martedì 10 marzo 2015

Teatrino Burri: sì o no?

Parco Sempione, Milano, 9 marzo 2015

In questo luogo era stato costruito il teatrino progettato da Alberto Burri ed in questo stesso luogo, a distanza di 26 anni dalla sua demolizione, sta per essere ricostruito lo stesso palco che dovrebbe accogliere spettacoli, musicisti, attori e gente comune, anche in vista di manifestazioni di contorno a Expo 2015.
Ieri ho scattato qualche fotografia per documentare lo stato di avanzamento dei lavori, con la prospettiva di trattare questo argomento tra i "miei" Frammenti di Cultura, oggi è stato mandato in onda anche un servizio della TGR su questo argomento, a riprova che è in corso un vero dibattito tra i milanesi, da una parte ci sono gli amanti dell'arte e dall'altra coloro che pensano sia meglio tutelare le aree verdi dall'invadenza del cemento.
Come si collocano i nostri lettori, o coloro che collaborano con il nostro blog?
Il primo ad aver espresso il suo parere è stato Federico de Leonardis che s'è sentito un po' chiamato in causa da un discorso di questo tipo, sia per la sua militanza tra gli artisti più originali della città, sia per il suo passato da urbanista.
Invito tutti ad esprimere il proprio parere sull'argomento inviandomi i propri scritti via email, oppure postando liberamente i propri commenti in fondo a questa pagina. T. G.

Milano è tutta un cantiere

Il parere di un artista
Abitavo molto vicino al parco Sempione, più di quindici anni fa, e quando è stato costruito il grande palco di cemento, mi chiedevo addirittura di chi potesse essere l'idea, non avendone affatto riconosciuto l'autore. 
In linea di massima non sono contrario agli interventi artistici nei parchi (visto che Tony Graffio mi ha chiesto il mio parere di ex urbanista), dipende però quali e quanti. 
Il parco  è stato "invaso" da opere d'arte in occasione di una certa Triennale (non ricordo più la data, mi sembra la quindicesima), ma non tanto da suscitare il mio orrore per il troppo pieno (alcune sono state rimosse poco dopo e francamente non ho avuto rimpianti: non perché ingombrassero, semplicemente perché non le consideravo belle. 
Non si può sempre pretendere il massimo e comunque non è responsabilità dell'amministrazione pubblica se  le opere non sono del tutto riuscite, se mai dei curatori. Il Teatrino è stato in piedi per qualche anno e usato come impianto per rappresentazioni teatrali all'aperto. L'unica opera permanente che consideravo veramente riuscita in tutti i sensi era quella di Arman, trovavo affascinanti le tracce delle seggiole da giardino sulle scalinate, ma purtroppo non ho mai assistito, e non credo che qualcuno lo abbia mai fatto, a una qualche rappresentazione pubblica, magari di strada, magari improvvisata. 
In altre parole l'opera non mi sembra abbia suscitato l'interesse né delle istituzioni, né della gente (se non per atti di vandalismo stupidi). Questo è significativo di come deve essere tutelata dall'amministrazione pubblica un'opera d'arte: facendola funzionare, proteggendola con una certa efficienza d'uso. 


L'anfiteatro di Arman (Armand Pierre Fernandez), poco lontano dal sito dove sta per essere ricostruito il Teatro Continuo

Secondo me, le migliori opere sono quelle che in qualche modo possono essere vissute. L'intenzione di Arman era senza dubbio, esattamente come quella di Burri, di coniugare la forma con il suo uso (che poi è la caratteristica fondamentale di tutte le opere d'architettura: elasticità, apertura nei confronti delle trasformazioni d'uso nel tempo e nei confronti di interventi particolari di chi le vive). L'architettura non è mai statica, è un'ossatura da riempire di vita e la vita come si sa si trasforma: mio figlio ha un cervello ben diverso da quello di mio nonno - non ho detto migliore, sia ben chiaro.


Un particolare dell'opera di Arman

Potrei fare molte battute su come lo impiegano i giovani che esercitano il sacrosanto diritto di esprimersi a scapito dell'architettura: oggi, come sostengo da una vita, sembra che, sull'esempio della pubblicità, altro cancro delle società del tardo capitalismo, la città, qualsiasi città, sia diventata una mera superficie da dipingere, vuoi con carta da parati vuoi con bombolette spray; la materia dell'architettura, il suo volume, il suo involucro, le sue masse sono oggi ridotte a una sola dimensione (come diceva Marcuse): quella della superficie. Se ricostruiranno il Teatrino di Burri, bello o brutto che sia (non mi impegno in discussioni su quest'argomento, perché ognuno può avere in proposito tutte le opinioni che vuole), sono certo che in poco tempo verrà imbrattato dal primo idiota di passaggio, per essere a sua volta imbrattato dal successivo. Questa è un'altra delle caratteristiche del graffitismo: la mancanza di rispetto per l'architettura è un cane che si morde la coda, qualsiasi intervento di superficie, fosse anche quello del miglior muralista sulla piazza, viene soffocato dalla massa e si potrebbe aggiungere anche dall'urgenza espressiva più che legittima della massa. 
O si troveranno dei canali di sfogo per la creatività di tutti, insegnando prima di tutto il rispetto per quella degli altri, o la prima a essere vittima di questo bisogno sarà sempre l'architettura. Tanto per rimanere in tema di graffitismo, il post che tu hai pubblicato sul lavoro di Bros sulla facciata della chiesa è emblematico di come il graffitismo finisca per darsi la zappa sui piedi, suscitando le ire dei baciapile (quanti commenti negativi!), gli unici a pretendere pulizia (semo der gato, si dice al mio paese - alludendo ai topi): una brutta facciata di chiesa, costruita con il materiale povero a cui potevano aspirare le tasche del parroco e dei parrocchiani, è stata una volta tanto "imbrattata" con il rispetto della sua superficie, senza eccessivi personalismi e allegramente.
Subito cancellata. Mi dispiace per Bros, i suoi segni, molto semplici, di soli due colori su sfondo scuro, mi piacevano, davano allegria a un quartiere abbastanza squallido, ma pochi murales decenti e sobri  e magari anche rispettosi di ciò che ci sta dietro, non bastano ad arginare la valanga degli altri e soprattutto l'invasione "didattica" della pubblicità.
Conclusione: forse una vera svolta per ottenere il rispetto dello spazio comune (ed è tale tutto ciò che è esterno al nostro spazio privato) è un'educazione al vuoto, alla "tabula rasa". So di essere provocatorio e radicale, so che la proposta è mille miglia lontana dalla realtà attuale, che oppone un'economia globale virulenta a una società endemicamente in crisi, perché tutto viene rivoluzionato dall'irrompere delle masse sulla scena, con i loro problemi elementari ed essenziali (si possono esprimere con una sola parola: fame). Forse, malgrado la sua discrezione spaziale, il suo rispetto per i valori prospettici della Milano Elegante Modello Svizzera, anche il Teatrino di Burri è di troppo.
In aggiunta a quanto già detto posso dire quanto segue: Burri è stato un grande artista (il 12 prossimo si inaugura il centenario della nascita a Città di Castello), ma non sono d'accordo che tutto ciò che ha fatto sia all'altezza dei suoi Sacchi, dei suoi Cretti e dei suoi Cellotex. Quando era già in Italia da tempo, e famoso, secondo me è stato influenzato dal minimalismo e a quel periodo risale il Teatrino. Quell'intervento non mi interessava allora  e non mi interessa oggi, così come non mi interessano le sue sculture e pitture minimali che ho visto in Umbria agli Essiccatoi del tabacco. Se lo vogliono ricostruite, facciano pure: non deturpano la prospettiva al Castello, ma l'opera non mi emozionava e probabilmente non mi emozionerebbe più oggi. 
L'idea di inquadrare lo scenario in quinte teatrali non è male, ma l'opera di mera architettura paesistica, realizzata un tempo e oggi in ricostruzione, non mi sembrava molto originale. 
Molto colorata e abbastanza ingombrante sullo sfondo del verde. Questo è il mio giudizio. Federico de Leonardis

Il Teatro Continuo di Alberto Burri

 Chi è Alberto Burri


Aggiornamento dell'8 aprile 2015
La costruzione del teatrino procede lentamente, il cantiere resta aperto, non si vede nessuno al lavoro, quanto ci vorrà per portare a termine il progetto?

La prospettiva che incornicerà il Castello Sforzesco

La base di cemento

Un'altro punto di vista sul palcoscenico d'artista

Anche se l'argomento sembra interessare e continua ad a essere visionato, mancano ancora i vostri commenti.
Per stimolarvi un po', mi tocca pubblicare un'immagine che avrei preferito non mostrarvi.

Siamo tutti un po' Fantozzi?

Aggiornamento del 3 maggio 2015
I lavori sembrerebbero terminati, ma l'area interessata dal teatrino Burri è ancora transennata e le polemiche non sembrano finire.

Vista dall'Arco della Pace

Giochi di una domenica sera di primavera

Finito

Sghembo

 Di lato

Col Castello alle spalle

Fine della prospettiva ed altre polemiche

I bagni misteriosi (fontana De Chirico nel giardino della Triennale)

Di recente è stata risistemata anche la fontana progettata da Giorgio De Chirico nel 1973, ridando vita ai colori originali, ridipinti in acrilico con toni piuttosto saturi. 
Dopo tanti anni nel bacino della fontana è ricomparsa anche l'acqua.
Questo genere di opere richiede una costante manutenzione per poter conservare al meglio il proprio fascino e la propria bellezza e non sembrare un ricordo di un'età di degrado, come appariva la fontana poco prima del restauro. Speriamo in bene. T.G.

E per concludere, la parola torna a Federico De Leonardis.

Ancora a proposito del Teatrino (di Burri e non solo)
I lavori per il “restauro” del Teatrino di Burri sono stati ultimati. Restauro è un termine intenzionalmente errato, nasconde il fatto che bisognerebbe parlare di ricostruzione: l'opera era stata rasa al suolo 26 anni fa (nel ‘98), quindi dopo 25 dalla sua nascita, perché fu inaugurata, se non vado errato, nel '73, in occasione di una celebre Triennale che nel Parco Sempione di Milano ha visto nascere in contemporanea molti lavori di scultura, alcuni dei quali hanno subito la stessa sorte. La vicenda relativa a queste opere merita una riflessione.
Come ho già detto precedentemente, sono favorevole a portare fuori dai luoghi deputati opere d'arte evidentemente in grado di resistere all'azione del tempo, almeno il periodo necessario a che la comunità cui sono destinate si accorga che esistono, anche se non tanto quanto ne occorre perché ne assimili il messaggio (la conservazione “ab aeterno” non è più di moda). Il discorso è delicato e andrebbe affrontato da molto lontano.
Il liberismo selvaggio ha deturpato il Giardino d'Europa, minando in modo irreversibile un equilibrio paesistico eccezionale. Un territorio morfologicamente fra i più vari al mondo e plasmato in secoli in cui non è mai venuto meno un senso che chiamerei competitivo nei confronti della bellezza (per intenderci: Firenze costruisce il Cupolone e noi senesi ci daremo da fare con il nostro Duomo ecc), in una decina, al massimo una ventina d'anni, è stato completamente sconvolto. Naturalmente la crescita demografica conseguente l'aumento di benessere generale dovuto alla trasformazione di un'economia da prevalente agricola a prevalentemente industriale, ha rotto gli argini e non ha avuto a governarla nessun progetto urbanistico, necessariamente a livello nazionale. Qualcuno di buona volontà a tentare di sbarrare la strada all'ultima delle invasioni barbariche della storia del nostro paese per la verità c'è stato ma, aiutata dall'influenza deleteria degli aspetti peggiori della cultura d'oltremare vittoriosa su tutti i fronti, la calata delle mani delle masse sul territorio non ha trovato ostacoli. Presa un po’ superficialmente ma senza mezzi termini si potrebbe dire: la mentalità del campanile non è stata in grado di difendere una bellezza paesistica più che millenaria e la storia di Italia Nostra negli anni della ricostruzione postbellica è la fotografia patetica dell'impotenza della classe urbanistica: il paese, per ragioni storiche tradizionalmente anarchico, malgrado la profondità della sua cultura visiva, non è stato capace di darsi regole di difesa che non fossero l'isolamento della “bellezza” in enclaves precise: i centri storici. Come se la bellezza potesse vivere isolatamente dalla vita: la morte del gioiello più prezioso di tutta Italia, Venezia, ne è la prova lampante: il separatismo accumula i gas mefitici nelle periferie, facendo invadere il centro storico da orde di turisti ignoranti, certo non in grado di fornire apporti di culture diverse (solo la diversità nella complessità della vita mantiene attiva una cultura e la diffonde). Nel 1975 moriva ammazzato l'ultimo dei lucidi predicatori del disastro, Pierpaolo Pasolini, e 40 anni da allora non hanno fatto che aggravarlo.
Stop, fine del sommario e mi si perdoni se sono stato troppo veloce: volevo parlare del Teatrino di Burri.
Ma qui per inquadrare bene la questione va aggiunta un'altra premessa: precisamente sul Teatrino Milano.
Milano ha perso il suo centro storico dai tempi de L'Adalgisa, quando il Parco Sempione era periferia, ma forse è l'unica città italiana ad aver avuto una vocazione “modernista”. Quando giovane urbanista lavoravo nella prima e più importante “consultig firm” (sic! già allora non si usava più il termine società di consulenza urbanistica), creata dal socialismo rampante per accaparrarsi le commesse degli studi dei Piani di Sviluppo Industriale nel Sud (Cassa per il Mezzogiorno), a Milano si parlava del Centro Direzionale alle Varesine: erano già stati costruiti sia il Pirelli che il Galfa e al lato opposto la splendida Stazione Garibaldi e i colleghi architetti bollivano d'impazienza dietro i progetti che prefiguravano il nuovo centro (e dietro i politici che avrebbero dovuto approvarli): poveretti! hanno, abbiamo, bollito per mezzo secolo per arrivare a vedere lo scempio propinatoci da quegli ignoranti della Moratti & Co (dove per Co si intendono i compari dell’autre coté autori del bosco verticale). E allora vogliamo occuparci di quella pinzillacchera che è la vicenda del Teatrino di Burri? Na cacatiell'e mosca!
Beh, ma sullo sfondo delle amare vicende italiane, anch'essa nel suo piccolo è molto significativa.
Ho già detto: me ne sbatto dell'estetica; il mio parere sulla bellezza di quella scultura (architettura? non faccio esercizi di nominalismo) sarebbe soggettivo. Se volete saperlo, non mi emoziona, ma anche non mi disturba, così come riconosco il valore autentico del verde a Milano, che non manca certo, né nelle strade, né nelle aree pubbliche (per non parlare degli splendidi giardini patrizi negli interni dei palazzi del centro). Non è questione di estetica ma di prassi.
42 anni fa si costruisce un'opera, costa quello che costa, probabilmente gonfiato, ma non ho elementi per accusare nessuno e nemmeno criticare la parcella di Burri, che allora era ancora vivo. Utilizzata pochissime volte per gli scopi per i quali era stata costruita, e probabilmente anche per quelli che ne avevano suggerito le forme all'autore del più grande Cretto d'Italia (a Gibellina), dopo una ventina d'anni è stata abbattuta, prima sotto i colpi di vandali spetasciatori e poi sotto quelli dei picconi comunali. E’ come la storia degli edifici abbandonati, che con le loro tristi vetrate attirano le sassate dei ragazzi: per lo meno sentiamo il tintinnare dei vetri e le occhiaie scure ci sembreranno più significative dell'abbandono. Siamo tutti stati ragazzi armati di bombolette. Io no, perché allora le bombolette erano un lusso, ma come tutti i ragazzi ho conosciuto l'horror vacui, l'anarchia, la voglia di menar le mani. No, non me la sento di dar la baia a loro: non han fatto che sottolineare un abbandono, un'incuria, un disprezzo, e come chieder loro il rispetto, se i primi a non averlo sono quelli che ci educano e dovrebbero essere chiamati a governare? Ci lamentiamo di quanto è successo per l'Expo, ma cinquant'anni fa era la stessa cosa: si costruiscono opere per distribuire un po’ di pane agli artisti (evviva, sono artista anch'io!) e molto alle ditte ammanicate con tizio e caio politici e poi le si lascia lì, con splendido disprezzo per il denaro pubblico, ma ancor peggio per il servizio pubblico. Poi dopo cinquant'anni si ricomincia.
Sono stato a vedere. Il Teatrino di Burri è in piedi e per il momento pulito; quello di Arman conserva ancora un paio di graffiti antichi (forse sono dell'altro giorno, ma li sopporta alla grande); protetti da una cancellata (experientia docet), brillano di colori forse un po’ troppo vivaci (ma il tempo farà la sua parte) i restaurati Bagni Misteriosi del grande De Chirico (ma non aveva capito che la pittura non può tradursi in scultura come se fosse la stessa cosa) e sempre dietro la medesima cancellata le opere, a mio avviso “di riempimento”, di alcuni artisti e designer più o meno contemporanei e famosi (Gaetano Pesce, Alessandro Mendini, Sotzass e altri); sopra tutto troneggia e ingombra prepotentemente lo spazio verde un bottiglione di plastica gonfiata di Oldemburg, pardon di Paul Mc Carthy (il lapsus nell'autore, evidentemente di memoria corta, è involontario). Il discorso sul design dei nostri giorni l'ho già impostato polemicamente nel post precedente: Il design e la sua kermesse annuale in (www.federicodeleonardis.tumblr.com), quello sull'arte e in particolare su Mc Carthy gode di molti post nello stesso blog. Non so cosa abbia speso il comune per acquistare le opere esposte sul retro della Triennale e non starò certo a criticare o commentare le sue scelte. Mi viene una battuta: il mondo è pieno di cose inutili e la corsa al riempimento non è ancora finita: qualcuna in più non cambia l'andazzo, ma quel che è certo è che non basterà una cancellata a proteggerle da una prassi: belle o brutte che siano, l'incuria aiuterà a distruggerle, così si sentirà presto il bisogno di ricostruirle: ma per sostenere il lavoro!
Scusate, con i soldi di chi?
Non è tutto. I lastroni a specchio delle scomodissime panchette di Sotzass immerse nell'erbetta verde rasata perfettamente, i mammelloni lucidi di quelle enormi di Pesce (ma chi oserà poggiare le chiappe su cotanta durezza?), oltre alla solita considerazione sulla voga delle battute, non solo fra i designer ma nel mondo dell'arte tutto, mi hanno fatto venire in mente la Svizzera. Sì, proprio la Svizzera: sono ricaduto immediatamente nell'incubo della sua avanzata. No, non parlo delle banche, né dei black block (controfaccia del loro avanzare dietro la gentrificazione), ma di estetica, di est-etica.
Sono poco chiaro?
Con grande tristezza me ne tornavo a casa, ma un'orda di giovani ben vestiti, ben pettinati, in una parola, belli com'è bella la gioventù di oggi, affollava il Parco, è primavera, in una giostra di mira ed è mirata. Mi hanno tirato su, devo confessarlo, mi hanno confortato. Perché prendersela tanto con la Svizzera, con la pulizia, l'erba rasata a puntino, la buona volontà del Pisaspia di turno? Che ce ne frega in fondo di quei quattro gatti che rompono qualche vetrina e incendiano un paio di suv? Che il mondo intorno, quello della miseria monoculturale indotta dai cannoni o dai droni, prema, cerchi di invaderci o di spaccarci i maroni. Sapremo ben difenderci perbacco! FDL

Frammenti di Cultura ha parlato di Federico De Leonardis in questa pagina.

1 commento:

  1. Come sempre lo sguardo di Federico de Leonardis resta tra i pochi sguardi lucidi e colti sulla realtà che ci circonda.
    Ottimi i riferimenti alla diversità quando è complessità e la capacità di immedesimazione nei ragazzi di oggi (mi riferisco anche ad altre osservazioni che Federico ha fatto sul suo blog Fuoridaidenti).
    Ho trovato molto interessante anche la riflessione sulla scultura di de Chirico.

    RispondiElimina