Riflessioni e brevi divagazioni sull'efficienza del mezzo analogico
Kodak Retina I/a
La fotografia è un mezzo
molto importante che ci permette di documentare in maniera immediata
momenti, fatti e persone che fanno parte della nostra vita e della
storia di tutti.
Partendo da un incontro casuale e da una passione
comune si possano scoprire episodi che ci forniscono elementi in più
per comprendere il nostro passato ed episodi storici dimenticati.
Qualche tempo fa, come
spesso mi capita di fare, ero passato a salutare il mio amico Gigi
Carminati; ero entrato da poco nel suo laboratorio, quando un signore
un po' affannato, abbastanza in là con gli anni, s'affaccia alla
porta d'ingresso e chiede se si trovava nel posto giusto.
Gigi che gli aveva dato
indicazioni telefoniche poco prima, lo riconosce e lo rassicura,
siamo proprio nell'atelier dove lui, il mago della meccanica di
precisione, riesce a ridar vita ad ogni tipo di fotomera, strumento
ottico, e gioiello d'altri tempi.
Il vispo visitatore si
presenta subito come Pier Girolamo Patellani e spiega come abbia la
necessità di far riparare la sua amatissima Kodak Retina I/a che,
secondo lui, avrebbe avrebbe ricevuto nel 1946, in regalo dalla
madre.
Pier Girolamo Patellani classe 1923 con in mano la sua Kodak Retina del 1949
Il signor Pier Girolamo
racconta che ha utilizzato questa fotocamera per tutta la sua vita,
ma che negli ultimi 2 o 3 anni ha dovuto smettere di fotografare
perché la sua Kodak ha iniziato a fare un rumore strano e a non
scattare.
L'esperto fotoriparatore prende in mano la piccola macchina
fotografica e s'accorge immediatamente che c'è qualcosa di molto
strano, innanzitutto, il nostro amico dal nome evocativo ha attaccato
del nastro adesivo trasparente su un lato dell'apparecchio
fotografico, probabilmente per non far distaccare il rivestimento,
cosa che non bisognerebbe mai fare perché poi restano delle tracce
di colla difficili da pulire.
Muovendo un po' la
fotocamera, si sente subito che c'è qualcosa di non ben fissato
all'interno. Aprendo il dorso, si vede che s'è staccato un rocchetto
per l'inserimento della pellicola, l'enigma è quasi subito risolto,
ma c'è di più.
Queste belle macchinette
folding richiedono sempre di posizionare la messa a fuoco su infinito
per far occupare meno spazio all'obiettivo e poter essere chiuse con
tranquillità.
Essendoci del gioco nella
chiusura, Gigi capisce che i braccetti che sostengono il soffietto
hanno subito eccessiva forza durante la chiusura dell'obiettivo, ma
questo è un guasto che si può sistemare abbastanza facilmente. Poi, si tratterà di
pulire bene gli ingranaggi e risistemare altre cose che potrebbero
essere fuori posto.
Le Retina sono delle
fotocamere molto ben costruite che poco hanno a che vedere con le
Kodak che si conoscono normalmente, infatti si tratta di fotocamere
progettate e costruite a Stoccarda, in Germania, da Nagel
Camerawerks, una ditta acquistata da Kodak nel 1931.
La Nagel
Camerawerks venne requisita dal governo tedesco nel 1941 che decise
di produrre in questo stabilimento pezzi per cannoni antiaerei.
Il dottor August Nagel,
titolare dell'azienda, morì nel 1943 e gli edifici furono bombardati
dagli alleati nel 1945. Gli americani tornarono a produrre fotocamere
marchiate Kodak nel dopoguerra, attività che si protrasse fino al
1969.
Da quanto abbiamo visto,
risulta difficile che il nostro amico Patellani abbia avuto la sua
Retina Ia nel 1946, mentre è più probabile che questa fotocamera
sia in suo possesso dal 1950, o forse anche dal 1949.
Anch'io ho posseduto lo
stesso modello di Kodak Retina, acquistata usata in un negozietto un
po' scalcinato in via Ricciarelli, zona San Siro, che già da diversi
anni ha chiuso l'attività.
Non ho usato molto questa
fotocamera che credo d'aver tenuto non più di 2 anni e che ricordo
avevo portato con me durante il piovoso Festival di Roskilde del
1997.
Ho scattato poche
fotografie con quel modello di macchina fotografica e non ne sono
rimasto particolarmente entusiasta della praticità d'uso e della
messa a fuoco approssimativa, mentre come oggetto feticcio lo ritengo
fantastico, specie per i materiali usati e la costruzione accurata.
Gigi, finalmente, si
decide a parlare di Federico Patellani, il grande fotografo e
giornalista milanese che fu l'unico reporter italiano accreditato a
Londra per il matrimonio di Elisabetta II d'Inghilterra, nel 1947 e
si scopre che Federico e Pier Girolamo erano cugini, come lo erano di un asso dell'aviazione fascista che portava lo stesso
cognome, si trattava di Renato Patellani, morto nel 1941 in Libia e per
questo ricompensato con una croce di guerra al valore.
Renato era grande amico
di Bruno Mussolini che lo salutò durante le cerimonie funebri, a
Pisa, con alcuni voli radenti.
Il figlio aviatore di Benito Mussolini
morì circa un mese dopo, il 7 agosto 1941, durante un incidente di
volo.
Pier Girolamo avrebbe
molte altre cose da raccontare sulla guerra, lui nacque nel 1923 a
Milano e nel 1943 si ritrovò a partecipare alla campagna di Russia
come autiere della Brigata Alessandria, nella divisione Torino,
poiché si dimenticò di rimandare ulteriormente il suo arruolamento
per motivi di studio. Nonostante questa svista fu fortunato: lui fu uno dei pochi militari italiani che riuscì a tornare a casa
in buone condizioni.
Purtroppo, durante la
campagna di Russia, il signor Pier Girolamo non aveva nessuna
fotocamera al seguito così non è stato in grado di riportare
nessuna immagine di quel periodo drammatico della sua vita.
Un tempo questi strumenti
di precisione erano molto costosi e poco diffusi tra la popolazione,
si pensi che presso le famiglie italiane era più frequente trovare
il telefono che la macchina fotografica. Questo motivo, unitamente al
fatto che ci furono pochi sopravvissuti, può darci una spiegazione
del perché le immagini fotografiche riportate dal fronte di guerra
russo sono molto rare, così come i filmati.
Acquapendente VT, 1945 Fotografia di Federico Patellani
(L'archivio di Federico Patellani è stato concesso in comodato d'uso alla Regione Lombardia dal figlio Aldo Patellani ed è consultabile presso il Museo della Fotografia Contemporaneo di Cinisello Balsamo, MI)
Mi dispiace non aver
potuto pubblicare qualche immagine scattata dal signor Pier Girolamo con la sua Retina un po' usurata, egli ha acconsentito che io
parlassi di lui, ma non ha voluto fornirmi alcuna sua stampa, dicendo
di non avere nulla da mostrare. Forse s'è trattato
di pudore, oppure di eccessiva modestia, fatto sta che per parecchio
tempo mi sono arenato in questa storia non sapendo bene che senso
avrei potuto darle, visto che parlando di una fotocamera particolare, solitamente preferisco fornire un esempio di ciò che essa è in grado di fare.
Ho anche pensato di
riesumare una qualche immagine scattata da me, all'epoca in cui
possedevo la stessa fotocamera, ma poi ho capito che questa doveva
essere l'occasione per dimostrare il potere dell'immagine fotografica, in questo caso con la sua assenza.
Avrei gradito mostrare un determinato scatto come un momento della
vita negli anni della guerra, oppure un qualsiasi episodio della vita
di giovane italiano che s'apprestava a vivere negli anni antecedenti
al boom economico, ma alla fine ho utilizzato un'immagine simbolica tratta dall'archivio Federico Patellani in cui una donna osserva a distanza quel che resta di un aeroplano italiano dopo il bombardamento del campo volo nel 1943.
C'è anche un'altro
discorso che scaturisce dall'incontro con Pier
Girolamo Patellani e da pensieri molto personali e che hanno a che
vedere con la vita degli oggetti che ci passano per le mani.
E' la cura che noi
abbiamo per le cose e dei nostri ricordi che è in grado di far vivere
gli oggetti e tramandare gli eventi accaduti.
Per me, è sempre un
piacere scambiare due parole con una persona che ha vissuto più di
me e che ha più cose da raccontare, perché in queste occasioni
s'impara sempre qualcosa d'interessante e si può avere un contatto
diretto con i testimoni oculari che hanno visto cose che noi non abbiamo
vissuto e che solo tramite queste persone può esserci trasmessa l'essenza della loro esperienza.
Poi, trovo affascinante
che un uomo di quasi 92 anni sia ancora in grado di trovare
l'entusiasmo di voler recuperare la sua arzilla fotocamera per
proseguire insieme un cammino fotografico, nonostante esistano
meccanismi e tecnologie più immediate e moderne che potrebbero
essere d'aiuto a chiunque nelle varie fasi da percorrere per ottenere
un'immagine fotografica.
Gli oggetti hanno una
loro vita, se noi concediamo loro questa possibilità; il che vuol
dire prenderci cura di loro utilizzandoli nel giusto modo,
proteggerli da imprevisti o incidenti e, all'occorrenza, provvedere alla loro manutenzione o riparazione.
Ultimamente, mi sto
appassionando a ricercare fotocamere tradizionali, non importa di che
tipo o quale marca, mi basta che utilizzino pellicole ancora in
produzione e abbiano qualche particolarità che le renda diverse
dalle solite macchine fotografiche reflex con le quali iniziai a
fotografare da ragazzo.
Quando trovo un pezzo che
m'interessa, vedo come è tenuto, non cerco la fotocamera intonsa, ma
qualcosa che possa essere utilizzato con soddisfazione che faccia
onestamente il proprio dovere e sia anche resistente.
In genere, da come questi
oggetti sono tenuti riesco a capire anche che tipo di persona fosse
il precedente proprietario, come trattasse la fotocamera e,
naturalmente, se vale la pena di prendermene carico, oppure no.
Riparare una fotocamera
vecchia è quasi sempre possibile, purché non ci sia la necessità
di sostituire un pezzo introvabile, bisogna però capire se questo ripristino avviene per motivi affettivi, o nella speranza di rivendere un pezzo che
possa farci recuperare qualche euro, cosa ormai poco improbabile.
A mio giudizio, vale
sempre la pena di far sistemare una fotocamera, specie se questa ha
un buon otturatore e qualche valore storico, oltre che sentimentale.
Molti apparecchi
fotografici sono stati abbandonati per tantissimi anni in qualche
mobiletto e non hanno mai avuto una revisione decente da un buon
fotoriparatore che, spesso, si limita a fare semplicemente un po' di
pulizia rimuovendo grasso e olio induriti, sostituendoli con
lubrificanti nuovi.
Sconsiglio nella maniera
più assoluta di voler fare da soli a tutti i costi perché agendo in
tal modo si rischia di causare qualche danno, anche semplicemente rimuovendo vecchie viti a taglio, o trovandosi poi in difficoltà nel
rimontare qualche pezzo.
In ogni caso, non vi
fidate a metter mano ad un otturatore a lamelle metalliche, o ad un
diaframma, nemmeno se l'avete visto fare da qualcuno molto
competente: la professionalità non s'improvvisa.
Sempre a questo
proposito, evitate anche d'affidarvi a chi si millanta riparatore,
ultimamente, molti si definiscono in questo modo, ma poi si arenano
alla prima difficoltà.
Esistono migliaia e
migliaia di modelli diversi di fotocamere meccaniche e non basta una
vita per conoscerle tutte, sarebbe un peccato terminare la vita
produttiva di un pezzo che magari ha già i suoi 60 o 70 anni
d'onorato servizio alle spalle per un esperimento infantile.
La cosa importante da
ricordare è che spesso bastano dei piccoli accorgimenti nel riporre
l'attrezzatura che si pensa di non utilizzare per diverso tempo per
evitare di dover correre ai riparatori, in seguito.
Se la fotocamera ha una o
più batterie, toglierle sempre dal loro alloggiamento; conservarla
all'interno di una scatola o di una borsa, lontano dalla polvere,
dagli sbalzi termici, e per proteggerla dall'umidità, depositate
all'interno del contenitore dove riponete la vostra attrezzatura
qualche sacchetto di gel di silicio (silica gel); per gli otturatori
a tendina ricordarsi di lasciarli talvolta carichi e altre volte
scarichi per non far prendere posizioni fisse o pieghe ai tessuti con
cui sono fatti; gli obiettivi è meglio
conservarli in posizione verticale in modo che i lubrificanti non
colino a lato delle lamelle del diaframma o dell'otturatore centrale;
ricordatevi inoltre di dare una pulita con un panno asciutto e
morbido per togliere tracce di sporco, polvere e unto dalla superficie
esterna del corpo macchina e dell'obiettivo.
Per l'interno della
camera oscura dove viene alloggiata la pellicola, è sufficiente dare
una bella spolverata con aria compressa o con le apposite pompette di
gomma.
Ultimamente, si fa un
gran parlare di come un giorno sarà possibile visionare i file
digitali salvati in epoche precedenti e come si potranno vedere le
fotografie realizzate con queste tecniche informatiche, visto che i
programmi hanno una durata molto breve e c'è una continua evoluzione
tecnologica che rende tutto obsoleto molto in fretta.
Tralascio volutamente
tutto il discorso che si potrebbe fare anche sulla facilità di
falsificare un documento digitale ed un'immagine ripresa con questa
tecnologia, ma è evidente che l'immagine analogica offre maggiori
garanzie d'autenticità.
E' lo stesso Vinton Cerf,
uno dei più importanti informatici americani e “padri di internet”
a metterci in guardia da un possibile “buco nero” che potrebbe
inghiottire ogni nostra memoria digitale e a questo proposito, se non
si provvederà ad intervenire in modo da salvaguardare tutto, non
solo i nostri dati, ma anche hardware e software specifici, i nostri ricordi potrebbero essere davvero soggetti ad un destino molto triste.
Anche per questo motivo,
ritengo sia meglio prendersi cura della propria attrezzatura
tradizionale e fare in modo che resti sempre operativa ed in buone
condizioni, cosicché in qualsiasi momento ne avremo bisogno, su di
lei sapremo di poter sempre contare ed ottenere buoni risultati,
fruibili anche in futuro. Tony Graffio
Begli ricordi di quelle macchine di foto, con le quali la cosa importante era dominare la luce e la composizione.
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