sabato 22 ottobre 2016

Un pezzo troppo unico. Sistema o Antisistema: come inserirsi nel mondo dell'arte contemporanea da artisti o da collezionisti

Riprendo il discorso con Joe Iannuzzi da dove l'avevo lasciato nell'ultimo dialogo che ho avuto con lui per cercare di capire perché il capitalismo veda l'arte come puro sfruttamento e non come espressione dell'essere umano.
A chi fa comodo catalogare tutto e definire dei limiti a ciò che molti pensano debba avere solo un puro valore speculativo? Ci sono altri valori nell'arte al di fuori di quelli economici? Esiste un'etica nell'arte? O tutti fanno quello che vogliono?

"La vita è come il poker chi ha più soldi vince." Anonimo

Basquiat a Milano al Mudec. Dal 28 settembre 2016 al 26 febbraio 2017

Tony Graffio: Caro Joe, il punto di vista che hai espresso l'ultima volta che ci siamo sentiti mi ha un po' destabilizzato, anche perché non riesco a scrutarti più approfonditamente, e non capisco se per te l'arte contemporanea sia o no un bluff.

Joe Iannuzzi: No, non ritengo che l'arte contemporanea sia un bluff, anche se alcune volte, sì capitano anche i bluff o gli imbrogli. Capita di tutto, dipende un po' anche da quello che si cerca...

TG: Lo so, però non mi sembra che tu sia abbastanza critico verso questo mondo, ne denunci i meccanismi malsani ed un po' perversi, ma al tempo stesso vivi appieno la dimensione delle aste, delle fiere e delle gallerie come un'alternativa un po' snob alla borsa e ti compiaci di fare affari in questo modo. Vogliamo finalmente dare uno sguardo insieme al di fuori di quel “Mainstream” (termine che qui utilizzo in senso più sociologico e d'informazione più che artistico), che secondo me si riduce un po' troppo ad una logica di sfruttamento, parlando anche di chi rifiuta questo sistema? In sintesi, non ti sembra d'interessarti troppo solo a quello che è quotato o sei interessato anche all'arte underground?

JI: Non è la quotazione che determina che cosa sia arte o meno, ma dobbiamo tener conto che anche “l'Antisistema” fa parte del “Sistema”. Quando tu parli di arte Underground io penso a Keith Haring, piuttosto che a Jean Michel Basquiat, come fenomeni degli anni '80. Haring scendeva nelle metropolitane per imbrattarne i muri; ogni tanto veniva inseguito dai poliziotti che, se lo prendevano gli contestavano il suo modo d'agire con tutto quello che ne conseguiva. Però, questo Antisistema, questa denuncia sociale e tutto quello che sta dietro a questo tipo di poetica, per poter arrivare ad un certo livello per essere considerata arte ha dovuto essere trattata in un certo modo. Haring e Basquiat hanno dovuto scendere a compromessi, altrimenti sarebbero rimasti dei semplici graffitari. Invece, i lavori di questi artisti sono stati presentati anche su tela, piuttosto che su altri supporti e sono stati pubblicizzati da mercanti d'arte che sapevano fare il loro lavoro ed hanno fatto fare a questi artisti mostre importanti. Dopo di che hanno presentato le loro opere alle fiere e alle aste; capisci, anche l'Antisistema se poi non viene inglobato nel Sistema non viene considerato da nessuno. L'arte è fatta anche per il pubblico che vuole vedere, apprezzare e capire.

TG: E comprare, aggiungerei io... Ma il sistema assorbe tutto?

JI: Certamente, perché se tu vedi questo Antisistema ha funzionato per gli artisti appena citati, ma anche con tanti altri e ti rendi conto che adesso opere di Keith Haring o di Basquiat costano milioni di euro. Questo non è successo per caso.

TG: Infatti anche il menestrello che contestava il sistema è entrato nel sistema ed è addirittura diventato premio Nobel, anche se non ha ancora risposto all'Accademia svedese...

JI: Non per questo però non gli è stato assegnato il Nobel o le sue canzoni non hanno avuto successo. La musica, come ben tutti sappiamo, rispetto a tutte le arti è sempre in divenire. Nel nostro orecchio c'è una cosa e subito dopo un'altra. La musica non è qualcosa di statico, ma è qualcosa che ha bisogno del tempo per essere fruita; mentre tutte le altre forme d'arte sono un prodotto finito e immutabile nel tempo, a meno che non vadano incontro a deterioramento.

TG: Su questo punto siamo d'accordo. Cosa suggerisci agli artisti undergroud o che non vogliono entrare a far parte del Sistema?

IJ: Per prima cosa l'Antisistema deve avere qualcosa di diverso da esprimere rispetto al Sistema che è la cosa fondamentale, avere un concetto da sostenere. Secondariamente, questo concetto deve essere divulgato. Oggi come oggi, con tutti i mezzi di comunicazione che esistono un Antisistema che rimanga nel suo buco fa ridere...

TG: Capisco, ma per quelli che a tutti i costi vogliono scappare dai mercanti d'arte, parlo di quelle persone come il mio amico Guy De Jong che si sono create il loro piccolo commercio al di fuori dei canali tradizionali, esponendo le proprie opere in modo permanente nei Grand Hotel delle località più prestigiose del Lago di Como ed in altri spazi privati cosa vogliamo dire? Molti artisti che hanno visto bloccarsi le vendite con la crisi sopraggiunta anche nel mercato dell'arte, dopo l'abbattimento delle Twin Towers nel 2001, sono corsi ai ripari a modo loro. Oltre a queste persone che si sono inventate nuovi spazi e nuovi modi di proporsi, parlo anche di quei giovani che organizzano una rete alternativa per vivere certe esperienze, o di coloro che volutamente non vogliono arrivare alla ribalta dei mezzi di comunicazione e di tutti coloro che si ritirano dalla pazza folla in modo più o meno cosciente, tipo Vivian Maier o tanti altri personaggi che hanno lasciato tracce parziali del proprio passaggio o che sono completamente sconosciuti ai nostri occhi, talvolta riemergono dalle spire del tempo e vengono riconosciuti a posteriori come portatori di stile, idee o progresso. Sono anche loro veri artisti?

JI: Non ritengo che l'attentato al World Trade Center di New York nel 2001 abbia influito tanto negativamente sul mondo dell'arte, o almeno non tanto quanto la più recente crisi economica della Lehman Brothers iniziata nel 2008; anche perché in quel periodo le aste di Christie's e di Sotheby's raggiunsero dei record veramente notevoli per i prezzi dei pezzi venduti. L'arte è un bene molto particolare che viaggia con le sue regole e con i suoi metodi. Sicuramente, assistiamo a un ingente calo dei fatturati dovuto a svariati motivi. Questa situazione può essere collegato alla crisi economica, però guardando le cose più da vicino bisogna dire che molto dipende dagli artisti che vengono presi in considerazione. Se non va un filone artistico, ne va un altro: se non va la Transavanguardia va l'Arte Povera; se non va l'Arte Povera va l'Arte Cinetica: c'è sempre qualcosa che resta sotto la luce dei riflettori e nella lista degli oggetti più desiderati. Anche perché molti collezionisti effettuano degli acquisti di getto: quando qualcosa è sulla bocca di tutti c'è sempre chi si lascia prendere dall'entusiasmo, mentre in realtà quando si spendono cifre importanti bisognerebbe valutare ciò che si fa in modo più razionale. Non conosco l'artista che hai citato poc'anzi, ma posso dirti che tutti i mezzi che servono a farsi vedere e a farsi conoscere sono importanti. Il sistema dell'arte è ben codificato, dagli impressionisti in poi. E' a quei tempi che nacque la figura del mercante d'arte. Tutte le figure del mondo dell'arte sono indispensabili e devono fare rete tra di loro per portare ai vertici un artista piuttosto che un altro.


Una figura femminile dipinta da Guy De Jong

TG: Parli sempre di vertici di mercato?

JI: Non solo, è importante essere presenti nei musei più prestigiosi e per farlo c'è bisogno sempre di quelle figure: i mercanti, i galleristi, i giornalisti, i critici, i musei, i cataloghi, le riviste, le aste e internet...

TG: E quelli che vogliono crearsi il loro piccolo mondo? Coloro che si fanno il loro mercatino o che rifiutano i mezzi di comunicazione? Quelli che si nascondono sono artisti o no?

JI: L'arte è un linguaggio, o meglio: un metalinguaggio. Ci sono artisti o correnti che hanno un loro modo d'esprimersi, ma i linguaggi funzionano solo se qualcuno li ascolta. Quello che si fa deve essere visto e rivisto. Per incominciare, va bene il piccolo pubblico del cortile di casa o dell'hotel di lusso, però se ci si ferma soltanto a quegli ambienti è come dici tu, si tratta di un mercatino...

TG: Prendiamo un nome un po' più conosciuto, parliamo di Pordenone Montanari (e qui ancora si fa sempre più forte l'esigenza d'incontrarlo personalmente), lui si rinchiudeva nel suo studio/abitazione del biellese e lì dipingeva tutto felice, fino al momento in cui è arrivato il Marajà delle favole che entrando nella sua casa lo ha portato alla ribalta mondiale con una mostra alla Casa della Cultura di Londra. Montanari è fatto un po' a modo suo ed evidentemente è dotato dello spirito dell'eremita poiché non s'è nemmeno presentato alla mostra. Come vedi, c'è qualcuno che anche se ha la possibilità di farsi conoscere dal mondo rifiuta queste opportunità, anche se non si capisce bene il motivo.

JI: L'artista può anche rifiutare il mondo e tutto ciò che non gli aggrada, l'importante è che ci sia qualcuno, come in questo caso il Rajà Khara e non so se lo fa qualcun altro dopo dopo di lui che faccia questo lavoro. L'importante è che qualcuno parli di questi fatti dell'arte, faccia conoscere l'artista e faccia circolare le opere. Far vedere le opere è fondamentale, poi l'artista può anche ritirarsi sulla cima di qualche montagna, se ama vivere in quel modo... Mentre le opere vanno portate in giro per mostre, fiere e altri luoghi. I cataloghi vanno pubblicati, le aste vanno fatte e tutto il lavoro sull'artista deve continuare a essere fatto. Se l'artista non si occupa di queste cose è molto meglio: l'artista deve occupare la sua vita a fare arte, non a fare mercato. Ognuno deve fare il proprio mestiere, questo è quanto ritengo vada fatto per supportare nel modo giusto un nome che aspiri a trovare una sua collocazione nel mondo dell'arte contemporanea.


Due donne dipinte da Pordenone Montanari

TG: Quindi anche gli "Outsider" possono entrare nel sistema dell'arte?

JI: Sì, possono farlo, ma ci vuole qualcuno che li faccia entrare, li sorregga ed investa dei soldi in modo costante. Questo è un percorso facile per chi ha alle spalle una vera storia artistica, per chi ha già fatto mostre importanti, per chi ha esposto alla Biennale di Venezia, a "documenta Kassel" ed ha esposto nelle gallerie famose negli anni giusti che possono essere gli anni '60 o '70 per artisti che adesso sono intorno ai 70 anni. C'è qualche gallerista che prova a riscoprire dei talenti di artisti che oggi sono anziani, però devono aver già fatto qualcosa d'interessante durante la loro vita. Un altro metodo è quello di promuovere i giovani, nel caso i galleristi riescano ad avere l'esclusiva di tutta la produzione e riuscire a gestire la parte commerciale dell'artista.

TG: Il mio caro amico Federico De Leonardis dice instancabilmente che 40 – 50 anni fa, a Milano c'erano 10 gallerie d'arte, mentre adesso ce ne sono 1000. Il livello degli artisti però s'è molto abbassato e non è possibile che oggi tutti si proclamino artisti. Come valuti tu questa esplosione di “arte”?

JI: Sicuramente, un tempo c'erano molte meno gallerie e meno artisti. Oggi tra tutta l'offerta artistica, quante sono le gallerie vere ed i veri artisti? De Leonardis ha ragione, i veri artisti sono molto pochi. Il numero di quelli effettivamente validi che hanno cose da dire è molto limitato. Tutti sono liberi di provare a fare l'artista, tutti sono liberi di aprire uno spazio e vendere dei quadri, ma dopo, a seconda dei mezzi e delle conoscenze il risultato sperato può non arrivare. Non dimentichiamoci che l'arte è un prodotto culturale, l'opera deve trovare una sua collocazione sia a livello commerciale (per questo la definiamo prodotto) che culturale.

TG: L'inflazione di arte, artisti e galleristi può portare ad una caduta dei prezzi? O ad una svalutazione di chi vale veramente?

JI: No, questo non penso. Il sistema è ormai molto rodato e va avanti per conto suo; è vero che ci possono essere delle mode o un forte apporto dell'artigianato. Tanti artisti oggi, ma già fin da 40 anni fa, non realizzano le opere in prima persona, ma trovano qualcun altro che le fa al posto loro. Per un certo tipo d'arte loro fanno un progetto e poi l'artigiano, che magari manualmente è più abile dell'artista, o di certi artisti, realizza l'opera. La tecnica è fondamentale, perché è indispensabile che ci sia qualcuno che la conosca, però l'opera d'arte nasce sempre da un concetto. Certo, l'artista dovrebbe, nel suo progetto, specificare come realizzarla...

TG: Va bene, ma a questo punto io prendo un concetto già espresso da qualcun altro, lo realizzo da solo e così mi costa un millesimo o ancora meno del suo valore originale ed ho a disposizione un oggetto che soddisfa anche la mia smania di possesso o di esibizionismo... Comunque sia, la mia realizzazione non ha nulla da invidiare all'originale che tanto non è opera dell'artista, ma di un artigiano...

JI: Beh, ma se tu quello che realizzi è già stato fatto...

TG: A parte che tutto è già stato fatto, anche se magari non in forma d'arte, però tutti gli artisti realizzano dei lavori in forma seriale. Un concetto viene espresso in una serie di lavori. Fontana mica ha tagliato solo una tela, ne ha tagliate tante, sì, magari di dimensione diverse o in temi diversi, ma il concetto è sempre quello...

JI: Questo è vero, le opere sono diverse, ma il concetto è unico. In questo senso hai ragione. Ne bastava uno, ma commercialmente la cosa non avrebbe avuto senso.

TG: A questo punto mi prendo una tela, la taglio da solo, in casa mia e risparmio. E' sempre arte. O no?

JI: Sicuramente, però il tuo taglio non varrà mai nulla. Perché Fontana ha fatto tanti tagli?

TG: Per venderli!

JI: Sì, ok, sicuramente... (ridiamo). Quello è fondamentale se ce n'è uno solo, lo tieni tu ed è finita la storia. Il mercato è finito. Invece serve fare lavori leggermente diversi tra loro, per questo si fanno su fondo bianco, su fondo giallo, su fondo nero e via così. Fai un taglio, ne fai due, ne fai tre, i tagli parlano tra di loro, hanno una correlazione con il taglio singolo, ma il concetto rimane sempre uno.

TG: Esatto! Se fai solo un'opera non puoi diventare un'artista perché il tuo lavoro non può circolare perché si riduce ad un pezzo troppo unico e l'arte così è sempre un bluff.

JI: Ma perché dici che è un bluff? L'arte funziona così!

TG: Ho capito, ma allora me la faccio da solo, non ho bisogno di buttar via soldi. O far regali ai galleristi. Da quello che mi ricordo anche Victor Vasarely vendeva delle scatole di montaggio con scritto: costruisci il tuo Vasarely. Ti insegnava a posizionare le varie tesserine e se rispettavi le istruzioni poi usciva fuori il tuo bel Vasarely.

JI: Il Vasarely firmato da lui però ha un altro valore...

TG: Allora quello che vale è la firma?

JI: La firma è sempre la cosa più importante. Spesso si paga la firma, tanto è vero che molti collezionisti comprano solo la firma senza andare a vedere, all'interno di quell'artista di comprare un'opera veramente significativa. Non solo perché è firmato Vasarely, perché ci sono cose eccelse ed altre assolutamente scadenti fatte dallo stesso artista.

TG: Per questo motivo ci sono artisti che a distanza di 40 anni rifanno opere completamente nuove rivendendole come vecchie? E' solo una questione di firma? Mi vengono in mente opere che tu conosci molto bene di arte Ottica Cinetica che sono fatte di certi materiali che dovrebbero ossidarsi, opacizzarsi, ingiallire o invecchiare, invece caspita, si vede che sono nuove di trinca...

JI: Tu devi tenere presente che l'artista da giovane, come tutti gli artisti, non è quotato, vende poco, nessuno lo conosce, ha fatto poche mostre, chi può trovare disposto ad investire qualcosa in lui?

TG: Pochi.

JI: Quando l'artista diventa anziano, ha conosciuto il mercato e s'è fatto furbo, magari sono passati 50 anni, se c'è qualcuno che giustamente ne vuole approfittare. Se in seguito vede che c'è richiesta del suo lavoro, che da giovane non ha sviluppato tanto perché non c'era richiesta, allora rifà qualche opera ex-novo.

TG: Ah, sì, magari le rifà anche meglio di una volta (ride)...

JI: Beh sì, meglio, ben fatte ed in tutte le dimensioni che vogliono...

TG: Eh certo, se deve rifarle, almeno le rifà su misura...

JI: Non è assolutamente etico comportarsi in questo modo, ma so che alcuni artisti effettivamente si comportano così, anche su richiesta dei galleristi.

TG: Altri artisti invece hanno catalogato tutto fin da giovani e non è possibile che possano fare operazioni di questo tipo, bisogna capire bene a chi rivolgersi.

JI: Certo è vero. Se conosci precisamente tutte le opere non ci sono possibilità di fare delle retrodatazioni.

TG: Non voglio aver ragione a tutti i costi, ma se tu mi dici che l'arte è il mercato io allora posso controbattere che l'arte non è etica.

JI: In tutti i campi ci sono i disonesti: alcuni artisti hanno un'etica, altri meno. Dipende dal collezionista saper scegliere quelli che hanno fatto i lavori nel momento giusto, da quelli che non hanno fatto così.

TG: Mi sembra che tu difenda troppo certi personaggi... Tu parli di concetti, di originalità e via dicendo: tu sai benissimo che a me non piace Cattelan che si spaccia per essere un innovatore che esprime concetti nuovi, però se ripensiamo ad un'opera come i cavalli imbalsamati che ha portato a Basilea nel 2013, ci accorgiamo che ci fu un'installazione di Jannis Kounellis nel 1969 alla Galleria Attico di Roma in cui vennero portati dei cavalli vivi in esposizione. Pino Pascali invece, nel 1966, inserì la coda di un delfino in un muro. Non ti sembra che Cattelan abbia unito insieme queste opere del passato per tornare a cercare di fare sensazione?

JI: Sì, effettivamente Cattelan nel 2013 mise insieme le opere di cui tu parli. Ha preso 5 cavalli imbalsamati per piazzarli dentro ad un muro. Non si vede la testa, ma il resto degli animali fuoriesce dal muro, sospeso nella stanza. Ha fatto un mix delle opere di Kounellis e Pascali.

TG: Cattelan è un artista che ha studiato. Vogliamo metterla così?

JI: Cattelan ha studiato molto bene la storia dell'arte moderna e contemporanea, certamente. Quel suo lavoro, però può anche essere visto come una citazione delle opere degli artisti degli anni '60.

TG: Che utilità c'è nel fare cose che sono già state fatte da artisti molto più bravi in passato?

JI: Io non contesterei tanto quello che fa Cattelan, ma le sue quotazioni, rispetto a quelle di Kounellis e Pascali. 17 milioni di dollari per un feticcio di Hitler tirato in 3 esemplari effettivamente mi sembrano troppi. A questa stregua, quanto dovrebbero costare i lavori di Kounellis e Pascali?

TG: Bisognerebbe capire bene chi o cosa c'è dietro Cattelan, un artista vivente che può fare il bello ed il cattivo tempo.

JI: Eh sì, sarebbe interessante capirlo, anche a me sembra strano che con un'unica aggiudicazione il valore delle sue opere sia passato improvvisamente dai 2 ai 17 milioni di dollari. Ognuno tragga le sue conclusioni.

TG: Jeff Koons e Damien Hirst non avevano visto ridursi le loro quotazioni?

JI: Sì, ma anche lo stesso Cattelan era calato, prima di ripartire alla grande. Probabilmente e anche giustamente, normalmente il collezionista preferisce indirizzarsi verso opere già storicizzate di artisti che sono in tutti i musei ed in tutti i libri di testo.

TG: Indubbiamente dev'essere una bella soddisfazione avere in casa propria qualcosa che è stato nelle maggiori gallerie mondiali, nelle mostre più importanti e sui libri di testo.

JI: E' bello quando il collezionista organizza la propria collezione come un museo che poi è lo stesso discorso che fa il direttore di un museo che va a comprare le opere più significative del periodo giusto di ogni artista. Bisogna fare un'attenta selezione. Non bisogna comprare tanti nomi per avere tante opere, ma a seconda della propria disponibilità economica bisogna comprare le opere giuste degli artisti giusti.

TG: Quali sono i nomi giusti da comprare?

JI: Mi spiace, ma non trovo giusto che tu mi faccia questa domanda.

TG: Allora perché mi spieghi queste cose Joe?

JI: Caro Tony, io ti spiego queste cose perché ritengo che più il collezionista sia informato e aggiornato, sia dal punto di vista del mercato che dal punto di vista concettuale e storico, parlando di quello che è stato prodotto, perché e in che quantità, possa meglio scegliere cosa collezionare e verso quali artisti rivolversi. Conoscere i meccanismi del mercato e della produzione dell'opera d'arte, incluse le tecniche a cui si ricorre, che spesso tu ci illustri, insieme ai vari passaggi della carriera di un artista porta il collezionista a muoversi con competenza in modo informato, evitando di lasciarsi guidare solo dall'emozione del momento.

TG: Secondo te ci possono essere degli appassionati che non vogliono diventare collezionisti? Magari desiderano solo una certa opera di un artista e poi una volta soddisfatto il loro “sfizio” si accontentano di quello e basta? O solo i collezionisti creano il mercato?

JI: Come al solito, tutto dipende dal prezzo. Se si parla di 100 euro, 1000 euro o di alcuni milioni di euro tutto cambia. Ad ogni modo, quando qualcuno inizia a comprare arte è difficile che poi si fermi, sempre che abbia le disponibilità per alimentare questa passione...

Una serigrafia di Victor Vasarely

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