"Ogni artista ripete quasi sempre lo stesso tipo di opera, e questa è generalmente un autoritratto". Oscar Wilde
A Filler Winter Edition 2016 ho incontrato un altro mito della grafica e della Poster Art internazionale: Fabio Meschini. Ho fatto con lui un'interessantissima chiacchierata che mi ha fatto capire come funziona il mondo underground dei Gig-poster.
A Filler Winter Edition 2016 ho incontrato un altro mito della grafica e della Poster Art internazionale: Fabio Meschini. Ho fatto con lui un'interessantissima chiacchierata che mi ha fatto capire come funziona il mondo underground dei Gig-poster.
Fabio ha 44 anni, vive a Roma, è laureato in architettura, ha iniziato ad occuparsi di grafica circa 25 anni fa. Per qualche tempo s'è occupato anche di fotografia di ritratto e di moda, ma poi ha preferito allontanarsi da quello che ritiene un settore ancora più saturo della grafica. Questi ambienti lavorativi, oltre ad essere molto inflazionati dalla presenza di un'infinità di persone che cercano di trovare la propria strada, presentano anche un altro problema non da poco: è difficile farsi pagare. Senza parlare del fatto che il mondo dell'editoria nel frattempo s'è molto ridimensionato, arrivando a muovere un volume d'affari pari ad un decimo circa di quello che qualche anno prima dava da vivere a diverse figure professionali che piano piano si sono allontanate da questo settore. Piano piano anche l'indotto collegato alla carta stampata è andato assottigliandosi, al punto che anche Fabio, nel 2009, ha preferito inventarsi una nuova attività ritirandosi nella nicchia degli artisti che realizzano manifesti serigrafati per i concerti musicali.
Clockworks Pictures a Filler Winter Edition 2016
Tony Graffio: Fabio perché hai scelto proprio di dedicarti ai Gig-poster e alla serigrafia?
Fabio Meschini: Un po' perché il mondo musicale è sempre stato il mio cliente preferito, quello con cui riuscivo a lavorare meglio, con i migliori risultati anche dal punto di vista economico; un po' per staccarmi dal computer e mettermi a usare le mani.
TG: E' stato un passo rischioso?
FM: All'inizio mi è sembrato di fare un salto nel vuoto. Sono andato ad Amburgo, dove si tiene il Flatstock, una fiera specializzata di settore che negli ultimi dieci anni ha preso molto piede, portando con me poco più di tre serigrafie. Ultimamente, da quando il CD ha perso importanza, i gruppi musicali si sono orientati su nuove forme di merchandisig che hanno aperto la strada ad una new wave di artisti che aiuta le band a farsi conoscere e a comunicare il loro messaggio. Mi sono trovato bene in questo ambiente ed adesso sono abbastanza conosciuto.
Il poster commemorativo per Flatsock 2013 di Clockwork Pictures.
TG: In Italia adesso si sta muovendo qualcosa in questo campo?
FM: Sembrerebbe di sì. Io cerco d'essere presente nelle fiere e mi do da fare anche in prima persona, perché dal 2012 sono il promotore di Poster Rock, una mostra internazionale. Abbiamo avuto due edizioni a Roma, alla Casa dell'Architettura ed una a Catania presso la sede dell'Università. Questa manifestazione, essendo ad ingresso gratuito, non ha una cadenza periodica e si propone unicamente di promuovere il settore. Non essendo a scopo di lucro, se riusciamo a recuperare del denaro andiamo in pareggio con le spese dello show. Organizzo questo evento solo quando riesco a mantenere i due criteri guida: ingresso gratuito e poter realizzare un'edizione migliore della precedente. Più ricca e più grande. La cosa ha funzionato ed i risultati si vedono. Nel corso degli anni ci sono sempre più persone che capiscono che si tratta di una manifestazione diversa dal solito che propone qualcosa che non è una locandina stradale ed anche il prezzo è più che giustificato. Anzi, per adesso è un affare per chi compra, se si considera il lavoro che c'è dietro ogni serigrafia ed il valore che potrebbe acquisire l'opera in futuro. Non dico che abbiamo una base di appassionati anche in Italia, ma forse iniziamo ad essere maggiormente apprezzati anche qua. Per ora, siamo riusciti a spargere la voce.
Posters Rock è l'evento espositivo creato da Fabio Meschini.
Il primo poster commemorativo della manifestazione riunisce idealmente David Bowie, Jim Morrison in una citazione di un quadro di Norman Rockwell.
TG: La serigrafia a me piace moltissimo, ma dagli appassionati d'arte è ancora un po' bistrattata, forse perché è stampata su carta, oppure perché si possono facilmente ottenere molte copie, non ho ben capito neppure io. Secondo te, ci può essere una rivalutazione dei pezzi che si acquistano, oppure bisogna aspettare davvero tanti anni e non è sicuro che succeda qualcosa in questo senso?
FM: Secondo me, già adesso è in corso una fortissima rivalutazione. Forse, c'è una scuola che fa riferimento ad un vecchio mercato dell'arte, dico questo senza intento denigratorio, ma semplicemente per far capire che fino a 30-40 anni fa si trattavano essenzialmente i quadri, le sculture ed opere di un certo taglio e di un certo prezzo. Effettivamente, a quel tempo la serigrafia era vista come la sorella povera del mercato artistico. Un po' è rimasto quell'atteggiamento, ma adesso le cose sono cambiate e dopo un periodo che aveva visto diminuire perfino gli stampatori capaci di padroneggiare questa tecnica, posso dire che c'è un rinato interesse per queste opere e queste proposte artistiche.
TG: Un tempo, c'era sempre chi cercava di piazzarti una serigrafia per una litografia perché la litografia era considerata molto più preziosa, adesso che non c'è più chi fa le litografie anche le serigrafie stanno conoscendo una nuova primavera?
FM: Diciamo che adesso, non essendoci più chi compra quadri e nemmeno chi compra litografie, le serigrafie sono i pezzi più abbordabili in termini di prezzi. Se vogliamo, c'è anche una generazione che si è formata dal punto di vista grafico, quindi magari si trova facilitata a decodificare questo linguaggio e trovano la serigrafia più vicina al Pop contemporaneo. E' una forma d'arte entry-level. Molti giovani si stanno dando anche al collezionismo di incisioni e di stampe tipografiche a rilievo che, essendo tecniche che richiedono maggior lavoro, hanno necessariamente prezzi più alti. Come si suol dire, l'appetito vien mangiando, perciò è auspicabile che la serigrafia sia il punto di partenza per veder nascere una passione.
TG: L'impatto della serigrafia è comunque molto forte: è possibile stampare con colori bellissimi e da qui si possono sviluppare tantissimi discorsi. Io mi sento di consigliare a tutti di comprare qualcosa di bello che costa veramente poco rispetto a quello che offre.
FM: Sicuramente, è un mezzo che si presta al Pop ed al contemporaneo, più di un'incisione o di una litografia.
TG: Tu fino a quanti colori arrivi a stampare? Hai qualche tua soluzione particolare? In che modo lavori?
FM: Guarda, per l'originale parto sempre da una tecnica mista. Quasi tutti i miei lavori sono un mix di china e colorazione digitale. Molto spesso, come nel caso del disegno per i Queens of the Stone Age, o dei Tortoise, ho più livelli di china a cui poi, tramite il computer, associo un colore a ciascuno dei livelli. O magari faccio le campiture, semplicemente per comodità. Una volta si sarebbe fatto con il Rubylith o altre tecniche manuali; adesso non ha senso mettersi lì a lavorare con il taglierino. Sarebbe un virtuosismo tecnico che non aggiungerebbe nulla all'opera. Nel poster dei Queens of the Stone Age, tutte le ombre si sarebbero fatte con una pellicola adesiva che incisa col taglierino mano a mano avrebbe evidenziato le varie forme. Oggi questo si fa col computer. Con la china ed il pennello riesco ancora ad avere una buona manualità rispetto al digitale e perciò guadagno del tempo a disegnare così; mentre per le parti del lavoro che sono parimenti sostituibili con le tecniche digitali le eseguo al computer. Per la stampa, raramente credo d'essere andato oltre i 4 colori: un po' per pigrizia, un po' perché punto all'essenzialità. Ammiro molto i lavori di altri serigrafi che riescono a concepire soggetti particolarmente complessi, io però vado più per il gestuale quando disegno, quindi raramente faccio qualcosa che ha dietro un grosso progetto. I miei sono degli schizzi che prendono forma.
I Queens of the Stone Age visti da Clockwork Pictures
TG: Insomma, disegni a mano libera in modo istintivo e poi colori al computer?
FM: Sì, dipende anche dai lavori che mi commissionano. Per esempio, quello di Carpenter è essenzialmente un lavoro a china, con la differenza che io l'ho fatto in digitale.
John Carpenter Lost Themes di Fabio Meschini
TG: Utilizzi anche la fotografia?
FM: Qualche volta sì. Altre volte come riferimento. Il poster degli Editors parte da una mia fotografia fatta a Berlino. Mi interessava l'architettura di Le Corbusier sulla quale sono andato sopra con un lavoro di china. Nella serigrafia tradizionale si lavora molto di ricalco invece. Si utilizza la carta da lucido e quella tecnica fa parte della creazione del linguaggio di base. Idem anche per il lavoro dei Tortoise dove si vede Yuri Gagarin: non l'ho fatto completamente a mano libera, ma non è neppure completamente un ricalco. I vari livelli di colore sono desunti da una fotografia in bianco e nero posizionata sotto. Mentalmente si associa un colore ad una certa area e così via, ma il risultato finale lo vedi solo dopo, in fase di stampa.
Il poster per il concerto di Bologna del 2014 degli Editors realizzato con tecnica mista da Fabio Meschini.
TG: I toni di grigio vengono abbinati ai colori.
FM: Sì. Quella è un'operazione che faccio io mano a mano che ci dipingo sopra, perciò le tre pellicole da sole non sono leggibili, ma lo diventano solo una volta sovrapposte in stampa.
20 febbraio 2016 Tortoise - I poster di Fabio Meschini costano mediamente 25 euro, per maggiori informazioni visitate il suo sito.
TG: Quali sono gli artisti che tu stimi di più nel mondo della Rock poster art?
FM: Una valanga. Qui ci sono i Malleus che sono dei grandi di questo settore, credo d'essermi deciso a stampare per conto mio proprio nel 2009 dopo aver comprato un loro poster. Tra gli stranieri, nello stand accanto a me c'è un amico di Vienna, Michael Hacker. Adoro il suo stile ed il suo senso dell'umorismo. Molta gente che è in questo giro ha qualcosa di particolare che mi colpisce.
TG: Tra gli americani chi ti piace?
FM: Adoro John Howard che nel 2016 ha compiuto 60 anni. I suoi lavori sono evoluti tecnicamente. In essi si può leggere l'eredità del flower power e della psichedelia più genuina attualizzata ai giorni nostri. Mi piacciono talmente tanti artisti che non saprei chi nominarti, non ho un unico punto di riferimento.
TG: Lavori sempre su commissione?
FM: Sì.
TG: Ti contattano gli artisti o qualcun altro che fa parte del loro entourage?
FM: Metà e metà. A volte mi propongo io, tenendo d'occhio quali sono i concerti futuri delle band; a volte sono loro a contattarmi. Altre volte ancora arriva un contatto per passa parola.
TG: Stefano Marzorati mi ha detto che in Italia è difficile trovare i Gig-poster sulle bancarelle fuori dai concerti. E' così? Oppure inizia a diffondersi anche da noi questa abitudine?
FM: Entrambe le cose. Se ne trovano molto pochi, ma incominciano a trovarsene un po' più di prima. Questo però è un effetto collaterale del ridottissimo volume del business musicale in Italia. Il poster chiaramente è un allegato del music business. Facendo fatica di per sé a galleggiare quel tipo d'economia, tutto quello che gli va appresso viene ugualmente diminuito.
TG: In Europa quali sono i mercati più interessanti da questo punto di vista?
FM: In Germania c'è un buon mercato, forse anche perché ad Amburgo c'è il Flatstock che contribuisce a far conoscere questa realtà. Nata negli USA, questa manifestazione molto importante ha due incarnazioni in Europa: una a Berlino e l'altra a Barcellona, durante il Primavera Sound. In 10 anni di questa manifestazione si è lavorato bene per far accogliere al pubblico questo interesse. In Germania ci sono ancora grossi concerti ai quali partecipano le grosse band che spesso evitano l'Italia, o per lo meno che raramente si fermano più a Sud di Milano. Vuoi per mancanza di strutture o per altri motivi.
TG: In genere, quante copie tiri per un soggetto?
FM: Mediamente tra le 75 e le 100 copie. Per qualche gruppo particolarmente importante, tipo i John Carpenter o i Queens of the Stone Age siamo arrivati a 200 o 150 copie.
TG: Hai un tuo genere musicale preferito? O un gruppo che ascolti più volentieri?
FM: Mi piace molto la New Wave o il Post Punk inglese tardi anni '70, inizio anni '80, ma anche il Rock americano un po' più tradizionale. Tendenzialmente, mi piace di tutto nell'ambito Rock; ho ascoltato tanta musica elettronica strumentale nei primi anni '90. Da ragazzino ero un fan sfegatato di David Bowie e dei Depeche Mode. Ultimamente, ascolto Brant Bjork che ho scoperto un po' tardi.
TG: Dove prendi l'ispirazione? Cosa ti fa associare un gruppo ad una certa immagine?
FM: Molto spesso la musica. Cerco d'interpretare qualcosa dello spirito che il gruppo incarna. Questo fa sì che non ci sia uno stile costantemente ricorrente tra i miei disegni, perché tento di adattarmi.
Echo and the Bunnymen - Killing Moon - Fabio Meschini
TG: Ti ispiri di più alla musica o ai testi?
FM: Dipende. Per Echo and the Bunnymen quella che rappresentato è "The killing Moon" che è il titolo del loro brano più famoso. Dipende che cosa mi ha lasciato un gruppo. Per gli Editors uno dei loro pezzi era "The weight of our love" ed io l'ho interpretato come vedi.
TG: Normalmente, le band ti danno indicazioni su che cosa vogliono, o ti lasciano fare quello che vuoi?
FM: Quasi sempre mi lasciano fare quello che voglio. Alcuni gruppi vogliono vedere delle anteprime, altri neanche quelle. Mentre altri ancora hanno delle linee guida su quello che non vogliono vedere di specifico.
TG: Tipo quei gruppi che per esempio hanno un nome di un animale e non vogliono essere rappresentati in modo troppo stereotipato mostrando sempre quell'immagine?
FM: Esattamente.
TG: In questo poster che cosa hai rappresentato?
FM: Si tratta di un'illustrazione per un libro intitolato: Sexy Rock, è una rilettura della storia del Rock alla luce di storie a base di sesso e sexyness in genere. A me è toccato il capitolo su Heart shaped box dei Nirvana in cui si parlava del possibile significato della canzone. L'immagine si legge bene se tu hai effettivamente letto quel capitolo del libro di Paolo Bassotti, perché lì si dice che poteva effettivamente trattarsi di una scatola a forma di cuore regalata da Kurt Cobain a Courtney Love al cui interno c'era una bambola, tre conchiglie ed una tazzina da caffè che si vedono sotto la cassa sulla quale lui è seduto. Si dice che in questo ci sia un'allusione all'uso di droga, ma si dice anche che lui stesse alludendo al sesso di lei. Così, ho voluto rappresentare Kurt mentre fa un gesto molto italiano con le mani.
TG: Normalmente, le band ti danno indicazioni su che cosa vogliono, o ti lasciano fare quello che vuoi?
FM: Quasi sempre mi lasciano fare quello che voglio. Alcuni gruppi vogliono vedere delle anteprime, altri neanche quelle. Mentre altri ancora hanno delle linee guida su quello che non vogliono vedere di specifico.
TG: Tipo quei gruppi che per esempio hanno un nome di un animale e non vogliono essere rappresentati in modo troppo stereotipato mostrando sempre quell'immagine?
FM: Esattamente.
Sexy Rock è un libro che racconta storie di Musica e rivoluzione sessuale.
TG: In questo poster che cosa hai rappresentato?
FM: Si tratta di un'illustrazione per un libro intitolato: Sexy Rock, è una rilettura della storia del Rock alla luce di storie a base di sesso e sexyness in genere. A me è toccato il capitolo su Heart shaped box dei Nirvana in cui si parlava del possibile significato della canzone. L'immagine si legge bene se tu hai effettivamente letto quel capitolo del libro di Paolo Bassotti, perché lì si dice che poteva effettivamente trattarsi di una scatola a forma di cuore regalata da Kurt Cobain a Courtney Love al cui interno c'era una bambola, tre conchiglie ed una tazzina da caffè che si vedono sotto la cassa sulla quale lui è seduto. Si dice che in questo ci sia un'allusione all'uso di droga, ma si dice anche che lui stesse alludendo al sesso di lei. Così, ho voluto rappresentare Kurt mentre fa un gesto molto italiano con le mani.
Kurt Cobain e Courtney Love in una rappresentazione di Heart shaped box di Fabio Meschini.
TG: Per te la simbologia è importante?
FM: Sì, sicuramente. Probabilmente, troverai dei simboli, se non proprio in tutti i miei poster, almeno in più della metà di essi. Mi piacciono molto i poster che hanno una storyline nascosta. Si tratta di qualcosa che di solito scopri solo dopo che l'hai comprato e pensi: "Ah, questa cosa prima non l'avevo notata".
TG: Per il mondo della pubblicità fai ancora qualcosa?
FM: Guarda, io ho lavorato come grafico per tantissimo tempo, poi ho smesso per motivi puramente economici. Ho preferito trovarmi un altro lavoro che pagasse con una maggiore regolarità. Ho trascorso un momento difficile in cui mi sono disinnamorato al mio lavoro perché passavo più tempo a fare recupero crediti che non a disegnare. Quando mi sono accorto che stavo cercando solo di recuperare i soldi che mi dovevano, anzi che fare il grafico, ho capito che non potevo continuare in quel modo.
TG: Pensi che tra artisti ci si possa fidare un po' di più? Almeno per quello che riguarda i pagamenti...
FM: Sicuramente. Fra artisti ci si capisce perché si vive in mezzo alle stesse problematiche e si è mossi dallo stesso tipo di motivazione. C'è un rispetto reciproco di base e poi l'artista ti chiede d'andare oltre i tuoi limiti, mentre i clienti tradizionali ti chiedono di andare a ripercorrere la strada già battuta che generalmente non è quella che produrrà grandi risultati. Secondo me, se tu vai a cena in un ristorante, perché ti stai concedendo qualcosa di più, puoi andare in un posto nuovo. E' normale che sia così. Invece, molti creativi sono convinti che sbarcheranno il lunario offrendo ai loro clienti sempre la stessa cosa. Così però non può funzionare. Un mondo della pubblicità che non sia coraggioso finisce per chiudersi in se stesso e fare la fine che ha fatto...
TG: Ho capito, ma adesso toglimi un'altra curiosità: ho sentito degli artisti che stanno meditando sul fatto di dotarsi di apparecchiature semiautomatiche per la stampa. Tu che cosa ne pensi di questa cosa? La serigrafia artistica si può fare a macchina?
FM: Per come la vedo io, il grosso della parte importante del lavoro è l'ideazione e la preparazione del lavoro. Per andare direttamente alla stampa, in teoria, un bravo stampatore stampa come la macchina...
TG: Non il contrario!
FM: Esatto. Si riesce essere costanti e precisi nella qualità nell'arco di una tiratura di 100 o più copie. Questa è una cosa impegnativa anche dal punto di vista muscolare e di concentrazione, ma una buona stampa fatta a mano esteticamente non è meglio di una buona stampa fatta a macchina.
TG: Non si può distinguere la differenza?
FM: No. Assolutamente no.
TG: A macchina rischi poi di stampare 500 e più copie?
FM: Ti dirò di più: abbiamo colleghi americani che stampano in serigrafia 5'000 copie. Ok? Un collega che sta non mi ricordo dove... Ha fatto una tiratura super per l'equivalente americano dei Pooh. Un gruppo mai sentito nominare qui da noi che però fa una valanga di date negli USA e per questo devono avere tutte le stampe serigrafate per i vari concerti. Questo perché il poster deve essere un oggetto di un certo valore, anche se 5'000 copie converrebbe farle in offset. Invece no, vogliono le serigrafie.
TG: Valgono meno comunque se sono 5'000 copie?
FM: No, vengono vendute sempre allo stesso prezzo, solo che l'America è grande e per un tour importante di una band importante escono a malapena 100 copie a data. Su 50 date ecco che il conto torna. No?
TG: Forse la differenza sta che nella serigrafia artistica il serigrafista segue tutto il processo produttivo, mentre nella serigrafia industriale le lavorazioni vengono parcellizzate.
FM: Questo forse si riferisce alla serigrafia industriale che stampa sul packaging. Non nel nostro mercato.
TG: Certo, però volevo dire che questa è una delle ragioni per le quali si era persa l'abitudine ad un certo tipo di lavoro che poi è stato riscoperto e reinventato dai giovani, da qualche anno a questa parte. Perché si era perduta anche la voglia di lavorare in un modo che richiede diverse lavorazioni e parecchio tempo, proprio perché ci sono varie fasi da affrontare.
FM: Sì, probabilmente si era persa la voglia di insistere, perché non è che nessuno comprasse serigrafie di concerti 10 anni fa in Italia. Il discorso è che se uno ci crede, lavora bene, propone cose valide e piano piano il mercato si crea. Un mercato, qualunque esso sia: di massa o di nicchia, non nasce mai dal basso. Nessuno va in un negozio a chieder un prodotto che non c'è, ma è chi è in grado d'offrirlo che arriva sul mercato e lo propone. E lavorando, cerca di far capire al cliente potenziale il valore di quello che sta vendendo. Sia nel caso dell'oggetto usa e getta che nel caso della piccola opera d'arte, si tratta sempre di fare marketing.
TG: Ho capito, ma adesso toglimi un'altra curiosità: ho sentito degli artisti che stanno meditando sul fatto di dotarsi di apparecchiature semiautomatiche per la stampa. Tu che cosa ne pensi di questa cosa? La serigrafia artistica si può fare a macchina?
FM: Per come la vedo io, il grosso della parte importante del lavoro è l'ideazione e la preparazione del lavoro. Per andare direttamente alla stampa, in teoria, un bravo stampatore stampa come la macchina...
TG: Non il contrario!
FM: Esatto. Si riesce essere costanti e precisi nella qualità nell'arco di una tiratura di 100 o più copie. Questa è una cosa impegnativa anche dal punto di vista muscolare e di concentrazione, ma una buona stampa fatta a mano esteticamente non è meglio di una buona stampa fatta a macchina.
TG: Non si può distinguere la differenza?
FM: No. Assolutamente no.
TG: A macchina rischi poi di stampare 500 e più copie?
FM: Ti dirò di più: abbiamo colleghi americani che stampano in serigrafia 5'000 copie. Ok? Un collega che sta non mi ricordo dove... Ha fatto una tiratura super per l'equivalente americano dei Pooh. Un gruppo mai sentito nominare qui da noi che però fa una valanga di date negli USA e per questo devono avere tutte le stampe serigrafate per i vari concerti. Questo perché il poster deve essere un oggetto di un certo valore, anche se 5'000 copie converrebbe farle in offset. Invece no, vogliono le serigrafie.
TG: Valgono meno comunque se sono 5'000 copie?
FM: No, vengono vendute sempre allo stesso prezzo, solo che l'America è grande e per un tour importante di una band importante escono a malapena 100 copie a data. Su 50 date ecco che il conto torna. No?
TG: Forse la differenza sta che nella serigrafia artistica il serigrafista segue tutto il processo produttivo, mentre nella serigrafia industriale le lavorazioni vengono parcellizzate.
FM: Questo forse si riferisce alla serigrafia industriale che stampa sul packaging. Non nel nostro mercato.
TG: Certo, però volevo dire che questa è una delle ragioni per le quali si era persa l'abitudine ad un certo tipo di lavoro che poi è stato riscoperto e reinventato dai giovani, da qualche anno a questa parte. Perché si era perduta anche la voglia di lavorare in un modo che richiede diverse lavorazioni e parecchio tempo, proprio perché ci sono varie fasi da affrontare.
FM: Sì, probabilmente si era persa la voglia di insistere, perché non è che nessuno comprasse serigrafie di concerti 10 anni fa in Italia. Il discorso è che se uno ci crede, lavora bene, propone cose valide e piano piano il mercato si crea. Un mercato, qualunque esso sia: di massa o di nicchia, non nasce mai dal basso. Nessuno va in un negozio a chieder un prodotto che non c'è, ma è chi è in grado d'offrirlo che arriva sul mercato e lo propone. E lavorando, cerca di far capire al cliente potenziale il valore di quello che sta vendendo. Sia nel caso dell'oggetto usa e getta che nel caso della piccola opera d'arte, si tratta sempre di fare marketing.
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