giovedì 22 novembre 2018

I Figli dello Stupore al 29° Psych Out

"Jack Kerouac non scrive, batte a macchina." Truman Capote

"La poesia è vita e come la vita può essere sincera e intensa, ma può anche essere un'esperienza di apertura al mondo". TG

Libro i figli dello stupore di Alessandro Manca
I Figli dello Stupore. La Beat Generation italiana. Antologia di poesia underground italiana a cura di Alessandro Manca.


A Torino, allo Psych Out Festival, Tony Graffio ha intervistato Alessandro Manca, curatore del libro pubblicato da Sirio Edizioni: "I figli dello Stupore".

Tony Graffio: Alessandro, tu per qualche anno sei andato a cercare quei personaggi che da giovani, negli anni '60 e '70, scrivevano le loro poesie prendendo spunto dai libri pubblicati dalla Beat Generation; hai raccolte quelle opere in un libro molto interessante che ci racconta un aspetto poco noto della Controcultura italiana. Ci puoi spiegare meglio di cosa tratta "I Figli dello Stupore"?

Alessandro Manca: Piccola premessa. Mi sono laureato in lettere alla Statale di Milano; per vivere svolgo lavori che hanno poco a che fare col mondo dell'editoria o della letteratura. Mi occupo di poesia per passione, per ricerca, come via di conoscenza e di apertura verso il mondo e le cose.

TG: Cosa fai per vivere?

AM: In questo momento faccio l'educatore, ma ho fatto anche l'operaio ed altri tipi di lavori... Non ho mai smesso però di occuparmi di testi scritti. Questa è la mia vera passione. Uno dei miei grandi interessi è stato l'approfondimento della conoscenza della Beat Generation americana. In qualche modo, se devo trovare un punto da cui qualcosa è partito ed ha portato frutti. Tutto per me ha avuto inizio in terza superiore, quando un professore mi consigliò, come letture estive, Altri libertini di Pier Vittorio Tondelli e Urlo e altre poesie di Allen Ginsberg. Da quel momento, un mondo letterario mi ha parlato direttamente, molto di pancia. Ho scoperto che la letteratura poteva parlarmi, così ho iniziato un approfondimento molto caldo, capace di suscitare in me emozioni molto forti. Ho sentito così il bisogno di vivere questa esperienza culturale e di vita e - successivamente - ho cercato di capire se anche gli italiani avessero scritto poesie con quel tipo di approccio. Una prima tappa è stata quella di conoscere Gianni Milano, circa 8 anni fa. Sono venuto a trovarlo, qui a Torino una quarantina di volte per conoscere i suoi numerosi testi e siamo diventati buonissimi amici e "confidenti". Piano piano - da quel momento - s'è aperto un mondo che mi ha portato a scoprire Eros Alesi e Andrea D'Anna, un poeta e un romanziere che hanno scritto delle pagine stupende, che hanno caratterizzato un certo tipo di parabola esistenziale tra il 1965 e l'inizio degli anni '70. 
Piano piano ho acquistato alcuni libri che mi hanno dato delle informazioni importanti, come ‘Controcultura in Italia (1967-1977)’ di Echaurren & Salaris, ‘Lettere dei capelloni italiani’ curato da Sandro Mayer, ‘Capelloni & Ninfette. Mondo Beat 1966-‘67’ di Gianni De Martino e Underground: ascesa e declino di un'altra editoria’ di Francesco Ciaponi
Solo in un secondo momento ho incontrato il regista Francesco Tabarelli e, per circa un anno, nel 2017 ho fatto delle ricerche "più professionali" negli archivi, come quello del Corriere della Sera che ospita il Fondo di Fernanda Pivano. Lì, ho consultato una serie di documenti sui quali aveva lavorato personalmente la Pivano. Il frutto di questa ricerca si è concretizzato con circa 500 pagine di materiale letterario sostanzialmente introvabili in rete o con un facile acquisto. O meglio, sono reperibili solo tramite ricerche della durata di svariati mesi. Una parte sono confluite ne "I figli dello stupore. La Beat generation italiana".



TG: Questo materiale è mai stato pubblicato prima?

AM: Il materiale che io ho usato per "I figli dello stupore" era stato pubblicato da riviste o su libri di poesia Underground dell'epoca in tiratura limitatissima, come le edizioni Pitecatropus di Torino. Oggi, molto di quel materiale è in mano ai collezionisti. Stiamo parlando di Pianeta Fresco, una rivista che adesso può valere 200 euro. Un numero di Mondo Beat può valere dai 150 ai 300 euro, per esempio... Un esempio su tutti: posseggo una copia di quello che è considerato l'unico romanzo psichedelico italiano: "Il paradiso delle Urì", scritto nel 1966 da Andrea D'Anna e pubblicato nel 1967 da Feltrinelli (attualmente ha un valore di mercato di circa 300 euro ndTG). L'anno prossimo curerò la nuova edizione di questo romanzo introvabile che verrà ripubblicato da Marcello Baraghini in una collana di "Strade Bianche".

TG: Chi sono gli autori della Beat Generation italiana che hai riscoperto e che fai conoscere attraverso I figli dello stupore?

AM: Posso dirti che abbiamo avuto anche noi i nostri campioni. Gianni Milano, per certi aspetti lo è stato e come scrisse Fernanda Pivano, avrebbe potuto essere il nostro Allen Ginsberg; mentre l'appena citato D'Anna sarebbe potuto essere il nostro Jack Kerouac. 

TG: Fernanda Pivano è riuscita a dare una credibilità editoriale a questi ragazzi?

AM: Indubbiamente. Senza di lei il Paradiso delle Urì non sarebbe stato pubblicato da Feltrinelli. In quel romanzo l'introduzione è scritta proprio da Fernanda Pivano che ha un po' fatto da mamma ad alcuni di questi ragazzi, cercando di convogliare le energie e le intuizioni migliori di coloro che avevano più consapevolezza e competenza letteraria verso un mondo di pubblicazioni marginali e underground che però hanno segnato la storia. 
Prima di avvicinarsi al "santino" De André, la Pivano fu preziosissima per quel suo aver cercato di convogliare a livello editoriale le migliori produzioni di quegli anni. 
Gianni Milano mi ha ricordato come lei - in un secondo momento - fu delusa da questo "movimento", perché sperava di trovare in Italia una Controcultura, quindi una dinamica più simile alla Beat Generation americana, mentre in realtà trovò una sotto-cultura. Quasi tutti i beat d'oltreoceano, infatti, se visti con uno sguardo ben preciso, erano degli iper-intellettuali; Kerouac ha passato anni nelle biblioteche a leggere di tutto. Burroughs era competente di testi di chimica, di fisica, di tecniche di comunicazione all'avanguardia e di mind control. Era un intellettuale alternativo, ma era un vero intellettuale. In Italia, invece avevamo ragazzi scappati di casa che cercavano in maniera disperata, tragica alle volte, fratellanze. Non avevamo dei piccoli Arthur Rimbaud. 
Dopo qualche anno, Fernanda Pivano intuì che non si potevano raccogliere grandi frutti. Ragionamento capibile, anche se in parte non condiviso. Fu una questione di prospettive e di "sguardo". Sempre Milano mi fece notare come poi lei si attaccò al Feticcio De André, che definì in seguito il più grande poeta d'Italia. Questo accadde forse perché bruciata da una delusione culturale, dopo che aveva pensato di riuscire a trovare una cultura alternativa nostrana  molto più incisiva. L'aspetto molto interessante invece era quello che portò tanti di quei ragazzi, a non interessarsi nemmeno a pubblicare. Sembra che fino all'inizio del 1968 contava maggiormente il desiderio di vivere la vita, magari seguendo uno stato brado di fare ed "esserci" seguendo principalmente istinto e fiuto.

TG: Erano in qualche modo dei puri?

AM: Certo. Non a caso il documentario di Francesco Tabarelli è aperto dall'affermazione che riporta l'immagine di ragazzi che erano puri nel loro modo di voler essere puri. È importante ricordare come quasi nessuno di loro si sia riciclato, o sarebbe meglio dire venduto, nel mondo del potere, rispetto a tutta una serie di leader dell'estrema sinistra che hanno incarnato il '68 italiano, e che appena hanno avuto una proposta realmente legata al potere, di qualsiasi tipo, l'hanno abbracciata. I poeti che ho incontrato nella mia ricerca, invece, sono stati sempre marginali, anche drammaticamente. Sono sempre stati loro stessi, anche con le loro contraddizioni. Contraddizioni di tipo più esistenziale, non legate al mondo della società intera o del potere. Questo fatto va loro riconosciuto a livello storico. Probabilmente, la loro esperienza è stata talmente di apertura verso un dialogo anche verso il vuoto, dentro e fuori di sé, e talmente iniziatica che non poteva più essere così facile e scontato abbracciare una dinamica sociale che non fosse a loro confacente.

TG: A tuo giudizio, queste poesie sono valide e possono avere ancora qualcosa da dire ai nostri giorni?

AM: Sì, ti dirò di più, alcune di queste poesie sono dei piccoli capolavori. E possono avere ancora qualcosa da dire se valutate - comunque - come figlie del loro tempo. Certamente, non sono poesie  che ammiccano a nessun tipo di stilema da intellettuale. Non hanno niente a che fare con la neo-avanguardia e con la poesia sperimentale, però è un materiale che è figlio di uno stile di vita. Dunque, arte.

TG: Sono poesie di chi ha vissuto certe situazioni sulla propria pelle...

AM: C'è da dire che se queste poesie fossero state scritte negli USA sarebbero dei capolavori ancora oggi e contribuirebbero a vendere molto perché sarebbero veicolate da una casa editrice gigante. Nel nostro paese, dove vige un accademismo molto spinto e una dinamica intellettuale pseudo-mafiosa, a livello editoriale, queste poesie costituiscono sempre materiali marginali. 
I testi contenuti ne "I figli dello stupore" rappresentano il tipico esempio della letteratura fiorita dal basso caratterizzata da una grande intensità ed una grande pregnanza storica. Certamente, sono molto diverse dalle poesie di Montale e dalle poesie della neo-avanguardia, ma chi le definisce scartafacci, o errori giovanili, secondo me sbaglia perché questi sono materiali letterari dalla grande dignità. Io sono convinto che siano materiali letterari e sono sicuro che negli USA queste produzioni potrebbero avere una grande epica attorno a loro. Come l'America aveva insegnato a fare anche per gli scrittori Beat. All'inizio erano immensamente marginalizzati, problematici e non capiti, ma poi sono diventati quasi Mainstream, a livello d'immaginario.

TG: Sono diventati il riflesso di un'epoca.

AM: Esatto. Nessuno oggi si permetterebbe di dire che Kerouak non è uno scrittore perché scriveva sotto l'effetto della benzedrina per tre giorni di fila come un dattilografo automatico invasato. Lo disse allora Truman Capote.

TG: Come vi siete divisi il lavoro tu e Francesco? Tu hai scritto il libro e lui ha realizzato il film documentario?

AM: Francesco s'è occupato al 100% del documentario e delle interviste, mentre io mi sono occupato al 100% della ricerca e della composizione del libro.

TG: Il titolo è il medesimo per entrambi?

AM: Il titolo è lo stesso ed è il frutto di un'intervista di Tabarelli con Gianni Milano; è lui che alla fine del documentario dice: "Noi eravamo i figli dello stupore".

TG: Una definizione molto azzeccata.

AM: Sì, perché la componente di questo stupore è tangibile. Questa portava quei ragazzi a stupirsi anche in maniera ingenua, semplice, ma intensa e li caratterizzò, anche se va aggiunta una componente drammatica che li ha portati ad avere i loro "martiri". Penso per esempio a Eros Alesi che scrisse un poemetto stupendo, pubblicato pochi anni fa per intero da Marcello Baraghini con il titolo: "Che Puff, il profumo del mondo. Sballata". Alesi morì a 20 anni dopo aver scritto una lunga poesia dedicata al rapporto che lui ebbe con padre-madre-morfina.



TG: Com'è suddiviso il tuo libro?

AM: Il libro è composto da tre parti: da una piccola introduzione in cui ho utilizzato dei frammenti saggistici scritti dagli stessi ragazzi e alcune loro lettere che ho trovato in un volume che si intitola: "Lettere dai capelloni italiani". La parte centrale rappresenta il cuore della mia ricerca  e del libro ed è dedicata solo a poesie scritte tra il 1965 e il 1971, mentre l'ultima parte è un epilogo in cui riporto delle riflessioni che aprono verso qualche esito futuro. Lì, per esempio, rendo conto della loro fascinazione verso l'Oriente e della problematica delle droghe pesanti. C'è una riflessione saggistica, scritta da Valter Binaghi, dedicata anche a quello che sarebbe accaduto in seguito, quindi agli "Anni di Piombo". Comunque, circa l'80% delle 300 pagine del libro è occupato dalle poesie.

TG: Tra quelle poesie ci sono degli inediti?

AM: Sì. In questo momento mi ricordo soprattutto di Gianni Milano che mi ha dato decine e decine di poesie inedite dell'epoca. Altre poesie anche se non sono totalmente inedite non sono in alcun modo reperibili sul web. Nel grande mondo di internet la quasi totalità di quello che è scritto sul libro è introvabile. E anche i libri dai quali ho tratto i testi sono fuori produzione o di difficile reperibilità. 


Alessandro Manca curatore del libro I figli dello stupore
Alessandro Manca

TG: Perché ti sei interessato proprio alla poesia scritta dai ragazzi che hanno partecipato ai movimenti della Controcultura italiana?

AM: Questa mia scelta ha a che vedere anche con una mia precedente attività in cui organizzavo dei reading poetici che avevano un accompagnamento di musica jazz. In quelle occasioni leggevo solo poesie che avevano un ritmo e una prosodia che poteva essere adatto ad essere accompagnato da quei musicisti. Finito il materiale direttamente connesso alle Beat Generation, perché l'avevo letto moltissime volte, ho voluto cercare di capire se la poesia italiana Underground poteva essere una mia nuova ricerca personale da portare dal  vivo e l'ho fatto per qualche anno. Prima di conoscere Francesco, con un amico, Andrea Labate, avevo creato un'ipotesi di reading strutturato solo leggendo poesie dell'Underground italiano. Naturalmente, ne conoscevo pochissime rispetto alla ricerca che ho fatto in seguito. Il mio interesse più che sociologico e politico è sempre stato letterario e poetico.

TG: Che ruolo ha avuto la politica nell'Underground italiano?

AM: Fino alla fine del 1967 non si parla in maniera chiara di politica, come invece il grande movimento del '68, che per alcuni prosegue in qualche modo fino al 1977 bolognese, portò alla ribalta molte istanze politiche, anche se, agli occhi di oggi, ci ha un po' confusi. Come ho ricordato anche prima, la poesia è un appoggio senza etichette politiche alla vita, e in Italia finì nel '67. Poi subentrò un aspetto più dogmatico con regole che questi ragazzi - in buona sostanza - non potevano fare proprie e infatti si sono abissati a loro modo. 

TG: Ti sembra che queste poesie abbiano un loro linguaggio tipico? Hanno introdotto qualcosa di nuovo?

AM: Sicuramente nuovo per l'Italia. Molte hanno dei richiami diretti alla poesia e alla prosodia di Allen Ginsberg. Specialmente le poesie di Gianni Milano hanno una sorta di ritmo cadenzato sul parlato e una micro-struttura che ritorna per creare una sorta di poesia orale ritmata.

TG: Gianni Milano conosceva bene Ginsberg?

AM: Sì, questo è un fatto assodato. Anche nel documentario di Francesco, Gianni Milano dice che Kerouac da una parte e Ginsberg dall'altra ci hanno aperto una possibilità, una strada. Bisognava aprirsi e vomitare fuori versi più o meno spontanei. Quella era la strada per essere se stessi. L'esempio di utilizzo di parole vietate da parte dei poeti americani è stato ripreso circa 10 anni dopo anche dagli italiani che iniziano ad usare parole come: cazzo, figa, sperma e masturbazione. Detto questo, comunque Silla Ferradini ricorda come molti di loro quando hanno iniziato a scrivere non sapevano nemmeno chi fosse Kerouakc o Ginsberg. Chi ha avuto un approccio più culturale era molto più cosciente di ciò che stava facendo e della propria strutturazione dell'essere. Tieni presente che Gianni Milano è stato un maestro elementare che ha anche scritto saggi, riflessioni e articoli di pedagogia. Tra l'altro è stato tra quei ragazzi che più di altri hanno frequentato casa della Pivano a Milano. Altri autori hanno vissuto un passaggio simile a quello dei Beat americani, però fatto in chiave italiana. Meno duro - forse - rispetto ai sotterranei di New York. Nonostante questo, hanno vissuto dal basso quelle esigenze profonde e alle volte drammatiche che li hanno spinti a scrivere dei versi in parte affini ai propri "cugini" più grandi. Altri autori sono arrivati ad approfondire gli americani soltanto dopo qualche anno, e nel frattempo scrissero le loro poesie.


Francesco Tabarelli regista del documentario I figli dello stupore
Francesco Tabarelli

TG: Questo tipo di fenomeno è avvenuto da qualche altra parte in Europa? Ci sono stati altri autori che hanno voluto emulare i grandi poeti e scrittori della Beat Generation?

AM: Sì, sicuramente è successo in Francia e in Olanda. Burroughs in un'intervista che si trova in rete, parla di come il fenomeno della Beat Generation si diffuse da un paese occidentale anche nel mondo arabo, anche se non sempre declinata come fenomeno letterario. In certi paesi questo stile di vita era un fenomeno più di tipo sociale; anche nei paesi dell'area comunista c'è stata un tipo d'apertura che ha portato i giovani a cercare una propria libertà personale e di pensiero. In Europa ci sono stati epigoni letterari.

TG: Non pensi che dopo la Seconda Guerra Mondiale questo tipo di imposizioni letterarie, culturali, sociali, economiche e tecnologiche, che poi hanno anche forti influenze in ogni tipo di espressione umana, fin anche nella creatività e nelle arti visive, non arrivi un po' troppo spesso dagli Stati Uniti? Oppure abbiamo ancora qualche speranza di creare qualcosa di originale che appartenga alla nostra cultura?

AM: Mi verrebbe da dire che l'America è stata estremamente scaltra nell'imporre il proprio immaginario a tutto il mondo.  Detto questo aggiungo – pensando a certi racconti che mi sono stati riportati da Gianni de Martino e da Gianni Milano – che una sorta di influenza europea declinata in chiave parigina abbia avuto un ruolo importante anche nel '68 italiano e negli anni precedenti. Penso agli scritti di Sartre e Camus che hanno avuto un seguito importante, però l'America è sempre stata bravissima, lucidissima e prontissima a rielaborare, anche in chiave commerciale le proprie figure della Controcultura. Riflettiamo anche sul caso di James Dean e ci accorgiamo in che modo è stato poi veicolato. Oppure Jackson Pollock o a certe figure di jazzisti estremi. Questi ultimi hanno avuto più difficoltà ad essere diffusi nel loro presente, quando loro erano attivi. Quel tipo di mito non era infatti molto vendibile in patria.

TG: E poi erano neri...

AM: Esatto. Inoltre, i loro discorsi erano molto più radicali. Pollock era apolitico e non era interessato alla lotta sociale. La sua era semmai una battaglia esclusivamente artistica, cosa che faceva comodo da molti punti di vista agli USA e al potere. Per questi ultimi era importante poter veicolare il mito dell'Espressionismo astratto, perché era un discorso di arte per l'arte, senza alcuna richiesta di tipo sociale.

TG: In più, era un ubriacone che rafforzava un po' l'idea di machismo di quell'epoca...

AM: Eh sì. Anche in Europa ci siamo abbeverati molto a certi miti americani, ma auspico che una nuova analisi vada fatta con lucidità critica perché alcune proposte americane dietro possono nascondere una grande furbizia di marketing.

TG: E di colonizzazione culturale...

AM: Certo. In queste operazioni gli americani sono molto abili. Voglio raccontarti quella che è la mia esperienza: negli ultimi mesi ho contattato tre figure americane importanti che hanno avuto a che fare con i Beat. Ho scritto a Ferlinghetti, ad Ann Charters che è stata la biografa più importante di Kerouac che ha pubblicato un libro con Mondadori e poi ho scritto alla Naropa University che è stata fondata negli anni '70 da Ginsberg, in onore di Jack Kerouac che era morto. Un mese dopo aver inviato la mia email, mi risponde un ricercatore della Naropa University, un traduttore che tra l'altro ha tradotto Foscolo in americano, dicendomi di essere interessato al mio libro e che probabilmente potrebbe, insieme ad un team di traduttori italo-americani, tradurre "I figli dello stupore" in americano. Questo mi porta a fare un altro ragionamento. In Italia ho sempre trovato porte chiuse. Dalla mia esperienza personale e da quella di Francesco, ma non solo dalla nostra, ho capito che se non fai parte di qualche giro pseudo-mafioso in Italia non fai niente. In America c'è un'altra ottica: non sei nessuno? Non importa, se quello che hai fatto ha un valore lo vendono. Questa dinamica ha grandi pregi e anche qualche rischio, però resta il fatto che anche se non sei nessuno, puoi essere preso in considerazione. In Italia non è così. Se non sei nessuno non puoi fare niente. In America invece c'è dell'interesse anche nel vendere qualcosa che può proporsi con una nuova sfumatura.

TG: Questi poeti Underground si esprimevano in lingua italiana, mentre adesso c'è una forte contaminazione culturale anche nell'esprimersi con troppe parole di origine straniera, non trovi?

AM: Questo non lo so. Dal mio punto di vista credo sia fondamentale la consapevolezza con cui si fanno certe cose o con cui si ibrida il linguaggio. Il linguaggio di questi ragazzi degli anni '60 e '70 era già molto ibridato con nuovi elementi che erano intervenuti nella realtà. In molte poesie i nomi di parecchi prodotti commerciali pubblicizzati dalla televisione venivano utilizzati in maniera dispregiativa. Si nominavano spesso marchi commerciali, compariva già qualche parola in lingua inglese come: war, che pronunciata finiva per diventare un suono che si ripeteva come un mantra in alcuni testi poetici. Ti do ragione nel dire che non esisteva una vera ibridazione con un'altra lingua, ma semmai piccole epigrafi o piccoli elementi linguistici. Si sentiva anche un'influenza della lingua francese nell'approccio ad un certo tipo di poetica che aveva richiami e parole che provenivano da quel mondo, perché quei ragazzi, oltre alla letteratura americana, in seconda battuta frequentavano l'ambiente letterario francese.

TG: Il francese era ancora una lingua colta, e l'influenza delle conquiste Napoleoniche si sentivano ancora.

AM: In effetti, in quegli anni si studiava il francese a scuola, non ancora l'inglese. Stiamo parlando del 1965. Anche Gianni Milano conosceva il francese e non l'americano. Carlo Silvestro ha ricordato che un'antologia che cambiò la prospettiva di chi aveva voglia di abbeverarsi a questi libri fu: "Ultimi poeti americani", un'antologia di autori scelti da Fernanda Pivano, pubblicato da Feltrinelli nel 1964.  Gli italiani hanno avuto bisogno della traduzione nella loro lingua fatta da Giulio Saponaro e Fernanda Pivano per potersi aprire al mondo Beat americano altrimenti quei testi sarebbero risultati troppo lontani, anche perché in qualche modo erano testi di autori avanguardisti. Solo dieci anni più tardi sarebbero diventati uno standard per la gioventù di quell'epoca. Baraghini ricorda che nel 1965 erano poche decine, o forse qualche centinaia i giovani italiani che provavano certe esperienze di vita. Essi stessi non erano un movimento, ma degli avanguardisti che inconsapevolmente se ne fregavano di questo termine elitario.


I figli dello stupore
Proiezione video durante il 29° Psych Out Festival di Torino

"Il primo pensiero è il migliore, scrivi quello che ti viene in mente, non tornare indietro per cambiarlo." Gary Snyder

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Scheda del libro
Titolo: I figli dello Stupore. La Beat Generation italiana
Genere: documentario storico, sociale, culturale/libro antologico di poesia underground italiana 
Formato del film/durata: HD - 52' Numero pagine del libro: 300 
Distribuzione: editoriale; mercato italiano 
Prezzo volume/dvd: 18,90 euro

Contributi letterari di: Agor Argo, Renato Buzzita, Andrea d'Anna, Alfonso Gatto, Gaetano S., Massimo Signorelli, Carlo Silvestro, Silla Ferradini, Enzo Guidi, Andrea Valcarenghi, C. R. Viola, Eros Alesi, Alì, Vasco Are, Bararba da Lucca, Carlo, Paolo Cerrato, Gianni De Martino, Adriano Dorato, Luciano Ferraresi, Renzo Freschi, Giovanna, Enzo Guidi, Antonio Infantino, Lorenzo, Bruno Lugano, Marco, Gianni Milano, Nico (Nicolò Ferjancic), Maurizio Orioli, Vincenzo Parrella, Aldo Piromalli, Claudio Pitschen, Antonio Russo, Claudio Silvestro, Tella, Massimo Tosco, Ivano Urban, Vittorio, Valter Binaghi, Goradevi, Elio Guarisco.






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