Vista la stagione estiva, ho pensato di dedicare una piccola inchiesta ad un argomento d'attualità che possa mostrare un aspetto nascosto di una realtà da non trascurare.
Le presenza di un gran numero di cinghiali, da una parte crea parecchi problemi agli agricoltori ed alla sicurezza degli escursionisti, ma dall'altra può rivelarsi una fonte di reddito per chi utilizza le pregiate carni di questi animali selvatici per scopi alimentari.
Non c'è poi da sorprendersi se qualcuno pensa di nutrire i cinghiali per ingrassarli ed indurli a frequentare zone di bosco dove poi, a colpo sicuro, una volta aperta la stagione della caccia, si potrà compiere strage di questi animali semi-addomesticati, o perlomeno resi più docili e meno sospettosi per la presenza di coloro che si occupano delle loro mangiatoie.
Il bracconaggio rappresenta un'abitudine abbastanza radicata nella mentalità e nel modo di agire di molti "cacciatori" nostrani.
Tra gli alberi è stato appeso un bidone riempito di cereali che a periodi regolari dispensa cibo per gli ungulati
Sotto l'albero dove è stata posta la mangiatoia i cinghiali hanno scavato fino a dissotterrare le radici
Un altro metodo adottato dai "cacciatori" per richiamare nella zona gli animali selvatici ed indurli a tornare in questi posti è quello di porre un blocco di sale appeso ad una catena
I cinghiali, come altri animali, sono molto golosi di sale e leccano questa sostanza avidamente
Durante il primo giorno d'apertura della scorsa stagione di caccia, in questa zona furono uccisi 40 cinghiali da un'unica squadra di cacciatori.
Un altro punto di vista della mangiatoia
Tracce di resti di cassette che probabilmente sono servite a trasportare altro cibo per i cinghiali
Il passaggio di numerosi animali lascia molte tracce e crea dei veri e propri sentieri per lo spostamento dei branchi di cinghiali
Stiamo attenti a non disturbare gli animali selvatici, ma facciamo ancor più attenzione ad incrociare certi nostri simili.
Un dettaglio delle radici messe a nudo dagli animali
Sterco di cinghiale
Un dettaglio del bidone e del suo supporto che lo fissa al tronco dell'albero ad un'altezza non raggiungibile facilmente nemmeno dagli uomini
Coordinate approssimative di dove si trova questa mangiatoia: N 44°43'22.849'' E 9°16'48.873"
Altitudine: circa 850 metri slm
Non mi sembra bello lasciarvi con l'amaro in bocca, così ho pensato di proporvi un racconto breve inedito per il puro piacere di una lettura disimpegnata e distensiva.
L'autore è Stefano Bacci, sceneggiatore di Gostanza di Libbiano, il film premiato al Festival di Locarno nel 2000 per la miglior sceneggiatura e per il miglior operatore alla macchina.
LA VERA STORIA di OTTO IL POLPO e WALDO IL CINGHIALE
Non si può certo affermare che le circostanze nelle quali diventarono amici fossero fra le più propizie, no. Tuttavia
si incontrarono e questo non fu un particolare da poco. A quel tempo polpi e cinghiali non se la passavano affatto
bene: i capricci della moda imponevano pappardelle al ragù di cinghiale e polpo lesso con patate a quasi tutti i
ristoranti di tendenza del paese, e le loro carni diventavano di mese in mese più richieste dalla clientela danarosa,
ergo più costose. Professionisti della ristorazione e improvvisati ricercatori di lunari da sbarcare si prodigavano
per assicurarsene in qualsiasi modo il maggior numero di esemplari al minor costo possibile. Meglio ancora se
gratis. Fu così che Waldo il cinghiale si ritrovò un brutto giorno chiuso all'interno di un recinto dal quale non
sembrava possibile evadere in alcun modo, alla mercé di un ristretto gruppo di guardie infedeli di quello stesso
parco naturale che lo aveva visto nascere, crescere, correre, grugnire d'amore e grufolare lieto, e che invece di
sorvegliare con solerzia ora loro depredavano con disonesta abilità di bracconieri. E siccome il parco era
delimitato ad ovest dal mare, non appena poteva, la masnada dei predatori in uniforme non disdegnava di
esplorare la breve filiera di scogli biancheggianti alla ricerca di qualche incauto polpo distrattosi nell'ascolto della
vicina risacca o intento a potenziare tentacoli e ventose sulle lisce e scivolose pareti di quei sassoni sempre battuti
dalle onde.
A Waldo la faccenda si palesava in tutta la sua cruda drammaticità: aveva ascoltato con le sue orecchie setolose,
ahinoi prossime ad essere trasformate in gustosi ciccioli pressati, la guardia dai capelli rossi dire alla guardia semiobesa
dai bottoni sempre in procinto di saltare che l'indomani per lui era già bell'e pronto un piatto fumante di
pappardelle presso la pretenziosa trattoria appena aperta alle porte del parco, e il ciccione aveva risposto con la
sua vocetta stridula che un menù mare e monti al venerdì sera avrebbe significato per i due compari l'equivalente
di una settimana extra di stipendio “preso bene...soldi facili”. Addirittura i due vagheggiavano di imbucarsi a
scrocco nel locale a fronte di un piccolo sconto sulla fornitura. Dopotutto era in programma la serata inaugurale, la
gente che conta sarebbe stata tutta là e sai che selfie? Sai che sbafata!?
Il cinghiale, però, è un animale intelligente, e messo con le spalle al muro diventa capace di escogitare soluzioni
ingegnose. Ma la rete di cinta era troppo alta, e le guardie troppo esperte per non averne interrato un metro
abbondante, onde evitare che l'arcinota abilità del suino a scavare profonde gallerie potesse divenire strumento di
inauspicate quanto facili evasioni.
Conscio della necessità di agire in fretta, Waldo scartò subito l'idea di scavare a casaccio, perchèéil tempo e le
energie erano quelle che erano, cioè poche, e la terra del recinto asciutta, compatta e pressata quasi quanto un
pavimento. Esplorò dunque accuratamente tutto il perimetro della sua prigione a cielo aperto, finché non notò un
moncherino di tronco di pino spezzato e piegato, forse dal vento, forse dal fulmine, forse dalla manovra incauta di
un grosso camion di quelli che a suo tempo avevano trasportato il materiale utilizzato poi per costruire la struttura
(reti, pali, baracca). Le radici sporgevano fuori dalla superficie del terreno di un bel pò, ed erano belle grosse e
ancora ricoperte di terra fresca. Non c'era dubbio: il terreno lì era certamente smosso, dunque meno ostico da
scavare. Waldo si mise al lavorò senza indugio; del resto era il più abile scavatore di gallerie di tutta la macchia e
di tutta la la pineta, ammirato o preso bonariamente in giro dagli altri giovani cinghiali durante le disfide per il
titolo di Re dei Tuberi. Un solo metro di profondità non sarebbe stato sufficiente a garantirgli la libertà, e Waldo
andò oltre quel limite sovrumano, anzi, sovra-suinico, sbucando zozzo e sfinito dall'altra parte della rete al
sopraggiungere di quella che, nelle intenzioni spicce dei suoi aguzzini, avrebbe dovuto essere la sua ultima notte.
Solo che, solo che....Ecco: Waldo lo aveva visto subito, ma non c'era altra scelta; al di là della rete, in quel preciso
punto della recinzione, l'unico del resto violabile, si trovava esattamente la baracca della guardie, e scavare fino ad
oltrepassarla proprio non si poteva. Anzi...menomale che nessuno si era premunito di dotarla di pavimento, visto
l'uso di deposito per gli attrezzi e di scarno vestibolo e rozzo cesso che gli infami sorveglianti ne facevano,
altrimenti la fuga di Waldo sarebbe finita lì, nell'umido terriccio dagli odori che conosceva a menadito, e la sua
unica, scarna consolazione sarebbe stata quella di non finire nel piatto di qualche cliente del “Mille e una Botte”,
lo stronzissimo nome imposto a quella trattoria modaiola dai due soci che se la tiravano da grandi enologi
bongustai e che invece propinavano agli avventori il vino della cantina sociale delle colline locali, confondendoli
poi con etichette stile “vecchi tempi” e diciture altisonanti, nonché un listino prezzi degno di degustazioni di ben
altra qualità.
Era fatta, anzi no. Perchè la porta era chiusa. Chiusa e in grado di resistere alle sue pur possenti capocciate. E di
scavare ancora non se ne parlava proprio, perchè anche un giovane, robusto cinghiale ha dei limiti, specie se
tenuto a digiuno, e Waldo i suoi li stava ormai per raggiungere. Il rumore in lontananza e la puzza che già riusciva
distintamente a percepire, poi, non lasciavano spazio a soverchie illusioni: il jeeppone delle guardie stava per
arrivare e bisognava uscire in fretta da lì. Non solo: occorreva anche guadagnare un bel po' di secondi, perchè la
semplice fuga all'apertura della porta non avrebbe impedito alle guardie di fare fuoco. Ed avevano tutte un'ottima
mira.
Ora Waldo si guarda intorno ansimante; vede un coso... un vaso... un contenitore di cristallo... si potrebbe definire
una teca, una sorta di acquario da pesci esotici. Infatti c'è dell'acqua al suo interno, e non solo dell'acqua... C'è
anche Otto, il polpo incauto catturato dai compari alla scogliera. I due si sono incontrati qualche volta, quando
Waldo andava a farsi un tuffo refrigerante nei giorni più caldi dell'estate, quelli in cui afa e parassiti gli davano un
pruriginoso e asfissiante tormento che nemmeno una ciclopica sfregatura della groppa contro il tronco di una
quercia riusciva a lenire. Ma appartengono a due elementi diversi, non si sono mai curati più di tanto l'uno
dell'altro, limitandosi ad un alzata di tentacolo ed un morbido grugnito come segno di reciproca cortesia.
Ora però è un altro film. Ora loro due sono il menu mare e monti della cena di inaugurazione del Mille e una Botte
dell'indomani sera, e la guardia è venuta a caricarli sulla Jeep per portarli dritti in padella.
Occorre un piano e Otto, incredibilmente, ne elabora uno con la velocità del lampo. Lo illustra a Waldo. E'
rischioso, ma non ci sono alternative. L'amico ci sta.
Ecco: vediamo Waldo issarsi sulle zampe posteriori in tutta la sua lunghezza, lo vediamo immergere grugno e
zanne, bianchissime, dentro l'acqua. Vediamo Otto afferrare con i tentacoli quelle zanne e uscire dall'acqua
avvinghiato all'amico. Da ora in poi, sarà un conto alla rovescia per evitarne l'asfissia. Waldo deposita a terra il
polpo, da' una zuccata all'attaccapanni e fa sì che una delle giacche delle guardie gli cada addosso, lasciando a
malapena scoperto il bel muso. Poi si china di nuovo verso Otto, che gli si arrampica sulla testa a mò di cappello.
Poi....poi la fortuna aiuta gli audaci: la guardia è sola, ed è proprio l'obeso credulone che Otto, prigioniero
nell'acquario, aveva spesso sentito parlare di approssimativi racconti di esoterismi, improbabili spiritismi e altre
superstiziose credenze, nei confronti delle quali costui nutre una fede cieca e un inconfessato terrore. La porta si
apre e agli occhi della guardia si palesa il più temuto e orrorifico degli spettacoli: un fantasma non particolarmente
alto, tarchiato e con indosso una giacca da guardia del Parco, la cui testa è una infernale Medusa con tanto di serpi
simili a decine di ciocche di capelli biancastri orribilmente semoventi aperte a ventaglio. E la sua voce, poi....un
atroce latrato, un suono di dannazione come solo sulle sponde dell'ade.... Il disgraziato poco ci manca che non ci
resti secco, e non appena il mostro infila di gran carriera la porta d'uscita, l'unica cosa che si precipita a fare, con
inaspettata agilità a fronte della sua mole, è chiudere l'uscio immediatamente, fortificandolo poi dall'interno con
tutto ciò che trova dentro il gabbiotto. Vagli a spiegare che la creatura da incubo in cui si è appena imbattuto altro
non è se non un cinghiale ritto su due zampe, coperto alla bell'e meglio dalla giacca dell'uniforme del suo collega
e con un polpo vivo sopra la testa, un polpo con tutti i tentacoli spalancati e fluttuanti nella penombra di quella
notte dalla luna quasi piena. Quanto alla voce da giudizio universale, beh: era Waldo nella sua migliore
interpretazione del grugnito che paralizza. Migliore ancora di quella volta che cercava in tutti i modi di far colpo
su Wilma, di gran lunga la più intrigante cinghiala del parco. Wilma, che quella volta nemmeno se lo calcolò; ma
se lo avesse visto ora...! E' fatta: nessuna arma è stata estratta, i “pochi secondi” necessari a scongiurare questo pericolo sono stati
guadagnati e il mare non è poi così lontano. Waldo corre come un posseduto, vola fra i cespugli di rovi, travolge
gli arbusti, scortica gli alberelli. Otto è sempre più in affanno, ha bisogno dell'acqua, ne ha bisogno ORA. E
l'acqua è lì, a un passo ormai, a pochi metri. Quando Waldo stramazza a terra sfinito e ferito, non è esattamente
sulla terra che va a cadere, ma sulla sabbia già umida dei primi spruzzi delle scarne onde. Otto si stacca dal
capoccione dell'amico per via della caduta, ed è a pochi goffi, sinuosi colpi di tentacolo dalla salvezza. Bisogna
fare presto però: bisogna trovare l'ultimo guizzo. Alzati, Waldo: vai a sinistra, lì, c'è quel gruppo di cespugli sulla
duna, non ti vedranno mai lì. Resisti, Otto, trattieni il fiato ancora un istante, che le onde più soccorrevoli arrivano
già a lambirti i tentacoli disidratati. Presto, però, perché il ciccione è sciocco ma non idiota. E' già lì, lo ha visto
che siete scappati. Il recinto è vuoto, l'acquario disabitato, e lui sta già scendendo dalla Jeep con il fucile in mano.
Non ha capito nulla, e come potrebbe? Ma superata la paura ha pensato al portafogli. Svelti... è questione di
secondi ormai, fate presto, più presto, prestoooo!!! Nessuno sa come sia finita questa storia...se Otto e Waldo ce l'hanno fatta, se uno di loro soltanto è riuscito a
mettersi in salvo o se entrambi sono diventati pietanza. E' passata una nuvola a coprire la luna e neanche i miei
occhi di barbagianni, così abituati al buio, sono riusciti a capire di più, era troppa la distanza da cui osservavo la
scena, unico testimone insieme alle triglie e alle mormore che a sera si spingono spesso fino a riva. Ma cosa volete
che ne sappiano loro della forza dell'amicizia, loro che brucano il fondale sabbioso e non hanno ancora imparato a
riconoscere l'amo che spunta dall'esca e aspetta il loro stolido morso. Che ne sanno di cosa significa ingegnarsi in
tutti i modi per trovare la via d'uscita dalle pastoie mortali dove altri ti hanno cacciato, o dove tu stesso ti sei
cacciato per aver abbassato la guardia una volta di troppo. E cosa volete che vi raccontino, dunque....
Ma andate all'ingresso del Parco, cercate quella insulsa trattoria di finto legno. Chiedete lì... Come? Non c'è? C'è
solo un bar? Si chiama “La botte piccola”? Dicono che sì, che doveva essere una trattoria chic, ma che i clienti la
disertarono in massa dopo un'inaugurazione fallimentare? Promettevano mari e monti e vino di classe e
propinarono panini con la mortadella e rosso dei colli? Cambiò in fretta gestione e diventò subito una merenderia
alla mano per escursionisti?
Ah, beh... Questo allora può significare solo due cose: o Waldo e il Polpo ce l'hanno fatta, o io tutta questa storia
me la sono soltanto sognata...
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