mercoledì 8 agosto 2018

Il Prigioniero (racconto)

Visto il periodo estivo, ho pensato di propinarvi un mio racconto molto vecchio, antecedente al mio diventare Tony Graffio, in cui il mondo onirico si fonde con quello reale. 
Ho tenuto questo scritto in un cassetto, o in una cartella, se preferite, ma alla fine ho deciso di divulgarlo pubblicamente, conservandone tuttavia i diritti, per poi magari inserirlo in una futura raccolta che non si sa esattamente, quando e se verrà realizzata in autoproduzione.
La storia si ispira ad un incubo che ho avuto diversi anni fa e che mi ha parecchio spaventato, ma non vi anticipo nulla, se non il fatto che il personaggio di questo racconto esiste veramente.
Ho incontrato il "Tipografo" sul tram numero 2 a Milano, stavo andando al lavoro ed erano circa le ore 15 del 17 marzo 2015, se non un paio d'anni prima, ma non penso. Ho  immediatamente riconosciuto il mio "uomo" appena è salito in via Carlo Farini. Sono rimasto scioccato, lui se n'è subito accorto e s'è dimostrato molto nervoso. Mi sono seduto vicino a lui, perché volevo osservarlo bene. Ho preso da una tasca la mia microcamera, ma appena l'ho inquadrato lui ha preso molto male questo mio interesse nei suoi confronti e mi ha urlato che cosa stessi facendo. Stranamente, intorno a noi nessuno ha notato il nostro alterco, anche se il tram era pieno di passeggeri; era come se il nostro incontro fosse avvenuto in un'altra dimensione. Ovviamente, il grigio, ha capito benissimo che lo stavo fotografando e per questo è andato su tutte le furie. Fortunatamente, sono stato più veloce di lui ed alla prima fermata del tram mi sono fiondato fuori da una porta, anche se non era lì che avrei dovuto scendere. Mi sono guardato alle spalle ed ho visto che lui aveva rinunciato a seguirmi; evidentemente aveva qualcosa di più urgente o di più importante da fare. Oppure non mi aveva riconosciuto nel mondo reale...
Non so perché Vi fornisco queste informazioni che forse non interessano alla maggior parte delle persone che leggeranno questa storia: credo sia un modo di lasciare un documento, una testimonianza di un fatto che potrebbe rivelarsi come la cima di un iceberg e dimostrarci che vari mondi, o dimensioni, coesistono e s'intrecciano molto più spesso di quanto crediamo. Chiaro che per molti queste cose non possono accadere, ma è per questo motivo che i nostri oppressori/riprogrammatori esistono...
Se non vedete nulla di strano attorno a Voi significa che i nostri padroni stanno facendo bene il loro lavoro. Lungi dal voler convincere qualcuno di queste mie idee, vi invito alla lettura e casomai a lasciarmi qualsiasi tipo di commento di seguito. 
Buon Ferragosto a Tutti e Buone Ferie da TG


Extraterrestri a Milano
Il tipografo, ovviamente è un extra-terrestre camuffato che la mia visione astrale ha saputo riconoscere all'istante. Qui lo vediamo sul tram numero 2 a Milano, dalle parti di via Farini - Piazza Baiamonti. L'incontro è avvenuto a distanza di anni dalla mia prima rivelazione onirica. 
Per il nuovo logo psichedelico, Tony Graffio ringrazia il grande Giampo Coppa di Motorfreakers.

IL PRIGIONIERO 
un racconto fantastico di Tony Graffio

Quel giorno avevo incontrato un uomo esile e dalla pelle opaca, quasi grigia. Sapevo che lavorava per una grande tipografia situata alla periferia della città, nei pressi di un lungo stradone che collegava i campi a ridosso dell’agglomerato urbano ad un popoloso ex quartiere operaio.
Da parecchio tempo mi sentivo indignato a causa della triste situazione sociale e politica in cui si trovava il mio Paese. Non esisteva più libertà di pensiero, le precarie condizioni economiche dei cittadini avevano indotto chi aveva nelle proprie mani il potere, per prevenire possibili atti di ribellione, ad eseguire operazioni repressive durissime verso chi era considerato - bastava il minimo sospetto - oppositore del regime. Si era spiati da tutto e da tutti, ma questo non poteva certamente soffocare il mio desiderio di giustizia. I diritti umani venivano violati quotidianamente, come si trattasse della prassi più normale del mondo; molte persone venivano prelevate da casa nel cuore della notte, oppure le si attendeva la mattina sul luogo di lavoro, sempre ammesso che avessero la fortuna di averne uno, per poi farle sparire. A giustificazione di questi fatti venivano diffuse notizie del tipo: è emigrato; gli è stato assegnato un incarico in un’altra città; si è trasferito per motivi di salute...
Non tutti gli scomparsi sparivano definitivamente, molti ricomparivano, non proprio in buone condizioni, ma potevano comunque aspirare a proseguire la loro squallida esistenza di cittadini “rieducati” e guariti. Di alcuni, si presumeva, restavano soltanto i poveri resti, straziati da chissà quali torture, altri venivano riportati su candide spiagge dalla marea. Oppure non ritornavano mai, come se non fossero mai esistiti. Altri ancora venivano apertamente dichiarati prigionieri, ma non veniva mai specificata la loro colpa che, evidentemente, doveva apparire a tutti terribilmente grave e palese, tanto da non meritare altra menzione al di fuori del loro stato di “prigionia”.
Erano proprio questi ultimi: i “politici”, che avevano attirato più di tutti la mia attenzione.
La nostra, era stata per molti, molti decenni una società civile, o così si credeva, non si avevano più ricordi a memoria d’uomo di conflitti sociali interni di una certa importanza, e nel tempo si era consolidata, anche a livello internazionale, l’immagine di un Paese di lunga tradizione democratica.
Poco alla volta capii che non era così. Da alcune mie ricerche era risultato chiaro come la situazione attuale fosse stata costruita molto lentamente, dando l’impressione ai cittadini che tutto si svolgesse normalmente, e anche ogni piccola limitazione alla libertà personale non emergeva minimamente, perché la persuasione di massa era talmente precisa ed efficiente da non trasparire come effetto voluto dalla classe dominante. I cittadini vedevano modificare negli anni la loro libertà di movimento e di azione eppure non se ne curavano. Erano sottoposti sempre più spesso ad un sistema di controllo centralizzato ma, ironicamente, erano convinti che questo metodo fosse indispensabile per la loro sicurezza. D’altra parte che motivo c’era di dubitare che potesse essere altrimenti? Il Governo Mondiale Occulto operava parallelamente alle singole amministrazioni nazionali affinché in ogni luogo le cose andassero grosso modo alla stessa maniera. La detenzione di armi leggere personali non era stata forse bandita nello stesso anno, su tutto il globo, emanando ovunque la medesima legge? E che cosa dire di quanto accadde nel blocco occidentale del nostro pianeta dopo i moti studenteschi e operai del 1968?
Attraverso le analisi delle acque potabili di mezzo mondo, emerse che le società pubbliche, o private, erogatrici delle acque, addizionavano queste ultime con potenti sostanze chimiche: le stesse che componevano i più efficaci psicofarmaci e antidolorifici. Lo scopo, ottenuto da questa operazione era, ed è quello di ridurre l’aggressività e la volontà delle masse. Un altro effetto è la diminuzione dell’efficienza muscolare e della fertilità. Il fine è, in poche parole, quello di ottenere il controllo mentale e fisico, in modo incruento ed economico, dei propri sudditi. In seguito, la pillola della felicità ha agevolato ancor di più questo obiettivo.
Ero cosciente che proprio grazie a quest’apporto chimico-sanitario molti tra i miei amici, conoscenti e colleghi continuavano a considerarsi fortunati di vivere in un Paese florido e libero come il nostro. Purtroppo, esistevano ancora molte nazioni sottosviluppate e sfruttate in cui il livello di dignità umana non poteva essere neppure paragonato al nostro.
Il problema per loro era ancora più urgente e grave. La situazione igienica era disperata e la sopravvivenza nei primi anni di vita era talmente difficile che le stesse donne, per garantirsi la possibilità di avere una qualche discendenza, erano perennemente incinte, fino a quando stremate ed avvizzite morivano anch’esse. Questa sopravvivenza insopportabile era il continuo monito ad un mondo pingue e dissipatore. Il videoscopio proponeva queste immagini a cadenze regolari: un po’ più di frequente nei periodi elettorali, ed il Governo Globale manteneva il controllo delle masse. Ogni tanto, si rendeva indispensabile una piccola guerra locale, che tra gli svariati risultati, annoverava anche l’estremo effetto di convinzione nei confronti di chi continuava a rifiutare il mondialismo.
Fame, sofferenza, malattia, guerra, miseria, morte: questi erano i tabù che terrorizzavano miliardi di persone. Certo, talvolta, non si poteva fare a meno di inoculare questi mali, necessari al controllo sociale nel tessuto di un’umanità drogata.
Molti tuttavia non erano, e non lo sono ancora oggi, a conoscenza dell’esistenza di piccoli uomini qualunque, dall’aspetto anonimo che tramano senza sosta per garantire il mantenimento delle ricchezze e la conservazione del potere in seno alle solite famiglie che gestiscono le multinazionali che noi tutti conosciamo bene.
La sera del 12 marzo, lo ricordo perfettamente perché di lì a poco la mia vita sarebbe cambiata totalmente, mi incontrai con i “Volontari del Gruppo L2”, e fu proprio in quella occasione che per la prima volta conobbi il tipografo. I volontari mi avevano preannunciato la presenza di un uomo dall’apparenza insipida, che tuttavia avrebbe fatto delle importanti rivelazioni, utili ai fini della nostra causa. L’ordine del giorno della nostra riunione verteva sulla opportunità, o meno, che il nostro gruppo composto prevalentemente da intellettuali, decidesse se lo scopo della sua costituzione dovesse essere la semplice controinformazione (intesa in questo caso come diffusione delle verità nascoste), o se sarebbe stato il caso di intraprendere delle vere e proprie operazioni di “disturbo attivo”. Se ne parlò per 3 o 4 ore, da ognuno di noi trapelò il nostro orientamento più o meno intransigente; eravamo tutti così eccitati che ci dimenticammo del nostro ospite e delle sue importanti dichiarazioni. Il tipografo, da parte sua doveva essere un uomo piuttosto tranquillo, dall’aspetto stanco e riservato, mai ci avrebbe interrotto nel mezzo delle nostre discussioni. Mancava non molto alla mezzanotte, dopo quell'ora non era più consentito circolare per le vie della città. Chiudemmo in tutta fretta l’incontro ed uscimmo alla spicciolata per non destare sospetto dalla palestra dove eravamo soliti incontrarci. Quando arrivò il mio turno di uscire, mi accorsi di essere rimasto solo in compagnia del tipografo. Gli feci un cenno di saluto, cercando di fargli capire che mi rattristava il fatto che non ci fosse stato abbastanza tempo per ascoltarlo, ma che poteva farsi rivedere in futuro.
Sto per aprire lo sportello della mia automobile quando una voce debole e tremante mi fa ghiacciare il sangue nelle vene.
Mi volto e vedo che accanto a me c’è ancora quell'uomo dall’aspetto insignificante e malaticcio; non riesco a ricordarmi mai del suo nome, gli sorrido controvoglia, ma quando mi accorgo che non accenna ad andarsene lo osservo con aria interrogativa. Finalmente si decide a parlarmi, forse voleva accertarsi che nessuno degli altri lo vedesse parlare con me, sembrava che pur non avendolo mai conosciuto prima si fidasse soltanto di me. Non ne capisco però il motivo.
Mi prega di accompagnarlo a casa, si è fatto troppo tardi per lui e teme di non riuscire a raggiungere la sua abitazione in tempo. Mi accorgo che ha pure un voluminoso corredo da trasportare. Carichiamo la sua bicicletta nel baule della mia macchina dopo di che saliamo a bordo e, secondo i sui desideri, ci allontaniamo velocemente da quella zona.
Mi dice che teme di tornare a casa da solo a quell'ora perché da qualche tempo si sente spiato.
La sua pelle è grigia e priva di elasticità come se il suo corpo non fosse stato esposto alla luce solare per anni interi e le sue mani si muovono faticosamente, come se fossero cronicamente doloranti. Per la prima volta mi chiedo che età possa avere il mio passeggero. Dalle sue condizioni fisiche si direbbe quasi anziano, ma il volto mostra ancora dei piccoli occhietti neri piuttosto vivaci. Decido che egli debba avere circa 7 o 8 anni più di me.
Durante il tragitto che ci separa dalla sua abitazione il mio uomo è poco loquace. Di tanto in tanto si volta indietro per accertarsi che alle nostre spalle non ci siano altri veicoli, o per verificare che il suo biciclo non sia andato perso lungo la strada.
L’uomo dei misteri inespressi si lascia sprofondare nel sedile accanto al mio, prende un gran respiro e mi osserva guidare. Sembra che ora si senta più tranquillo.
Mi dice che adesso è troppo tardi, non vuole farmi correre il rischio di vagare per le strade durante il coprifuoco, c’è qualcosa che deve dirmi al più presto, così mi dà appuntamento tra tre giorni alle ”Pulzelle di Orione”.
Lascio l’ometto e il suo vecchio mezzo di trasporto all’angolo di una strada sulla quale si affacciano palazzi tutti uguali alti più di una decina di livelli. Ci salutiamo con un gesto reciproco.
Sono rientrato nel mio appartamento alle 24.42: le luci sono tutte spente, la mia donna è a letto che dorme, domani dovrà alzarsi molto presto per andare ad insegnare in una scuola a 30 chilometri di distanza, nei sobborghi intorno la città.
Mi fa piacere avere vicino un corpo caldo che mi trasmette il suo calore in una notte di fine inverno. Non ho mai sopportato le improvvise gelate di marzo.
Non tardo ad addormentarmi, ma i miei sogni sono affollati di piccoli uomini dalla pelle grigia che come tante formiche si recano ordinatamente in decine di palazzi a torre. Tra essi riconosco qualcuno, è lo stereotipo di una classe operaia ormai scomparsa. Anche i modi di questo essere-icona sembrano esprimere l’anacronismo della sua presenza nella società attuale. La sua bocca sillaba delle parole senza che io riesca a capirle. Silenzio.
Mi sveglio di soprassalto, era solo un sogno, oppure no? E chi può aver detto al tipografo che io sono un “professore”? Strano, forse lui sta pensando a me come io sto pensando a lui.
Le “Pulzelle di Orione” era un locale molto in voga una ventina d’anni fa, quando era da poco uscito l’omonimo libro dello scrittore visionario Teo Van Der Gail.
Bei tempi, molti piloti si ritrovavano spontaneamente nel luogo che faceva pensare a mondi esotici abitati da ragazze giovani, bellissime e perennemente di buon umore, il cui scopo principale era diffondere il messaggio dell’amore universale. Dei fasti di allora, oggi non restavano che i muri dai colori sgargianti decorati dall’artista pazzo Vince Van Der Gail.
Niente più ballerine, niente più cocktail afrodisiaci, niente più inviti a consumare fugaci incontri d’amore sensuale nella sala della voluttà, il grande salone labirintico dal pavimento trasparente al piano sovrastante il bar ristorante non esiste più, è stato ricostruito e diviso in sale più piccole.
I nostri giorni sono l’epoca della riservatezza, la gente non ama più incontrarsi in grandi spazi, o così crede. In realtà, per motivi di ordine pubblico si cerca di non far riunire troppe persone in un unico posto.
Mi sono appena seduto ad un tavolino, ed i pensieri mi si annebbiano improvvisamente, mi sembra di sentire un forte odore d’olio d’ambra diffondersi nell’aria, ma so che non può essere così. Dicono che gli odori non si dimentichino mai, e che stimolino i ricordi. In questo caso, credo che mi stia capitando il contrario: un luogo del mio passato mi ha fatto recuperare un’antica sensazione olfattiva.
Ritorno al tempo presente, mi guardo attorno e vedo un gruppo d’amici seduti ad un tavolo, e un paio di coppie di mezz’età appartate alle estremità della grande sala. Purtroppo, gli spazi interni non sono più così ampi come una volta, ma rispetto ad altri locali pubblici, qui sembra di essere seduti in mezzo ad una piattaforma di decollo. Nonostante le ordinanze di polizia parlino chiaro sulle metrature massime utilizzabili dai pubblici esercizi, questo locale è un'eccezione. Grazie alla presenza di preziosi affreschi è stata formulata una disposizione speciale che ne salva i contenuti e, in parte, le volumetrie. Questo fatto tuttavia, pur contribuendo a non deturpare del tutto l’estetica delle “Pulzelle”, ha sviato l’interesse delle generazioni più giovani, che proprio a causa degli spazi interni insolitamente ampi, considerano questo enorme salone freddo e fuori moda.
Ordino una bevanda tonica al gusto di melone ed attendo l’arrivo del mio uomo. Eccolo che entra dalla porta di cristallo azzurro, procede a passo lento, come se non mi avesse ancora visto.
Costeggia il bancone di pietra verde, passa sotto uno dei grandi lampadari che un tempo illuminavano una delle stazioni della metropolitana di Mosca e si siede ad un tavolo vuoto, non lontano da dove mi trovo.
Rimango un po’ sorpreso da questa sua mossa, probabilmente dettata dalla prudenza, e attendo che sia lui a fare qualcosa.
Esaurita la sua consumazione, il tipografo si alza e s’avvia verso l’uscita. Capisco che devo seguirlo.
Ci ritroviamo a camminare insieme nel Parco della Pace.
Senza salutarmi, l’uomo grigio inizia a parlare, mi dice che il barista delle ”Pulzelle” non era il solito ragazzo, ed una delle coppie in fondo alla sala erano sicuramente due agenti della polizia segreta. Si scusa e mi prega di non farmi vedere in sua compagnia. Aggiunge una frase e si allontana.
Il giorno dopo sto ancora pensando alle sue ultime parole: "Ormai restare liberi è diventato un mestiere molto difficile", e cerco di trovare un modo per ricontattare questo uomo quando sento una mano toccarmi la spalla destra. I miei muscoli rimangono imprigionati da un gas paralizzante, non posso reagire; due uomini mi caricano su un furgone scuro. Non ci sono testimoni che potranno testimoniare la mia sparizione, il primo pensiero va a mia moglie Lorna. Buio.
Quanto tempo è passato da quando mi trovo in questa misera stanza, senza acqua, luce, aria, cibo, non riesco minimamente ad immaginarlo. Ogni cosa ha perso di significato; inizio io stesso a dubitare della mia esistenza in vita. Si devono essere dimenticati di me, oppure è questo che vogliono farmi credere. Per angosciarmi, per rendermi più malleabile, più collaborativo. Ma che senso ha agire in questo modo? Dispongono da anni di una macchina della verità infallibile e di tutti i mezzi per farmi parlare; e poi che cosa potrei dirgli? Cosa avrei da denunciare, di quali segreti sarei in possesso se il nostro gruppo non ha ancora deciso nulla? Chi si può interessare a me? Perché vogliono spaventarmi?
Colgo il sonno con soddisfazione: questa sola può essere la mia evasione.
Attendo sciami di immagini colorate che mi conducano lontano da qui, ma il buio incombe su di me. Non c’è speranza.
Il freddo avanza e si fa sentire in modo sempre più pungente. Non ci sono sogni in questo triste corpo ghiacciato. Sono in uno stato di sospensione, non c’è niente da fare. È questa la morte? O si tratta solo della mia crudele condanna?
Il tempo non passa mai, io non mi posso muovere, non ho nessuno con cui parlare, devo soltanto aspettare.
È vero, è duro il mestiere di sopravvivere per chi non sa cosa gli sta succedendo.
Il mondo mi ha dimenticato, il mio corpo mi ha abbandonato, la vita mi ha lasciato, chissà che ne è della mia anima? Forse anche lei mi ha abbandonato. Eppure no, non sono convinto che questo sonno senza sogni sia la morte, ho il dubbio che sia qualcosa di peggio, deve essere la fine del tempo. Non so come abbia fatto ad esaurirsi, ma deve esserci una spiegazione, un motivo, magari anche una soluzione.
Tiratemi fuori di qui! Liberatemi da questa prigione!
Un dolore intensissimo, come una scarica ad alta tensione pugnala il mio petto. Allora non sono morto? Leggono i miei pensieri e mi vogliono punire ancora di più?
Dolore, dolore, dolore... Perché mi fate questo? Ho capito, sono già all’Inferno, anche se io che non ci ho mai creduto! Pensavo che bastasse non crederci per scongiurare l’eventualità di finirci, un giorno. No, non è giusto, mi sono sempre comportato bene, non potete trattarmi così! Che cosa vi ho mai fatto di male? Hey tu Satana, mi senti? Ti sembra bello trattare così un povero umano?
Hai almeno avuto la compiacenza di avvisare mia moglie che non tornerò per cena?
Dolore.
Che strano, sento dolore dove prima c’era il mio corpo. Sento formicolare i miei nervi, la mia testa, improvvisamente mi sento pesante e stordito.
Sento anche dei suoni ovattati, ma non riesco a distinguere il loro significato.
Forse se riuscissi a capire come fare per aprire gli occhi...
Aaaaaaaaaaaaahhhhhh, che luce! Ma da dove arriva? Poco fa c’era solo il buio.
Riprendo contatto con il mio corpo, riesco a muovere a malapena le dita delle mani, i miei arti sono troppo pesanti per obbedire ai miei comandi. Le mie palpebre sono aperte, ma i miei occhi sono ancora abbagliati. È presto per sapere dove mi trovo.
Fa caldo, devono avermi esposto ad una specie di radiazione solare, il freddo che avevo dentro di me si sta asciugando completamente, sento il mio cuore pompare sangue con forza, è una sensazione piacevole, non provo più dolore, spero sia la fine di un incubo.
Quante volte da bambino cercavo gli angoli più nascosti della casa per rifugiarmi lì in tutta tranquillità e sprofondare nel silenzio di mondi immaginari costruiti dalla mia fantasia?
Quante volte ho desiderato fuggire lontano da tutti per non lasciare di me che uno sbiadito ricordo? Oppure dormire, per mesi, anni, secoli interi, fino a quando avrei potuto dimenticare il mio passato, i miei errori, le mie paure. Giorni sempre diversi e sempre uguali scorrono lungo la volta del cielo, mentre il sole ci sorride da lontano, comparendo e scomparendo senza pausa.
C’è una voce, sì la sento distintamente, un uomo sta strappando dei cavi e dei tubi che mi escono da tutto il corpo, mi sembra molto agitato. La sua faccia è di fronte alla mia, mi guarda, non faccio in tempo ad osservare i suoi lineamenti, mi colpiscono i suoi occhi azzurri, tutto avviene in una frazione di secondo, la sua bocca si apre e la sua voce mi parla. Dice che devo fare in fretta a mettermi in piedi e seguirlo. Sono molto titubante, non so dove sono, chi è questo uomo e non so nemmeno se sarò in grado di muovermi. L’uomo insiste per farmi alzare, con mia grande sorpresa balzo in piedi ed in un attimo mi incammino per lunghi corridoio al seguito del mio liberatore. Costui mi dice che ho dovuto essere ibernato per affrontare un lungo viaggio.
Adesso inizio a comprendere tutte quelle strane sensazioni; osservando le mie mani mi accorgo che la mia pelle è diventata rigida, di un colorito sgradevole, piuttosto grigiastra. Non ho tempo per riflettere su questo argomento, dobbiamo fuggire e poi può darsi che questi corridoi in penombra che stiamo percorrendo offrano una visione un po’ distorta della realtà.
Non mi raccapezzo più, questo posto sta diventando un dedalo mostruosamente intricato, non c’è puzza, né umidità, ma mi viene da pensare alle antiche catacombe cristiane, o a delle fogne in disuso. Vorrei fare mille e mille domande alla mia improvvisata guida, ma servirebbe? Riuscirei minimamente a farmi il quadro della situazione? So solo che dobbiamo fuggire, ma che senso ha tutta questa fretta? Da quando abbiamo lasciato la sala del mio risveglio non abbiamo incontrato anima viva. I cunicoli nei quali ci muoviamo sono immersi nell’oscurità, da piccoli fori nel soffitto, nelle pareti e sul terreno entra aria respirabile e qualche raggio di debole luce artificiale. Ho come l’impressione che ci troviamo in una galleria abusiva, scavata parallelamente ad un tunnel più importante utilizzato, dagli agenti della polizia segreta, per i trasferimenti occulti nei macabri laboratori e celle in cui vengono sotterrati i prigionieri dissidenti. Se così fosse realmente, questo significherebbe che le forze d’opposizione al potere sono piuttosto organizzate ed in grado di sfuggire alla repressione. Evidentemente, esistono già delle organizzazioni rivoluzionarie che dispongono di una struttura di lotta attiva; mi torna alla mente la figura del grigio tipografo, forse è stato proprio lui a segnalare ai suoi amici la mia condizione di prigioniero e deve essere grazie al loro intervento se adesso qualcuno si sta adoperando per liberarmi.
Ad un tratto ci fermiamo su quello che sembra un pianerottolo di questa brutta città sotterranea. La mia vista, come gli altri miei sensi, è ancora intorpidita e confusa; lame di luce tremolante penetrano da una piccola feritoia e feriscono i miei occhi. L’uomo che mi accompagna mi guarda e mi comunica a bassa voce che siamo quasi arrivati. Per la prima volta riesco a distinguere qualche tratto del suo volto, mi sorprendo a soffermarmi soprattutto sui suoi occhi azzurri molto pallidi ed inespressivi. Chi mi ricordano? Perché la mia pelle è diventata grigia come la sua? Ancora una volta ripenso al tipografo e riascoltando la monotona voce che mi sprona a riprendere il cammino capisco che potrei non sbagliarmi pensando d’essere nuovamente al suo cospetto.
Sapere che tra poco usciremo da questa specie di tomba cavernosa mi conforta ed al tempo stesso mi inquieta. Continuiamo a camminare, improvvisamente dal nostro cunicolo si diramano altri stretti passaggi, la mia guida mi sembra un poco perplessa, l’aria si fa più umida e calda. Probabilmente, si sta risvegliando anche il mio olfatto, l’odore che sento non è molto bello, credo che abbiamo imboccato un corridoio sbagliato, privo di fondo, ma non ci faccio molto caso, ho mille altre curiosità da appagare in questo momento. Non so che cosa mi aspetterà in futuro, dovrò vivere sotto falsa identità? Ci siamo fermati, intuisco che mi è concesso fare una domanda, non di più. Vorrei chiedere se sa qualcosa di mia moglie, se potrò rivederla, o che cosa dovrò fare. Se esiste qualche luogo dove mi potrò rifugiare o per quale motivo abbiamo lasciato la Terra. Tutti questi pensieri su possibilità talmente remote mi sconvolgono a tal punto che una potenziale risposta ai miei dubbi non farebbe altro che provocarmi nausea e vertigini. Voglio tuttavia sapere, avere dei dati che favoriscano una mia improbabile comprensione della situazione.
Una domanda mi affiora nella mente, forse è la più urgente, la più ovvia, la più diretta.
Mi rivolgo al mio accompagnatore e salvatore guardandolo dritto negli occhi, voglio che lui capisca che non accetterò silenzi o false verità. Io, per il momento, limiterò la mia curiosità ad una sola domanda, ma esigo una risposta precisa.
- Tu, chi sei?
La sua risposta è esattamente come la desideravo: netta, essenziale, e rivelatrice.
- Io sono il tuo boia.



2 commenti:

  1. Ho letto il tuo racconto, reso magistralmente e di intriseco interesse. Mentre mi riprometto di rileggerlo, ti faccio i miei complimenti per la capacità narrativa, la creatività e la fantasia che è di tutta evidenza, tua ottima ispiratrice. Grazie, ciao! M. A. Salerni

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