.
Un incontro abituale a Dergano con Roberto Tomasi, stampatore Fine Art.
Una chiacchierata al caffè con Roberto Tomasi
TG: Roberto, vogliamo parlare di stampa di qualità?
RT: La qualità in fotografia ormai interessa a pochissime persone, la gente adesso fotografa col telefono cellulare ed è contenta così.
TG: Va bene, ma tutti quelli che sono interessati alla fotografia analogica? O che vogliono tornare a fotografare con la pellicola? O sono di una generazione abituata a lavorare in un certo modo? O quei fotografi che sanno di fotografia e sono capaci di fare cose particolari e magari si definiscono anche stampatori?
RT: Sono comunque stampatori. Uno stampatore nasce dal non saper fare, poi con gli anni d'esperienza e gli errori impara. Oggi invece c'è il problema di non spendere più di tanto perciò determinati prodotti o risultati non si possono ottenere.
TG: Sì, va bene, ma se uno non è capace non è capace. E' come parlare di una fotografia giusta e una fotografia non sbagliata, sono due cose diverse... Una fotografia non sbagliata non vuol dire che sia una fotografia fatta bene.
RT: Esatto, la fotografia ognuno la interpreta a modo suo. Quello che normalmente può essere un difetto, magari per l'autore è qualcosa fatto apposta.
TG: Su questo siamo d'accordo, ma ci sono dei risultati che convenzionalmente vengono interpretati come sbagli o scarti da non utilizzare. Ci sono dei casi di chi in camera oscura fa delle mascherature lasciando degli aloni solo in alcuni punti qua e là. Ovvio che quello è qualcosa che non va bene. Le mascherature non dovrebbero vedersi al di fuori dei bordi del soggetto. Vuoi farla a modo tuo? Ok, ma almeno falla in modo omogeneo. Vuoi esaltare un volto? Un corpo? Ok, Vuoi lasciare un alone intorno ad un soggetto per farlo risaltare su uno sfondo scuro? Ti piace così? Ok, ma allora fallo dappertutto, non a pezzi...
RT: Come ben sai, il collezionista non è un tecnico, ma è qualcuno che compra una stampa perché quella determinata fotografia gli piace e lo emoziona. Sa già cosa gli serve e sa già dove mettere quell'immagine. C'è il collezionista cui servono le immagine di fiori, quello cui servono le immagini di montagne e quello che ricerca specialmente fotografie di corpi nudi perché poi le appende sui muri di casa sua. Oppure invece il collezionista che compra l'immagine che acquisterà valore che poi metterà nel cassetto o che compra anche la scena di guerra o del chirurgo famoso che opera... Hai capito?
TG: A questo punto un errore su una stampa fatta all'ingranditore o con Photoshop diventa qualcosa ancora più collezionabile. O no? Se un autore sbaglia a fare una fotografia e la fa circolare perché non si è accorto, non ci ha pensato o perché poi ha avuto un ripensamento, per il collezionista quella diventa un'immagine da ricercare. Può essere interessante avere una fotografia d'autore sbagliata? Adesso si parla tanto di Steve Mc Curry che ha ritoccato muri, marciapiedi, pali e quant'altro in modo grossolano e sembra che queste fotografie siano addirittura state esposte in mostre importanti.
RT: Esatto.
TG: Ritieni che quelle fotografie possano avere un valore particolare come se fossero delle specie di refusi?
RT: Secondo me sì, perché anche nella fotografia sbagliata il concetto dell'immagine viene deciso dopo. Non viene pensato al momento. Sono tutte balle quando senti qualcuno che dice che ha creato una certa immagine con una certa idea. La fotografia è un'immagine che solitamente riesci a cogliere con una certa fortuna. Dopo, quell'immagine la si può riempire di concetti e chi decide di darle un valore le dà il concetto finale. La persona che fa questa operazione quasi sempre non è l'autore, ma il mercante.
TG: Mi hanno raccontato una storia molto divertente che devo verificare anche con altre fonti per sentire altre versioni, ma ritengo che sia vera. Tu conosci Paolo Gioli? Ci hai lavorato?
RT: No.
TG: Ti ho già raccontato che sono stato a vedere una bellissima mostra antologica di Paolo Gioli al Peephole, qui a Milano, ne ho parlato con un po' di persone ed Elena della Fototeca Storica Ando Gilardi mi ha detto che Gioli aveva lasciato alcune sue Polaroid al Museo della Fotografia di Cinisello Balsamo e che un giorno è voluto tornare lì per rivederle. Non so bene se ha chiesto alla Roberta Valtorta o alla Giovanna Calvenzi di mostrargli le sue opere, lo hanno accontentato, gli danno in mano la sua Polaroid e Gioli la straccia davanti agli occhi delle due responsabili del museo che restano esterrefatte. Che tipo eh? Evidentemente c'era qualcosa in quella Polaroid che non gli andava bene o che non gli era piaciuto, forse gli era sfuggito qualcosa oppure ha avuto un ripensamento, chi lo sa? Dopo credo che abbiano rincollato la fotografia, ma certamente il danno è stato fatto e non so nemmeno come ci si debba regolare in questi casi: non si tratta di furto, ma di danneggiamento dello stesso autore che comunque non ha più la proprietà dell'opera e forse nemmeno i diritti dell'immagine...
RT: (Dopo una pausa) Pazzesco.
TG: Può succedere?
RT: Può succedere... Certo. L'immagine comunque è tua e se c'è qualcosa che non va, non è stata accettata o che ne so... La distruggi.
TG: A te capita?
RT: No. (Pausa) A me non capita.
TG: (Ridendo) Perché a te non capita?
RT: Perché ho sempre visto e fatto immagini che vanno bene. Che vanno molto bene. Comunque noi prendiamo la fotografia troppo seriamente. Io sono un "materializzatore" dell'immagine, no?
TG: "Materializzatore"?
RT: Sì, "materializzatore". Tu mi dai l'immagine e sia che sia su negativo o su file, io la devo creare, dandole la dimensione aurea.
TG: Questo significa che la reinquadri in fase di stampa?
RT: Mah, a volte sì, almeno nel 50% dei casi le immagini vanno reinquadrate, mentre nell'altra metà dei casi il fotografo ci sa fare e fa il taglio in macchina. Forse è più difficile fare il taglio in macchina.
TG: Certo che è più difficile.
RT: E' anche un problema di stampa perché devi adattare le proporzioni della carta ai vari formati. Se ad esempio uno vuole una stampa di cm 70X100 e quando ingrandisci l'immagine ti esce 70X105 centimetri ecco che quel 5 lì... Dove lo mettiamo? Diventa necessario cambiare il taglio in macchina.
TG: Col consenso del fotografo?
RT: Certo! Insieme al fotografo. Io lavoro al computer col fotografo al mio fianco.
TG: Ho saputo che il 26 maggio 2016 c'è stato un incontro con alcuni stampatori Fine Art alla Triennale di Milano intitolato "La Camera Oscura al passo coi tempi". C'era Roberto Berné, Giulio Limongelli e Giancarlo Vaiarelli, l'evento era organizzato dall'AFIP, ma purtroppo nessuno dei miei amici s'è ricordato d'invitarmi... Mi dispiace moltissimo perché ritengo che poteva essere un momento d'incontro molto interessante. Va beh, ma tu non vai a sentire queste cose...
RT: Non vado a sentire queste cose e non le faccio neanche. Io arrivo dalla stampa fotografica quando questa era davvero una difficoltà e la fotografia richiedeva la scelta dell'ottica giusta, la ricerca della profondità di campo, la ricerca della stabilità dell'immagine nel tempo. Una volta c'era tutta una serie di cose da ricercare, mentre adesso il progresso mette a disposizione di tutti attrezzature perfette che permettono di ottenere immagini magnifiche.
TG: Certo, avere sensori super-sensibili che ti permettono d'avere ottimi risultati in situazioni di luce estreme, come alla luce della luna piena o cose di questo tipo, ti permettono di fare tutto quello che vuoi senza nemmeno starci tanto a pensare.
RT: Esatto. In più, con una qualità estrema. Cosa che ai tempi non si poteva fare. Infatti, adesso io non capisco perché coloro che sono legati all'analogico critichino tanto il digitale. Forse perché sono convinti di vedere determinati difetti; non vedendo i difetti enormi che c'erano quando fotografavano con una pellicola ad un elevatissimo numero di Asa che poi veniva sviluppata in tempi lunghi dando luogo ad un grana enorme prodotta dall'alogenuro d'argento. Enorme e fastidiosa.
TG: Oltre che ad un appiattimento del contrasto d'immagine.
RT: Esatto.
TG: Pochissima dinamica...
RT: Rinomate carte fotografiche si "imbarcavano" che era un piacere perché assorbivano l'umidità ed altre cose veramente fastidiose erano all'ordine del giorno.
TG Non ti sembra che l'immagine digitale sia diventata talmente valida, precisa, definita e dai contorni talmente netti da essere più grafica che fotografia?
RT: No.
TG: Non la vedi così?
RT: No, non la vedo così, io la vedo proprio come un aumento della qualità.
TG: La fotografia digitale non ti sembra addirittura disegnata?
RT: No perché quello è l'effetto di un'immagine tridimensionale. E quello che abbiamo sempre ricercato. Negli anni '80 si fotografava col formato 8X10 pollici, 20X25 centimetri a banco ottico. Questo perché? Poi, per evitare la dispersione dovuta all'uso della proiezione dell'immagine attraverso l'obiettivo dell'ingranditore si stampava a contatto. Si faceva così per salvaguardare i dettagli, mantenere l'incisione e non vedere la grana. Era una soluzione di stampa molto diffusa. Adesso che il digitale è in grado di renderci tutta la definizione ed il dettaglio che cercavamo, ci sputiamo sopra? Non ho capito...
TG: Non dico di sputarci sopra, ma dico che l'immagine digitale mi sembra troppo disegnata mentre la grana contribuiva con quella trama un po' confusa a rendere l'immagine meno brutale.
RT: Ma io la grana la posso mettere anche nella fotografia digitale... Posso sfocarla, renderla granulosa, aggiungere i puntini di polvere o riprodurre tutti i difetti del caso, eh. Ci posso mettere dentro i graffietti, la polvere dell'ingranditore.
TG Beh, non è uguale, però.
RT: Eh no! No, non è uguale perché non è spontaneo, è creato.
TG Diventa artificiale.
RT: E' artificiale, però se voglio posso imitare una vecchia foto al 100%. Poi, ci sono addirittura le carte per la stampa digitale identiche a quelle di una volta.
Roberto Tomasi, insieme al fratello Gianpaolo Tomasi, ha inventato il Photo Transfer, una tecnica di stampa a contatto con più matrici che rendeva una qualità estrema, inimmaginabile ai tempi degli ingrandimenti fotografici a colori fatti con l'ingranditore.
TG: A proposito di stampa e di carte da stampa, la Lambda è una tecnica che ha avuto senso? Ha senso? Come ti sembra?
RT: Sì, altro che se ha senso, la Lambda è stato il primo sistema di stampa digitale.
TG: So che c'è ancora chi stampa con la Lambda. Perché?
RT: Certo! Perché c'è ancora questo forte legame con la fotografia chimica. Conosco ragazzi che escono dai corsi di fotografia legati ancora adesso alla chimica. Si comprano le macchine fotografiche che caricano i rullini. Vanno disperatamente alla ricerca di chi gli sviluppi i rullini. Un po' si stampano loro le fotografie, un po' trovano chi gliele stampa e rimangono attaccati alla vecchia tecnologia chimica, senza pensare al danno che fanno.
TG: All'ambiente?
RT: Esatto.
TG: Beh però quel tipo di fotografia dà un po' una patina d'antan...
RT: Sì, sicuramente.
TG: Se vuoi dare un'atmosfera particolare ci riesci bene con la pellicola. Sia col bianco e nero che col colore.
RT: Sì soprattutto col bianco e nero, rimani in un discorso vintage, però la fotografia, essendo informazione dovrebbe essere utilizzata a colori. E' inutile, nel 2016, riprodurre una nave spaziale in bianco e nero. Facendo adesso una cosa del genere mi sembrerebbe di dare un'informazione falsa.
TG: Addirittura falsa?
RT: Decisamente. Noi siamo abituati a vedere a colori, quando visioniamo un'immagine in bianco e nero dobbiamo in qualche modo reinterpretala, se poi la vediamo seppiata è ancora più diversa, ma inconsciamente ci piace perché è qualcosa cui non siamo abituati, qualcosa di particolare.
TG: E' una questione di gusto comunque...
RT: Sicuramente, di gusto, come in un'opera d'arte. Se vogliamo lavorare per il gusto, adesso abbiamo degli strumenti elettronici che ci permettono di fare viraggi di tutti i tipi, fra l'altro anche parziali. Una volta si colorava il bianco e nero a mano, con le aniline, no?
TG: Certo. Tu che sei stato al MIA; ci siamo incontrati anche lì, hai visto quella bella fotografia di Monica Silva, una fotografa brasiliana che per realizzare il suo progetto ha utilizzato Phase One?
RT: No, non l'ho vista, ma solo a sentire la parola Phase One immagino...
TG: Ti assicuro che era una bella fotografia. A me è piaciuta molto, ma la definizione era talmente alta e precisa che quasi non riuscivo a guardarla.
RT: Allora, oggi come oggi lo strumento riesce a leggere tutto, forse anche più di quello che vede l'occhio umano. Il nostro occhio è meccanico e vede l'immagine in più punti, dopo di che il cervello mette insieme il tutto ed ecco che noi siamo in grado di elaborare un'immagine con le luci disegnate...
TG: E poi noi abbiamo due occhi, il cervello sintetizza due immagini per darci un elaborato tridimensionale...
RT: Esatto, quindi vedi le ombre aperte, perché quando guardi le zone in ombra la pupilla si apre, quando guardi la luce si chiude... E vedi tutta l'immagine tarata. L'elaborazione della nostra mente ci fa vedere l'immagine che vogliamo vedere; anche il nostro stato d'animo ci fa vedere le immagini in modo diverso... Stessa cosa per la mia situazione generale: se io ho dei problemi vedo le cose in un modo, se non ne ho le vedo in un altro.
TG: Questa osservazione l'ha fatta anche Tony D'Ambrosio, quando sono andato a trovarlo al Laboratorio De Stefanis.
RT: Immaginiamo Venezia, una città stupenda, bellissima. Se mi trovo lì mano nella mano con la mia fidanzata vedrò la città in un modo; vado a Venezia a riscuotere dei soldi che non prendo da un anno, la vedo in un altro modo. E' così. La stessa cosa capita alla fotografia che è uno strumento meccanico, un registratore che raccoglie l'immagine. Dopo di che, quando io la voglio materializzare e riprodurre per trasmettere agli altri il mio pensiero e il mio stato d'animo, non farò una riproduzione tale e quale come me la dà la macchina fotografica, ma per mezzo della tecnica trasferisco quelle cose importanti che io voglio comunicare. Cosa che si faceva anche prima con la fotografia tradizionale. Io quando stampavo con l'ingranditore facevo, come minimo, delle mascherine nel fascio di luce proiettato dall'ingranditore, con quello strumento che si chiamava farfalla. Si faceva ombra nelle zona scura per schiarirla; addirittura se volevo allungare delle modelle imbarcavo leggermente il foglio di carta chiudendo il più possibile il diaframma dell'obiettivo dell'ingranditore, ottenendo così una stampa più allungata. Capito? Dopo di che addirittura i puntini della polvere che andavano a segnare la stampa e che non si riuscivano a togliere nonostante tutte le attrezzature inventate negli anni, come il pennellino, il panno antistatico, la bomboletta dell'aria compressa, ero costretto a fare dei ritocchi con il pennellino e l'anilina. Adesso questa operazione si chiama post-produzione digitale. Volevo un'immagine più contrastata in certe zone? Ecco che facevo un contro-negativo, lo abbinavo al negativo e riuscivo ad ottenere le mascherature, sempre in pellicola creando anche più dettaglio. Si facevano un sacco d'interventi manuali e chimici per ottenere quello che adesso la tecnologia ci sta dando in modo più semplice e preciso, senza inquinare, senza sprecare materiali preziosi ed in maniera non dispendiosa. La qualità adesso è nettamente migliore utilizzando degli strumenti elettronici che ti evitano perfino d'ammalarti perché dobbiamo ricordarci che uno sviluppatore/stampatore chimico che ha passato almeno vent'anni con la testa rivolta ai vapori dell'idrochinone, dell'iposolfito o dell'acido acetico rischia di sviluppare anche dei disturbi poco piacevoli. Per non parlare delle sviluppatrici da lavare con l'acido solforico, era una cosa allucinante. Adesso sei seduto davanti al computer con il cliente, quello che vedi a monitor viene fuori esattamente anche dalla stampa, si discute l'immagine sul video, si fanno degli interventi correttivi per ottenere l'immagine perfetta direi.
TG: E di quelli che ai nostri giorni si mettono a giocare col collodio che cosa pensi? Ne conosci?
RT: No, non ne conosco. Ne sento parlare e penso che siano dei personaggi che o probabilmente ci vedono un business oppure sono malati, perché la nostalgia è anche una malattia... E' comunque una pratica abbastanza esclusiva che puoi provare a vendere a cifre interessanti. Per me questa non è fotografia.
TG: Che cos'è?
RT: E' un modo come un altro per sentirsi importanti. Anche il suicidio, secondo me, è un modo per lasciare un segno di se stessi... Se non addirittura un dispetto. Colui che nonostante tutte le difficoltà riesce ad affrontare la vita è apprezzabile. E' facile spegnere la radio perché non ti piace quella trasmissione, no?
TG: Sai che tu forse sei l'unico che ha vissuto intensamente la stampa tradizionale e nonostante tutto esalti il digitale. Com'è possibile? Lo sai questo vero? Te ne rendi conto?
RT: Allora, io quando sono passato al digitale mi sono sentito dire dai miei clienti che ero pazzo. Tutti mi chiedevano com'era possibile che io bravo com'ero nel mio lavoro avessi deciso di passare ad una tecnica che veniva denigrata da fotografi e stampatori. Costoro non capivano che ero passato al digitale proprio perché avevo visto in questa nuova tecnologia un modo per ottenere stampe di qualità superiore. Io volevo dare più qualità ai miei clienti, questa era la motivazione della mia scelta. Negli anni '90 sono stato il primo ad utilizzare lo scanner in fotografia, perché io arrivavo dalla fotolito, sapevo dell'esistenza di queste macchine che leggevano l'immagine direttamente, senza passare dall'ingranditore. Si otteneva così più dettaglio, più separazione del colore, più disegno nei bianchi, più apertura nei neri. E' lì che ho deciso di prendere uno scanner analogico per adattarlo al mondo della fotografia. All'inizio intervenivo per tentativi agendo su manopole che agivano sulla separazione dei colori, sulle aperture.
TG: Erano i famosi scanner a tamburo?
RT: Sì, erano scanner analogici rigorosamente a tamburo. Poi sono arrivati i primi plotter. Si chiamavano così perché arrivavano da quelle macchine che riproducevano i disegni architettonici CAD. Anziché testine, alle estremità erano collegati dei rapidograph ed erano spinti da fili che li facevano scorrere avanti e indietro fino a formare il disegno voluto. L'abbinamento di questo sistema al fax hanno portato le varie case produttrici di stampanti a studiare un sistema di uso più generale e quindi anche più vicino al nostro mondo dell'immagine. Uno dei primi produttori ad ottenere un certo risultato fu Epson. Io in quel periodo giravo tutte le fiere che mostravano queste nuove macchine che venivano ancora denominate plotter, non stampanti. Ancora adesso in realtà si chiamano plotter. La tecnica di queste macchine venne chiamata: a getto d'inchiostro. Adesso questa tecnica viene denominata giclée che è una parola francese che indica lo spruzzo d'inchiostro. Deriva da gicleur che è l'ugello da cui fuoriesce l'inchiostro.
TG: Più bello.
RT: Eh sì, è più figo ed in più adesso gli hanno anche aggiunto il nome Fine Art, ma in realtà sono dei plotter a getto d'inchiostro. Adesso queste stampanti hanno un getto talmente sottile che supera addirittura la carta fotografica, perché la carta fotografica ha il limite della misura dell'alogenuro d'argento. Ha una stesura di gelatina animale, cosa anche questa negativa perché uccidi gli animali per fabbricarla, ed è impregnata di toner e alogenuro d'argento. Questa carta veniva impressionata con la luce, sviluppata con l'idrochinone, eccetera eccetera. Mentre il getto dei pigmenti delle nuove stampanti non inquinano e vanno a depositarsi su una normale carta a base cotone per niente inquinante o inquinata. Non c'è bisogno d'inquinare nemmeno per produrla, ovviamente c'è un minimo di sbiancante, però non si ammazzano animali, non c'è bisogno di prodotti chimici irritanti e stampi con una definizione fotografica che non ha nulla a che invidiare ad una normalissima stampa ad ingranditore.
TG: L'occhio di noi che siamo nati nell'epoca analogica non è abituato a leggere la grana un po' pastosa?
RT: Ho capito, ma ti ripeto, quel modo di vedere le cose si chiama nostalgia. Certo, anch'io quando vedo una di quelle vecchie stampe in bianco e nero ingiallite dal tempo, magari degli anni '30, ritagliata con tutta la sfrangiatura che si usava fare all'epoca riconosco che è bella e mi piace da morire, ma credimi, io sono in grado di rifartela tale e quale con la stampante ad inkjet e le tecniche di oggi. Tale e quale.
TG: Senti Roberto, parlando proprio di tecnica, cosa ne pensi di questi fotografi/artisti che la disprezzano per dirti che loro si occupano di cose concettuali, eccetera eccetera e poi quando li critichi dicendogli: mah guarda che tu veramente come stampatore non vali niente, se la prendono?
RT: Io ho incontrato tantissimi giovani che ascoltano quello che dico loro.
TG: Mettiamola così: tutte queste persone che dicono che lo stampatore non è un artista e poi non sono capaci di stampare ed in più si offendono, perché se la prendono se la stampa e la tecnica non sono cose importanti?
RT: Una persona, per principio non dovrebbe prendersela e ascoltare ogni tipo di parola gli viene detta facendone tesoro. Se uno mi critica qualcosa, probabilmente ho sbagliato mettendolo in condizione di criticarmi.
TG: Ah, questo è un punto di vista interessante.
RT: Infatti le mie stampe non escono dal mio studio, se prima non vengono criticate da me. Perché io so già cosa c'è che non va nel mio lavoro. Guarda caso, è successo che il cliente se ne accorgesse ed io non ho fatto il finto incazzato, ma ho detto: però, sei in gamba! Hai capito? Dammela che te la rifaccio.
TG: Che problema c'era in quel caso?
RT: Piccole cose, il bianco della camicia era troppo azzurro, tendente al ciano. Allora, sai mi son detto: passa! E invece no.
TG: Il bianco e nero lo stampi?
RT: Certo! Siccome io vengo dal colore, il bianco e nero per me è più facile. Molto più facile. Riprendo il discorso di prima, solo perché è una cosa che noi non siamo abituati a vedere piace. Io tratto il bianco e nero come il colore, quindi io faccio una selezione delle eventuali tonalità. Il cielo che dovrebbe essere blu/azzurro, io lo taro in un modo; la carnagione va tarata in un altro; l'erba verde va tarata in un altro ancora. Capisci, io così praticamente vedo il bianco e nero come il colore.
TG: Per come ti conosco, tu sei un perfezionista e vuoi che la stampa sia il più fedele possibile alla realtà. Hai fatto anche delle stampe che interpretassero diversamente la realtà, magari saturando maggiormente i colori o dando una visione personale di quello che ci circonda?
RT: Sì.
TG: Ti piace lavorare anche in quel modo?
RT: Certo, lo faccio in collaborazione con l'artista, se lui mi chiede determinati interventi, io li faccio volentieri.
TG: E' difficile?
RT: Adesso, come adesso, con gli strumenti di cui disponiamo, assolutamente no, non è per niente difficile. Mentre lo era una volta quando per mascherare un volto dovevo preparare una mascherina su misura tutta sfumata con l'anilina e si doveva intervenire con acidi, sviluppo e via di seguito. In maniera manuale. E l'ammoniaca per pulire l'anilina quando sbagliavi...
TG: Da quanto tempo non stampi più in modo tradizionale?
RT: Madonna, bella domanda! (pausa lunghissima) Ho smesso nel 1997.
TG: Come sarà il futuro della fotografia?
RT: In futuro non ci sarà più la carta. Già adesso esistono dei supporti led molto fitti e sottili che si possono incorniciare e far girare nel tuo quadro come video. So che adesso detto così spaventa, ma ci sono già studi e ricerche su queste cose. Se facciamo un giro in centro già le vediamo queste pubblicità in video e non sono niente male. Puoi inserire di tutto: immagini fotografiche, testi e filmati.
TG: Per te, non volersi allontanare dall'artigianato è anche questa nostalgia? O può avere delle controindicazioni?
RT: No, non penso perché poi si svilupperà un lavoro diverso, come s'è sviluppato il mio dalla bacinella in poi. Probabilmente, un giorno troverò il sistema di confezionare questi video secondo le nuove esigenze e formati che ci verranno richiesti.
TG: Quindi la fotografia si sposterà più verso il video?
RT: Sì, verso il video. C'è già questo gusto di guardare un'immagine retroilluminata, no? Questa immagine più luminosa ci affascina, figurati una mostra con questi pannellini led.
TG: Sì c'è già stato qualcosa del genere un paio d'anni fa. Era una mostra che riproduceva i quadri di Van Gogh, alla Fabbrica del Vapore.
RT: Infatti una delle ricerche che fa la stampa fotografica è proprio sulla riflessione dei bianchi e sulla possibilità di dare profondità all'immagine. Io per i miei lavori ho scelto una carta con un bianco ottico eccessivo, al punto che non riesco ad apprezzare quelle carte che mi danno un tono giallino un po' spento. Ho fatto anche fare una modifica al plotter per avere i neri più neri e intensi. Questa è la nostra necessità: avere bianchi brillanti e neri neri. Quando si guarda un'immagine al monitor anche il cliente sa che la stampa non potrà mai essere così luminosa. Se vogliamo andare oltre, ci faranno un porta sd dietro l'orecchia e ci vedremo l'immagine mentalmente.
TG: Insomma, in futuro non ci sarà più lo stampatore?
RT: No, non ci sarà, perché già adesso lo stampatore ha difficoltà enormi, grazie a strumenti estremamente tecnologici che sono molto semplici che non costano neanche tanto e per questo sono a disposizione di tutti. Un fotografo che lavora può comprarsi una stampante molto valida e la sera, quando torna a casa dal servizio che ha fatto può già stampare le fotografie, senza nemmeno togliere la scheda dalla macchina fotografica, perché adesso il wi-fi è presente un po' dappertutto.
TG; Sarà tutto automatizzato?
RT: Tutto automatizzato.
TG: Addirittura falsa?
RT: Decisamente. Noi siamo abituati a vedere a colori, quando visioniamo un'immagine in bianco e nero dobbiamo in qualche modo reinterpretala, se poi la vediamo seppiata è ancora più diversa, ma inconsciamente ci piace perché è qualcosa cui non siamo abituati, qualcosa di particolare.
TG: E' una questione di gusto comunque...
RT: Sicuramente, di gusto, come in un'opera d'arte. Se vogliamo lavorare per il gusto, adesso abbiamo degli strumenti elettronici che ci permettono di fare viraggi di tutti i tipi, fra l'altro anche parziali. Una volta si colorava il bianco e nero a mano, con le aniline, no?
TG: Certo. Tu che sei stato al MIA; ci siamo incontrati anche lì, hai visto quella bella fotografia di Monica Silva, una fotografa brasiliana che per realizzare il suo progetto ha utilizzato Phase One?
RT: No, non l'ho vista, ma solo a sentire la parola Phase One immagino...
TG: Ti assicuro che era una bella fotografia. A me è piaciuta molto, ma la definizione era talmente alta e precisa che quasi non riuscivo a guardarla.
RT: Allora, oggi come oggi lo strumento riesce a leggere tutto, forse anche più di quello che vede l'occhio umano. Il nostro occhio è meccanico e vede l'immagine in più punti, dopo di che il cervello mette insieme il tutto ed ecco che noi siamo in grado di elaborare un'immagine con le luci disegnate...
TG: E poi noi abbiamo due occhi, il cervello sintetizza due immagini per darci un elaborato tridimensionale...
RT: Esatto, quindi vedi le ombre aperte, perché quando guardi le zone in ombra la pupilla si apre, quando guardi la luce si chiude... E vedi tutta l'immagine tarata. L'elaborazione della nostra mente ci fa vedere l'immagine che vogliamo vedere; anche il nostro stato d'animo ci fa vedere le immagini in modo diverso... Stessa cosa per la mia situazione generale: se io ho dei problemi vedo le cose in un modo, se non ne ho le vedo in un altro.
TG: Questa osservazione l'ha fatta anche Tony D'Ambrosio, quando sono andato a trovarlo al Laboratorio De Stefanis.
RT: Immaginiamo Venezia, una città stupenda, bellissima. Se mi trovo lì mano nella mano con la mia fidanzata vedrò la città in un modo; vado a Venezia a riscuotere dei soldi che non prendo da un anno, la vedo in un altro modo. E' così. La stessa cosa capita alla fotografia che è uno strumento meccanico, un registratore che raccoglie l'immagine. Dopo di che, quando io la voglio materializzare e riprodurre per trasmettere agli altri il mio pensiero e il mio stato d'animo, non farò una riproduzione tale e quale come me la dà la macchina fotografica, ma per mezzo della tecnica trasferisco quelle cose importanti che io voglio comunicare. Cosa che si faceva anche prima con la fotografia tradizionale. Io quando stampavo con l'ingranditore facevo, come minimo, delle mascherine nel fascio di luce proiettato dall'ingranditore, con quello strumento che si chiamava farfalla. Si faceva ombra nelle zona scura per schiarirla; addirittura se volevo allungare delle modelle imbarcavo leggermente il foglio di carta chiudendo il più possibile il diaframma dell'obiettivo dell'ingranditore, ottenendo così una stampa più allungata. Capito? Dopo di che addirittura i puntini della polvere che andavano a segnare la stampa e che non si riuscivano a togliere nonostante tutte le attrezzature inventate negli anni, come il pennellino, il panno antistatico, la bomboletta dell'aria compressa, ero costretto a fare dei ritocchi con il pennellino e l'anilina. Adesso questa operazione si chiama post-produzione digitale. Volevo un'immagine più contrastata in certe zone? Ecco che facevo un contro-negativo, lo abbinavo al negativo e riuscivo ad ottenere le mascherature, sempre in pellicola creando anche più dettaglio. Si facevano un sacco d'interventi manuali e chimici per ottenere quello che adesso la tecnologia ci sta dando in modo più semplice e preciso, senza inquinare, senza sprecare materiali preziosi ed in maniera non dispendiosa. La qualità adesso è nettamente migliore utilizzando degli strumenti elettronici che ti evitano perfino d'ammalarti perché dobbiamo ricordarci che uno sviluppatore/stampatore chimico che ha passato almeno vent'anni con la testa rivolta ai vapori dell'idrochinone, dell'iposolfito o dell'acido acetico rischia di sviluppare anche dei disturbi poco piacevoli. Per non parlare delle sviluppatrici da lavare con l'acido solforico, era una cosa allucinante. Adesso sei seduto davanti al computer con il cliente, quello che vedi a monitor viene fuori esattamente anche dalla stampa, si discute l'immagine sul video, si fanno degli interventi correttivi per ottenere l'immagine perfetta direi.
TG: E di quelli che ai nostri giorni si mettono a giocare col collodio che cosa pensi? Ne conosci?
RT: No, non ne conosco. Ne sento parlare e penso che siano dei personaggi che o probabilmente ci vedono un business oppure sono malati, perché la nostalgia è anche una malattia... E' comunque una pratica abbastanza esclusiva che puoi provare a vendere a cifre interessanti. Per me questa non è fotografia.
TG: Che cos'è?
RT: E' un modo come un altro per sentirsi importanti. Anche il suicidio, secondo me, è un modo per lasciare un segno di se stessi... Se non addirittura un dispetto. Colui che nonostante tutte le difficoltà riesce ad affrontare la vita è apprezzabile. E' facile spegnere la radio perché non ti piace quella trasmissione, no?
Roberto Tomasi affronta la vita con un sorriso, nonostante i grandi cambiamenti tecnologici ed il grosso ridimensionamento del mercato fotografico di cui tutti siamo a conoscenza.
TG: Sai che tu forse sei l'unico che ha vissuto intensamente la stampa tradizionale e nonostante tutto esalti il digitale. Com'è possibile? Lo sai questo vero? Te ne rendi conto?
RT: Allora, io quando sono passato al digitale mi sono sentito dire dai miei clienti che ero pazzo. Tutti mi chiedevano com'era possibile che io bravo com'ero nel mio lavoro avessi deciso di passare ad una tecnica che veniva denigrata da fotografi e stampatori. Costoro non capivano che ero passato al digitale proprio perché avevo visto in questa nuova tecnologia un modo per ottenere stampe di qualità superiore. Io volevo dare più qualità ai miei clienti, questa era la motivazione della mia scelta. Negli anni '90 sono stato il primo ad utilizzare lo scanner in fotografia, perché io arrivavo dalla fotolito, sapevo dell'esistenza di queste macchine che leggevano l'immagine direttamente, senza passare dall'ingranditore. Si otteneva così più dettaglio, più separazione del colore, più disegno nei bianchi, più apertura nei neri. E' lì che ho deciso di prendere uno scanner analogico per adattarlo al mondo della fotografia. All'inizio intervenivo per tentativi agendo su manopole che agivano sulla separazione dei colori, sulle aperture.
TG: Erano i famosi scanner a tamburo?
RT: Sì, erano scanner analogici rigorosamente a tamburo. Poi sono arrivati i primi plotter. Si chiamavano così perché arrivavano da quelle macchine che riproducevano i disegni architettonici CAD. Anziché testine, alle estremità erano collegati dei rapidograph ed erano spinti da fili che li facevano scorrere avanti e indietro fino a formare il disegno voluto. L'abbinamento di questo sistema al fax hanno portato le varie case produttrici di stampanti a studiare un sistema di uso più generale e quindi anche più vicino al nostro mondo dell'immagine. Uno dei primi produttori ad ottenere un certo risultato fu Epson. Io in quel periodo giravo tutte le fiere che mostravano queste nuove macchine che venivano ancora denominate plotter, non stampanti. Ancora adesso in realtà si chiamano plotter. La tecnica di queste macchine venne chiamata: a getto d'inchiostro. Adesso questa tecnica viene denominata giclée che è una parola francese che indica lo spruzzo d'inchiostro. Deriva da gicleur che è l'ugello da cui fuoriesce l'inchiostro.
TG: Più bello.
RT: Eh sì, è più figo ed in più adesso gli hanno anche aggiunto il nome Fine Art, ma in realtà sono dei plotter a getto d'inchiostro. Adesso queste stampanti hanno un getto talmente sottile che supera addirittura la carta fotografica, perché la carta fotografica ha il limite della misura dell'alogenuro d'argento. Ha una stesura di gelatina animale, cosa anche questa negativa perché uccidi gli animali per fabbricarla, ed è impregnata di toner e alogenuro d'argento. Questa carta veniva impressionata con la luce, sviluppata con l'idrochinone, eccetera eccetera. Mentre il getto dei pigmenti delle nuove stampanti non inquinano e vanno a depositarsi su una normale carta a base cotone per niente inquinante o inquinata. Non c'è bisogno d'inquinare nemmeno per produrla, ovviamente c'è un minimo di sbiancante, però non si ammazzano animali, non c'è bisogno di prodotti chimici irritanti e stampi con una definizione fotografica che non ha nulla a che invidiare ad una normalissima stampa ad ingranditore.
TG: L'occhio di noi che siamo nati nell'epoca analogica non è abituato a leggere la grana un po' pastosa?
RT: Ho capito, ma ti ripeto, quel modo di vedere le cose si chiama nostalgia. Certo, anch'io quando vedo una di quelle vecchie stampe in bianco e nero ingiallite dal tempo, magari degli anni '30, ritagliata con tutta la sfrangiatura che si usava fare all'epoca riconosco che è bella e mi piace da morire, ma credimi, io sono in grado di rifartela tale e quale con la stampante ad inkjet e le tecniche di oggi. Tale e quale.
TG: Senti Roberto, parlando proprio di tecnica, cosa ne pensi di questi fotografi/artisti che la disprezzano per dirti che loro si occupano di cose concettuali, eccetera eccetera e poi quando li critichi dicendogli: mah guarda che tu veramente come stampatore non vali niente, se la prendono?
RT: Io ho incontrato tantissimi giovani che ascoltano quello che dico loro.
TG: Mettiamola così: tutte queste persone che dicono che lo stampatore non è un artista e poi non sono capaci di stampare ed in più si offendono, perché se la prendono se la stampa e la tecnica non sono cose importanti?
RT: Una persona, per principio non dovrebbe prendersela e ascoltare ogni tipo di parola gli viene detta facendone tesoro. Se uno mi critica qualcosa, probabilmente ho sbagliato mettendolo in condizione di criticarmi.
TG: Ah, questo è un punto di vista interessante.
RT: Infatti le mie stampe non escono dal mio studio, se prima non vengono criticate da me. Perché io so già cosa c'è che non va nel mio lavoro. Guarda caso, è successo che il cliente se ne accorgesse ed io non ho fatto il finto incazzato, ma ho detto: però, sei in gamba! Hai capito? Dammela che te la rifaccio.
TG: Che problema c'era in quel caso?
RT: Piccole cose, il bianco della camicia era troppo azzurro, tendente al ciano. Allora, sai mi son detto: passa! E invece no.
TG: Il bianco e nero lo stampi?
RT: Certo! Siccome io vengo dal colore, il bianco e nero per me è più facile. Molto più facile. Riprendo il discorso di prima, solo perché è una cosa che noi non siamo abituati a vedere piace. Io tratto il bianco e nero come il colore, quindi io faccio una selezione delle eventuali tonalità. Il cielo che dovrebbe essere blu/azzurro, io lo taro in un modo; la carnagione va tarata in un altro; l'erba verde va tarata in un altro ancora. Capisci, io così praticamente vedo il bianco e nero come il colore.
TG: Per come ti conosco, tu sei un perfezionista e vuoi che la stampa sia il più fedele possibile alla realtà. Hai fatto anche delle stampe che interpretassero diversamente la realtà, magari saturando maggiormente i colori o dando una visione personale di quello che ci circonda?
RT: Sì.
TG: Ti piace lavorare anche in quel modo?
RT: Certo, lo faccio in collaborazione con l'artista, se lui mi chiede determinati interventi, io li faccio volentieri.
TG: E' difficile?
RT: Adesso, come adesso, con gli strumenti di cui disponiamo, assolutamente no, non è per niente difficile. Mentre lo era una volta quando per mascherare un volto dovevo preparare una mascherina su misura tutta sfumata con l'anilina e si doveva intervenire con acidi, sviluppo e via di seguito. In maniera manuale. E l'ammoniaca per pulire l'anilina quando sbagliavi...
TG: Da quanto tempo non stampi più in modo tradizionale?
RT: Madonna, bella domanda! (pausa lunghissima) Ho smesso nel 1997.
TG: Come sarà il futuro della fotografia?
RT: In futuro non ci sarà più la carta. Già adesso esistono dei supporti led molto fitti e sottili che si possono incorniciare e far girare nel tuo quadro come video. So che adesso detto così spaventa, ma ci sono già studi e ricerche su queste cose. Se facciamo un giro in centro già le vediamo queste pubblicità in video e non sono niente male. Puoi inserire di tutto: immagini fotografiche, testi e filmati.
TG: Per te, non volersi allontanare dall'artigianato è anche questa nostalgia? O può avere delle controindicazioni?
RT: No, non penso perché poi si svilupperà un lavoro diverso, come s'è sviluppato il mio dalla bacinella in poi. Probabilmente, un giorno troverò il sistema di confezionare questi video secondo le nuove esigenze e formati che ci verranno richiesti.
TG: Quindi la fotografia si sposterà più verso il video?
RT: Sì, verso il video. C'è già questo gusto di guardare un'immagine retroilluminata, no? Questa immagine più luminosa ci affascina, figurati una mostra con questi pannellini led.
TG: Sì c'è già stato qualcosa del genere un paio d'anni fa. Era una mostra che riproduceva i quadri di Van Gogh, alla Fabbrica del Vapore.
RT: Infatti una delle ricerche che fa la stampa fotografica è proprio sulla riflessione dei bianchi e sulla possibilità di dare profondità all'immagine. Io per i miei lavori ho scelto una carta con un bianco ottico eccessivo, al punto che non riesco ad apprezzare quelle carte che mi danno un tono giallino un po' spento. Ho fatto anche fare una modifica al plotter per avere i neri più neri e intensi. Questa è la nostra necessità: avere bianchi brillanti e neri neri. Quando si guarda un'immagine al monitor anche il cliente sa che la stampa non potrà mai essere così luminosa. Se vogliamo andare oltre, ci faranno un porta sd dietro l'orecchia e ci vedremo l'immagine mentalmente.
TG: Insomma, in futuro non ci sarà più lo stampatore?
RT: No, non ci sarà, perché già adesso lo stampatore ha difficoltà enormi, grazie a strumenti estremamente tecnologici che sono molto semplici che non costano neanche tanto e per questo sono a disposizione di tutti. Un fotografo che lavora può comprarsi una stampante molto valida e la sera, quando torna a casa dal servizio che ha fatto può già stampare le fotografie, senza nemmeno togliere la scheda dalla macchina fotografica, perché adesso il wi-fi è presente un po' dappertutto.
TG; Sarà tutto automatizzato?
RT: Tutto automatizzato.
Roberto Tomasi stampatore e filoso dell'immagine
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