lunedì 8 ottobre 2018

1968 e dintorni: Controcultura e stampa Underground in Italia

"Crisi è quel momento in cui il vecchio muore ed il nuovo stenta a nascere." Antonio Gramsci

Negli anni che vanno dal 1966 al 1976 la voglia di cambiare il proprio modo di vivere, il desiderio di abbracciare nuovi valori, di contrastare il potere politico parlamentare e la cultura dominante in quel periodo, ha spinto moltissimi giovani a vivere nuove esperienze alla ricerca di loro stessi, ma anche a mettere le basi di una società migliore. Molti di questi pensieri ed attività sono stati registrati dalla stampa indipendente della controcultura di quegli anni. Francesco Ciaponi ha compiuto un grande lavoro di ricerca letteraria che poi è sfociata nel suo ultimo libro: "Underground, ascesa e declino di un'altra editoria - 1966-1976". Venerdì 5 ottobre 2018, in presenza dell'autore del libro, di Matteo Guarnaccia, di Nicola Del Corno di Federica Boràgina, di Gianni De Martino e di Dinni Cesoni, su questi argomenti si è tenuta una pubblica conferenza presso il Caffè letterario Colibrì di via Laghetto, 9, a Milano.
Riporto di seguito ciò di cui si è parlato. TG


Matteo Guarnaccia, Federica Boràgina, Francesco Ciaponi e Nicola Del Corno al Caffè Letterario Colibrì per la presentazione di "Underground, ascesa e declino di un'altra editoria - 1966-1976", venerdì 5 ottobre 2018.
Matteo Guarnaccia, Federica Boràgina, Francesco Ciaponi e Nicola Del Corno al Caffè Letterario Colibrì per la presentazione di "Underground, ascesa e declino di un'altra editoria - 1966-1976", venerdì 5 ottobre 2018.

Nicola Del Corno: Francesco Ciaponi è uno studioso toscano che ha realizzato un bellissimo libro che andava assolutamente presentato qui a Milano; non dico questo per campanilismo, ma perché Milano è sicuramente la capitale italiana dell'Underground e della Controcultura. Oggi, poi nel corso di questo incontro, organizzato da Colibrì e dall'Isec (Istituto Storia Contemporanea di Sesto San Giovanni) cercheremo di spiegare il perché. Sicuramente, ci sono anche altre città che vengono ricordate in questo libro perché hanno visto crescere e sviluppare un  certo interesse per le attività svolte dagli esponenti della Controcultura. A Torino s'è mossa l'eccezionale figura di Gianni Milano; ma anche una piccola realtà come Lucca ha avuto il suo ruolo per quello che riguarda il Beat. Ovviamente, c'è Roma con Carlo Silvestro, ma poi verso la fine del decennio la Controcultura si è trasferita a Bologna dove ha vissuto l'esperienza di Radio Alice, del collettivo A/traverso e della loro rivista. Tuttavia, la scena Underground, soprattutto dal punto di vista dell'editoria, parte da Milano e dall'esperienza seminale di Mondo Beat che esce per sette numeri; tra l'altro questa sera qui tra noi c'è Gianni De Martino, protagonista di quell'esperienza. I Beat e i Capelloni sono coloro che hanno portato in Italia alcune idee e suggestioni di ciò che stava succedendo a livello culturale nel mondo. I Capelloni italiani sono sicuramente influenzati dai Beat americani, musicalmente seguono il British Pop e politicamente si sentono in sintonia con i Provo olandesi. Da quell'esperienza nasceranno poi altre pubblicazioni. Nel '68, le proteste dei giovani nelle piazze e l'impegno politico sembrano in qualche modo interrompere l'ascesa della Controcultura. Nelle manifestazioni si incomincia a ricorrere alla violenza (una violenza difensiva), strumento che invece era rifiutato dai Beat, e le teorie e le azioni controculturali sembrano subire un momento di stanca e c'è chi abbandona addirittura l'Italia. Tramite le suggestioni impresse da un'altra rivista milanese: Pianeta Fresco, di Fernanda Pivano, che aveva ricercato esperienze in Oriente e fondato Comuni Beat, come quella di Ovada, vengono percorse nuove strade. L'editoria alternativa controculturale ritorna prepotentemente sulle scene di Milano agli inizi degli anni '70 con Re Nudo che tenta di non disperdere tutto questo patrimonio Underground che si era costituito e prova a fornire al movimento giovanile anche una visione più libertaria e anarchicheggiante della politica rifuggendo da certi dogmatismi e settarismi che invece erano propri delle riviste e dei circoli della politica post-sessantotto. Re Nudo fa conoscere il mondo protestatario americano: Angela Davis, Jerry Rubin, John Sinclair, i Weathermen Underground, le Black Panthers, le White Panthers, i portoricani Young Lords, senza dimenticare le pragmatiche battaglie sociali italiane, il problema della psichiatria e la pesante situazione nelle carceri. Re Nudo pubblica gli scritti e le poesie del così detto bandito comunista Sante Notarnicola. Inizia a interessarsi ai problemi legati alla tossicodipendenza; dà voce ai neonati collettivi femministi, agli omosessuali e così via. Svolge da una coté controculturale un'azione politica che rifugge dai settarismi, dalle ortodossie e dalle eterodossie Marxiste per concentrarsi sulla materialità del vissuto da strada e si appropria delle battaglie portate avanti dai Beat. A Milano c'è tutta una serie di giornali controculturali, meno orientati da un punto di vista politico che però danno voce ad altre forme di editoria, si pensi anche a Insekten Sekte di Matteo Guarnaccia e a Puzz, giornale di sballo a fumetti di Max Capa. Poi, ci sono le riviste di Simonetti di cui ci parlerà Federica. Tornando al libro di Ciaponi, devo dire che è veramente molto bello, non solo per la ricerca puntuale e precisa da un punto di vista storiografico e bibliografico, ma anche perché è un manufatto artigianale con una grafica allegra e divertente.

Federica Boràgina: Ho accettato di parlare qui questa sera perché mi sto occupando di queste cose da un punto di vista diverso che non è quello della storia contemporanea, ma della storia dell'arte contemporanea. Sto portando avanti una ricerca, nell'ambito di un dottorato, in cui studio i rapporti tra l'editoria della Controcultura e la Neo-avanguardia artistica degli anni '60. Sono partita da un'intuizione critica, ho parlato con Francesco ed in seguito sono riuscita a trovare un riscontro anche nei materiali che ho analizzato. Tra tutte le esperienze filosofiche, politiche e musicali che in quegli anni andavano a convergere nel mondo dell'editoria non si possono trascurare le esperienze artistiche, non solo per la presenza a Milano di Gian Emilio Simonetti che faceva da tramite con il mondo dell'avanguardia internazionale e nello specifico di Fluxus, ma anche perché queste operazioni, definite nel '71 di esoeditoria, sono al di fuori del mondo delle realtà istituzionali pur dialogando con esso. Già nella metà degli anni '60 esistevano realtà fondamentali che ci aiutano a capire quello che è accaduto negli anni '70. Oltre a Pianeta Fresco, vorrei citare ED912, una casa editrice poco conosciuta, se non per la rivista Bit, fondata da Daniela Palazzoli, Gian Emilio Simonetti, Gianni Sassi e Sergio Albergoni, a Milano nel 1966. Nel 1968, Bit oltre ad informare dei fatti musicali e artistici ha riportato la documentazione e molti materiali inediti relativi all'occupazione della Triennale. Bit ha anche sostenuto l'occupazione perché Simonetti ed il gruppo che ruotava intorno a ED912 erano tra i principali animatori delle vicende. Tra i vari materiali prodotti c'era anche una serie di manifesti ideati da alcuni artisti Fluxus e dagli artisti italiani protagonisti della scena di quegli anni. Per la prima volta una rivista offre una musicassetta con proclami situazionisti ai suoi lettori. Offerta che poi si ripeterà con un'altra rivista di Simonetti: il Gobbo Internazionale. In quel periodo, c'erano anche moltissimi legami con la Francia e le proteste del maggio parigino. Una ricerca completa sulle pubblicazioni di Controcultura non era ancora stata affrontata in maniera così capillare; per questo motivo il libro di Ciaponi acquisisce un ulteriore valore.

Matteo Guarnaccia: Mi sento una parte in causa molto coinvolta in questi eventi e osservo che chi per ragioni anagrafiche mantiene giustamente una certa distanza da quanto accaduto. Per me, quanto viene dibattuto non è soltanto qualcosa da storicizzare, ma una parte della mia vita, per cui alcune considerazioni potrebbero essere diverse da come vengono viste da altri. In quegli anni c'era una certa difficoltà ad esprimere e a trasmettere le idee; questo oggi può suonare ovvio perché tutti siamo abituati ad utilizzare i social media ed altri mezzi di comunicazione, però allora questo era davvero un problema. Ogni singolo volantino che vedete nei filmati documentari o nelle fotografie storiche doveva essere consegnato in questura per essere approvato, fatto che già di per sé la dice lunga sulla specificità del caso italiano. In nessun'altra situazione in cui è fiorita ed esplosa la Controcultura si è dovuto passare attraverso questo oltraggio alla libertà di espressione. Eravamo ancora in mano alle leggi fasciste, pertanto molti dei nostri giornali Underground uscivano in modo clandestino. Grazie all'intervento del Partito Radicale pre-pannelliano, ci tengo a sottolinearlo, i capelloni e i beat venivano sostenuti; tra l'altro erano gli stessi ragazzi che erano intervenuti come "Angeli del fango", durante l'alluvione di Firenze del 1966. Fu Marcello Baraghini, da giornalista, a dare la sua direzione editoriale e di fatto a legalizzare molti di questi fogli che vengono citati in maniera impeccabile nel libro di Ciaponi. Questi giornali erano anche difficili da distribuire perché nonostante girassero nelle comuni, nei festival pop e tra le persone che sentivano di essere parte di una stessa esperienza, non avevano molte possibilità di arrivare al pubblico. Tranne Re Nudo che ad un certo punto veniva venduto in edicola (caso unico) le riviste della Controcultura avevano una diffusione militante. Ricordo una fantastica rivista che si chiamava Robinud che veniva attacchinata ai muri come un tazebao in giro per Milano, in quelle zone che venivano considerate più ricettive. In quegli anni dal '66 al '76 la Questura di Milano emanò dai 10'000 ai 12'000 fogli di via ai ragazzi che in qualche modo appartenevano all'area controculturale. Si trattava di ordinanze fasciste, anzi Giolittiane che impedivano la libera circolazione a chi non era residente in città e non aveva in quel luogo un compito specifico da svolgere. Poiché uno dei centri più attivi della Controcultura era ovviamente Brera, la Questura dava dei fogli di via per allontanare la gente da questa zona bohémien milanese. Adesso la cosa fa ridere, ma allora c'era chi poteva girare per Milano, ma non poteva entrare a Brera, perché in quel caso era considerato un disturbatore o qualcuno che dava fastidio. Re Nudo stampava 50'000 copie, una vera enormità; mentre altre riviste avevano un passaggio assolutamente clandestino e dovevano essere letteralmente spacciate, perché la polizia ti fermava e ti sequestrava i giornali se te li trovava addosso. Dopodiché venivi portato alla Caserma in via Fatebebefratelli per gli accertamenti. Tutte cose che non erano del tutto piacevoli da subire. 
In arte, ma anche nella scrittura molte azioni erano degli esperimenti artistici collettivi. Cercare dei riferimenti personali non è facile, nei giornali mancavano i nomi, ma soprattutto i cognomi di chi interveniva. Di molti eventi mancano le date, la numerazione delle pagine, anche se questo è un problema minore... Questo accadeva perché non aveva senso distinguersi come artista o come giornalista. Nessuno voleva apparire in prima persona perché si sentiva parte integrante di una comunità creativa e quant'altro. Non tutti i tipografi stampavano quelle riviste perché la questura andava in giro ad avvisare che era meglio non farlo. Anche la sinistra extraparlamentare non era molto attaccata a questo genere di comunicazione, perché la riteneva piccolo-borghese e parassitaria, termini già utilizzati per la rivoluzione degli anni '20 nei confronti degli anarchici ai tempi della Makhnovščina. Nonostante questi problemi le riviste della Controcultura avevano una diffusione folle; ogni singolo numero era letto anche da più di 100 persone. Questa era la loro forza, in quanto le riviste non solo erano lette, ma esperienziate. Oggi, sono molto rare da trovare e molto ricercate perché sono state consumate, divorate e spezzettate in 1000 pezzi, finendo per far parte di nuove riviste. Si usava prendere una rivista cannibalizzarla, inchiostrarla e re-incollarla su un'altro foglio, come un collage, per avere un'altra rivista. Queste lavorazioni facevano sì che spesso si perdesse la memoria della rivista di partenza. La mia Insekten Sekte oggi, per bontà dei ricercatori contemporanei, è finita nel reparto manoscritti rari della Yale University insieme ad altre riviste italiane. Altre copie della mia rivista le ho trovate a Kabul attaccate dietro le porte delle camere d'albergo che venivano frequentate allora dagli occidentali, oppure le trovavo ad Amsterdam. Quelle le portavo io, ovviamente. Ogni singola copia diventava un messaggio nella bottiglia. Ci sono momenti storici nei quali la volontà e la forza di esprimersi e raccontarsi va al di là di qualsiasi difficoltà. Non solo finanziaria, ma anche repressiva. La repressione non avveniva solo nel mondo sovietico, ma capitava di continuo anche nel nostro paese, basti pensare al caso di Barbonia City.

Francesco Ciaponi: Il libro è stato pubblicato dalle Edizioni del Frisco una casa editrice dove fondamentalmente si va sempre tutti d'accordo, perché sono io e basta... (risate) perciò tutto fila benissimo e liscissimo, Però, dal foglio bianco alla presentazione, compreso tutto quello che c'è nelle fasi intermedie è abbastanza faticoso da portare avanti. Lo si fa nella speranza d'avere poi davanti qualche persona a cui spiegare perché si è voluto arrivare a questo libro. Oggi mi capita di presentarlo con la fortuna di avere qui con me qualcuno che si trova anche tra le pagine del libro e questa è per me una grandissima soddisfazione. È bello passare giorni nelle biblioteche per cercare un nome e poi ritrovarselo accanto. Non dico queste cose per sottolineare le parti faticose della realizzazione, ma perché, a prescindere dagli aspetti storici dell'editoria Underground, le parti politiche e le illustrazioni, sotto ci sono motivazioni più profonde che mi hanno portato a voler conoscere le persone che lavoravano a quelle riviste. Mi sono sempre chiesto se queste persone volessero cambiare effettivamente il mondo con le loro attività e le loro riviste. Vi giro questa domanda, adesso che vi ho qua davanti a me.

Gianni De Martino: Più che cambiarlo, i Beat volevano sottrarsi a quello che chiamavano "il Sistema".

Francesco Ciaponi: Poiché io sono nato nel 1978, non ho mai nemmeno annusato quell'aria di contestazione che c'è stata nel 1968 o nel 1977. Non ho mai avuto la consapevolezza di essere attore o protagonista di qualcosa che potesse essere la fuga o il cambiamento. L'idea che ognuno di noi, anche in piccola parte, possa essere causa del cambiamento di qualcosa, anche fosse soltanto una legge è importante, ma è qualcosa che io non ho mai vissuto. La parola che rappresenta meglio questo fatto, questa sensazione, è stata usata da tutti i testimoni di quel periodo, è la parola esperienza: perché tutto era un'esperienza. Fare una rivista era un'esperienza, così come vivere in una comune e tutto il resto. La Controcultura metteva l'esperienza al primo posto nel concetto di vita, al centro di tutto. Se prendiamo la grafica di queste riviste ci accorgiamo che da quando ha iniziato ad arricchirsi è divenuta particolare al punto da chiedere al lettore di metterci dell'impegno per capire che cosa stava guardando. I poster di Matteo Guarnaccia, come quelli di Giò Tavaglione o i poster realizzati dagli artisti californiani di quel periodo sono tutti molto arzigogolati e complessi. Il testo si confondeva con le immagini e certi colori fluorescenti ti davano un primo impatto di difficile lettura. Non si riusciva a capire niente. Il lettore doveva essere un soggetto attivo nella decodifica di ciò che aveva davanti. Tu che vedevi questi poster dovevi essere partecipe all'esperienza di leggere, vivere e capire il manifesto, la rivista o il volantino che avevi davanti. Al contrario, ai nostri giorni, ogni elemento che non è funzionale all'immediata comprensione di quello che vediamo disegnato su una rivista viene eliminato. Anche tra i siti web scopriamo che quelli più in voga sono quelli più minimali, la famosa voglia di pulizia e semplicità rappresenta una dialettica opposta a quella degli anni '60. Il movimento controculturale abbracciava l'intera vita, quello che si mangiava era macrobiotico, il sesso veniva vissuto in modo più disinibito, si stava insieme più facilmente all'interno di comuni liberatorie; anche la pazzia era considerata in modo diverso, eccetera, eccetera. Tutte le attività che riguardavano il vivere con gli altri, ma anche il rapporto con se stessi era differente; tutto doveva essere diverso e contrapposto a quello che si conosceva prima. Il cambiamento non riguardava solo una parte di ciò che si faceva, ma tutto e per comprenderlo bisognava attuarlo a 360°, in ogni ambito.

Gianni De Martino: Mi associo a quanto già detto che non è soltanto un contributo alla storia dell'editoria e della stampa, ma è anche un contributo alla storia dei giovani in Italia. Cosa mangiavamo? Mangiavamo uova sode alla Crota Piemunteisa. Accompagnavamo le uova con un bicchiere di bianchino; io come redattore degli ultimi due numeri di Mondo Beat avevo diritto ad un buono per un piatto di pasta al sugo e la colazione del mattino. Per quello che riguarda la distribuzione della rivista, posso dire che i primi due numeri erano ciclostilati perché non erano stati registrati ed infatti venivano sequestrati. Il terzo numero figura come il numero uno. Venivano ragazzi da tutta Italia che lo vendevano per 100 Lire; una parte del ricavato la portavano in redazione e l'altra andava a loro, però effettivamente quando camminavano per strada non dovevano fermarsi alle fontanelle a bere perché subito arrivavano le guardie che dicevano: "Guarda laggiù c'è un Capellone, andiamolo a prendere!". Non manifestammo per il Vietnam, ma per i diritti civili, contro i Fogli di Via. Fu allora che nacquero manifestazioni duramente represse, a Milano. Cos'altro dire, Simonetti diceva che la buona fede del testimone è il cappuccio che addormenta, accecando la testimonianza. Marx invece diceva che non perché il nuotatore sta nell'acqua conosce le leggi della gravità. Che cosa vuol dire? I testimoni dovrebbero essere gli ultimi ad essere ascoltati per ricostruire la storia, la storia dei giovani in Italia. Grazie Ciaponi.

Dinni Cesoni: Mi ricollego a quanto detto sul fatto che durante tutta la giornata si viveva qualcosa di diverso. Quello che è successo non è facile da raccontare e, per fortuna, poco storicizzabile. Se dovessi dire che cosa è successo al mio '68, quando io avevo 20 anni, lo descriverei oggi come uno tsunami ecologico. Un'enorme ondata in cui noi ci siamo mossi tutti insieme, senza nemmeno sapere perché. Sapevamo e sentivamo che c'era qualcosa d'invivibile e che dovevamo tirarci fuori dai condizionamenti di quel cemento culturale. Non stiamo a dire che cosa c'è oggi e per certi versi mi sembra di rivivere gli anni della nostra adolescenza pre-'68.


Gianni De Martino: Volevamo soprattutto scopare, ma era complicato.

Dinni Cesoni: (risata) Sì, era complicato, ma non entriamo in questo problema; la liberazione sessuale non è che ci ha offerto tante alternative. Tenete conto che soprattutto noi donne eravamo molto sotto controllo quando eravamo a casa. Uno dei termini più usati che arrivavano dall'America era: "Drop Out", gli altri erano: "Accenditi", "Illuminati" e "Salta fuori". Salta fuori, inteso come esci da tutti questi condizionamenti. Un grosso aiuto ci è arrivato dalle sostanze magiche psicoattive, soprattutto la Marijuana e il contestatissimo Haschish oggi, privo di THC per poterlo fumare liberamente. E poi c'era questa sostanza particolarissima che era l'LSD. Lasciamo ai posteri l'ardua sentenza... Vedremo se si tratta di qualcosa di pericoloso o no. Chissà che cosa gira adesso, almeno tra le sostanze più forti. Le sostanze leggere invece è da anni che chiediamo che vengano legalizzate. La vita ce la creavamo giorno per giorno, insieme. Quello stare insieme ha consentito a tantissimi giovani di uscire di casa. Si contestava il servizio militare e molte persone hanno pagato a duro prezzo la loro renitenza alla leva. Ci inventavamo come vivere in un modo diverso. Marcello Baraghini ha avuto una serie incredibile di processi perché si prendeva la responsabilità di tutto. Era il Partito Radicale a difendere la libertà d'espressione.

Un Giovane: Noi giovani che cosa impariamo dall'editoria della Controcultura di quegli anni? O meglio, noi abbiamo canali di comunicazione per fare Controcultura, abbiamo i social media, abbiamo il web... però nel web l'attenzione è merce rara. Non ci siamo inariditi, ci siamo soltanto spostati su un altro supporto. Che cosa impariamo dall'editoria di circa 50 anni fa? È una lezione che resta valida ancora adesso?

Matteo Guarnaccia: La voglia di contrastare il controllo effettuato da parte del potere è chiaro che non si è spenta negli anni '60, così come non si era spenta negli anni '30 o in tempi molto più drammatici. Oggi, siamo in una fase dell'evoluzione tecnologica in cui sappiamo bene dove andremo a parare. Quello che è diverso è il tempo di attenzione che dedichiamo a certi argomenti. Non posso dare giudizi sull'editoria sul web, ma è evidente che un giornale underground durava giorni, mesi e anni. Ancora oggi se trovi uno di questi giornali rimani a guardarlo dall'inizio alla fine; un sito web è fatto per essere cotto e mangiato, per utilizzare una formula da Master Chef. Detto questo, è ovvio che spetta ad altri trovare le modalità. Io sono nato in pieno periodo Gutenberghiano e ne sono stato felice; in questa stanza sono appese alle pareti dei numeri del Corriere dei Piccoli che hanno fatto parte della mia educazione visiva per cui è chiaro che i miei punti di riferimento sono necessariamente altri. Chi è cresciuto con la consolle dei videogiochi in mano ha ovviamente altri modi di esprimersi. Che cosa può insegnare la Controcultura? Può insegnare che, come al solito, non bisogna credere al potere. Ieri come oggi, la questione è sempre la stessa, chi ha il potere se lo tiene e non vuole condividerlo; anzi come insegnavano i vecchi operaisti della IWW, l'avidità è grande e il potere annienta chi non è d'accordo con lui.

Dinni Cesoni: La tua è una domanda zen che riguarda voi e riguarderà le generazioni dopo di voi. È giusto voler essere protagonisti del proprio tempo, ma bisogna stare attenti e vigilare che il potere non cancelli la memoria di ciò che non gli piace. Guardare indietro non è passatismo, ma è andare a cercare qualcosa che ci può servire nel tempo presente. Per quello che riguarda il web e la sua velocità, mi sembra che questo mezzo induca anche ad un consumo d'informazione troppo veloce che altrettanto velocemente poi spegne l'attenzione verso certi problemi. Ma questo è un problema che riguarderà le generazioni a venire e il loro modo di fare e di comunicare. La mia generazione ha conosciuto una cultura orale così perfetta che ci incontravamo psichedelicamente in India. Com'era possibile incontrarsi casualmente in un paese con centinaia di milioni di abitanti in un'epoca in cui non c'era né il web, né i telefonini? Io ho incontrato così due amiche di Milano durante la mia permanenza di un anno in India. Purtroppo, spesso manca un'analisi di ciò che vogliono farci fare che possa uscire dal web.

Matteo Guarnaccia: Non è stato merito nostro se la Seconda Guerra Mondiale ha portato a tutta una distruzione di pensieri, ideologie e modalità di controllo. Siamo stati fortunati, pur se segnati e segnalati, nonostante dove andassimo ci seguivano. Prima che il potere si mettesse insieme, e ci ha messo un po' di anni (questa è la lettura post-adolescenziale di M. Guarnaccia), per capire con che modalità combatterci. Ciò che facevamo era al di fuori delle modalità alle quali erano abituati a combattere. Non eravamo i marxisti- trotskisti, non eravamo nemmeno terroristi o qualcosa che il potere riuscisse a capire. Poi siamo arrivati al punto che il potere ha capito che anche noi, bene o male proponevamo qualcosa che andasse bene per il mercato, e qui inizia il dramma di oggi. Ci sono mille e mille questioni legate all'arte, un aspetto molto importante, alla moda e alla comunicazione, in cui la degenerazione e l'alienazione sono prodotti. Anche la trasgressione è un prodotto che si può vendere. 
Ad ogni modo, quello era un momento favorevole della nostra storia e capisco che oggi sia difficile immaginarsi di andare ovunque per il mondo e trovare qualcuno come te che senza chiederti chi sei da dove vieni e cosa fai, ti apra la porta di casa, ti offra da mangiare e ti dia un letto sul quale dormire. Un tempo, questo invece succedeva in tutto il mondo, tu ti muovevi e avevi passaggi e una rete di solidarietà che oggi è difficile spiegare. Anche se andavi nei posti più assurdi trovavi sempre qualcuno come te. E se non lo trovavi c'era sempre qualcuno che ti diceva che se andavi un po' più in là lo avresti trovato. Quella rete funzionava, ma perché è un mistero. Non c'è una risposta, ma era davvero così.


  Francesco Ciaponi e Nicola Del Corno

 Dinni Cesoni

Gianni De Martino

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