Tony Graffio è andato a
trovare Felix Bielser, in via Aristotele 67 a Milano, un
imprenditore che rilevando l'attività del padre Karl prosegue il
commercio di un'impresa da 70 anni nel settore fotografico rifornendo
con pellicole, carte, chimici e altre attrezzature tutti gli
appassionati ed i professionisti che scelgono d'utilizzare i prodotti
della fotografia tradizionale.
Tony Graffio: Ciao Felix,
potresti spiegarmi come è nata la vostra attività di famiglia?
Felix Bielser:
Certamente Tony. Noi siamo cittadini svizzeri, mio padre era già in
Italia prima della guerra, nel periodo bellico è rientrato in
Svizzera per il servizio militare, ma nel dopoguerra è tornato qui a
Milano per trattare materiale fotografico perché un'industria
svizzera, la Tellko (fabbrica di materiale fotosensibile bianco e nero), acquistata dopo qualche anno dalla Ciba diede vita alla Ciba Photochimica e chiese a mio padre di rappresentarli in
Italia. E' stato lui a fondare quel settore fotochimico che divenne
poi la Ilford in Italia. Mio padre nacque nel 1917 vicino a Basilea,
era il maggiore di 6 fratelli e sorelle ed è stato l'unico tra loro
che ha avuto l'opportunità di poter studiare all'estero. Prima è
andato in Svizzera francese, poi s'è trasferito in Francia e dopo in
Italia, chiamato da una ditta di Abbiategrasso che produceva un
metallo in fogli simile all'oro, utilizzato per la doratura ed altre
lavorazioni. Si può dire che probabilmente essendoci un'affinità
tra oro ed argento, forse è per questo che s'è trovato poi nel
settore fotografico.
TG: Ho capito, e come è
capitato che poi Karl Bielser ha aperto il primo negozio?
FB: Il primo punto
vendita aperto ai fotografi, qui a Milano, risale alla seconda metà
degli anni '50 ed era in via Parini, vicino a Piazza della
Repubblica, siamo stati lì fino agli anni '80. Quella era una zona
molto importante perché c'era tutta l'editoria dell'informazione si
trovava nel palazzo di Piazza Cavour, poco distante in via Solferino
c'era il Corriere della Sera e nei dintorni delle sedi dei quotidiani
c'erano tantissime agenzie e fotografi attivi nel settore editoriale.
Abbiamo avuto anche un negozio da quelle parti, fino al 2000, poi ci
siamo trasferiti qua con il magazzino all'ingrosso nel 1998. La moglie Edith, dal 1954 è stata garante della filosofia dell'azienda, insieme a mia sorella Ursula.
TG: Tu hai iniziato
subito con tuo padre?
FB: Io ho studiato qui a
Milano, poi ho fatto il mio tirocinio in Svizzera, ma io sono nato in
questo settore. Ho iniziato a lavorare nell'impresa di famiglia nel
1979, a 21 anni. Dopo qualche anno mio padre mi ha ceduto l'attività,
all'interno di questa impresa a carattere familiare c'erano anche mia
madre e una o due sorelle. L'anno dopo che è mancato mio padre (1998), da
via Parini e via Fatebenesorelle, ci siamo trasferiti qui in via
Aristotele. Adesso lavoro con mia sorella Yvonne. Nel 2011 scompare anche mia madre, Edith Marie Elsa Bieseler, ma per noi l'avventura continua e dall'anno scorso
sembrerebbe che il settore analogico, che io preferisco chiamare
argentico, stia ritrovando una sua seconda giovinezza. Per questo sto
cercando di farmi affiancare da collaboratori che mi aiutino ad
allargare la proposta non solo dei prodotti, ma anche dei servizi.
Verso fine mese, faremo partire una linea di sviluppo colore C41 con
un mini-lab perché in una città come Milano che ha ancora molto da
dire a livello fotografico, ormai i laboratori di sviluppo e stampa
tradizionale che lavorano in modo professionale sono diventati troppo
pochi per soddisfare le richieste del mercato.
TG: Svilupperete solo il
35 mm o anche altri formati?
FB: Ci saranno
sicuramente una linea di sviluppo per il 35mm ed una per il 120,
sperando in un futuro non troppo lontano di completare l'offerta dei
nostri servizi, sia per le tipologie dei trattamenti, ma anche dei
formati, arrivando a sviluppare il 4X5 e l'8X10.
TG: Felix io ricordo
d'averti conosciuto proprio nel momento in cui voi siete trasferiti
qui in via Aristotele, quello è stato il momento critico per la
fotografia argentica, come avete fatto ad uscirne fuori?
FB: Esatto, noi abbiamo
fatto il grande passo proprio allora; siamo venuti qui perché si
avevano già dei sentori di quello che sarebbe potuto accadere con
l'avvento del digitale, però in quel periodo il digitale non la
faceva ancora da padrone, anche se noi abbiamo sofferto per almeno
4-5 anni lottando per sopavvivere. Questo bisogna dirlo.
TG: Però, oggi hanno
chiuso quasi tutti e voi siete ancora qui a lavorare...
FB: Esatto, vuol dire che
nel mio piccolo, in parte ho avuto ragione. Io ho sempre affermato
che il digitale poteva essere un arricchimento se fosse stato seguito
con lo stesso impegno e lo stesso scrupolo, come si era abituati a
fare con l'analogico. Bisognava partire dal presupposto che cambiava
il media, ma tutto il resto della filiera avrebbe dovuto
restare, dalla stampa a tutto quello che veniva dopo lo scatto.
Invece, ciò che ha fatto quasi scomparire la fotografia argentica è
stata proprio l'assenza dell'abitudine di stampare le immagini
ottenute con le nuove tecnologie. Da un giorno all'altro la gente ha
smesso di stampare e far stampare le proprie fotografie. Un tempo
anche il fotoamatore portava i propri scatti al mini-lab per farli
sviluppare e stampare, in modo continuo. La fotocamera digitale,
anche per colpa delle grandi aziende che non hanno fatto abbastanza
promozione e educazione all'uso del nuovo mezzo dicendo alla propria
clientela che la fotografia è il supporto sul quale si osserva
l'immagine, non il file.
La responsabilità non è
solo di Kodak, Agfa, Fuji e dei vari produttori di pellicole, ma
anche di chi fabbrica fotocamere: Nikon, Canon e via di seguito,
perché tutti hanno espresso il loro entusiasmo verso il digitale
pensando che la gente avrebbe scattato di più. Effettivamente è
stato così, ma lo scatto non ha avuto alcun seguito e tutto è
rimasto confinato all'interno delle schede di memoria e degli
hard-disk. Abbiamo assistito allo sviluppo dei social netwok:
Twitter, Flicker, Facebook. Adesso sono tutti fotografi, ma nessuno
ha in mano nulla. E' tutto virtuale, è tutto di tutti e niente di
nessuno. In tre o quattro anni questa situazione ha distrutto un
settore. Ci sono stati molti fallimenti, ha iniziato Ilford, poi a
ruota hanno seguito la stessa sorte Agfa e Kodak. Tutte queste ditte
sono in parte rinate, ma molto ridimensionate. Fuji ha sempre avuto
la fortuna d'avere un piede in molte scarpe perciò, se non tirava un
settore tirava l'altro e per questo ha risentito meno della crisi.
Oggi invece sono in crisi i produttori di macchine fotografiche. Nikon
ed Canon non se la stanno passando benissimo, Minolta è stata
acquistata da Sony, Pentax da Ricoh, c'è stato un rimescolamento
incredibile. Dopo il 2000, il lavoro dei laboratori di sviluppo è
stampa è crollato dell'80% e di conseguenza hanno chiuso 8
laboratori su 10.
Questa moria è
continuata ed in piccola parte sta continuandoo anche adesso. Non ci
sono più le grandi realtà che conoscevamo 20 anni fa. In Italia
c'erano almno una ventina di cosiddetti Photo-Finisher che
erano struuture con almeno 100 dipendenti impiegate all'interno di
ognuna di esse e non so quante macchine sviluppatrici e stampatrici.
Questa realtà è stata spazzata via dal digitale. Noi possiamo
discutere su tante cose, ma indubbiamente questa è la realtà
economica di quello che è successo.
TG:
Esistono ancora gli importatori, i grossisti ed i negozi di
fotografia?
FB:
Anche queste categorie hanno chiuso perché chi s'è convertito
completamente al digitale non è riuscito a dare quel valore aggiunto
di consulenza, servizi ed altro. Essendo gli utili sempre più
risicati e facendosi sempre più largo la realtà degli acquisti su
internet, molte realtà commerciali sparivano. Non essendoci più una
consulenza nei confronti della clientela, solo il prezzo fa la
differenza. S'è perso il rapporto con la clientela che non trovando
un dialogo col negoziante s'è rivolta verso altre categorie di
venditori. Inoltre, le aziende produttrici hanno limitato gli utili
dei venditori al dettaglio.
Molti
negozi storici hanno chiuso, l'ultimo è forse Centro Foto-Cine in
piazza Argentina che ha chiuso qualche mese fa.
Noi
di PFG abbiamo fatto una scelta diversa, anche perché a me il
digitale proprio non piace, io sono nato con le mani dentro lo
sviluppo e cerco di portare avanti questa abitudine. La mia
impressione era che una tecnica fotografica così importante non
poteva morire in quel modo. Non si deve lasciar morire niente senza
combattere. Inoltre, s'è visto nella storia, che ci sono state
tecnologie soppiantate completamente, ma in linea di massima, se
guardiamo al cinema o alla musica, o nella fotografia, difficilmente
qualcosa scompare completamente. Per un'azienda di piccole dimensioni
come la nostra e concepita in un certo modo, a conduzione familiare,
valeva la pena di combattere ed è quello che abbiamo fatto e sembra
che questo tentativo sia riuscito.
TG:
I telefonini stanno ulteriormente distruggendo il comparto fotografico?
FB:
In parte sì, il vero appassionato usa ancora la reflex con gli
obiettivi intercambiabili e tutto il resto, ma se guardiamo il
settore dell'uomo della strada scopriamo che coloro che fanno un
viaggio e scattano delle fotografie per portarsi a casa qualche ricordo,
visto che non si stampa, per quale motivo dovrebbero scegliere una
compatta anziché uno smartphone?
Praticamente nessuno. O hai delle aspettative e vuoi realizzare delle
stampe, e presentare le tue fotografie a qualcuno, ma per come è andata a finire l'esigenza di fotografare, il telefonino
la fa da padrone.
TG:
E' però un assurdo, io ho provato ad aprire delle riviste di 50 anni
fa e guardare come erano stampate e quelle poche riviste di oggi che
ancora si vendono, quelle che si sono salvate, perché se è vero che
la gente non stampa più è anche vero che legge pochissimo. Mi sono
accorto che la qualità di stampa digitale da fotografie digitale,
specie se a colori, è straordinaria. E' il colmo che proprio adesso
che c'è la possibilità di stampare ad una qualità elevatissima,
nessuno, o almeno, pochi, lo vogliano fare...
FB:
Lo so, è vero, ma quando la gente si disabitua a fare certe cose, tu
puoi dargli il tesoro più prezioso al mondo, ma se manca la
percezione di quello che gli stai dando, non interessa a nessuno.
TG:
Stiamo vivendo un decadimento culturale?
FB:
E' un decadimento culturale, sì. Ma anche una perdita di educazione e abitudini.
Se guardiamo l'ultimo settore della fotografia professionale che sta
perdendo colpi: la fotografia di matrimoni, cosa vediamo? Una volta
tutti avevano l'album. Io lo vedo nella mia famiglia, tra i miei
conoscenti, per far vedere un'evento importante vai a prendere
l'album da un cassetto, hai delle stampe ed è tutto documentato.
Oggi, i matrimonialisti non consegnano più l'album, ma ti danno un
dvd che contiene sia le fotografie che i filmati. Quanti sono poi
quelli che faranno stampare l'album? E così, quando non c'è nemmeno
più l'esigenza d'avere una memoria storica tutto si perde. Non è
tutto così intendiamoci, altrimenti io non sarei qui, ma è
difficile scontrarsi con questo tipo di mentalità moderna. L'album
era un valore certo, sapevi che era su uno scaffale della libreria,
lo prendevi e lo consultavi, adesso se devi cercare un'immagine non
sai nemmeno dove l'hai messa. Sarà su un hard disk, su un dvd, come
fai a cercarla in mezzo ad altre centinaia di migliaia di scatti?
TG:
Molte aziende elettroniche, tipo Sony, o informatiche si sono
introdotte nel mercato fotografico e ne hanno snaturato la
mentalità...
FB:
Bravo, esatto, ma noi avevamo molte aziende che potevano cercare di
conservare questo mercato introducendolo sul mercato nel modo giusto,
attingendo alle loro competenze specifiche del settore analogico, ma
non l'hanno fatto. Eppure erano aziende molto grandi e prestigiose
con decine di migliaia di dipendenti, ingegneri, esperti di marketing
e tutto quello che serviva per lavorare al meglio. Avevano tutte le
competenze possibili ed immaginabili, ma non le hanno messe a frutto.
Tutte queste aziende, se non sono fallite, hanno subito un forte
ridimensionamento, anche in maniera drammatica.
TG:
Nel tuo punto vendita cosa va per la maggiore il bianco e nero o il
colore?
FB:
Il colore sta piano piano recuperando, ma è una tendenza molto lenta
da osservare. Bisogna dire che tutto quello che è la fotografia
analogica non ha più i numeri di una volta.
Il
bianco e nero è quella branca della fotografia argentica che teme
meno il digitale. Chi fa il bianco e nero ha un altro modo di vedere
le cose, e vuole essere regista di se stesso. Tu, col bianco e nero
argentico non hai bisogno di nessun interfaccia, ti serve soltanto
una fotocamera ed un ingranditore, tutto il resto lo puoi fare da
solo. La pellicola la sviluppi a casa tua, stesso discorso per la
stampa. Se vuoi passare al digitale, ti serve uno scanner e da solo
decidi quello che vuoi fare. Il colore, da un certo punto di vista, è
meno creativo e sicuramente più difficile da trattare. Bisogna
mantenere delle temperature in modo abbastanza preciso e ci sono
altri ostacoli che non lo rendono alla portata di tutti. Però anche
il colore sta piano piano riprendendo quota.
TG:
Possiamo provare a fare una percentuale di come si ridistribuisce
l'uso della pellicola a colori ed in bianco e nero?
FB:
Nel nostro caso il bianco e nero rappresenta sicuramente il 70% del
fatturato. Il bianco e nero può crescere ancora come vendite,
soprattutto nel medio e grande formato. Abbiamo un discreto margine
di crescita anche per il colore.
TG:
Il vostro mini-lab tratterà anche il bianco e nero?
FB:
Noi non siamo qui per fare concorrenza agli altri laboratori, ma per
cercare di tappare un buco che s'è creato nella filiera fotografica
per quello che riguarda lo sviluppo del colore. A Milano, ci sono
soltanto due laboratori che sviluppano il colore professionalmente,
per il bianco e nero invece abbiamo ancora 5 o 6 realtà che hanno
ancora un discreto mercato. Noi cerchiamo di collaborare con loro
costituendo una specie di comunità analogica dove indirizziamo il
cliente verso chi è in grado di rispondere meglio alle sue
necessità.
TG:
Il fatto d'avere delle origini mitteleuropee ti ha portato dei
vantaggi nei contatti con le aziende straniere? O negli scambi
commerciali con la Germania?
FB:
Certo, io ringrazio i miei genitori che mi hanno permesso di
conoscere le lingue, io parlo: tedesco, francese, italiano ed
inglese. Ho avuto facilità di contatti in Europa, mentre oltreoceano
lavoriamo poco. Qualcosa facciamo, ma i nostri partner sono
soprattutto le aziende europee che sono anche quelle con la maggiore
tradizione in questo settore. Io lavoro e vivo in Italia perché
penso che il mercato italiano, pur essendo un mercato difficile e
meno preparato di quello di Inghilterra Francia e Germania, è anche
un mercato potenzialmente con molto terreno fertile e possibilità di
sviluppo. Si può lavorare ancora molto e soprattutto sui giovani.
Noi, da diversi anni, stiamo vedendo che ci sono sempre più giovani
che si avvicinano alla fotografia argentica.
TG:
Tra loro sono molti quelli che hanno studiato e che appartengono a
classi sociali elevate.
FB:
Sì, molti hanno studiato ed hanno una buona istruzione, altri invece
stanno facendo le scuole di fotografia, molti frequentano la Bauer,
per esempio, che sono corsi di formazione, altre sono persone che
magari hanno perso il posto di lavoro e frequentano dei corsi di
aggiornamento e cercano altri sbocchi professionali. La platea di
questi giovani è molto vasta. Il comune denominatore tra loro è
quello della giovane età ed il fatto che si sentono contaminati da
questa febbre argentica ed hanno molta voglia di fare.
TG:
A Milano sei molto conosciuto, ultimamente sei presente anche su
internet con la vendita per corrispondenza ti sei fatto conoscere un
po' ovunque. Dove sono distribuiti i tuoi clienti? Sono più quelli
che vengono ad acquistare in negozio o quelli che lo fanno online?
FB:
Noi abbiamo sempre lavorato in tutta Italia attraverso i grossisti,
piuttosto che con i negozianti...
TG:
Perché siete degli importatori esclusivisti? E' Così?
FB:
Se dovessimo dirla tutta, le categorie di un tempo sono saltate. Fino
a 20 anni fa c'erano gli importatori, gli importatori grossisti, i
grossisti negozianti e i negozianti. Oggi dire importatore ha poco
senso, ognuno può essere un importatore, noi però effettivamente
abbiamo delle esclusive. Noi trattiamo in esclusiva Maco, quindi
tutti i prodotti marchiati Rollei: pellicole, carte, chimici,
eccetera. Abbiamo altre rappresentanze, tipo gli ingranditori della
Kienzle, piuttosto che Dunco. Arca Swiss per quanto riguarda i banchi
ottici, ma soprattutto per le teste panoramiche per cavalletti ed
altre esclusive molto interessanti.
TG:
Quanto vendete in percentuale in negozio? E quanto sul web?
FB:
Internet è chiaramente in crescita, ormai rappresenta circa il 40%
del fatturato, la vendita ai negozianti è in calo perché molti
stanno chiudendo e si sta perdendo la centralità di recarsi in
negozio ad acquistare il prodotto. Aumentando la vendita online,
diminuisce quella al banco, questo fatto è inevitabile.
TG:
E allora in bocca al lupo all'analogico!
FB:
Grazie, lunga vita alla pellicola!
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