L'ideatore della Milan Image Art Fair, Fabio Castelli, è un uomo che, andando contro ogni aspettativa, in un momento economicamente poco propizio, sta riscuotendo con la sua manifestazione fieristica un buon risultato. Sia a livello di partecipazione degli addetti ai lavori che di pubblico. In molti non sono riusciti a spiegarsi il successo della sua formula espositiva e le motivazioni che l'hanno spinto a spostare gli interessi delle sue attività imprenditoriali verso il mondo del collezionismo fotografico. Ho ritenuto importante scambiare quattro chiacchiere con lui e porre al dottor Fabio Castelli delle domande mirate a comprendere meglio la sua storia.
Tony Graffio intervista Fabio Castelli
TG: Dottor Castelli, mi vuol raccontare come inizia la sua storia di collezionista?
Fabio Castelli: La mia storia di collezionista inizia da molto lontano e con delle evoluzioni molto precise che fanno parte della storia della mia vita.
La mia passione per l'arte, in generale, nasce quando io avevo 20 anni ed è stata sempre parallela ad ogni attività in cui io sono stato imprenditore. L'arte per me è stata sempre molto importante e mi ha supportato dandomi l'energia anche per tutte le altre attività lavorative.
Ho avuto la fortuna, se vogliamo, dal 2000 in poi di fare una seconda vita, perché prima, come dicevo, facevo altre cose.
TG: Di cosa s'occupava esattamente?
Fabio Castelli: Avevo un'attività nel campo della siderurgia speciale e nel campo dell'informatica. Avevo delle aziende e svolgevo un'attività imprenditoriale. Con questa esperienza, insieme alla mia passione per la fotografia, oltre che a una certa conoscenza dell'argomento trattato, per il quale mi tenevo sempre aggiornato, sono riuscito a mettere in piedi questa cosa che ha visitato anche lei in questi giorni.
La Fiera MIA è nata 5 anni fa, in un momento di crisi in cui, se avessi dovuto scegliere a tavolino, sarebbe stata un'impresa molto improbabile. Penso che tutte le leggi della logica mi avrebbero impedito d'affrontare un'iniziativa così, come quella alla quale poi ho dato vita che poi è andata molto bene. Cosa che capita di solito quando ci si butta di slancio, di cuore con passione, senza pensarci ed alla fine sono andato molto bene.
TG: Io vorrei capire meglio come s'è conclusa la sua precedente attività industriale, ci sono stati dei problemi?
Fabio Castelli: No, è andato tutto benissimo, alla fine ho venduto ad un grosso gruppo imprenditoriale francese ed ho fatto il consigliere delegato per quell'azienda. Ho messo insieme il mio gruppo di aziende italiane con questo gruppo francese, in Italia.
TG: Quindi poi si è stancato di quell'ambiente?
Fabio Castelli: No, no, non mi sono stancato, sono accadute delle serie di cose e dopo quel tipo d'attività, anche perché ho avuto un problema con un'azienda che ho dismesso, ho deciso di cambiare completamente atteggiamento nei confronti della vita che mi aveva dato già molte cose. Ho deciso di seguire la mia passione che è stata questa, pur se era partita con una serie di cose diverse. Avevo aperto anche una galleria d'arte che si chiamava: " Fotografia italiana" che avevo impostato con una persona che si chiama Nicoletta Rusconi. Lei si occupava delle questioni commerciali, mentre io curavo la direzione artistica. Quando Nicoletta ha voluto ampliare i suoi interessi andando oltre la fotografia ed occupandosi anche di arte contemporanea, i nostri percorsi si sono divisi, com'era giusto che fosse. Con il massimo accordo. Dopo circa 5-6 anni, ho intrapreso l'attività di MIA che è iniziata, nella sua prima edizione, nel 2011.
TG: Lei era collezionista anche di altre forme d'arte?
Fabio Castelli: Sì, il mio interesse per l'arte s'intreccia in diverse collezioni, a vent'anni ho iniziato con l'arte contemporanea d'allora, di artisti giovanissimi che costavano molto poco, poi ho continuato con l'arte contemporanea.
TG: Può farmi qualche nome di artisti da lei collezionati?
Fabio Castelli: Sì, sì, ho un ricordo preciso di Pino Tamburello perché una notte tornavo a casa e lui si trovava con la sua macchina piena di quadri parcheggiata davanti al mio portone. Erano circa le due di notte gli chiesi se voleva una mano a scaricare la macchina, poi abbiamo parlato, mi ha offerto un bicchiere di vino, ho visto i suoi lavori e mi sono piaciuti. Il giorno dopo avevo preso lo stipendio, sono tornato da lui ed ho comprato la mia prima opera. Da lì è nata la passione ed ho iniziato a collezionare altre cose.
Poi studiando, andando nei musei, seguendo le aste, ho affinato il mio gusto.
In quel periodo c'era Crippa, Dovera, Matta, poi volevo delle opere ancora più importanti, ma non avevo finanze per entrare in quel mondo lì, pur restando alla ricerca della grande qualità.
Allora ho cambiato supporto, son passato alla grafica e mi son permesso il massimo assoluto delle opere di questo tipo. Purtroppo la grafica non è mai stata capita in Italia, ma è un ottimo mezzo espressivo, anche se devo dire che qui la grafica è sempre stata vista come l'ancella delle altre forme d'arte.
TG: Non la si apprezzava perché era disegnata su carta?
Fabio Castelli: In parte sì, ma forse perché era considerata un sotto-prodotto e gli artisti stessi la consideravano così. A parte qualche illuminato, tipo Morandi, di cui avevo acquistato ovviamente delle cose bellissime, perché costavano le cinquantamila lire o le centomila lire d'allora ed erano il massimo della qualità della grafica d'allora.
Viviani era un altro grande grafico; Guttuso, Cascella, facevano della grafica un sotto-prodotto artistico. Ciò nonostante io ho fatto una collezione importante di grafica, dagli incunaboli in poi, perché per me l'arte è sempre stato un modo per conoscere e per accrescere la mia esperienza di vita.
TG: Perché gli incunaboli?
Fabio Castelli: Perché ho sentito il bisogno d'andare agli inizi della storia dell'arte ed agli inizi della storia della stampa. E quindi dei grandi: Dürer, Rembrandt, Schongauer, fino ai contemporanei.
Questo tipo di percorso è stato per me importante perché è stato fortemente formativo, dal punto di vista culturale.
Nel campo della grafica, cercavo il meglio di come l'autore s'era cimentato nei vari tipi di tecniche e di supporto.
Per esempio, l'espressionista tedesco ha comunicato la sua arte in modo straordinario attraverso la xilografia. Quel segno grosso sul legno era molto coerente al suo linguaggio.
La xilografia m'ha attratto e ho voluto indagare anche nel campo della xilografia giapponese scoprendo un altro mondo meraviglioso, quello dell'Ukiyo e, un periodo storico straordinario che ha dato modo di creare i capolavori di Hokusai, Utamara, Sharaku e altri. Da lì, mi sono collegato al mondo del Liberty perché il Déco prendeva dal gusto giapponese. Mi sono interessato ai vetri francesi come i Gallé ed alle altre produzioni di quel periodo. Contemporaneamente, rimanendo nel mondo giapponese m'interessavo alle lacche, poi, facendo arti marziali, mi piacevano le katane, le else delle katane e tutto quello che aveva a che fare con quel modo d'esprimersi attraverso l'arte applicata.
Arrivato alla scuola di Barbizon, Corot eccetera, una delle tecniche da loro più utilizzate era il cliché verre, una lastra di vetro annerita con il nero fumo, su cui l'artista disegnando, toglieva il nero fumo, o l'inchiostro, per mettere questa lastra di vetro su carta fotosensibile e ottenere una stampa di linee nere su carta fotografica.
L'uso del segno grafico con la carta sensibile era per me il primo approccio alla fotografia.
Da lì sono ripartito, come dagli incunaboli ed ho iniziato a raccogliere daguerrotipi, talbotipi eccetera, fino al contemporaneo.
Un ritratto di Fabio Castelli estrapolato da un frame della JVC Picsio GM FN1 durante la registrazione dell'intervista. Elaborazione dell'immagine in post produzione con PS
TG: Chi è veramente un collezionista? Un appassionato, o uno speculatore? E nel suo caso?
Fabio Castelli: Il ruolo del collezionista dovrebbe essere salvifico perché dovrebbe mantenere unita una collezione e anche manutenere le opere per passarle poi ai posteri.
Dalla mia passione per l'arte è nata la MIA Fair, certamente, tenendo di conto un discorso economico; ma lei sa spiegarmi come si potrebbe tenere in piedi una manifestazione di questo genere, se non fossi appunto attento all'economia? Non da speculatore, ma per farla vivere. Non sono un mecenate che può permettersi di regalare, mi interessa dare vita a qualcosa che sia culturalmente valido ed importante. Per la città e per la gente. Devo trovare delle risorse per permettere al pubblico d'imparare delle cose, di divertirsi.
Questo fatto d'essere sempre aggredito su questi argomenti, con questa forma ti dà motivo d'essere sfuggente perché soffri, perché ti trovi di fronte a dei pareri che sono talmente lontani dai tuoi sentimenti che ti dispiace molto. Ha capito?
TG: Ho capito.
Fabio Castelli: Questa è la logica, perché quando si riesce a parlare, normalmente si riesce a far capire come si è. Ma è talmente raro ed il rischio che si corre è talmente elevato che ci si sottrae.
TG: Infatti, è per quello che ho preferito chiedere al diretto interessato ciò che pensa di certe cose e qual'è la sua vera storia. Mi rendo conto che non è il caso di parlare per sentito dire...
Fabio Castelli: Purtroppo, può esistere anche della gelosia da parte di altri collezionisti che riportano cose non vere, magari inventandosi che qualcuno per fare certe operazioni abbia dovuto vendere tutto, quando in realtà non è così.
Se io ho venduto delle cose, perché effettivamente avevo un'azienda che non andava bene è stato per pagare tutti, fino all'ultimo centesimo e non lasciare debiti. Prendendo anche delle cose che avevo da tempo e sacrificandole con grande fatica.
Mi dispiace per i detrattori, io oggi il discorso del possesso l'ho superato totalmente, se vuole ne possiamo parlare, anche dal punto di vista filosofico, è un argomento interessante, cosa vuol dire possedere?
E' un po' come una donna, uno crede di poterla possedere?
TG: Sì, vero, vorrei capire anche un'altra cosa. Per lei, la tecnica che importanza ha nell'arte?
Fabio Castelli: (Pausa) Molto poca, nel senso che la cosa più importante è il risultato, per cui, se parliamo di fotografia, dove c'è la gente che inizia a chiederti che obiettivo hai usato e cose così, io so che anche col telefonino si possono fare delle opere d'arte straordinarie, quindi il problema sta nella testa.
La ragione per cui qui c'è anche Nikon che è il mio sponsor è che io m'invento per ogni azienda il motivo per il quale deve venire qui a darmi dei quattrini.
Io devo organizzare qualcosa che serva per la loro comunicazione. A Nikon ho detto:" piantatela di fare workshop sulla tecnica, fate qualcosa che spieghi come bisogna pensare. Sulla progettualità, non tanto da una macchina da 16 milioni di pixel a una di 20, non cambia nulla, non è quello il punto. Il punto è come tu t'approcci. E piantala di fare la fotografia dell'ombra, del riflesso, della mamma, o del tramonto. La macchina fotografica serve per portare avanti dei contenuti importanti sul profilo esistenziale che servono a te e servono agli altri."
TG: Andando un po' più nello specifico della fiera invece, so che parecchi galleristi si sono lamentati del fatto di poter portare qui un solo autore per stand. Potrebbe spiegarmi questa scelta?
Fabio Castelli: Lei si riferisce al one man show. Perché ho fatto questo?
Adesso è molto difficile trovare espositori perché i galleristi che vengono qua con un solo autore sono pochi, io però volevo alzare qualitativamente il livello dell'esposizione e dare al pubblico la possibilità di capire un autore. E un autore lo capisci se vedi 10 o 12 sue opere, non una sola. Se vedi una sola immagine per autore, la fiera diventa un "mercatone".
Tutti gli anni è stato così e per ogni stand ho fatto un catalogo; adesso invece ci sono cose diverse (mi mostra le cartoline multimediali). Non stampiamo più un catalogo cartaceo, ma proponiamo un certo numero di cartoline che si collegano ad un sito e si scaricano 8 pagine di catalogo, portando con sé a casa soltanto una cartolina come pro-memoria di ciò che s'è visto in fiera e di quello che interessa.
Quest'anno, per Expo, abbiamo dato la possibilità, a chi voleva farlo, ai galleristi, di portare più autori su un tema affrontato proprio da Expo, in modo così da alleggerire l'impegno economico e facilitare a loro le cose. Molti hanno proposto temi legati al cibo, ma c'era anche il tema del nutrimento e la cultura femminile, l'energia per la vita e altre questioni. Ci sono degli stand progetto Expo, ma non ne vede tanti, questa era una scusa per permettere ai galleristi di presentare più autori.
Katsushita Hokusai 1760-1849 Papaveri
(Xilogravure a colori)
Considerazioni personali
Da quanto ha detto Castelli emerge che avere delle competenze culturali in campo artistico possa avere delle ripercussioni positive anche in altri settori. Conoscere la storia dell'arte, saper analizzare un'immagine ed i suoi significati, seguire i propri interessi e le proprie passioni può portare a ragionare in modo da anticipare certe tendenze e sviluppare certi mercati.
La cultura e l'arte possono diventare un'attività redditizia, ma bisogna effettuare investimenti importanti.
Sicuramente, è fondamentale anche creare una rete di relazioni capace di promuovere degli scambi economici e di marketing con coloro che contano ed hanno voce in capitolo in città ed altrove, per diffondere le campagne pubblicitarie più importanti.
E' fuor di dubbio che per Milano il 2015 debba essere a tutti i costi l'anno di Expo.
Aver voluto inserire nelle fotografie della MIA gli argomenti che verranno trattati durante i sei mesi dell'esposizione universale, significa strizzare l'occhio in modo un po' sfacciato nei confronti di una manifestazione che, per ora, ha fatto parlare di sé soltanto per gli scandali legati alla corruzione, alla mala-gestione dell'evento ed ai gravi ritardi per la costruzione del sito che accoglierà la grande Fiera di Rho.
Il cibo non è propriamente un soggetto fotogenico, averlo voluto inserire forzosamente nelle gallerie d'arte può essere una manovra discutibile ed anche le immagini di questo tipo che ho visto nel padiglione espositivo della nuova Mall milanese, devo dire che non mi hanno molto esaltato.
Il livello della manifestazione è comunque stato superiore agli appuntamenti degli anni precedenti, probabilmente Castelli ha ragione quando dice che approfondire la conoscenza di un autore eleva la qualità delle opere esposte.
Essere sotto le luci della ribalta può essere faticoso perché, inevitabilmente, attira qualche critica, però la MIA, pur essendo una manifestazione ancora giovane, sta contribuendo non poco a far aumentare la considerazione di Milano come capitale italiana della fotografia, dell'arte e, speriamo, anche della cultura.
Tanti auguri a Castelli ed alla MIA ed arrivederci all'anno prossimo. T.G.