venerdì 8 febbraio 2019

Chandra Livia Candiani: la furia del poeta nella poesia femminile

"La vita è un sogno dal quale ci si sveglia morendo." Virginia Woolf

Il silenzio è cosa viva CLC
Il silenzio è cosa viva CLC

Da tempo la poesia sembra in procinto di morire, ma ultimamente ci sono sempre più persone che le si avvicinano per renderla alla portata di tutti e liberarla in ogni luogo, in modo da sconvolgere il torpore di coloro che non vogliono ascoltare il rumore che dentro di loro viene soffocato dal rumore prodotto dal caos della nostra società. Il silenzio porta facilmente all'attenzione, ma non è facile trovare la quiete e la tranquillità nella nostra epoca in cui molti temono la solitudine e la meditazione
Il poeta è colui che nominando le cose con il loro vero nome riesce a restaurare la disarmonia che incontra nel mondo per indicare la strada da percorrere ai suoi simili che si sentono sperduti e non sanno dove cercare la pace e non riescono a trovare il significato del proprio ruolo umano. L'insaziabilità dei desideri degli uomini contribuisce a confonderci e a rendere inesprimibile ciò che proviamo durante la nostra permanenza terrena. La missione della poesia è quella di renderci vivi anche quando affrontiamo le difficoltà e le situazioni che ci spaventano. TG

La furia d'esser viva
nella notte
sotto la polvere dei crolli
sono in frammenti
tutti vivi,
c'è un urlante
silenzio bambino
ha i graffi
libera tutti.
La tigre giovane
che mi abita
percorre i secondi
misura il mio torace
ha zampe forti
per accogliere il dono
del respiro
che spunta appena,
appena nato.
CLC

Laura Pezzino: Per te la poesia è un felino tatuato nel sangue; quando ti sei accorta di avere questo segno nel tuo sangue ed hai avuto il primo incontro con la poesia?

Chandra Livia Candiani: Il primo ascolto mi è capitato intorno ai 5 anni, prima di andare a scuola. Ho sentito mio fratello ripetere una poesia che doveva imparare a memoria: era il 10 agosto di Pascoli. Mi ricordo che ero in corridoio, girata di spalle rispetto alla stanza dove mio fratello studiava e le sue parole mi hanno attraversato la schiena e mi hanno fatto vedere quello di cui lui parlava: un uomo caduto con le bambole sul petto, un cavallo e la rondine che volava. Subito ho pensato: da grande voglio scrivere anch'io in quella lingua. Pur essendo un grande asino che andava male in tutte le materie, a 10 anni, in quinta elementare iniziai a scrivere poesie quando morì un pesce rosso che avevo a casa. Feci un raffronto tra com'era da vivo e da morto; non ricordo esattamente cosa scrissi, ma credo fosse qualcosa tipo: "Ieri nuotavi, oggi non nuoti più...". Era uno scritto abbastanza noioso e terminava così: "...ieri ti chiamavi Casimiro, oggi non ti chiami più...". Per me è stata un'esperienza misteriosa in cui ho sentito la forza del puma che aveva urgenza di correre e dire dell'effervescenza del sangue.

LP: Si tratta di un'esperienza che continua con la stessa intensità?

CLC: Accanto a me ci sono un puma blu e un lupo nero. Quando mi sento in pericolo è sufficiente che batta le mani e subito arrivano a proteggermi questi animali. Il lupo a destra e il puma a sinistra.

LP: Che cosa significa apprendere a memoria una poesia?

CLC: Io non ci capivo niente. Per me era tragico. Poi una sorella mi ha insegnato a imparare a memoria con l'ausilio delle immagini. La poesia a scuola era una traduzione dall'italiano all'italiano, non dalla poesia alla prosa, quindi non gustavo per niente questo metodo. Non imparavo a memoria per conoscere qualcosa da amare, studiare le poesie significava ascoltare parole per me completamente prive di senso, come quelle usate da Pasternak che però forse qualcosa mi hanno dato perché mi hanno portato fuori dal dover scrivere, o parlare, solo in modo ragionevole.

LP: Chandra, nella tua poesia ci sono sempre tantissimi oggetti, che significato hanno? Perché sono così presenti?

CLC: Perché sono muti. E anche perché sono funzionali e utili. Sono i nostri consorti. Nella mia vita ho amato tutto quello che era muto, perché ero muta anch'io e anche tutto quello che è ammutolito e non ha accesso facile alla parola. Mi colpisce la presenza degli oggetti, anche ora. È strano il fatto che li notiamo poco e li usiamo così tanto. Io ero solita fare una gara con me stessa per ricordare il maggior numero possibile di oggetti insignificanti, come fanno i bambini, oppure dire: "Ti vedo, ti vedo, ti vedo.". Per questa loro presenza protettiva e silenziosa forse hanno un po' a che fare anche con una promessa che mi sono fatta di imprestare la voce a chi non ce l'ha.

LP: E con gli animali che rapporto hai?

CLC: Con gli animali ho ancora di più un rapporto di complicità perché sono gli alleati, gli amici e i compagni che non hanno sotto-testo. Io soffro delle relazioni tra umani che hanno costantemente un sotto-testo non chiaro. Sono nata con le antenne e così apprezzo gli animali che sono quello che sono e mi commuovono sempre. Mi piacciono anche le minacce che fanno perché sono molto chiare.

LP: Ricordo che una volta mi dicesti che gli animali e i bambini sono gli unici esseri che non fanno le cose apposta.

CLC: Sì, li amo moltissimo anche per questo.

LP: Keats diceva che fare poesia era la seconda cosa al mondo più importante, dopo fare il bene. Vorrei sapere da te che hai scritto: "Non voglio essere buona voglio essere sveglia"; cosa pensi di quella affermazione?

CLC: Essere svegli significa essere in grado di poter vedere la propria cattiveria e non agirla. Questa è l'unica bontà in cui io credo. Ho paura di quelli che sono buoni e agiscono inconsciamente perché la loro rabbia è seppellita molto bene; è ben dipinta, ma poi esce con i sotto-testi. Oppure con chi si nasconde dietro le buone intenzioni e poi agisce male. Sono d'accordo che la poesia debba essere al servizio del bene e della luce in modo non premeditato. Per me essere svegli è più importante che essere buoni perché così non ci si affida all'emozione momentanea. Il metodo giusto è quello di imparare ad esitare e chiedersi: "Che cosa faccio adesso? Che cosa dico adesso?". Bisogna scegliere costantemente di non fare danni agli altri e di non nuocere a nessuno. Per questo scelgo di essere sveglia piuttosto che buona.

LP: Non c'è un giudizio morale in questo modo di porsi?

CLC: È un'etica, un'intenzione e una direzione e non un voler sembrare o un voler essere che poi è continuamente mancato e poi ci fa sentire in colpa o inadeguati, mentre il risveglio è un costante richiamarsi al corpo a dove si è e a quello che si sente e quindi anche all'altro. Possiamo sentire quello che sentiamo e decidere di non agire quando troviamo qualcosa di buio o di oscuro. Per questo mi sembra più affidabile agire per il bene se questo non c'è.

LP: Chandra, per te esiste una poesia femminile?

CLC: Una volta hanno chiesto ad Amelia Rosselli se leggendo una poesia sarebbe stata in grado di dire se l'avesse scritta un uomo o una donna. Lei rispose che se ne sarebbe accorta solo se la donna fosse stata una brava poetessa. Non è una questione di genere o di capire quanto sono radicata nel mio corpo, nel mio modo di vedere o di sentire. Non c'è bisogno di sbandierare la propria femminilità, ma viene da sé dire che sono viva e che sono una donna e spero che vada da sé che la mia è una poesia femminile.

LP: Tu preferisci dire le tue poesie piuttosto che leggerle, è vero?

CLC: Certo questa cosa c'è sempre stata. Mi pare che verso i 27 anni, o giù di lì, ogni tanto mi chiamavano ad incontri insieme ad altri poeti e quindi leggevo. Una volta che sono partita per l'India non ho più letto niente, ma quando uscivano i libri ero un po' costretta, ma è meglio dirle le poesie perché in quel modo puoi guardare le persone. Non è facile farlo. Io non sono un'attrice, ma anche in questo mi ha aiutato la meditazione.

LP: Cos'è la meditazione?

CLC: È un modo per poter stare con i propri conflitti, ma non è pace. La pace è un fallimento. Vinci quando riesci a convivere con tutto ciò che è vivo e ti contrasta. Quella è la meditazione. Non è pace, ma ti quieta. Per qualche tempo ho imparato a memoria le mie poesie e le dicevo, ma era una fatica improba e non necessaria perché le dicevo esattamente come le leggevo. Era completamente inutile e il risultato era anche peggiore in realtà perché dovevo anche ricordarmele. In quel modo perdevo anche quel minimo di espressione che avevo.

LP: Tu hai scritto che meditare non è cercare vie d'uscita, ma vie d'entrata e tutto è meditazione. Come ti spieghi l'interesse generale per la meditazione?

CLC: C'è molto bisogno di metodi e pratiche che non siano presentate in modo banalizzante. Non ne possiamo più delle pratiche del benessere, abbiamo bisogno di metodi che dichiarino le fonti e che siano a disposizione di tutti, aperti che soprattutto facciano del bene al mondo e che siano in contatto con gli invisibili, piuttosto che con l'invisibile. Gli invisibili sono tutte le persone che non vediamo e di cui neghiamo l'esistenza o gli alberi. Senza gli alberi non possiamo vivere. Dobbiamo imparare a stare al mondo in un modo più responsabile e più al servizio degli altri. Dobbiamo imparare a vivere con meno dolore e senza negarlo. In questa epoca sento tanto negazionismo verso tutto quello che è intenso, profondo e che fa male. A volte mi dicono che una mia poesia ha fatto tanto male. Mi dispiace se ci sono persone che vivono e sentono così. Avere a che fare con il dolore, con il male con la paura o con la rabbia è una richiesta che è in giro; con le mie poesie credo d'aver dato briciole di risposte che sono le stesse che ho trovato io nella via che ho incontrato e negli insegnamenti che ho avuto. Spesso non bisogna uscire dal male, ma entravi per conoscerlo e farlo svanire o riuscire a sostenerlo. Non bisogna dimenticare certe esperienze, ma ricordarle per fronteggiarle. Molti cercano delle soluzioni per dimenticare; io non voglio dimenticare, voglio andare in giro con la mia storia e poterne fare dono agli altri.

LP: Essere vulnerabili può essere un super-potere?

CLC: Essere vulnerabili è diverso da essere fragili. È scomodo e ti rende la vita difficile, ma mi piace perché mi fa tremare insieme agli altri e quindi penso che sia il primo passo verso la compassione. Leggevo di recente come vivono i bambini rifugiati nelle isole greche e ho capito che io non posso stare bene finché nel mondo succedono queste cose e anche che io non voglio stare bene. Voglio stare male con il male di tutti con grazia, con attenzione e consapevolezza, ma voglio sentire quello che gli altri sentono. Non credo che essere vulnerabili sia un super-potere, credo che sia un modo dignitoso di stare al mondo.

LP: Tu hai lavorato e lavori molto con i bambini; è per questo che pensi molto a loro? Che cosa fai con loro?

CLC: Faccio dei seminari nelle scuole, ma quello che faccio veramente con i bambini è un segreto che dico solo a loro, perché è un metodo magico che non posso rivelare agli adulti. Vado a scuola viva e questo non è poco perché la scuola ti spegne. Tutte le istituzioni ti fanno diventare anonimo. Per me è stato un po' uno shock andare a scuola e tenere questi seminari perché la scuola non mi piaceva. Rientrarci per tenere io dei seminari mi fa girare la testa e in più sono anche pagata per questo. Vado a scuola viva e vado a scuola con la febbre della poesia. Una bambina mi ha detto che la poesia è passione. L'amore per le parole si trasmette. Per chi viene da un'altra lingua, come i bambini stranieri, mettere le parole al mondo è una necessità, ma anche un miracolo che dà grande gioia. Per me sono le parole che ci mettono al mondo, per questo dobbiamo lasciare che le parole dicano di più di quello che sappiamo. Per i bambini che vengono da altre lingue dire in poche parole quello che si sente o denunciare quello che non si può nemmeno sentire o quello che vive è qualcosa di molto forte. I bambini, o gli adulti non hanno bisogno della parole per dire le cose banali, ma per dire le cose fonde che stanno anche dentro di loro. Sapere che poterlo fare sia una cosa possibile li sbaraglia. Ai bambini non porto filastrocche, ma poesie di poeti. I bambini hanno bisogno di parole forti, anche se non sono tutte comprensibili per poi bussare in un luogo da dove ne escono altrettante. È difficile dire cosa faccio con i bambini quando ci incontriamo, ma da quegli incontri nascono scintille, fulmini o quello che è. Il mio modo di affrontarli disarmata e tremebonda li aiuta a tirare fuori il loro vacillare. Per loro è strabiliante sapere che ci sia una lingua con la quale si può dire tutto.


Chandra Livia Candiani, 66 anni, Poetessa e scrittrice.
Chandra Livia Candiani, 66 anni, Poetessa e scrittrice.


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