Ammetto che il titolo abbraccia argomenti molto distanti tra loro e apparentemente poco amalgamabili, però venerdì scorso ad AFA ho iniziato una interessante conversazione con Vincenzo Jannuzzi e sono emerse considerazioni importanti che ho pensato di riproporvi qua di seguito. Magari presentandovi anche l'ultima auto-produzione del prolifico ed instancabile maestro del fumetto indipendente. TG
Vincenzo Jannuzzi ritratto di fronte ai suoi disegni
Janù e Tony Graffio si incontrano ad AFA 2018 per una conversazione amichevole
Tony Graffio: Volevi dirmi qualcosa sull'auto-produzione?
Janù: In questo momento in cui crisi si sommano a crisi, chi non è dentro ai circuiti economici più forti sparisce dall'orizzonte del visibile. Io sono un esempio di quello che sto affermando. Sono un autore che da un a vita è impegnato a fare fumetto, ma che non appare da nessuna parte. A questo proposito, Ivan Manuppelli che è molto addentro agli ambienti del fumetto Underground ed è tra gli organizzatori di AFA mi conosce, però bisogna andare a cercarmi un po' col lanternino nel mondo delle auto-produzioni che, paradossalmente, adesso diventano più facili da affrontare perché la macchina sta sostituendo il lavoro umano, anche dove prima non era possibile farlo. La riproduzione ha così un costo più accessibile per tutti.
È vero che la crisi ricostruisce certe distanze, però con 500-600 euro è già possibile produrre una piccola tiratura di un lavoro.
Insekten Sekte di Matteo Guarnaccia
Negli anni '70 avevamo un Matteo Guarnaccia che stampava in serigrafia 100 copie di Insekten-Sekten e li vendeva per strada, a poco, o niente. Questo era possibile perché quella produzione gli costava poco o niente.
Oggi l'auto-produzione non ti ripaga più del lavoro redazionale, se hai un libro di 100 pagine come questo (L'appuntamento che sembrava perso) e lo riesci a vendere a 10 euro, capisci che questo succede proprio grazie ai costi abbastanza contenuti di riproduzione e di stampa digitale. Il problema è che per disegnare 100 tavole serve molto lavoro. Togliere la parte redazionale vuol dire intervenire in Photoshop per il lettering e l'impaginazione, ma anche eseguire questi lavori da solo.
TG: Quante copie hai stampato de: "l'Appuntamento"?
Janù: 300.
TG: Poche...
Janù: Sì poche, ma poi quando vanno ad esaurirsi le faccio ristampare. Tra un po' dovrei ritirare le nuove copie de: "Il Piccolo Principe", perché ormai non ne ho quasi più. In quel caso, l'editore l'avevo trovato senza cercarlo, lo sai, era il Museo del Fumetto... Avevo preferito tenermi delle copie per me come pagamento e penso d'aver fatto bene, perché come autore ho più possibilità di vendita o per organizzare una presentazione. Un piccolo editore ha più difficoltà in quello: anche se riesce ad avere la collaborazione dell'autore ha maggiori costi da affrontare. Il viaggio, il vitto l'alloggio... Da quel punto di vista l'autore di un'auto-produzione sa che anche quelle sono spese di cui deve farsi carico che vanno aggiunte alle voci dei costi.
TG: La difficoltà principale è quella di farsi conoscere in questo grande mondo delle auto-produzioni?
Janù: Allora, io ovunque vado per farmi conoscere mi metto a disegnare e vedo che questo è un metodo che funziona. In Valtellina, per esempio, ho fatto diverse presentazioni in librerie, biblioteche ed adesso la gente mi conosce. Anche alcune riviste locali hanno scritto di me. Certamente però non faccio più parte di quel grande circuito per il quale andavo alla Biennale di Lucca a presentare un lavoro pubblicato in Francia. Dalla Francia era venuto il direttore del Festival international de la bande dessinée d'Angoulême che mi aveva invitato ad essere l'ospite d'onore per l'edizione successiva del festival organizzato da lui... In quel caso ero stato intervistato da France 2 che poi aveva mandato in onda quella registrazione in un programma che andava in onda nell'ora di punta. Adesso, è un po' diverso e comunque ci vuole un'organizzazione piuttosto grossa. Negli anni in cui mi capitavano queste cose pubblicavo per Mondadori... adesso non mi risulta neppure che Mondadori pubblichi fumetti. Tolti Bonelli, i Manga, Marvell e altri supereroi non c'è praticamente più niente. Restano solo gli autori indipendenti che però devi andare a cercare. E quando li trovi, ti accorgi che sono in tanti a fare lavori di ottima qualità. Qui ad AFA trovi la radura dell'auto-produzione, mentre so che il Festival del Fumetto di Milano proverà a riunire anche degli autori meno Underground. C'è comunque tanta gente che sa disegnare bene e scrive belle storie.
TG: È importante frequentare una scuola e avere un buon maestro?
Janù: Sì, è importante. A scuola un buon maestro può insegnarti tante cose che altrimenti devi imparare da autodidatta impiegando più tempo e più energie per arrivare allo stesso risultato. Un buon maestro ti aiuta a raggiungere prima certe tappe e quindi ottenendo più velocemente certi risultati, poi puoi andare oltre. La lezione di un Toppi o di un Battaglia è quella. Hanno disegnato cow-boys per metà delle loro vite e dopo hanno inventato una poetica tutta loro. La scuola non va rifiutata, va presa come una parte del tuo lavoro, poi la creatività farà il resto.
TG: La creatività si può sviluppare?
Janù: Si deve sviluppare. Ritengo che un'esperienza che manca di creatività non è libera. Imparare l'alfabeto è qualcosa di necessario, ma non è che poi ti limiti a usare quelle lettere separatamente, l'alfabeto ti è utile per narrare le tue storie, per scrivere, esprimerti e conoscere. La facoltà che noi abbiamo di capire le cose e di esprimerle ci rende creativi perché siamo intelligenti, non perché qualcuno è creativo ed altri no. Qualcuno è creativo in un modo e qualcun altro è creativo in un altro modo. La creatività è innata nel nostro modo di procedere. Tu documenti delle situazioni e ogni altra cosa che fai la fai a modo tuo, perché sei libero. Anche se a volte la libertà consiste proprio nell'uniformarsi a un metodo o a una struttura che ti permette di ottenere un certo risultato. Quando si lavora ad un progetto grande, ci si muove un po' come le api. Lì sembrerebbe che si possa avere meno libertà di espressione, invece le api sono libere di comunicarsi i loro percorsi per andare alla ricerca del polline. Le api hanno un loro linguaggio e riescono a costruire le loro celle di cera con un'ingegneria raffinatissima e rigorosa, ma lo fanno attraverso infinite variabili, quindi la creatività è una costante del linguaggio anche per loro.
TG: È più complicato il linguaggio del fumetto o quello della letteratura?
Janù: Ci sono analogie, ma ci sono anche molte differenze e specificità. Ovviamente, sono due linguaggi diversi, ma è come dire che noi abbiamo l'alfabeto, la parola, la musica, il mimo e anche una certa facilità ad evocare situazioni o sentimenti. Posso indurti a sentire qualcosa con la musica o con i colori, per esempio, e ogni disciplina è una forma specifica di linguaggio che copre bene un territorio, ma collegando insieme varie forme espressive riuscirai a far capire meglio il tuo messaggio e a raggiungere il tuo pubblico. Il fumetto copre una nicchia particolare che non è più pittura, perché la pittura copre solo un tratto dell'arco temporale, il presente, mentre nel fumetto è associata la quarta dimensione che ti permette una narrazione diversa. Non è come la musica che oltre ad essere evocativa ha una sua struttura logica... questo non vuol dire che il fumetto non possa esprimere emozioni, anzi... Il fumetto ha qualcosa che manca alla musica; così come la musica ha qualcosa che manca al fumetto. Con il fumetto puoi far pensare parecchio. La cosa migliore sarebbe quella di possedere più linguaggi per riuscire a trovare il modo migliore per esprimersi.
TG: Negli anni '60 e '70 abbiamo assistito ad un exploit del fumetto, un po' ovunque; tutti lo acquistavano e lo leggevano, mentre adesso che siamo in un epoca digitale e possiamo attingere a tantissima offerta di informazione, il mercato del fumetto sta soffrendo un rallentamento nella sua didìffusione e anche le persone sembrano meno interessate a fruire di questo media; perché? Forse non è un linguaggio facilmente fruibile in maniera digitale? Il fumetto nasce sulla carta, è bello consumarlo sulla carta ed oggi c'è un po' una crisi anche del rapporto che si ha con questo materiale?
Janù: Sicuramente, quello che dici è vero; il rapporto con la carta è importantissimo e quello che stiamo vivendo è il passaggio ad un'epoca completamente diversa che utilizza mezzi diversi. L'elettronica e la telematica hanno prodotto questo cambiamento, quindi ne dobbiamo tenere conto. Il fumetto mi ha aiutato ad entrare in contatto con la gente e a farmi capire; quando viaggiavo, prima di questa rivoluzione digitale, imparavo le lingue, in modo basico, utilizzando il fumetto. Non è richiesta una grande cultura per comprendere questo linguaggio, perché il fumetto ha una capacità di sintesi alla portata di tutti. È facile disegnare un volto che ride o che piange ed è immediato associare un'immagine ad una parola o a qualche significato. In certi ambiti arriva meglio il fumetto che il computer, specie quando sei in viaggio e incontri popoli diversi. Il fumetto è un mezzo che ti permette di esprimerti con ironia, ti aiuta a distorcere la realtà e a creare delle caricature sarcastiche che la fotografia non ti permetterebbe di realizzare con altrettanta rapidità. Io distorco le immagini con un intento premeditato, con lo scopo di ottenere ciò che voglio. E non c'è macchina che tenga che riesca a fare una cosa del genere, capace di collegarti con i tuoi pensieri, con i tuoi sentimenti. La macchina umana è potentissima, il nostro bios è evolutissimo.
TG: Ecco, hai toccato un tasto interessante che mi spinge a chiederti come pensi che diventerà il nostro futuro. Che cosa succederà? Pensi che arriveremo a produrre delle macchine sofisticatissime, dei robot, capaci di creare qualcosa di nuovo? E questi robot, saranno mai creativi?
Janù: È difficile dire che cosa sia la creatività. Dico questo partendo dal presupposto che, a volte, ho trovato qualcosa d'interessate passando attraverso un errore. Se sbaglio qualcosa, quell'errore va corretto, ma prima di aggiustarlo va capito ed in quella analisi c'è già una riserva d'intelligenza che mettiamo in moto involontariamente, perché l'errore è qualcosa che non desideravamo fare. Paradossalmente, l'errore ci indica una via nuova. Non so se questo processo può accadere in una macchina.
TG: Recentemente, ho letto di robot/sommelier che fanno un lavoro che sembrava essere prettamente umano, quindi mi chiedo: dobbiamo avere paura di essere sostituiti dai robot anche nel campo della narrativa e del disegno? O del fumetto?
Janù: Se in milioni di anni noi siamo riusciti a diventare una macchina tanto complessa e sofisticata; dubito che l'intelligenza artificiale possa raggiungere prestazioni così importanti in poco tempo. Non voglio pensare che l'umano possa essere ridotto ad una macchina, a meno che una qualunque divinità nel giro di milioni di anni riesca a produrre una macchina che assomigli all'uomo. Però, mi sembra che siamo più nel campo della fantascienza che in quello delle idee concrete. È pur vero che il robot è costruito dall'uomo e per questo l'uomo ha bisogno di conoscere perfettamente la materia che vuole trasferire alla macchina in forma codificata e la macchina esegue quanto le viene richiesto dall'uomo. Non riesco a vedere in che cosa potrebbe manifestare la sua creatività una macchina... È vero che il computer risolve i calcoli miliardi di volte più velocemente dell'uomo e senza errori, però si tratta di calcoli che l'uomo ha impostato... Dubito che la macchina autonomamente possa arrivare a elaborare dei dati che non le vengano forniti dall'uomo.
TG: Enzo, hai mai trattato di queste tematiche fantascientifiche nei tuoi fumetti?
Janù: No.
TG: Non ti interessano?
Janù: Mi interessano tantissimo, specialmente quando trovano un aggancio nel sociale, perché quello che mi sta a cuore è il sociale. Sono partito ad occuparmi del sociale fin da quando avevo 4 o 5 anni. Facevo i cow-boys a modo mio. Leggevo il Vittorioso e mi spisciavo dalle risate con Jacovitti. Il mio personaggio era un cow-boy un po' imbranato che si bruciava accendendo il fuoco e cose di questo tipo.
TG: Ma i robot ti darebbero un'infinità di spunti in ambito sociale, non credi?
Janù: Sì, però non li sento come qualcosa di mio...
TG: Ormai ci siamo... stanno arrivando tra noi!
Janù: Tu vedi questa situazione già in certi termini, mentre io non mi pongo il problema se il robot potrà sostituire l'uomo. Le macchine sostituiscono l'uomo nel lavoro da molto tempo. È da decenni che creano disoccupati...
TG: Anche se qualcuno continua a volerci convincere che grazie ai robot ci sarà più lavoro...
Janù: Invece no, cresce solo la ricchezza per i ricchi. Bisogna intendersi sui termini... Certo la macchina sostituirà l'uomo, ma non per questo io non tromberò più la mia bella perché la macchina non mi farà fare fatica!
TG: Eh, invece parlano anche di robot sessuali.
Janù: Sì, lo so, puoi insegnare alla macchina a fare quel gesto, forse ci sono già, però non è la stessa cosa. Attenzione, perché queste tematiche possono essere utilizzate un po' in mala fede. Ti faccio un esempio: chi adesso sta pensando di scatenare una guerra nucleare, nello stesso tempo si sta preoccupando di organizzare dei viaggi su Marte; oppure vuole venderti il bunker anti-atomico. Questi signori hanno tutto l'interesse a maneggiare il problema in modo che tu pensi di riuscire a salvarti. Con 700'000 $ forse puoi prenotare un biglietto di solo andata per Marte. Ti diranno che possiamo salvarci e riprodurre il nostro bios nello spazio, ma è un discorso troppo riduttivo che poi ti nasconde il fatto che i robot sono stati introdotti per mandare a casa gli operai. Ma ti sembra che un operaio sia soltanto un uomo che stringe un bullone come si vedeva in Luci della città di Charlie Chaplin? Non è così. È riduttivo vedere l'uomo a questa stregua. Però, è vero che la macchina sostituisce l'uomo tutti i giorni. Ti immagini due robot che dialogano come noi stiamo facendo adesso? Io non credo che arriveremo mai a questo punto.
TG: È anche vero che il dialogo tra simili si sta riducendo sempre più...
Janù: Vero, però questo non significa che la macchina arriverà a sostituire l'uomo. Noi abbiamo perduto la bellezza degli anni '60, la vita di quei giorni, incontrasi a Brera al Jamaica e tutto il resto... Forse che le macchine sono riuscite a replicare tutto quello? Abbiamo perso parte della nostra umanità che è stata trasformata in profitto. Gli affitti a Milano costano cento volte di più. Se prendi un té adesso in un bar del centro lo paghi 13 euro... La logica che sottende certe problematiche la si può riconoscere e comprendere abbastanza facilmente. Capisci perché prediligo un discorso sociale, se vuoi anche più polemico? Non voglio rischiare di andare fuori tema e fare discorsi futuribili; a me non interessa la fantascienza, se non per ricondurci ad un discorso concreto. Ci sono già ottimi scrittori che scrivono di fantascienza che io apprezzo come letteratura di maniera. Io ho bisogno di situazioni che mi aiutino a comprendere la realtà. Ci sono autori che devono illustrare ed eseguire storie che altri hanno scritto, pensato e voluto proprio secondo una scala gerarchica, cosa che sminuisce la loro creatività, d'altra parte questi autori sono abbastanza portati sugli scudi dal sistema, perché un autore che sfonda con Marvel non avrà certo di andare a vendere due o tre copie in un bar per sopravvivere.
TG: Conosci per caso Danijel Žeželj? Ha pubblicato stupende graphic novel con le edizioni del Grifo, poi è andato in America a disegnare Batman per la DC Comics, ma anche altri supereroi per Marvel e altri editori.
Janù: Di solito, gli autori migliori se li prendono proprio loro.
TG: Snaturandoli, però.
Janù: Ovvio... A loro interessa il tratto dell'artista. Non possiamo criticare l'operaio per la struttura del lavoro capitalistico della società in cui è inserito. L'operaio non è colpevole di far parte di un sistema classista che sfrutta il lavoro altrui e produce disoccupazione, esodati eccetera... In quel caso Žeželj diventa l'operaio della catena di montaggio della Marvel. Questo è il caso del geniaccio che non può esprimersi indipendentemente, ma deve trasmettere il messaggio dell'editore. Prova a parlare a certi editori di alcune tematiche e vedrai che non te le faranno passare. Non solo la sceneggiatura, neppure la "scaletta"... che sarebbe la storia succinta sulla quale poi lavorano lo sceneggiatore e tutti gli altri. Una volta provai a mandare le mie tavole disegnate a pennello alla Walt Disney quando si era trasferita da Segrate a Milano, in via Dante. Venni fatto chiamare per due o tre volte e mi dissero: "Le tavole sono belle, vorremmo farti lavorare, però dovresti...". Avevano difficoltà ad esprimere quello che volevano, ma io lo capii bene; volevano che io rielaborassi un po' la filosofia. Insomma, per loro era giusto che questa società produca milioni di morti di fame che vivono sotto i ponti, perché quello è il significato del deposito-bunker pieno di dollarazzi di Paperon de' Paperoni.
Se tu non acquisisci quella filosofia non puoi lavorare per loro e io non l'ho mai acquisita e nemmeno la voglio acquisire in futuro. Per me, non può essere bella una società in cui c'è un miliardario e milioni di morti di fame. Allo stesso modo il senatore Mc Carty aveva attuato una politica di aggressione nei confronti di chi avesse simpatie per la sinistra in modo che costoro non potessero trovare un lavoro, una casa e vivere una vita tranquilla. Pensa che Walt Disney in un primo tempo era di sinistra e poi è diventato quello che è diventato dopo un bel lavaggio del cervello. Questa è la democrazia alla Walt Disney ed è ovvio che tu non possa andare da loro a lavorare portando lì le tue storielle.
TG: Perdonami Enzo, ma perché l'Underground produce una quantità esagerata di mostri schifosi?
Janù: Io ritengo che sia una forma di critica a questo mondo. Da una parte c'è il bunker dei dollarazzi, dall'altra i mostri. La vecchietta che è stata buttata fuori di casa e va a dormire nelle scatole di cartone sotto al ponte, non va la mercato a fare la spesa, ma ci passa dopo quando le bancarelle sbaraccano per raccogliere i rifiuti che sono rimasti per terra. Questo è un mondo che fa schifo: è mostruoso! E produce mostri. L'artista ha una sensibilità che riesce a vedere queste cose, magari decontestualizza certe cose per non renderle troppo chiare, mentre io preferirei fare un'analisi critica di questa società in cui si mostrano cause ed effetti.
TG: Un po' come hai fatto tu con l'Ancillotto.
Janù: Esatto. O almeno, bisogna cercare di restare nel sociale... per quello non mi piace la fantascienza, o i generi, perché anche l'horror è un genere. Se posso, io racconto il dramma in modo lieve.
TG: Un po' alla Max Bunker?
Janù: Sì, già lui ha fatto un ottimo lavoro con il gruppo TNT che rubava ai poveri per dare ai ricchi.
TG: Hai voglia di dirmi qualcosa sull'ultimo lavoro che hai pubblicato?
Janù: L'appuntamento è una selezione mirata delle memorie che io ho di mio fratello. Ho deciso di scrivere di lui dopo che l'ho perso. Non si tratta di un diario, ma un modo di ripercorrere quelle tappe essenziali delle nostre vite che passavano inosservate che in vece hanno avuto per noi un significato profondissimo. Queste scoperte le ho fatte nel momento in cui mio fratello è scomparso. È un modo per osservare quello che in realtà era un rapporto normale tra persone che non vivevano insieme. Noi vivevamo in città diverse, però abbiamo ugualmente percorso una vita insieme. Rivedere a posteriori la nostra storia mi ha permesso di notare quello che di magico c'era tra di noi. Abbiamo vissuto situazioni grandiose, bellissime che immagino possano esistere in tutte le vite condivise, anche se non apparivano così speciali nel corso della vita.
TG: Quali persone si incontrano a questo appuntamento?
Janù: È un appuntamento in cui si incontrano mio padre e mio fratello. Avrebbero dovuto vedersi prima che morisse mio padre che ha tenuto l'anima tra i denti per un tempo infinito per vedere suo figlio di ritorno da un viaggio di lavoro in Africa, ma quando mio fratello arrivò al capezzale del moribondo, mio padre se n'era già andato. I due si ricongiungeranno nella tomba quando mia nipote decise di mettere le ceneri di suo padre accanto alla bara di nostro padre, all'interno dello stesso loculo. Ecco, così si compie quell'appuntamento che sembrava perduto. Non è una storia pesante: la morte fa parte della vita.
TG: Quanti anni di differenza c'erano tra te e Gennaro?
Janù: Lui aveva due anni più di me. Da piccolo io volevo sempre giocare con lui, però lui non mi voleva mai, salvo quando gli potevo essere utile. Non mi sfruttava, aveva una logica diversa; una volta fece un treno legando tra loro alcune sedie, ma gli mancava chi le trainasse, allora mi chiese se volevo giocare con lui ed i bambini più grandi. Io ero felicissimo, perché io e gli altri piccolini non vedevamo l'ora di entrare a far parte del gioco. All'interno del fumetto racconto diverse cose così.
TG: Che cosa pensi della morte?
Janù: Invecchiando vedo la morte come un fatto all'orizzonte degli eventi; gli anni che ho vissuto sono molto più numerosi di quelli che mi aspettano nel mio futuro, anche se spero che comunque siano abbondanti... Per permettermi di fare i miei lavori... Questo vuol dire che diventerò eterno, perché più vado avanti più ho progetti da realizzare. Il materialismo classico, quello riduttivo, non mi basta più, cerco di riscoprire la realtà che ho osservato e che osservo. Ti faccio un esempio: un giorno sono rientrato a casa e ho visto i miei due pesciolini rossi morti perché avevo lavato con un forte detersivo la loro boccia, ma non l'avevo sciacquata bene. Non sapevo come raccontare questa cosa a mia figlia Elena, quando era ancora bambina. I pesciolini si chiamavano Ho Chi Minh e Mao Tse Tung, non li potevo buttare nel cesso... o nella pattumiera... mai! E poi, erano i miei pesciolini, quelli che mi scodinzolavano quando mi vedevano... Allora gli faccio il funerale. Prendo una scatola di quelle di alluminio... sai di quelle dove mettono il baccalà, con tutto il rispetto per il baccalà... Nella rosticceria del supermercato. Stendo i pesciolini dentro questa scatola e li porto sul naviglio di Abbiategrasso e depongo la scatola sull'acqua del naviglio, bella, calma, senza ondine. Li seguo per un po', penso perfino all'adagio di Albinoni, sai... Ero proprio mesto, faccio il funerale e inizio a pensare a quanto possono impiegare per arrivare al mare, perché voglio che loro tornino lì da dove sono venuti. Una volta, avremmo detto che sarebbero andati nei grandi pascoli di Manitù. Faccio un calcolo e mi dico che, belìn, ci vorranno dai 10 ai 15 giorni, perché ci sono circa 200 chilometri da fare. Poi, ci saranno le rapide, le chiuse, i cespugli... All'improvviso, la barchetta che procedeva molto stabilmente, non so perché, si ribalta. I pesciolini cadono ed io vado subito a vedere dove vanno a finire, magari per recuperarli, ma non li vedo più. Spariti. Corro un po' più avanti, ma niente da fare: spariti. Allora faccio lavorare la fantasia...
TG: Pensi che il lettore abbia voglia di riflettere su un argomento come la morte?
Janù: Non lo so; a me basta che abbia voglia di leggere i fumetti in generale, il mio in particolare. Poi, magari se io gli so porgere con grazia questo argomento, può darsi che non lo tedi, non lo annoi, non lo spaventi... non gli rompa le palle, magari può anche instaurarsi una riflessione utile. Perché no?
TG: Hai qualche tipo di fede?
Janù: Io mi sento più vicino ad una forma di animismo o di paganesimo pre-cristiano. La morte è la soglia del mistero, non sappiamo cosa c'è dopo. Rifiuto le semplificazioni troppo ovvie e banali, per questo mi è più utile il paganesimo che si inventava delle storie. La merla che è venuta a fare il nido tra le mani di Elena, per me può essere davvero una reincarnazione di una madre che prende quella forma per fare visita alla figlia.
TG: È successo davvero?
Janù: Sì. Ha fatto il nido tra i vasi e ci ha lasciato due uova. Prima era a due-tre metri, poi l'ha costruito sulle mani di Elena. Quando ho a che fare con qualcosa di misterioso lascio andare la fantasia; ho bisogno di questo perché sua madre mi manca. Ritrovo le persone nel respiro dell'alba o nel colore delle ciliege...
TG: Sono sicuramente visioni poetiche.
Janù: Il paganesimo aveva visioni poetiche, anche perché se noi siamo fatti di chimica e fisica, allora noi siamo fatti anche di alba e di ciliegia. Il rosso delle ciliege era lo stesso colore delle labbra di Bruna; il suo respiro era fresco... L'alba mi fa pensare a lei.
TG: Invece, sul fatto che sembra che l'immortalità possa diventare un giorno raggiungibile, cosa dici?
Janù: Vedi, torniamo al punto di partenza: cosa rende immortali? Posso prendere un pezzo di carne e congelarlo per milioni di anni sotto i ghiacci della Siberia, ma ti sembra che quello poi sia ancora un Mammut? Non facciamo l'errore dei riccastri guerrafondai che vogliono ricostruirsi la villa nel bunker anti-atomico su Marte. La vita umana non puoi portarla su un altro pianeta, se si è sviluppata qui. Tu pensi che la vita si possa ricostruire la vita in un bunker su Marte? Questo vorrebbe dire che hai ridotto la vita a poca cosa. L'immortalità è uguale, c'è gente che ha deliri di questo genere: mi faccio ibernare... oppure mi compro qualche organo sano dal bambino africano per sostituire il mio organo fottuto e io divento eterno... Questa è una logica decadente e pervertita. Hai ridotto quel bambino a un organo e tu diventi uno che non ha capito niente della vita. L'immortalità a cui tendono alcuni falsi ideologi è una forma distorta di esistenza; è una vita ridotta ad uno stato larvale, ad una parvenza di realtà che ha ben poco di umano.
TG: Non ci interessa...
Janù: Ce l'abbiamo già! Non come individui, ma come insieme di esseri sociali. Io attraverso i miei antenati e tu attraverso i tuoi che poi diventano gli stessi, perché tutti abbiamo in comune gli stessi antenati, possiamo attingere insieme all'eternità. C'è anche da dire che il mio tempo ha molte fasi: un conto è come ero da bambino quando i miei occhi vedevano la magia in ogni cosa e un'altra sono i miei occhi da vecchio, miope, presbite e disincantato.
Non dobbiamo sprecare il nostro modo di essere così effimeri.
Questo è quello che ci manca.
TG: Negli anni '60 e '70 abbiamo assistito ad un exploit del fumetto, un po' ovunque; tutti lo acquistavano e lo leggevano, mentre adesso che siamo in un epoca digitale e possiamo attingere a tantissima offerta di informazione, il mercato del fumetto sta soffrendo un rallentamento nella sua didìffusione e anche le persone sembrano meno interessate a fruire di questo media; perché? Forse non è un linguaggio facilmente fruibile in maniera digitale? Il fumetto nasce sulla carta, è bello consumarlo sulla carta ed oggi c'è un po' una crisi anche del rapporto che si ha con questo materiale?
Janù: Sicuramente, quello che dici è vero; il rapporto con la carta è importantissimo e quello che stiamo vivendo è il passaggio ad un'epoca completamente diversa che utilizza mezzi diversi. L'elettronica e la telematica hanno prodotto questo cambiamento, quindi ne dobbiamo tenere conto. Il fumetto mi ha aiutato ad entrare in contatto con la gente e a farmi capire; quando viaggiavo, prima di questa rivoluzione digitale, imparavo le lingue, in modo basico, utilizzando il fumetto. Non è richiesta una grande cultura per comprendere questo linguaggio, perché il fumetto ha una capacità di sintesi alla portata di tutti. È facile disegnare un volto che ride o che piange ed è immediato associare un'immagine ad una parola o a qualche significato. In certi ambiti arriva meglio il fumetto che il computer, specie quando sei in viaggio e incontri popoli diversi. Il fumetto è un mezzo che ti permette di esprimerti con ironia, ti aiuta a distorcere la realtà e a creare delle caricature sarcastiche che la fotografia non ti permetterebbe di realizzare con altrettanta rapidità. Io distorco le immagini con un intento premeditato, con lo scopo di ottenere ciò che voglio. E non c'è macchina che tenga che riesca a fare una cosa del genere, capace di collegarti con i tuoi pensieri, con i tuoi sentimenti. La macchina umana è potentissima, il nostro bios è evolutissimo.
TG: Ecco, hai toccato un tasto interessante che mi spinge a chiederti come pensi che diventerà il nostro futuro. Che cosa succederà? Pensi che arriveremo a produrre delle macchine sofisticatissime, dei robot, capaci di creare qualcosa di nuovo? E questi robot, saranno mai creativi?
Janù: È difficile dire che cosa sia la creatività. Dico questo partendo dal presupposto che, a volte, ho trovato qualcosa d'interessate passando attraverso un errore. Se sbaglio qualcosa, quell'errore va corretto, ma prima di aggiustarlo va capito ed in quella analisi c'è già una riserva d'intelligenza che mettiamo in moto involontariamente, perché l'errore è qualcosa che non desideravamo fare. Paradossalmente, l'errore ci indica una via nuova. Non so se questo processo può accadere in una macchina.
TG: Recentemente, ho letto di robot/sommelier che fanno un lavoro che sembrava essere prettamente umano, quindi mi chiedo: dobbiamo avere paura di essere sostituiti dai robot anche nel campo della narrativa e del disegno? O del fumetto?
Janù: Se in milioni di anni noi siamo riusciti a diventare una macchina tanto complessa e sofisticata; dubito che l'intelligenza artificiale possa raggiungere prestazioni così importanti in poco tempo. Non voglio pensare che l'umano possa essere ridotto ad una macchina, a meno che una qualunque divinità nel giro di milioni di anni riesca a produrre una macchina che assomigli all'uomo. Però, mi sembra che siamo più nel campo della fantascienza che in quello delle idee concrete. È pur vero che il robot è costruito dall'uomo e per questo l'uomo ha bisogno di conoscere perfettamente la materia che vuole trasferire alla macchina in forma codificata e la macchina esegue quanto le viene richiesto dall'uomo. Non riesco a vedere in che cosa potrebbe manifestare la sua creatività una macchina... È vero che il computer risolve i calcoli miliardi di volte più velocemente dell'uomo e senza errori, però si tratta di calcoli che l'uomo ha impostato... Dubito che la macchina autonomamente possa arrivare a elaborare dei dati che non le vengano forniti dall'uomo.
TG: Enzo, hai mai trattato di queste tematiche fantascientifiche nei tuoi fumetti?
Janù: No.
TG: Non ti interessano?
Janù: Mi interessano tantissimo, specialmente quando trovano un aggancio nel sociale, perché quello che mi sta a cuore è il sociale. Sono partito ad occuparmi del sociale fin da quando avevo 4 o 5 anni. Facevo i cow-boys a modo mio. Leggevo il Vittorioso e mi spisciavo dalle risate con Jacovitti. Il mio personaggio era un cow-boy un po' imbranato che si bruciava accendendo il fuoco e cose di questo tipo.
TG: Ma i robot ti darebbero un'infinità di spunti in ambito sociale, non credi?
Janù: Sì, però non li sento come qualcosa di mio...
TG: Ormai ci siamo... stanno arrivando tra noi!
Janù: Tu vedi questa situazione già in certi termini, mentre io non mi pongo il problema se il robot potrà sostituire l'uomo. Le macchine sostituiscono l'uomo nel lavoro da molto tempo. È da decenni che creano disoccupati...
TG: Anche se qualcuno continua a volerci convincere che grazie ai robot ci sarà più lavoro...
Janù: Invece no, cresce solo la ricchezza per i ricchi. Bisogna intendersi sui termini... Certo la macchina sostituirà l'uomo, ma non per questo io non tromberò più la mia bella perché la macchina non mi farà fare fatica!
TG: Eh, invece parlano anche di robot sessuali.
Janù: Sì, lo so, puoi insegnare alla macchina a fare quel gesto, forse ci sono già, però non è la stessa cosa. Attenzione, perché queste tematiche possono essere utilizzate un po' in mala fede. Ti faccio un esempio: chi adesso sta pensando di scatenare una guerra nucleare, nello stesso tempo si sta preoccupando di organizzare dei viaggi su Marte; oppure vuole venderti il bunker anti-atomico. Questi signori hanno tutto l'interesse a maneggiare il problema in modo che tu pensi di riuscire a salvarti. Con 700'000 $ forse puoi prenotare un biglietto di solo andata per Marte. Ti diranno che possiamo salvarci e riprodurre il nostro bios nello spazio, ma è un discorso troppo riduttivo che poi ti nasconde il fatto che i robot sono stati introdotti per mandare a casa gli operai. Ma ti sembra che un operaio sia soltanto un uomo che stringe un bullone come si vedeva in Luci della città di Charlie Chaplin? Non è così. È riduttivo vedere l'uomo a questa stregua. Però, è vero che la macchina sostituisce l'uomo tutti i giorni. Ti immagini due robot che dialogano come noi stiamo facendo adesso? Io non credo che arriveremo mai a questo punto.
TG: È anche vero che il dialogo tra simili si sta riducendo sempre più...
Janù: Vero, però questo non significa che la macchina arriverà a sostituire l'uomo. Noi abbiamo perduto la bellezza degli anni '60, la vita di quei giorni, incontrasi a Brera al Jamaica e tutto il resto... Forse che le macchine sono riuscite a replicare tutto quello? Abbiamo perso parte della nostra umanità che è stata trasformata in profitto. Gli affitti a Milano costano cento volte di più. Se prendi un té adesso in un bar del centro lo paghi 13 euro... La logica che sottende certe problematiche la si può riconoscere e comprendere abbastanza facilmente. Capisci perché prediligo un discorso sociale, se vuoi anche più polemico? Non voglio rischiare di andare fuori tema e fare discorsi futuribili; a me non interessa la fantascienza, se non per ricondurci ad un discorso concreto. Ci sono già ottimi scrittori che scrivono di fantascienza che io apprezzo come letteratura di maniera. Io ho bisogno di situazioni che mi aiutino a comprendere la realtà. Ci sono autori che devono illustrare ed eseguire storie che altri hanno scritto, pensato e voluto proprio secondo una scala gerarchica, cosa che sminuisce la loro creatività, d'altra parte questi autori sono abbastanza portati sugli scudi dal sistema, perché un autore che sfonda con Marvel non avrà certo di andare a vendere due o tre copie in un bar per sopravvivere.
TG: Conosci per caso Danijel Žeželj? Ha pubblicato stupende graphic novel con le edizioni del Grifo, poi è andato in America a disegnare Batman per la DC Comics, ma anche altri supereroi per Marvel e altri editori.
Janù: Di solito, gli autori migliori se li prendono proprio loro.
TG: Snaturandoli, però.
Janù: Ovvio... A loro interessa il tratto dell'artista. Non possiamo criticare l'operaio per la struttura del lavoro capitalistico della società in cui è inserito. L'operaio non è colpevole di far parte di un sistema classista che sfrutta il lavoro altrui e produce disoccupazione, esodati eccetera... In quel caso Žeželj diventa l'operaio della catena di montaggio della Marvel. Questo è il caso del geniaccio che non può esprimersi indipendentemente, ma deve trasmettere il messaggio dell'editore. Prova a parlare a certi editori di alcune tematiche e vedrai che non te le faranno passare. Non solo la sceneggiatura, neppure la "scaletta"... che sarebbe la storia succinta sulla quale poi lavorano lo sceneggiatore e tutti gli altri. Una volta provai a mandare le mie tavole disegnate a pennello alla Walt Disney quando si era trasferita da Segrate a Milano, in via Dante. Venni fatto chiamare per due o tre volte e mi dissero: "Le tavole sono belle, vorremmo farti lavorare, però dovresti...". Avevano difficoltà ad esprimere quello che volevano, ma io lo capii bene; volevano che io rielaborassi un po' la filosofia. Insomma, per loro era giusto che questa società produca milioni di morti di fame che vivono sotto i ponti, perché quello è il significato del deposito-bunker pieno di dollarazzi di Paperon de' Paperoni.
Se tu non acquisisci quella filosofia non puoi lavorare per loro e io non l'ho mai acquisita e nemmeno la voglio acquisire in futuro. Per me, non può essere bella una società in cui c'è un miliardario e milioni di morti di fame. Allo stesso modo il senatore Mc Carty aveva attuato una politica di aggressione nei confronti di chi avesse simpatie per la sinistra in modo che costoro non potessero trovare un lavoro, una casa e vivere una vita tranquilla. Pensa che Walt Disney in un primo tempo era di sinistra e poi è diventato quello che è diventato dopo un bel lavaggio del cervello. Questa è la democrazia alla Walt Disney ed è ovvio che tu non possa andare da loro a lavorare portando lì le tue storielle.
TG: Perdonami Enzo, ma perché l'Underground produce una quantità esagerata di mostri schifosi?
Janù: Io ritengo che sia una forma di critica a questo mondo. Da una parte c'è il bunker dei dollarazzi, dall'altra i mostri. La vecchietta che è stata buttata fuori di casa e va a dormire nelle scatole di cartone sotto al ponte, non va la mercato a fare la spesa, ma ci passa dopo quando le bancarelle sbaraccano per raccogliere i rifiuti che sono rimasti per terra. Questo è un mondo che fa schifo: è mostruoso! E produce mostri. L'artista ha una sensibilità che riesce a vedere queste cose, magari decontestualizza certe cose per non renderle troppo chiare, mentre io preferirei fare un'analisi critica di questa società in cui si mostrano cause ed effetti.
TG: Un po' come hai fatto tu con l'Ancillotto.
Janù: Esatto. O almeno, bisogna cercare di restare nel sociale... per quello non mi piace la fantascienza, o i generi, perché anche l'horror è un genere. Se posso, io racconto il dramma in modo lieve.
TG: Un po' alla Max Bunker?
Janù: Sì, già lui ha fatto un ottimo lavoro con il gruppo TNT che rubava ai poveri per dare ai ricchi.
TG: Hai voglia di dirmi qualcosa sull'ultimo lavoro che hai pubblicato?
Janù: L'appuntamento è una selezione mirata delle memorie che io ho di mio fratello. Ho deciso di scrivere di lui dopo che l'ho perso. Non si tratta di un diario, ma un modo di ripercorrere quelle tappe essenziali delle nostre vite che passavano inosservate che in vece hanno avuto per noi un significato profondissimo. Queste scoperte le ho fatte nel momento in cui mio fratello è scomparso. È un modo per osservare quello che in realtà era un rapporto normale tra persone che non vivevano insieme. Noi vivevamo in città diverse, però abbiamo ugualmente percorso una vita insieme. Rivedere a posteriori la nostra storia mi ha permesso di notare quello che di magico c'era tra di noi. Abbiamo vissuto situazioni grandiose, bellissime che immagino possano esistere in tutte le vite condivise, anche se non apparivano così speciali nel corso della vita.
TG: Quali persone si incontrano a questo appuntamento?
Janù: È un appuntamento in cui si incontrano mio padre e mio fratello. Avrebbero dovuto vedersi prima che morisse mio padre che ha tenuto l'anima tra i denti per un tempo infinito per vedere suo figlio di ritorno da un viaggio di lavoro in Africa, ma quando mio fratello arrivò al capezzale del moribondo, mio padre se n'era già andato. I due si ricongiungeranno nella tomba quando mia nipote decise di mettere le ceneri di suo padre accanto alla bara di nostro padre, all'interno dello stesso loculo. Ecco, così si compie quell'appuntamento che sembrava perduto. Non è una storia pesante: la morte fa parte della vita.
TG: Quanti anni di differenza c'erano tra te e Gennaro?
Janù: Lui aveva due anni più di me. Da piccolo io volevo sempre giocare con lui, però lui non mi voleva mai, salvo quando gli potevo essere utile. Non mi sfruttava, aveva una logica diversa; una volta fece un treno legando tra loro alcune sedie, ma gli mancava chi le trainasse, allora mi chiese se volevo giocare con lui ed i bambini più grandi. Io ero felicissimo, perché io e gli altri piccolini non vedevamo l'ora di entrare a far parte del gioco. All'interno del fumetto racconto diverse cose così.
TG: Che cosa pensi della morte?
Janù: Invecchiando vedo la morte come un fatto all'orizzonte degli eventi; gli anni che ho vissuto sono molto più numerosi di quelli che mi aspettano nel mio futuro, anche se spero che comunque siano abbondanti... Per permettermi di fare i miei lavori... Questo vuol dire che diventerò eterno, perché più vado avanti più ho progetti da realizzare. Il materialismo classico, quello riduttivo, non mi basta più, cerco di riscoprire la realtà che ho osservato e che osservo. Ti faccio un esempio: un giorno sono rientrato a casa e ho visto i miei due pesciolini rossi morti perché avevo lavato con un forte detersivo la loro boccia, ma non l'avevo sciacquata bene. Non sapevo come raccontare questa cosa a mia figlia Elena, quando era ancora bambina. I pesciolini si chiamavano Ho Chi Minh e Mao Tse Tung, non li potevo buttare nel cesso... o nella pattumiera... mai! E poi, erano i miei pesciolini, quelli che mi scodinzolavano quando mi vedevano... Allora gli faccio il funerale. Prendo una scatola di quelle di alluminio... sai di quelle dove mettono il baccalà, con tutto il rispetto per il baccalà... Nella rosticceria del supermercato. Stendo i pesciolini dentro questa scatola e li porto sul naviglio di Abbiategrasso e depongo la scatola sull'acqua del naviglio, bella, calma, senza ondine. Li seguo per un po', penso perfino all'adagio di Albinoni, sai... Ero proprio mesto, faccio il funerale e inizio a pensare a quanto possono impiegare per arrivare al mare, perché voglio che loro tornino lì da dove sono venuti. Una volta, avremmo detto che sarebbero andati nei grandi pascoli di Manitù. Faccio un calcolo e mi dico che, belìn, ci vorranno dai 10 ai 15 giorni, perché ci sono circa 200 chilometri da fare. Poi, ci saranno le rapide, le chiuse, i cespugli... All'improvviso, la barchetta che procedeva molto stabilmente, non so perché, si ribalta. I pesciolini cadono ed io vado subito a vedere dove vanno a finire, magari per recuperarli, ma non li vedo più. Spariti. Corro un po' più avanti, ma niente da fare: spariti. Allora faccio lavorare la fantasia...
TG: Pensi che il lettore abbia voglia di riflettere su un argomento come la morte?
Janù: Non lo so; a me basta che abbia voglia di leggere i fumetti in generale, il mio in particolare. Poi, magari se io gli so porgere con grazia questo argomento, può darsi che non lo tedi, non lo annoi, non lo spaventi... non gli rompa le palle, magari può anche instaurarsi una riflessione utile. Perché no?
TG: Hai qualche tipo di fede?
Janù: Io mi sento più vicino ad una forma di animismo o di paganesimo pre-cristiano. La morte è la soglia del mistero, non sappiamo cosa c'è dopo. Rifiuto le semplificazioni troppo ovvie e banali, per questo mi è più utile il paganesimo che si inventava delle storie. La merla che è venuta a fare il nido tra le mani di Elena, per me può essere davvero una reincarnazione di una madre che prende quella forma per fare visita alla figlia.
TG: È successo davvero?
Janù: Sì. Ha fatto il nido tra i vasi e ci ha lasciato due uova. Prima era a due-tre metri, poi l'ha costruito sulle mani di Elena. Quando ho a che fare con qualcosa di misterioso lascio andare la fantasia; ho bisogno di questo perché sua madre mi manca. Ritrovo le persone nel respiro dell'alba o nel colore delle ciliege...
TG: Sono sicuramente visioni poetiche.
Janù: Il paganesimo aveva visioni poetiche, anche perché se noi siamo fatti di chimica e fisica, allora noi siamo fatti anche di alba e di ciliegia. Il rosso delle ciliege era lo stesso colore delle labbra di Bruna; il suo respiro era fresco... L'alba mi fa pensare a lei.
TG: Invece, sul fatto che sembra che l'immortalità possa diventare un giorno raggiungibile, cosa dici?
Janù: Vedi, torniamo al punto di partenza: cosa rende immortali? Posso prendere un pezzo di carne e congelarlo per milioni di anni sotto i ghiacci della Siberia, ma ti sembra che quello poi sia ancora un Mammut? Non facciamo l'errore dei riccastri guerrafondai che vogliono ricostruirsi la villa nel bunker anti-atomico su Marte. La vita umana non puoi portarla su un altro pianeta, se si è sviluppata qui. Tu pensi che la vita si possa ricostruire la vita in un bunker su Marte? Questo vorrebbe dire che hai ridotto la vita a poca cosa. L'immortalità è uguale, c'è gente che ha deliri di questo genere: mi faccio ibernare... oppure mi compro qualche organo sano dal bambino africano per sostituire il mio organo fottuto e io divento eterno... Questa è una logica decadente e pervertita. Hai ridotto quel bambino a un organo e tu diventi uno che non ha capito niente della vita. L'immortalità a cui tendono alcuni falsi ideologi è una forma distorta di esistenza; è una vita ridotta ad uno stato larvale, ad una parvenza di realtà che ha ben poco di umano.
TG: Non ci interessa...
Janù: Ce l'abbiamo già! Non come individui, ma come insieme di esseri sociali. Io attraverso i miei antenati e tu attraverso i tuoi che poi diventano gli stessi, perché tutti abbiamo in comune gli stessi antenati, possiamo attingere insieme all'eternità. C'è anche da dire che il mio tempo ha molte fasi: un conto è come ero da bambino quando i miei occhi vedevano la magia in ogni cosa e un'altra sono i miei occhi da vecchio, miope, presbite e disincantato.
Non dobbiamo sprecare il nostro modo di essere così effimeri.
Questo è quello che ci manca.
Tratto da: L'appuntamento che sembrava perso di Enzo Jannuzzi
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