domenica 10 marzo 2019

Bank-sy o Bank-not. Questo è il problema

So di averne già parlato con il Dr. Porka's e di andare un po' controcorrente, ma considero il business di Banksy una grossa presa in giro. Chi si comprerebbe una serigrafia dozzinale fatta non si sa bene da chi pagandola più di 100 volte il suo valore reale?
Su questo argomento ho voluto sentire anche il parere del mitico Joe Iannuzzi ed ecco cosa ne è emerso... TG


Washington DC USA 1967 Fiori nei fucili - Fotografia di Bernie Boston

Tony Graffio: Gentile Joe, dopo la causa legale della società "Pest Control Office Limited" contro la società "24 Ore Cultura" conclusasi come ben sappiamo, vorrei avere un tuo parere sulla vicenda.

Joe Iannuzzi: Caro Tony ritengo giusto che tutto il merchandising sia stato ritirato, essendo registrato come marchio il nome "Banksy", tieni conto che se la società Pest  Control avesse avuto anche il diritto di riproduzione delle immagini delle opere dell'artista… la società 24 Ore Cultura avrebbe perso in toto la causa. Questo diritto non lo ha poiché se l'artista lo rilasciasse, tutti verremmo a sapere il suo nome, o chi c'è dietro a questo business, cosa che invece resta più o meno misteriosa, per il momento.

TG: Non pensi che questo contenzioso sia stato fatto ad arte con il preciso intento di far parlare dell'artista e della mostra milanese?

JI: Tutto è possibile: tieni conto che l'arte è linguaggio, comunicazione, e senza pubblicità e persuasione all'acquisto non c'è arte. Quindi nella società in cui viviamo, che è priva di contenuti, la cosa migliore per farsi notare è creare una notizia: far parlare di sé incoraggiando la polemica e la bagarre. Un'opera molto significativa e iconica di Banksy come il "lanciatore di fiori (dove i fiori stanno al posto di una bottiglia Molotov)" non è per niente rivoluzionaria: che differenza c'è tra questa immagine e la fotografia scattata nel 1967 da Bernie Boston che mostra un ragazzo mentre inserisce un fiore nelle canne dei fucili dei soldati che arrestavano i giovani che non volevano partire per la guerra in Vietnam?  Nessuna. Il concetto è lo stesso. Le idee sono sempre quelle, basta trovare un modo leggermente diverso per esprimerle e saperle veicolare bene con l'aiuto dei mass media per creare un po' di confusione agli occhi di chi non ha una memoria storica e diventi un artista! Quello è un gesto ripreso da tutta una generazione di Hippie che poi è arrivato fino a noi ed è stato rielaborato fino ad attualizzarlo in qualcosa di più comprensibile dai ragazzi di oggi.

TG: Un artista della comunicazione, per l'appunto... I graffiti di Banksy ti sembrano utili per le campagne pubblicitarie a favore della pace nel mondo?

JI: Perché no?! Oggi, effettivamente, la comunicazione è la vera arte. I nuovi artisti sono gli uffici stampa e gli stilisti della moda.

TG: Perché gli stilisti?

JI: Perché tramite la comunicazione rendono un prodotto fatto in Cina che vale pochi euro un oggetto di lusso e di prestigio venduto a migliaia di euro: i veri artisti sono loro (risata). Guarda caso Prada, Trussardi, Fendi hanno aperto diverse fondazioni che si occupano molto spesso di mostre d'arte. Non mi stupirei di vedere una mostra su Bansky organizzata anche da loro.

TG: Neanche tu hai una buona considerazione di Banksy...

JI: Banksy è un fenomeno che rappresenta molto bene la società in cui viviamo: vuota, demenziale e superficiale. Stiamo parlando di Street art dal messaggio immediato e pop, nel senso di popolare.

TG: Con il marchio Bansky registrato, come anche alcune sue opere, non pensi che sia diventato anche lui parte del sistema dell'arte?

JI: Certamente: quando si parla di soldi, tutti li vogliono. Addio all'anti-sistema, al concetto di Street art e di arte pubblica fruibile da tutti gratuitamente. Sai, anche il mio cane quando muove la coda lo fa per avere qualcosa in cambio... Lo stesso capita per la Street art e Banksy, o per meglio dire per la società Pest Control e non solo lei. 
I multipli dell'artista, che tu hai visto nella mostra al Mudec di Milano, sono venduti in modo seriale. La vera arte è il graffito sul muro, le serigrafie tirate in non so quanti esemplari e tutti i gadget sono il merchandising per far soldi... Mi risulta anche un po' strano che l'attenzione dell'artista di Bristol si concentri sul merchandising del Mudec e poi su internet si trovi ogni sorta di chincaglieria che riporta i suoi disegni. Più sistema di così non ci può essere, sono esattamente gli artisti e i loro agenti che impongono queste regole.

TG: Senza contare che sull'autenticità di un prodotto seriale che non ha un autore preciso si potrebbe sollevare ben più di qualche dubbio, allo stesso modo in cui ci si può divertire a discutere su chi è l'autore del merchandising. Ormai l'arte è un prodotto industriale non più all'artigianale; a mio parere questa scelta ha già decretato la sua fine. Meglio acquistare un oggetto significativo e di buona fattura artigianale che un prodotto industriale privo di originalità. L'arte pura come espressione di genio e capacità personali di un singolo individuo non rendeva abbastanza per gli sforzi economici che c'erano dietro per imporre un artista al grande pubblico, affaristi come Warhol hanno pensato bene rendere più redditizia questa operazione portando tutto su grande scala, svuotando e spersonalizzando il gesto creativo. Da quando gli americani trattando l'arte come un prodotto di consumo di massa hanno imposto una nuova visione dell'opera artistica che è diventata merce da piazzare a gente disposta a spendere qualsiasi cifra per avere in casa un frammento di contemporaneità, qualcosa di cui tutti parlano e che finisce per banalizzarsi finendo impressa anche sulle tazze da te o su souvenir da quattro soldi, oggetti che poi non si rivelano tanto diversi dalla "opera" che prendono a campione...
Che cosa mi puoi dire invece di "Girl with the balloon" e della scelta di Bannksy di distruggerla durante la vendita con un ingegnoso meccanismo che si è attivato durante l'asta di Sotheby's?

JI: Anche quello fa parte dello spettacolo. Chiunque abbia visto un telegiornale o letto un quotidiano ha trovato questa notizia. Tutti conoscono il nome Banksy. Obiettivo raggiunto; l'artista la cui identità non si conosce è "conosciuto" da tutti. Il luogo (asta di Sotheby's a Londra) è quello adatto, il prezzo dell'opera supera il milione di sterline, ci siamo, la situazione è quella giusta. E per portare lo spettacolo alla sua apoteosi ecco mettersi in funzione il meccanismo che distrugge l'opera (anche se una sua parte si è inceppata). Banksy diventa così un mito vivente, ma difficile pensare che questa operazione abbia potuto compiersi senza la complicità di chi ha organizzato la vendita.
Se domani girando per la città chiederai alle gente: conosce Banksy? Molti diranno di sì. Se invece andrai in giro a chiedere chi è Josef Albers... Beh, preparati a non ricevere nessuna risposta.

TG: Per quale motivo succede tutto ciò?

JI: Perché la gente ha la memoria molto corta, è interessata al contemporaneo, agli eventi che vive in questo momento che sono di contorno alla propria vita; vuole sentirsi importante e credere di essere in qualche modo al centro dell'attenzione, anche soltanto riportando le notizie di cui sente parlare attorno a sé. Bansky è il protagonista di un pesante battage mediatico da diversi anni ed evidentemente era giunto il momento di ricavarne un ritorno economico non solo mettendo in vendita i suoi lavori, ma anche organizzando mostre un po' ovunque.

TG: Vale la pena parlare ancora di lui?

JI: Se non ritieni valido un artista, la cosa migliore da fare è di non parlarne. Scrivendone e discutendone crei attenzione a quello stesso fenomeno di massa, come stiamo facendo noi in questo momento (risata).

TG: Joe, mi hai convinto: non parleremo più di Banksy su queste pagine... e nemmeno di Cattelan!



Una certa idea di non violenza - Merchandising Banksy

Questo articolo scritto da Joe Iannuzzi e Tony Graffio non è coperto da diritto di copyright e può essere riprodotto e diffuso in ogni sua parte a piacere


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