Presentazione del Curatore della mostra Eterotopia*
Un percorso che si articola tra i suoi soggetti più famosi, tra i quali Euritmia evoluente, Latomia, Liquimofono, Reale virtuale, Prisma meccanico, Fleximofono, Forme di buio e Macchina che respira.
Ancor più che opere d’arte, quelle di Piero Fogliati ci appaiono come le invenzioni di un visionario che si è nutrito di sogni. Sogni troppo grandi per un uomo solo. Dagli anni Sessanta Fogliati ha infatti iniziato a concepire una Città fantastica in cui l’ebbrezza meccanica generava “esperienze sensoriali” nelle persone. Molte delle sue intuizioni sono purtroppo rimaste sulla carta: Fissazioni – come amava chiamarle lui – che si esprimono in poche linee e qualche parola.
Assumendo lo spettatore a guisa di ricettore, Fogliati ne mette alla prova le dinamiche visive e le facoltà cognitive; molte sue opere si basano sul “principio percettivo autonomo”, ossia sui movimenti saccadici dell’occhio, che sono involontari. Con queste opere Fogliati si avventura in uno spazio animato da enigmi sensoriali, i cosiddetti fantasmi che possiamo intercettare grazie a una persistenza retinica. Una delle invenzioni più famose di Fogliati è la luce sintetica, altrimenti detta “luce fantastica” che resta bianca a contatto con un corpo statico, scomponendosi viceversa nei colori dell’arcobaleno quando illumina un corpo in movimento.
Affrancando il colore dal supporto pittorico, Fogliati si è sempre avvalso di dispositivi elettromeccanici che avverano una “pittura dell’aria”. Uno spazio potenziale, depositario di meraviglie e delizie, dove linee e volumi fluttuano per poi dissolversi. Le investigazioni percettive di Fogliati sono la summa di una felice commistione tra arte, scienza e tecnologia, capace di ottenere un “magico processo” che non tutti sono in grado di comprendere nella sua totalità. Alberto Zanchetta
Ancor più che opere d’arte, quelle di Piero Fogliati ci appaiono come le invenzioni di un visionario che si è nutrito di sogni. Sogni troppo grandi per un uomo solo. Dagli anni Sessanta Fogliati ha infatti iniziato a concepire una Città fantastica in cui l’ebbrezza meccanica generava “esperienze sensoriali” nelle persone. Molte delle sue intuizioni sono purtroppo rimaste sulla carta: Fissazioni – come amava chiamarle lui – che si esprimono in poche linee e qualche parola.
Assumendo lo spettatore a guisa di ricettore, Fogliati ne mette alla prova le dinamiche visive e le facoltà cognitive; molte sue opere si basano sul “principio percettivo autonomo”, ossia sui movimenti saccadici dell’occhio, che sono involontari. Con queste opere Fogliati si avventura in uno spazio animato da enigmi sensoriali, i cosiddetti fantasmi che possiamo intercettare grazie a una persistenza retinica. Una delle invenzioni più famose di Fogliati è la luce sintetica, altrimenti detta “luce fantastica” che resta bianca a contatto con un corpo statico, scomponendosi viceversa nei colori dell’arcobaleno quando illumina un corpo in movimento.
Affrancando il colore dal supporto pittorico, Fogliati si è sempre avvalso di dispositivi elettromeccanici che avverano una “pittura dell’aria”. Uno spazio potenziale, depositario di meraviglie e delizie, dove linee e volumi fluttuano per poi dissolversi. Le investigazioni percettive di Fogliati sono la summa di una felice commistione tra arte, scienza e tecnologia, capace di ottenere un “magico processo” che non tutti sono in grado di comprendere nella sua totalità. Alberto Zanchetta
L'artista, il suo ambiente e la sua famiglia
Piero Fogliati cercava sempre di capire le cose profondamente con un approccio di tipo giocoso, ma non per questo meno serio. Immaginatevi di rimanere per tutta la vita bambini, non nel senso di giocare perennemente in modo incosciente, ma con un entusiasmo, una purezza d'animo ed una sincerità primordiale. Quando un bambino vuole realizzare qualcosa non si pone problemi, né limiti, la fa e basta, mentre l'uomo adulto si lascia spaventare e frenare da mille preoccupazioni e pensieri d'inadeguatezza. I bambini non obiettano che una cosa non si può fare, ma procedono verso il loro obiettivo, indipendentemente dagli ostacoli che potrebbero incontrare. Incuranti di eventuali dilemmi etici, organizzativi o pratici. Non c'è nulla che non si possa fare o che non sia giusto fare, se un bambino vuole costruire qualcosa lo fa con i propri mezzi, capacità e fantasie, non si ferma davanti a pretesti o critiche. Questo era l'atteggiamento che Fogliati conservava nell'affrontare le proprie ricerche e nel realizzare le proprie opere. Come un bambino operava e giocava scevro da pregiudizi e da limiti. La sua arma più efficace era la curiosità che gli permetteva di scavare ogni argomento in profondità trovando spesso soluzioni mai percorse prima. Come nel caso del suo prisma meccanico, pensato in un modo che nessun altro aveva pensato prima. Come un disco di Newton che anziché essere opaco è trasparente. Fogliati osservava le cose da un altro punto di vista che era il punto di vista di un uomo speciale, molto stimolante anche per tutte le persone che lo conoscevano ed interagivano con lui.
Eterotopia è una parola coniata dal filosofo francese Michel Foucault nel 1966, utilizzata nel nostro caso, per descrivere le opere di Fogliati, per esprimere idee di "utopie situate" in luoghi diversi che tuttavia permangono reali in quella cosiddetta "Città Fantastica" sognata dall'artista torinese e mai concretizzata.
Fin dagli anni '60, Piero Fogliati ha iniziato a concepire una sua città "ideale" in cui le esperienze sensoriali derivanti dall'utilizzo di ausili meccanico-cinetici avrebbero dovuto aiutare gli uomini a meglio comprendere e sopportare gli stress portati da una convivenza/vicinanza forzata coi propri simili in un ambiente diverso da quello naturale in cui avrebbero potuto condurre normalmente le loro vite. Fogliati era un uomo che risentiva molto delle atmosfere dei luoghi in cui risiedeva e che cercava di costruire un mondo che potesse essere d'aiuto ai suoi simili che troppo spesso si lasciano distrarre dalle frenesia di una società industriale in forte trasformazione.
Ho incontrato il figlio dell'artista che si sta impegnando per portare a compimento l'opera di divulgazione del lavoro di Piero Fogliati e per affrontare aspetti spesso trascurati o sottovalutati del rapporto che l'artista ha con la propria famiglia, il proprio ambiente di lavoro ed il proprio tempo.
Ho intervistato Paolo Fogliati come testimone della vita di suo padre e spettatore della sua difficile affermazione artistica in una città in cui non c'era molto spazio per esponenti di correnti di pensiero diverse da quelle proposte dall'arte povera.
Ci sono artisti che durante la loro esistenza frequentano le persone giuste e scendono a compromessi per raggiungere una buona visibilità, ma poi vengono dimenticati perché il loro lavoro non era così importante e originale; per Fogliati si sono verificate le condizioni opposte. Durante la sua vita s'è occupato di ricerca, sperimentazione e di realizzare le sue idee che non sono passate inosservate ed adesso iniziano ad ottenere il riconoscimento che meritano.
Gran parte dell'arte contemporanea non sappiamo che fine farà a medio termine; lascerà un segno indelebile? Oppure no? Molti artisti sono soltanto di moda perché vengono esaltati dalla critica giusta o perché riescono a piazzare le loro opere all'attore di grido ed al personaggio in vista, ma come ben sappiamo le mode sono transitorie e solo il tempo ci potrà dire quali saranno gli artisti immortali da ricordare.
Questo è un argomento che ho accennato all'artista Turi Simeti che ho incontrato al Dep Art. Naturalmente, per gli artisti questo è un discorso un po' delicato ed è comprensibile che minimizzino un po' lo spauracchio di poter cadere nell'oblio nel tempo di una generazione. Strano che questo discorso sia stato affrontato da un personaggio che forse avrebbe più convenienza a non sollevare queste questioni, parlo di Marc Spiegler direttore di Art Basel, la fiera d'arte più importante d'Europa. Sicuramente dovremo tornare su questo argomento ed ascoltare le opinioni di altri artisti ed esperti del settore. TG
"Piero Fogliati è stato un padre non banale". Paolo Fogliati
Paolo Fogliati, figlio di Piero Fogliati
Euritmia evoluente 1970 circa.
Con quest'opera Piero Fogliati voleva imprimere vitalità ad alcuni oggetti sospesi nel vuoto. L'idea è di ottenere una sorta di leggerezza da oggetti circolari che si comportano quasi alla maniera di giroscopi.
Un proiettore luminoso con all'interno dischi di gelatina colorata illumina un disco d'alluminio bianco che scompone la luce proiettandola su una parete retrostante.
Intervista a Paolo Fogliati
Tony Graffio: Posso spararti una domanda a freddo?
Paolo Fogliati: Spara pure.
TG: Fondamentalmente volevo chiederti solo un paio di cose. La prima è: perché tuo padre non è stato riconosciuto come meritava fintanto che era in vita, nel momento in cui c'erano anche altri gruppi importanti che lavoravano un po' allo stesso modo in cui si esprimeva lui?
PF: Credo che questa domanda non dovresti farla a me, ma a coloro che non hanno considerato mio padre insieme a coloro che facevano un genere di arte simile alla sua. Da parte mia posso dirti che sicuramente mio padre ha svolto un'attività in cui il tempo era suo nemico. Lui aveva bisogno di un'enormità di tempo per riuscire a realizzare le cose che faceva. Ti potrei raccontare tante cose inerenti al gioco, alla curiosità, ma alla fine i suoi lavori nascevano da un impegno profondo che richiedeva una profusione d'energia continua. Lui ha impiegato il suo tempo per fare le cose che voleva fare più che per curare una serie di rapporti e relazioni che potevano essergli utili a promuovere il suo lavoro. Ti dico questo per cercare di rispondere alla tua domanda. Questo non vuol dire che Piero Fogliati non fosse capace d'occuparsi di queste cose, perché devo dire che mio padre aveva la capacità di relazionarsi in modo efficace; sapeva raccontare bene il suo lavoro, lo ha fatto sovente e lo ha fatto con tutti. Nello studio di mio padre sono passati tutti. Tutti. Non è che non lui non avesse contatti o relazioni, forse non le ha curate molto perché aveva poco tempo per farlo. Lui dormiva tre ore per notte perché si occupava di molte cose.
TG: Credo che si sia anche spostato molto per motivi di lavoro...
PF: Se intendi lavoro in campo artistico, ha lavorato all'estero, soprattutto in Francia ed in Svizzera. Ma anche in Germania, sino in Giappone, ma naturalmente molto anche in Italia. Anche se il suo vero luogo di lavoro era il suo studio. Aveva un rapporto simbiotico con il suo studio. Lui era quello che era perché si identificava nel suo studio. Cosa che hanno capito tutti coloro che sono stati da lui nel suo studio. Quando è mancato ho ancora accompagnato delle persone a visitare il suo studio ed anche in quella occasione si capiva che il suo studio fosse lui. Non è una cosa facile da spiegare perché sembrerebbe qualcosa di esoterico, ma era così. Ha lasciato qualcosa in quello studio e lui era qualcosa fintanto che stava in quello studio.
TG: Esiste ancora questo posto?
PF: No, non c'è più.
TG: Dove si trovava?
PF: Era in Corso Vittorio 227. Tutti gli oggetti che erano lì, tutti i chiodi, le viti e gli attrezzi erano disposti in un modo tale da essere funzionali al lavoro di Piero Fogliati, in modo che potesse sviluppare la sua poetica ed il suo lavoro. Ha lavorato soprattutto nel suo studio perché quello era il suo mondo.
TG: Aveva un lavoro e tanti altri impegni...
PF: Aveva un lavoro ed una famiglia. In qualche modo le sue responsabilità se le è sempre prese. Insegnava ed il lavoro dell'arte, che per lui era prioritario, veniva comunque dopo l'attività che gli permetteva di mantenere la famiglia.
TG: Esiste ancora questo posto?
PF: No, non c'è più.
TG: Dove si trovava?
PF: Era in Corso Vittorio 227. Tutti gli oggetti che erano lì, tutti i chiodi, le viti e gli attrezzi erano disposti in un modo tale da essere funzionali al lavoro di Piero Fogliati, in modo che potesse sviluppare la sua poetica ed il suo lavoro. Ha lavorato soprattutto nel suo studio perché quello era il suo mondo.
TG: Aveva un lavoro e tanti altri impegni...
PF: Aveva un lavoro ed una famiglia. In qualche modo le sue responsabilità se le è sempre prese. Insegnava ed il lavoro dell'arte, che per lui era prioritario, veniva comunque dopo l'attività che gli permetteva di mantenere la famiglia.
TG: Tornando alla domanda che ti ho fatto in partenza: da che cosa è dipeso il fatto che Fogliati abbia fatto un po' fatica a farsi conoscere ed apprezzare, nonostante facesse cose molto interessanti?
PF: Anch'io mi sono fatto questa domanda tante volte e mi sono reso conto che lui aveva una fortissima repulsione per la spettacolarizzazione di qualsiasi tipo di evento; sebbene il suo lavoro fosse sovente spettacolare. Nonostante questo, l'indole umile di Piero lo ha sempre portato ad essere poco appariscente. Ad esempio, le sue idee dovevano esprimersi come interventi nella natura; pensa il Fleximofono che avrebbe dovuto essere realizzato di dimensioni tali da essere inserito in paesaggi collinari. E' invece stato realizzato in dimensioni molto ridotte, adeguate ad una sistemazione in case private o gallerie. Aveva grandi progetti, ma alla fine la sua estetica s'è sviluppata a dimensione del suo studio che lui, tra l'altro, chiamava laboratorio. Un laboratorio piuttosto che uno studio dove incontrare un artista che indossava un cappellaccio strano o la sciarpa arrotolata intorno ala collo. Quello non era il suo stile. Alessandro Trabucco che ha dato una tesi su mio padre, un giorno in sua compagnia andò a fare la spesa di ciò che serviva per realizzare i lavori di mio padre. Andarono da un ferramenta e Piero incominciò ad acquistare delle viti, dei dadi. Trabucco, allora ragazzo dalla sensibilità sottile, disse: "Ho capito, questo è il tuo colorificio". Ed era proprio così. Non c'erano limiti nella questione del gioco. La vernice di Piero era il disco di Newton; il suo pennello era un proiettore; la sua tela era una paletta che girava. Perché no?
TG: Il fatto che l'arte si facesse a Milano più che a Torino, per lui è stato uno svantaggio?
PF: Credo che l'artista vero persegua una ricerca che nemmeno lui sa dove esattamente dove porti. Ma quando tu vedi il lavoro di un artista vero, questo ti apre una finestra su spazi e luoghi che nessun altro avrebbe potuto indicarti e descriverti. Nemmeno l'artista in realtà sa d'indicarteli. Semplicemente lo fa con una sua pulsione e follia, con una capacità di guardare da un altro punto di vista. Non è che se sei a Milano, Torino, Roma o da qualsiasi altra parte le cose vadano meglio o peggio.
TG: Io oggi qui ho incontrato Turi Simeti che in un'altra occasione mi ha detto che da Roma è dovuto venire a Milano per poter fare l'artista ed avere l'opportunità di mostrare e vendere le sue opere e come lui tanti altri mi hanno raccontato le stesse cose, come per esempio, Armando Marrocco.
PF: Il lavoro di mio padre è stata un'attività espressamente di ricerca effettuato in un ambito che lo rappresentava: il suo studio. Il fatto di spostarsi geograficamente non avrebbe giovato alla sua poetica. Lui questo lo sapeva. Quello che faceva non era isolarsi, come qualcuno ha detto, ma era un ottimizzare le condizioni di contorno del suo lavoro.
TG: Sì, però da Milano bisogna passarci... Noi adesso siamo qui, le opere di Piero Fogliati sono state esposte anche a Lissone che è qua vicino, qualcosa vorrà dire. O no?
PF: Sì, è vero, ed anche Piero Fogliati è passato di qua in passato ed ha fatto, penso, belle mostre. Se tu consulti il catalogo t'accorgerai che lui ha esposto nel 1981 al Teatro di Porta Romana, nel 1982 a MilanoSuono, nel 1989 al PAC ed a Milano Poesia, nel 1999 alla Fondazione Stelline e nel 2011 alla Triennale della Bovisa. Io ti stavo dicendo una cosa diversa, dico che per esprimere la sua poetica Fogliati aveva una dimensione simbiotica con il suo studio. Ti posso dire che lui non avrebbe fatto quello che ha fatto se non avesse avuto il suo studio. Forse avrebbe potuto vivere a Genova, a Milano, a Catania o da un'altra parte, non importa. Il suo tipo di ricerca andava fatta così come l'ha fatta lui. Muoversi non gli avrebbe portato particolari vantaggi.
TG: Per lavoro si è spostato tanto?
PF: Per lavoro sì, ha vissuto in Svizzera ed in Francia.
TG: Tuo padre era molto conosciuto, specialmente a Torino, ma non aveva tanto tempo a disposizione? Oppure non ha avuto le opportunità?
PF: Era molto conosciuto. A Torino tutti sono stati nel suo studio. Mio padre abitava in piazza Rivoli, piazza da dove parte corso Francia che con i suoi 13 chilometri di lunghezza è il corso rettilineo più lungo d'Europa e collega Torino a Rivoli. Ogni giorno da casa sua vedeva il Castello di Rivoli che dal 1984 è diventato uno dei musei d'arte contemporanea più importanti d'Europa. Solo una volta mio padre ha potuto esporre in quel castello una sua opera, un Fleximofono, quello della GAM di Torino.
TG: E' riuscito poi ad esporre qualcos'altro al Castello di Rivoli?
PF: No.
TG: Perché?
PF: Questo forse dovresti chiederlo a chi gestiva quelle istituzioni.
TG: Mi stai dicendo che a Torino c'è una specie di lobby degli artisti?
PF: Non lo so, forse sì, forse no. Sicuramente però c'è stato un girare la testa dall'altra parte. E questa è una cosa che non si può non constatare. Anch'io mi pongo certe domande e mi dispiace che mio padre abbia passato parte della sua vita a guardare dalla finestra di casa sua, e devo dire con una certa tristezza il Castello di Rivoli. Anche lui avrebbe voluto conoscere le ragioni di questa indifferenza...
TG: Ad ogni modo Fogliati era piuttosto conosciuto dagli addetti ai lavori, vero?
PF: Sì e io ne sono testimone. Una volta sono andato all'Exploratorium di San Francisco ed ho incontrato Bill Bell, un artista che fa un lavoro, per certi versi, non lontano da quello di mio padre, anche se con mezzi diversi. Sono stato nel suo studio ed appesi ai muri c'erano un gran numero di manifesti. Tra questi ho visto la fotografia di un'opera di Fogliati, quella che trovi anche qui in mostra: "Reale Virtuale".
TG: A fine marzo sono stati pubblicati vari articoli sui giornali e sul web che parlavano della morte di un grande artista che è stato quasi ignorato dal mondo dell'arte. Solo in quel momento qualcuno s'è accorto che Fogliati meritava di più per quello che ha fatto?
PF: Quell'annuncio, in verità, diceva che Fogliati se n'era andato via in totale solitudine; ma questa è stata la volontà esplicita di mio padre. In qualche modo lui temeva ci potesse essere una spettacolarizzazione del suo funerale. Per questo lui mi chiese di non dire niente a nessuno e si è saputo della sua morte solo dopo alcuni giorni. E' stata una cosa durissima da fare, perché al suo funerale avrebbero sicuramente partecipato molte persone. Io non ho detto niente a nessuno, rispettando il suo volere. In quel senso, l'articolo che tu hai letto, ripreso da molte testate su internet, intendeva dire che volontariamente Piero se n'è andato in totale solitudine. Io ho dato la notizia della sua morte solo dopo avere disperso le sue ceneri. Dico questo per darti un'idea del suo carattere. Lui non era un isolato, anzi... Ma non aveva tanto tempo da dedicare alle relazioni perché il suo lavoro era molto intenso. Su internet puoi trovare un video su di lui che dura una mezz'oretta, forse l'avrai già visto; sentilo parlare e ti renderai conto che era un'esperienza ascoltarlo. La gente dopo che usciva dal suo laboratorio dopo aver parlato con lui si faceva le stesse domande che ti stai ponendo tu. Come mai la sua opera è stata trascurata dagli addetti ai lavori dell'arte?
TG: Rimango molto perplesso quando vedo utilizzare certi materiali facilmente deperibili che non puoi nemmeno toccare senza fare dei danni e che richiedono una costante opera di manutenzione e restauro. Va bene che la plastica, il polistirolo ed altre sostanze sintetiche rappresentano i nostri tempi un po' decadenti, ma non è che ci siano in giro tante persone che bruciano le banconote perché il denaro ha un valore effimero. Quanto possono durare certe opere?
PF: Che le opere non durino a lungo è anche una necessità di mercato, in modo tale da avere un ricambio. Penso che questa sia l'esigenza di un periodo artistico di tipo finanziario in cui tutto deve evolvere e cambiare. Tutto deve andare su per poi andare giù, per lasciare spazio ad altri. Forse questo era proprio il motivo per il quale mio padre reputava prioritario, più che alla cura delle relazioni con gli addetti dell'arte, dedicarsi completamente al suo lavoro. A lui faceva piacere vedere la gente contenta d'interagire con le sue opere. Molto spesso anche persone che si ritenevano lontane dal mondo dell'arte restavano colpite dalle sue opere e questa per Fogliati era una soddisfazione importante. Un artista fa delle mostre per mostrarsi. Espone per esporsi ed esporsi significa rischiare. Un artista rischia la disapprovazione del pubblico, cosa che a mio padre non è mai accaduta. Nessuno l'ha mai fischiato, piuttosto ha avuto dei responsi positivi da tutti, anche da chi non si riteneva in grado di capire certe cose a livello razionale ed invece riusciva ad apprezzarle a livello emotivo.
PF: Era molto conosciuto. A Torino tutti sono stati nel suo studio. Mio padre abitava in piazza Rivoli, piazza da dove parte corso Francia che con i suoi 13 chilometri di lunghezza è il corso rettilineo più lungo d'Europa e collega Torino a Rivoli. Ogni giorno da casa sua vedeva il Castello di Rivoli che dal 1984 è diventato uno dei musei d'arte contemporanea più importanti d'Europa. Solo una volta mio padre ha potuto esporre in quel castello una sua opera, un Fleximofono, quello della GAM di Torino.
TG: E' riuscito poi ad esporre qualcos'altro al Castello di Rivoli?
PF: No.
TG: Perché?
PF: Questo forse dovresti chiederlo a chi gestiva quelle istituzioni.
TG: Mi stai dicendo che a Torino c'è una specie di lobby degli artisti?
PF: Non lo so, forse sì, forse no. Sicuramente però c'è stato un girare la testa dall'altra parte. E questa è una cosa che non si può non constatare. Anch'io mi pongo certe domande e mi dispiace che mio padre abbia passato parte della sua vita a guardare dalla finestra di casa sua, e devo dire con una certa tristezza il Castello di Rivoli. Anche lui avrebbe voluto conoscere le ragioni di questa indifferenza...
TG: Ad ogni modo Fogliati era piuttosto conosciuto dagli addetti ai lavori, vero?
PF: Sì e io ne sono testimone. Una volta sono andato all'Exploratorium di San Francisco ed ho incontrato Bill Bell, un artista che fa un lavoro, per certi versi, non lontano da quello di mio padre, anche se con mezzi diversi. Sono stato nel suo studio ed appesi ai muri c'erano un gran numero di manifesti. Tra questi ho visto la fotografia di un'opera di Fogliati, quella che trovi anche qui in mostra: "Reale Virtuale".
TG: A fine marzo sono stati pubblicati vari articoli sui giornali e sul web che parlavano della morte di un grande artista che è stato quasi ignorato dal mondo dell'arte. Solo in quel momento qualcuno s'è accorto che Fogliati meritava di più per quello che ha fatto?
PF: Quell'annuncio, in verità, diceva che Fogliati se n'era andato via in totale solitudine; ma questa è stata la volontà esplicita di mio padre. In qualche modo lui temeva ci potesse essere una spettacolarizzazione del suo funerale. Per questo lui mi chiese di non dire niente a nessuno e si è saputo della sua morte solo dopo alcuni giorni. E' stata una cosa durissima da fare, perché al suo funerale avrebbero sicuramente partecipato molte persone. Io non ho detto niente a nessuno, rispettando il suo volere. In quel senso, l'articolo che tu hai letto, ripreso da molte testate su internet, intendeva dire che volontariamente Piero se n'è andato in totale solitudine. Io ho dato la notizia della sua morte solo dopo avere disperso le sue ceneri. Dico questo per darti un'idea del suo carattere. Lui non era un isolato, anzi... Ma non aveva tanto tempo da dedicare alle relazioni perché il suo lavoro era molto intenso. Su internet puoi trovare un video su di lui che dura una mezz'oretta, forse l'avrai già visto; sentilo parlare e ti renderai conto che era un'esperienza ascoltarlo. La gente dopo che usciva dal suo laboratorio dopo aver parlato con lui si faceva le stesse domande che ti stai ponendo tu. Come mai la sua opera è stata trascurata dagli addetti ai lavori dell'arte?
TG: Rimango molto perplesso quando vedo utilizzare certi materiali facilmente deperibili che non puoi nemmeno toccare senza fare dei danni e che richiedono una costante opera di manutenzione e restauro. Va bene che la plastica, il polistirolo ed altre sostanze sintetiche rappresentano i nostri tempi un po' decadenti, ma non è che ci siano in giro tante persone che bruciano le banconote perché il denaro ha un valore effimero. Quanto possono durare certe opere?
PF: Che le opere non durino a lungo è anche una necessità di mercato, in modo tale da avere un ricambio. Penso che questa sia l'esigenza di un periodo artistico di tipo finanziario in cui tutto deve evolvere e cambiare. Tutto deve andare su per poi andare giù, per lasciare spazio ad altri. Forse questo era proprio il motivo per il quale mio padre reputava prioritario, più che alla cura delle relazioni con gli addetti dell'arte, dedicarsi completamente al suo lavoro. A lui faceva piacere vedere la gente contenta d'interagire con le sue opere. Molto spesso anche persone che si ritenevano lontane dal mondo dell'arte restavano colpite dalle sue opere e questa per Fogliati era una soddisfazione importante. Un artista fa delle mostre per mostrarsi. Espone per esporsi ed esporsi significa rischiare. Un artista rischia la disapprovazione del pubblico, cosa che a mio padre non è mai accaduta. Nessuno l'ha mai fischiato, piuttosto ha avuto dei responsi positivi da tutti, anche da chi non si riteneva in grado di capire certe cose a livello razionale ed invece riusciva ad apprezzarle a livello emotivo.
Successioni Luminose 1967
TG: Le cose stanno cambiando, Fogliati è molto riconosciuto adesso, vero?
PF: Molto no. Tuttavia vedo che ogni volta che organizziamo degli eventi il pubblico è molto interessato e sovente apprezza ciò che vede. Riesco a vedere sorrisi e stupore su molti volti e persone che fanno domande perché hanno molte curiosità e questo per me è molto gratificante perché, in fondo, era ciò che voleva mio padre.
TG: E' stato un padre sempre presente?
PF: L'artista ha la dannazione di dover produrre arte. Questa è una necessità che non gli dà fiato. L'artista deve andare e produrre le sue opere, fatto che porta a contrarre il tempo disponibile per la propria famiglia. Ed è ovvio che qualche tensione familiare si genera. Ad esempio sovente mia madre era lasciata da sola; non ho detto tradita, ma lasciata sola. Mia madre ricorda per anni mio padre tornare a casa alle tre di notte, non perché andasse chissà dove, era nel suo laboratorio. Prima lavorava, finiva alle nove di sera, mangiava di corsa, andava in laboratorio e tornava a notte fonda. Alle 6 del mattino si preparava per ricominciare a lavorare. Era così.
Da un punto di vista familiare sarà stata una cosa per cui lui era il primo a soffrire, ma non poteva fare a meno di comportarsi così perché era spinto da una pulsione fortissima: la dannazione degli artisti veri.
TG: Hai avuto comprensione verso tuo padre?
PF: Questa è una domanda che non comprendo; io verso mio padre ho comprensione come credo ogni figlio abbia comprensione verso il proprio padre. Più che comprensione, per mio padre ho una grande stima e rispetto. Non che io non abbia mai litigato con lui, ma non è questo il punto. Mio padre mi ha lasciato molto, perché un padre così non l'ha avuto quasi nessuno. Cosa posso fare, più che avere un ricordo importante per questo uomo?
TG: E' stato un padre sempre presente?
PF: L'artista ha la dannazione di dover produrre arte. Questa è una necessità che non gli dà fiato. L'artista deve andare e produrre le sue opere, fatto che porta a contrarre il tempo disponibile per la propria famiglia. Ed è ovvio che qualche tensione familiare si genera. Ad esempio sovente mia madre era lasciata da sola; non ho detto tradita, ma lasciata sola. Mia madre ricorda per anni mio padre tornare a casa alle tre di notte, non perché andasse chissà dove, era nel suo laboratorio. Prima lavorava, finiva alle nove di sera, mangiava di corsa, andava in laboratorio e tornava a notte fonda. Alle 6 del mattino si preparava per ricominciare a lavorare. Era così.
Da un punto di vista familiare sarà stata una cosa per cui lui era il primo a soffrire, ma non poteva fare a meno di comportarsi così perché era spinto da una pulsione fortissima: la dannazione degli artisti veri.
TG: Hai avuto comprensione verso tuo padre?
PF: Questa è una domanda che non comprendo; io verso mio padre ho comprensione come credo ogni figlio abbia comprensione verso il proprio padre. Più che comprensione, per mio padre ho una grande stima e rispetto. Non che io non abbia mai litigato con lui, ma non è questo il punto. Mio padre mi ha lasciato molto, perché un padre così non l'ha avuto quasi nessuno. Cosa posso fare, più che avere un ricordo importante per questo uomo?
TG: Adesso, volevo proprio chiederti: che cosa ti ha lasciato tuo padre? Un sentimento? Un insegnamento?
PF: E' una domanda alla quale adesso non riesco a rispondere perché mio padre è morto soltanto da tre mesi ed io non ho ancora del tutto elaborato il lutto. Non ho ancora superato la tristezza della sua assenza, mettiamola così. Mi accorgo però che mi ha lasciato un modo di confrontarmi con lui. Un modo di mettermi di fronte ad un uomo che aveva un approccio verso le cose completamente diverso dal mio che poi come in "Reale virtuale" erano come due opposti che si attiravano reciprocamente. Ero proprio suo figlio, pur vedendo le cose in modo diverso e affrontandole in modo diverso, ci si incontrava e mi insegnava a fare questo percorso diverso. Forse ancora adesso non ci sono completamente riuscito, ma ci provo e continuo a farlo. Perché questo mi aiuta a tenere vivo il suo ricordo.
TG: E' per questo che ti sei fatto carico di far conoscere meglio la sua opera?
PF: Per quello che posso, sì. Vedi che in qualche modo, da quando è mancato abbiamo fatto una mostra al MAC di Lissone e poi questa mostra. Non è stato facile perché ho la mia vita, un mio lavoro. Per quello che mio padre ha lasciato a me e a tutti noi, credo che sia giusto per me cercare di ricreare dei momenti come questo. Sarà una piccola cosa, ma è il minimo che io possa fare per lui.
TG: E' per questo che ti sei fatto carico di far conoscere meglio la sua opera?
PF: Per quello che posso, sì. Vedi che in qualche modo, da quando è mancato abbiamo fatto una mostra al MAC di Lissone e poi questa mostra. Non è stato facile perché ho la mia vita, un mio lavoro. Per quello che mio padre ha lasciato a me e a tutti noi, credo che sia giusto per me cercare di ricreare dei momenti come questo. Sarà una piccola cosa, ma è il minimo che io possa fare per lui.
Proiettando luce bianca sul disco bianco d'alluminio che ruota ad una determinata velocità si ottiene un effetto differente.
Forme di buio 1967-1976
Le girandole, in qualche modo sottraggono la luce all'ambiente luminoso in cui sono state poste. L'idea è nata dall'osservazione delle eliche giocattolo poste sui tetti della città di Berna. Un motore posto nella base dell'opera distribuisce il moto cinetico alla parte mobile della composizione.
Macchina che respira, 1990
Quest'opera incarna l'utopia di Piero Fogliati di dare vita alle sue fantasiose macchine. Un motore elettrico muove una biella che mette in moto una parte comprimente/aspirante. Posizionando i cornetti sulle orecchie si resterà preda di un effetto sonoro/fisico sorprendente. Qui l'interazione tra opera e spettatore è fondamentale. Da provare.
Latomia, 1968
Le Latomie sono molto simili nella forma agli Ermeneuti, differenziandosi però da essi nella modalità della produzione dell'effetto sonoro.
Liquimofono, 1970, organo orizzontale ad acqua e compressione 22 X 50 X20 cm.
Il Liquimofono di Piero Fogliati funziona in modo da creare delle bolle all'interno dell'acqua contenuta nell'opera che provoca uno strano rumore. La superficie superiore di una bolla è visibile in questa fotografia di TG.
Reale Virtuale
Il lavoro è costituito da un'ampolla di finissimo vetro soffiato a mano e rivestito da uno strato di argento che rende il vetro semi-riflettente (dicroico) posta sopra ad un proiettore appositamente costruito dall'artista. All'interno dell'ampolla è posto un truciolo d'alluminio tenuto in sospensione da un filo di nylon semi-invisibile. La luce viene proiettata verso l'alto in modo che il fascio luminoso, ben calibrato, passi attraverso il centro dell'ampolla e crei un effetto speculare del pezzo sospeso all'interno dell'ampolla riproducendo l'oggetto reale con un'immagine virtuale proiettata dalla parte semi-riflettente dell'ampolla.
Il segmento metallico appoggiato sull'imboccatura dell'ampolla serve a sostenere il filo di nylon che tiene sospeso il truciolo.
Reale Virtuale, l'opera concettuale più rappresentativa del lavoro di Piero Fogliati
L'artista Turi Simeti (di profilo sullo sfondo, a destra, Paolo Fogliati) tra gli invitati all'elegantissima inaugurazione della mostra Eterotopia di Piero Fogliati alla Galleria Dep Art.
Ieri, 23 giugno 2016, giorno dell'inaugurazione della mostra Eterotopia di Piero Fogliati, ho incontrato Turi Simeti che avevo già sentito in occasione dell'inaugurazione della BAG della Bocconi. Anche in questa occasione il nostro simpatico e sincero amico ci ha detto cose molto interessanti.
Turi Simeti al Dep Art davanti agli Ermeneuti, coppia di tubi ricurvi d'ottone di 69 X 7 X 7 cm. cadauno
Tony Graffio: Caro Turi, secondo te, come mai Piero Fogliati sta raggiungendo la fama solo adesso e non prima?
Turi Simeti: Purtroppo, non posso darti una risposta precisa perché io stesso, pur sapendo che esisteva un artista che si chiamava Fogliati, non avevo mai visto prima le sue opere. Ho visto che qua in galleria viene proposto anche un bellissimo catalogo che ho intenzione di comprare per approfondire meglio la sua conoscenza.
TG: Era un artista troppo sperimentale per la sua epoca?
TS: No, anzi mi meraviglio perché nel gruppo di Gianni Colombo e degli altri si facevano delle cose simili, solo che nel Gruppo T c'era una maggior attenzione per la comunicazione dei risultati e nella cura dei rapporti con i galleristi e la stampa.
TG: Che sensazioni ti ha dato questa mostra?
TS: Mi ha molto incuriosito vedere cose che non avevo mai visto. Pur conoscendo Colombo e gli altri, trovo che i lavori di Fogliati siano molto diversi e particolari, lui ha utilizzato il suono, la musica ed ha agito in altri settori. E' molto interessante.
TG: Perché fintanto che era in vita non era abbastanza considerato?
TS: Ho visto che lui ha venduto le sue opere a grandi collezionisti, quindi le persone veramente competenti lo conoscevano e lo apprezzavano già. Era conosciuto. Io non lo conoscevo personalmente, ma la sua opera mi era nota.
TG: Era più conosciuto all'estero? O in Italia?
TS: Non lo so, ho appena sfogliato per la prima volta il suo catalogo e lo trovo molto interessante: non so se lui si dedicasse prevalentemente all'insegnamento e trascurasse le mostre. Anch'io vorrei conoscere meglio la storia di un artista tanto originale.
TG: Tu come lo collocheresti? In che movimento artistico?
TS: Nell'arte cinetica, c'è molto movimento nei suoi lavori, almeno in una gran parte. La sua è principalmente un'arte cinetico-visiva.
TG: Il fatto che l'arte cinetica dopo più di 50 anni faccia ancora parlare di sé è una cosa positiva?
TS: Sì certo. Gianni Colombo, Grazia Varisco ed altri sono artisti molto validi e dimostrano che questo impulso creativo non s'è ancora spento.
TG: Volevo chiederti se hai letto quell'articolo in cui Marc Spiegler, direttore di Art Basel afferma che tra 20 anni l'80% dell'arte contemporanea sarà invendibile. Cosa ne pensi?
TS: Io non sono d'accordo: i Fontana ed i Manzoni pagati centinaia di migliaia di euro possono essere buttati via?
TG: No quelli sicuramente no, loro hanno fatto scuola e sono in qualche modo diventati dei classici, ma di tutti gli artisti contemporanei, una buona parte un giorno verrà dimenticata. E' accaduto così anche in passato per altri artisti che sono stati messi da parte e le cui opere non hanno più trovato compratori. Anch'io la penso così. A mio modesto avviso ci sono opere fatte con materiali che disgregandosi facilmente non avranno nemmeno una durata di 5 anni, figurati cosa rimarrà di loro tra 20...
TS: Non è questo il punto. L'opera d'arte non deve garantire durabilità, ma dare un idea di sé ed essere un'immagine proiettata. Anche quella è un'opera d'arte.
TG: Però ci vorrebbe un po' più di rispetto anche verso chi compra...
TS: No, non pensare ai materiali, non c'entrano niente. Le idee possono anche solo restare sulla carta. Ci sono artisti famosi che facevano i quadri con francobolli appiccicati, pezzetti di carta che sono ricercati e valgono molto.
TG: Ok, anche lo stesso Christo mette in piedi un'opera colossale, ma alla fine ti vende un bozzetto, un'idea, ma vale la pena comprarla?
TS: Beh sì, ti vende una copia di quello che realizza. E' un'idea anche quella.
TG: Sei già andato a vedere le sue passerelle sul lago d'Iseo?
TS: No, perché sono stato a Basilea fino all'altro ieri. Sono stato in fiera perché avevo le mie opere esposte ed avevo degli appuntamenti di lavoro. Nei prossimi giorni andrò a vedere il lavoro di Christo.
TG: Sei curioso?
TS: Eh sì! Ho conosciuto Christo a New York ed adesso vorrei salutarlo. Io avevo fatto una mostra, o meglio un "Private show" in un loft dove avevo lo studio. In quell'occasione era intervenuta tantissima gente e tra questi anche Christo. Ho anche le fotografie, lui era uno dei tanti artisti che erano venuti a vedere le mie opere. Però, dopo d'allora non ho avuto altre occasioni per incontrarlo.
TG: Ti piace quello che fa?
TS: Sì, perché è assolutamente originale e poi ha un gran coraggio nell'affrontare certi progetti. Non è facile sentirsi dire: prego si accomodi che facciamo chiudere il castello e lo ricopriamo con i suoi teli, ma lui ha la forza per farlo e riesce a convincere i suoi interlocutori.
TG: Conoscevi anche Spagnulo?
TS: Certo che lo conoscevo, sei mesi fa (settembre 2015) abbiamo fatto una mostra insieme a Cassino. Era organizzata da Bruno Corà. E' stata una bella esperienza. Ho saputo della morte di Pino mentre ero a Basilea, mi è dispiaciuto molto. Aveva qualche anno meno di me ed era un bravo artista.
Un'interpretazione di Tony Graffio dell'opera di Piero Fogliati Reale Virtuale
Il Fleximofono, 1967 circa, di Piero Fogliati alla Galleria d'arte Dep Art in via Comelico, 40 a Milano
Questa scultura sonante (Risuonatore complesso meccanico a molle in simpatia sonora) è stata esposta per la prima volta presso la Galleria d'arte Il Fiore di Firenze nel febbraio del 1970 col titolo di Strutture sonore a molle.
Completa la mostra un catalogo bilingue, italiano ed inglese, con testo critico di Alberto Zanchetta.
Titolo della mostra: Piero Fogliati Eterotopia
Sede: Dep Art via Comelico 40, 20135 Milano
Date: 24 giugno -6 agosto 2016
Orari: da martedì a sabato, ore 10,30 - 19
Chiusura: Domenica e lunedì
*Le
eterotopie sono luoghi reali – rappresentati, contestati e
sovvertiti – che rendono visibile “un qualcosa” tra le cose
presenti. A detta di Foucault, le eterotopie sono spazi ibridi,
luoghi sospesi tra il reale e l’immaginario, che possono essere
individuati in base alla loro capacità di accumulo fantasmatico. In
pratica, le eterotopie raccolgono, concentrano e trasmettono quel Phantasma, su
cui insiste anche Fogliati, che fa vacillare la nostra sfera
sensoriale.
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