L'opera d’arte contemporanea e l’opera d’arte "tradizionale": le quotazioni di mercato corrisponde al loro effettivo valore artistico? Ho posto queste ed altre domande all'amico e gallerista americano Joe Iannuzzi, per capire dove conviene investire e chi è il vero artista.
Siamo in tanti ad avere la "Scimmia dell'Arte" - Street-Art in via Cola Montano
Tony Graffio: Ciao Joe, non vorrei essere troppo brutale, ma ti devo confessare che da quando ci incontriamo per fare le nostre chiacchierate mi sto rendendo sempre più conto che nell'arte contemporanea è tutto solo una questione di business: se trovi un gruppo di investitori che lavorano in sinergia e sono capaci di farti raggiungere delle buone quotazioni riesci ad affermarti sul mercato dell’arte internazionale, indipendentemente da quelle che sono le tue effettive capacità professionali ed il tuo valore artistico?
Joe Iannuzzi: La risposta alla tua lunga domanda non può che essere: sì, certamente è come tu dici ma… Tutto ciò vale nel breve periodo: qualche mese, un anno, dieci anni… Poi però alla lunga i veri innovatori/ricercatori e i veri rappresentanti di un determinato periodo storico rimangono nel mercato e nella storia; gli altri scompaiono. Il valore artistico e il prezzo delle opere di un determinato artista non sempre corrispondono, si sa.
T.G.: Chi sono questi “imprenditori” un po’ mecenati un po’ filibustieri che investono su un artista per ricavarne un guadagno? E perché lo fanno? Per amore dell’arte?
J.I.: Chi ha molti soldi è normale che tenda a diversificare il proprio patrimonio. Le recenti crisi economiche hanno portato a una perdita di fiducia nelle “asset class finanziarie”, con conseguente spostamento del denaro in investimenti alternativi: il mercato dell’arte è uno di questi settori dove si può diversificare il proprio intervento economico. Galleristi, fondazioni, importanti e famosi collezionisti non vanno viste come figure negative del mondo dell'arte. Fare impresa in campo artistico non è reato, poi che lo si faccia per amore dell’arte o solo per guadagnare dipende dall'imprenditore. Le dinamiche del mercato finanziario piuttosto che immobiliare posso essere accomunate al mercato dell’arte, logicamente con i relativi distinguo.
T.G.: A cosa ti riferisci?
J.I.: Gli imprenditori di cui tu parli vanno incontro a tre tipi di rischio nel mercato dell’arte: il rischio strutturale, quello specifico e quello soggettivo.
T.G.: Spiegati meglio.
J.I.: L’arte è un bene superfluo, vi è poca trasparenza del mercato, è un mercato frammentato, pochi “gestori” determinano l’andamento del gusto, le legislazioni e tassazioni sono diverse da paese a paese. Possiamo poi dire che ci può anche essere qualche incertezza sull'autenticità, sulla datazione e sulla conservazione delle opere. Vi sono tempi lunghi nelle liquidazioni delle medesime, con alti costi: pensa alle aste dove dal 30% al 40% del valore del bene va in commissioni. Con le opere d’arte puoi avere anche rischi di trasporto e problemi di esportazione/importazione.Per ultimo, c'è il rischio soggettivo: l’arte può essere usata solo come diversificazione patrimoniale, può essere scelta solo come integrazione dell’arredamento, si è portati a cercare di far convivere un interesse personale con la possibilità di un efficace investimento (e ciò non sempre avviene).
T.G.: Parlavi di legislazioni e tassazioni: è vero che nel mondo, in Europa e forse anche in Italia è permesso/consentito/tollerato effettuare delle transazioni finanziarie nel mondo dell’arte che permettono di evitare di pagare tasse/iva o altri balzelli? Il Mercato dell’arte è utilizzato per rimettere in circolazione denaro contante senza troppi problemi burocratici e amministrativi?
J.I.: Probabilmente si, queste dinamiche possono verificarsi, tieni conto che se vengono rispettate le legislazioni dei singoli stati non vi è nulla di illegale. In Italia, che io sappia, la maggior parte delle gallerie lavora con il regime dei margini, poi per altre informazioni fiscali dovresti informarti presso un commercialista. Per quanto riguarda lo scambio tra privati non vi è tassazione poiché le opere d'arte sono accomunate ad oggetti usati.
T.G.: Non trovi che questo sistema finisca con lo svilire il vero artista e favorire le nullità che dietro a pseudo-idee concettuali di bassa lega applicano soluzioni industriali ad un ambiente che in epoche diverse si basava su tecniche molto complesse tramandate di padre in figlio (Molto difficilmente riproducibili dagli estranei poiché erano segreti professionali che spesso gli artisti si portavano nella tomba piuttosto che divulgarli ai loro concorrenti)?
J.I.: No qui non sono d’accordo con quel che dici. Chi è il vero artista? C’è una giuria che lo stabilisce come nei programmi di cucina? L’arte è un linguaggio: ogni artista deve trovare il suo; rispetto al passato non ha importanza se l’artista sia capace o meno di eseguire lui stesso l’opera per definirsi artista. Pensa a Andy Warhol. Per tutti è l’artista per antonomasia. Come ben sai c’era la Factory dove i suoi collaboratori producevano le opere. Se vuoi parlare dei giorni nostri, pensa a Damien Hirst, anche lui ha una notevole quantità di personale che lavora per realizzare le sue opere. Anche in passato era così: gli artisti di scuola aiutavano il grande maestro a realizzare la sua opera. Michelangelo aveva diversi assistenti e spesso addirittura li sostituiva con altri nuovi. L’idea, il concetto sono fondamentali, poi chi lo realizza è logico che sappia di tecnica ma non necessariamente deve essere l’artista medesimo. Pensa ad Alighiero Boetti, quasi la totalità delle sue opere (gli arazzi, le mappe) sono state realizzate in Afganistan dalle donne del posto. Questo non toglie alcun valore artistico alle sue idee, anzi.
T.G.: Ultimamente, stiamo assistendo sempre più spesso alla vendita di opere di artisti, nemmeno tanto maturi, che hanno venduto delle opere ai prezzi di un Degas, o perfino superiori. Un indefinibile Cattelan (ma non necessariamente lui) è veramente più bravo di un impressionista? Queste valutazioni verranno confermate anche in futuro o c'è il rischio di trovaci di fronte a grosse sorprese?
J.I.: Esattamente come nel mercato finanziario si formano le così dette “bolle” e lo stesso avviene nel mercato dell’arte: probabilmente l’esempio che tu fai è molto suggestivo. Quando c’è bassa conoscenza ed alta emozionalità non può che verificarsi la bolla speculativa, Hirst e Cattelan ne sono i possibili esempi, ma se il loro valore è duraturo, solo il tempo ce lo potrà confermare. Come ti ho già detto, l’arte contemporanea deve essere l’espressione del momento sociale, culturale e storico in cui viviamo: cosa meglio di un ”cesso” fatto d’oro dal titolo “America” puoi immaginare per esprimere l'attuale metafora del mondo in cui viviamo?
T.G.: Quando il mercato dell’arte ha cambiato strada ed è diventato un'alternativa alla borsa valori?
J.I.: Da quando ci sono le crisi finanziarie in borsa... (ride). Ricordati, la parola d’ordine è diversificare.
T.G.: Qual è la responsabilità degli americani, nel dopoguerra, nel dare peso all'astrattismo a scapito del figurativo e nel trasformare le “belle arti” in idee concettuali che ripudiano la bellezza?
J.I.: Più che altro, direi che noi americani diamo forza ai nostri artisti in generale, a partire dalla Pop-Art ai giorni nostri. Per dirtene una, nel 1965 al MOMA fu fatta una mostra, “The Responsive Eye”, basata sull'arte ottico-cinetica e programmata. Sarebbe stato bello e interessante nel cinquantesimo anniversario riproporre una mostra commemorativa… E invece non se n'è fatto nulla. Sai perché?
T.G.: Credo di saperlo, ma dimmi pure...
J.I: Di artisti americani veri e propri in quella mostra ce ne erano pochissimi e quindi nessuno ha voluto tirare la volata ai ciclisti della squadra avversa. Capisci Tony?
T.G.: Sì perfettamente, ad ogni modo, gli americani sono stati molto in gamba nel proporre la loro arte. Secondo te, Peggy Guggenheim era un genio o una donna molto influente con tanto denaro da spendere?
J.I.: Entrambe le cose Tony e poi era una persona che sapeva godersi la vita.
T.G: Anche su questo siamo d'accordo, è solo sull'idea di cos'è l'arte che ci scontriamo... Le arti visive contemporanee per te sono il riflesso dei tempi o solo un espediente per fare della speculazione finanziaria?
J.I.: Entrambe le cose, ma rispetto al passato l’arte è vissuta solo da un pubblico di nicchia, un'élite. Forse per questo tu ed io a volte non ci capiamo, tu la consideri una forma didascalica che possa essere d'aiuto alla crescita culturale del popolo, ma non è così. L'arte non si rivolge più a tutti; per quello esistono altre forme di comunicazione, come il cinema, la televisione o il fumetto. Probabilmente, moltissime persone, al tempo di Michelangelo a Roma e non solo lì, avevano visto le sue opere e conoscevano il Maestro. Oggi questo non vale per gli artisti contemporanei (se non per rare eccezioni), le stars di oggi sono attori famosi e in Italia i calciatori.
T.G.: E’ tutto un bluff? E’ tutto pilotato o c’è qualcosa che sfugge alle logiche del business?
J.I.: Ricordati Tony che nel mercato dell’arte nulla succede per caso, è un mercato molto finto, ma girano soldi veri. (ride di gusto). Pochi ricchi e potenti decidono per tutti. Così era in passato quando i papi commissionavano le opere; poi con l'impressionismo i borghesi pagavano e si portavano a casa le opere. Così è oggi e lo stesso accadrà anche domani.
T.G.: Un Michelangelo che cosa ha da imparare da un Kiefer?
J.I.: Nulla, il primo è morto.
T.G.: Sì, lo so, intendevo dire se c'è qualcosa, a livello di marketing, che oggi fa sopravvalutare quei bravi artisti che tuttavia non mi sembrano essere dei geni assoluti.
J.I.: Il mondo è molto cambiato, è vero, non ci si può opporre al progresso.
T.G.: Non sei d’accordo se dico che un artista “classico” ha delle capacità professionali e pratiche che negli artisti contemporanei vengono totalmente sopperite con il marketing?
J.I.: No, non sono d’accordo.
T.G.: In altre parole, l’arte contemporanea è solo marketing?
J.I No. Il marketing è sicuramente fondamentale, oltre alla comunicazione, per un artista dei nostri giorni, ma non basta.
T.G.: Un Christo è superiore ad un Michelangelo solo perché Michelangelo non è in vendita?
J.I: Si tratta di realtà molto diverse tra loro: non puoi paragonare artisti del passato con quelli contemporanei, ognuno ha vissuto nel proprio periodo storico, ognuno è figlio del proprio tempo e di conseguenza anche il tipo d’arte che viene prodotta è molto diversa.
T.G.: Si può essere artisti nel 2016 se non si vende niente?
J.I.: No. L’artista è un professionista e per molti aspetti anche un imprenditore.
T.G.: E’ meglio vendere un quadro a 80 euro o è meglio non vendere niente?
J.I.: Non è il prezzo di un opera che fa sì che questa sia arte o meno.
T.G.: Anche 100 anni fa per farsi conoscere e farsi degli amici era buona norma regalare le proprie opere ai musei, ai curatori e ai giornalisti?
J.I.: Immagino di sì.
T.G.: Cosa mi puoi dire dell’antiquariato e del design, che rapporti hanno con l’arte contemporanea?
J.I.: L’antiquariato è sempre più per “pochi nostalgici”, il design invece è sempre più scambiato e quotato, vedo molte aste in giro per il mondo. Come mi disse un amico e famoso artista Italiano (Davide Boriani) Il designer ha un problema e deve risolverlo; L’artista si crea un problema per poi trovare la soluzione (sorride).
T.G.: Qual'è il rapporto tra la moda e l’arte?
J.I.: La moda ruba, copia a mani basse nel campo dell’arte, potrei farti infiniti esempi: dai vestiti con disegni optical a quelli minimalisti, etc.
T.G.: E’ l’arte che influenza la politica attuale o è più la politica ad influenzare l’arte contemporanea?
J.I.: L’arte è molto spesso come una fotografia della società in cui stiamo vivendo, l’arte è un “metalinguaggio” che coglie l’essenza del nostro tempo.
T.G.: Qual è il più grosso segreto dell’arte contemporanea che tutti conoscono e che nessuno vuol pronunciare?
J.I.: L’arte è una cosa che non serve a nulla ma che dà immensa felicità (quando la dà).
T.G Su 100 artisti di buon livello dei nostri giorni, quanti ne verranno ricordati fra 50 anni?
J.I.: Non saprei, probabilmente meno di dieci.
T.G.: Tu tratti solo Arte contemporanea? Perché?
J.I.: Sì, dà più margini di profitto ed è più stimolante, è qualcosa di più vivo è qualcosa ancora in divenire che ha un che di misterioso.
T.G.: E’ più facile vendere un Aubertin o un Morandi? Perché?
J.I.: Entrambi in questo momento sono richiesti, ma le cifre in gioco sono ben diverse come tu ben sai.
T.G.: Verranno ridiscussi sia gli artisti "classici" che quelli moderni? Chi tra loro è apprezzato adesso, lo sarà anche in futuro?
J.I.: Ormai la storia è scritta per gli artisti classici e moderni, a parte rarissimi casi quello che è oggi nei libri rimarrà anche in futuro.
T.G Qual'è un investimento a prova di rischi? Un Mondrian o un Francis Bacon?
J.I.: Entrambi.
T.G.: Arte e finanza diventeranno una cosa sola?
J.I.: Lo sono già.
L'arte contemporanea ed il mondo attuale stanno andando nella stessa direzione. TG
(In fotografia: America di Maurizio Cattelan)
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