giovedì 8 novembre 2018

Factory: quando la documentazione diventa arte

"Capitano casi eccezionali in cui il fotografo riesce a creare un'immagine che supera il semplice documento per il suo contenuto e per la sua forma." Gisèle Freund

"Il sogno di Phil Rolla è sempre stato quello di diventare il migliore artigiano possibile, colui che sa fare bene le cose per il proprio piacere, che del fare fa una regola di vita e di cittadinanza. Questo sogno lo si ritrova, nascosto nelle fotografie di fabbriche che fanno parte della sua collezione. Sono immagini di luoghi aspri, spogli, luoghi delle infinite forme del fare (poiesis), ma anche della fatica, della sofferenza della cooperazione come del conflitto, della potenza, del veleno." Christian Marazzi

Il 27 ottobre, sono stato invitato da Rosella e Phil Rolla all'inaugurazione di un'interessantissima mostra presso la Fondazione Rolla, dove ero già stato più di due anni fa, in occasione di una strepitosa esposizione in cui avevo gustato le affascinanti fotografie originali di Miroslav Tichý. TG


Factory, Fondazione Rolla
Phil Rolla a Bruzella, durante l'inaugurazione di: Factory. Accanto a lui, Aoi Kono.

Tony Graffio intervista Phil Rolla al vernissage di Factory

Tony Graffio: Buongiorno Phil Rolla, come già per le altre 14 esposizioni avvenute in passato, avete realizzato questa mostra con il materiale appartenente alla Vostra collezione.

Phil Rolla: Sì, quello che è esposto fa tutto parte della nostra collezione.

TG: Come mai questa passione per l'industria?

PR: Perché io ho vissuto di industria; oltre a progettare pezzi speciali per la nautica, li ho prodotti. Per tutta la vita mi sono occupato di questo e così ho sempre subito il fascino della fabbrica. Quando io vedo lavorare un bravo tornitore o un bravo fresatore, per me è meglio che vedere una donna nuda... (Risate) Sono sempre stato affascinato dalle capacità che ha l'uomo di creare qualcosa con le sue mani e con il suo ingegno.

TG: Possiamo dire che la tecnica è arte?

PR: Sì, la tecnica è arte.

TG: Da dove provengono le fotografie esposte in queste sale?

PR: Un po' dappertutto; le ho collezionate in varie maniere: comprando direttamente dagli autori; mentre le fotografie vintage arrivano soprattutto dalle case d'aste. Questa serie di immagini prese dall'alto delle fabbriche Krupp le ho avute facendo uno scambio con un amico che le aveva trovate a Parigi.


Anonimo - Senza titolo (Krupp Fabrik) 1933
Anonimo - Senza titolo (Krupp Fabrik) 1923 
(vintage gelatin silver print 11 photographs cm 17,5 X 23,5 each)

TG: Si tratta di fotografie aeree molto vecchie?

PR: Sì, sono fotografie militari scattate nel 1923, quando i francesi volevano capire che cosa stava succedendo in Germania.

TG: Certo, avevano già capito che i tedeschi stavano per riarmarsi. Si conosce l'autore di questi scatti?

PR: No, sono anonime, si tratta proprio di scatti effettuati dall'aviazione francese, non c'è modo di sapere chi li abbia fatti.

TG: Era a conoscenza dell'esistenza di questi scatti o è stata una sorpresa?

PR: No, ho saputo della loro esistenza solo due anni fa, quando li ho acquisiti.

TG: Da quanto tempo colleziona fotografia industriale?

PR: Ho iniziato dopo il 2000; da 15 anni circa. Il mio primo interesse per la fotografia era rivolto alla fotografia industriale tedesca, dal 1928 in avanti. I tedeschi hanno voluto documentare di tutto. Purtroppo, in seguito anche nel male. Dopo la Prima Guerra Mondiale, negli anni '20, la Germania era un paese veramente povero. L'unica risorsa che aveva, era la capacità della gente di fare qualcosa fatto bene.

TG: Beh, avevano anche delle materie prime importanti come il carbone e l'acciaio...

PR: Sì, ma quelle risorse le destinavano ai pagamenti dei debiti di guerra. Ciò che gli ha consentito di riprendersi è stata proprio la loro capacità manifatturiera e la scelta di perseguire un prodotto di qualità, non avevano nient'altro. I tedeschi hanno documentato il loro lavoro attraverso la fotografia, mentre negli altri paesi questo non accadeva. In Francia o in Italia si fotografavano gli operai davanti alle fabbriche, si faceva fotografia di gruppo, più che fotografia industriale.

TG: Quindi, la documentazione può diventare arte?

PR: Certo. Quello che conta è la scelta. L'arte è nella scelta. Lo dico da collezionista.

TG: Anche Atget ha documentato Parigi ed i suoi documenti sono diventati arte.

PR: Atget ha documentato la Parigi che pensava stesse per scomparire.

TG: Difatti poi è andata così, quella Parigi è scomparsa, ma all'epoca in pochi lo capivano. Forse nessuno...

PR: No. Durante la sua vita nessuno capiva cosa stesse facendo.

TG: Queste fotografie aeree sono probabilmente state riprese con fotocamere di grande formato, diciamo cm 18X24, caricate con lastre che poi sono state stampate a contatto.

PR: Sì.

TG: Qual'è il fascino di questi panorami ripresi dall'alto con la fotografia zenitale?

PR: Si tratta di un fascino estetico che ha a che vedere con la geometria e la serialità. È come vedere i disegni di Sol Lewitt. Per me, è la stessa cosa.

TG: Si tratta di una serie completa o manca qualcosa?

PR: Ne abbiamo trovati undici pezzi. Non è stata fatta come una serie.

TG: Vediamo qualcos'altro adesso.

PR: In queste immagini vediamo la Turbinenhalle, una fabbrica di turbine a Berlino che esiste da molto prima della Seconda Guerra Mondiale. È un edificio molto bello dei primi anni '30, tutto in vetrocemento, qui venivano fabbricate grandi turbine.

TG: Esiste ancora questa fabbrica?

PR: Esiste ancora adesso e lavora ancora. Le immagini sono state scattate nel 2009 dal fotografo tedesco Christof Klute. È un nostro amico che ha studiato con i Becher. È molto bravo. Queste sue immagini mi danno proprio il senso della fabbrica. Tutta questa mostra, compreso il catalogo, deve dare il senso della fabbrica. Non si può documentare tutto, ma si può lasciare un'impressione, un senso di quello che è la fabbrica, ed è quello che abbiamo voluto dire con questa esposizione che per l'appunto abbiamo chiamato: Factory.

TG: Phil Rolla, scusi la curiosità, anche le macchine fotografiche esprimono un concetto di tecnicismo e precisione meccanica, lei colleziona anche fotocamere?

PR: No. Ho sempre avuto diverse fotocamere; prima una Rolleiflex, poi Leica, Hasselblad, Sinar... ma le ho sempre comprate per il mio uso personale.

TG; Su questa parete che cosa troviamo?

PR: Qui, ci sono varie immagini di autori diversi. Le prime due fotografie sono di Werner Mantz, un grande fotografo tedesco che ha lavorato sia prima che dopo la Guerra. Sono immagini di grande forza. Compare anche un elemento umano per dare l'idea delle dimensioni dell'edificio. Si tratta della prima fotografia industriale che ho comprato. Frechen, del 1928, è un'altra fotografia di Werner Mantz che mi è piaciuta moltissimo per la forza espressa dalle ciminiere.

TG: Bellissima. Le ciminiere hanno davvero una forma insolita, sembrano quasi quelle pentole marocchine dove si cuoce il cous cous...


Werner Mantz - Frechen - 1928
Werner Mantz - Frechen - 1928 (vintage gelatin silver print cm 21,5 X 16,5)

PR: (Phil Rolla sorridendo) Sì, sembrano proprio le Tajine. Il cous cous tedesco però si chiama carbone. Questa fotografia senza titolo scattata negli primi anni '60 è invece un'immagine di Bernhard Becher. In seguito, lavorerà insieme alla moglie Hilla, però ognuno fotografava autonomamente per conto suo. Da questa fotografia si può capire che lui era un po' più romantico di lei. Insieme, hanno documentato l'industria per più di 40 anni. Hilla era figlia di fotografi, mentre Berhard era un pittore che voleva documentare l'industria tedesca con i suoi disegni, ma poi ha capito che con quella tecnica avrebbe impiegato troppo tempo, così passò alla fotografia per documentare più velocemente quello che stava scomparendo.

TG: Ha fotografato un paese di operai?

PR: Sì, la ciminiera è al centro del paese, mentre le case degli operai erano intorno alla fabbrica.

TG: La successiva è un'altra veduta aerea.

PR: Antony Linck ha fotografato dall'alto un villaggio industriale del New Jersey, negli anni '50. Si tratta delle primi installazioni industriali dove ci sono solo fabbriche. A differenza di quello che avveniva in Europa dove gli operai vivevano vicino alla fabbrica, qui le fabbriche sono sorte dove prima non c'era niente. La novità consisteva nel separare le zone industriali da quelle residenziali; è un concetto opposto a quello che abbiamo visto nella fotografia di Becher.

TG: La visione americana della vita e del lavoro è totalmente diversa da quella europea.

PR: Sì, anche se dopo, fuori da qualsiasi città italiana, verranno insediate le zone industriali. La fabbrica non deve stare vicino a chi consumerà la merce, ma va collocata vicino ai fornitori di materie prime e dove c'è la capacità di creare il prodotto.

TG: Questa solarizzazione di Ludwig Windstosser è un po' l'emblema della civiltà industriale. È più interpretazione che documentazione.

PR: Sì, giusto è interpretazione.

TG: Eccoci invece davanti alla fotografia che ha fatto da manifesto a questa mostra. È bellissima anche perché contiene tutti gli elementi che danno l'idea della fabbrica e del lavoro: il fumo, il buio all'interno del capannone che contrasta con la luce del giorno che proviene dalle finestre e spazi giganteschi che schiacciano l'uomo che finisce col perdere il suo valore individuale per diventare parte di un meccanismo produttivo immenso.

PR: Si tratta di una fotografia dell'Ansaldo di Genova, scattata dal fotografo svizzero Kurt Blum. Si percepisce quell'atmosfera sporca attraversata dalla luce del sole che s'irraggia fino al suolo. Ma adesso ti lascio con Enrico Minasso che ti spiegherà cosa troverai nell'altra stanza, proprio dall'altra parte del muro.

TG: Grazie mille Phil.

A questo punto ascolto quanto ha da dirmi Enrico Minasso, un fotografo piemontese al quale Phil Rolla ha acquistato una serie di 15 fotografie stampate su un formato di dimensione abbastanza contenuta. Le immagini denominate D/RUST riprendono un'officina meccanica in disuso da anni che ancora conservava gli attrezzi utilizzati per il lavoro coperti da un velo di polvere.
Prendendo spunto da un discorso sulla dimensione di stampa riprendo a parlare con Phil Rolla.

Tony Graffio: Personalmente, apprezzo molto la stampa su un formato di carta abbastanza piccolo, mentre da un po' di tempo a questa parte si vedono sempre più spesso stampe su formati giganti. Che cosa ne pensa Phil Rolla?

Phil Rolla: Una volta la fotografia era realizzata in un formato piccolo e per osservarla era necessario prenderla in mano e tenerla grosso modo a 50 centimetri dagli occhi. Negli anni '80 sono state realizzate le prime gigantografie di circa 1,5 metri X 3. I precursori di questo stile furono i tedeschi Andreas Gursky; Thomas Struth e Thomas Ruff che è stato il primo fotografo a realizzare stampe su questi grandi formati. Da lì in poi la fotografia è cambiata ed è diventata pittura, perché queste opere bisogna osservarle da almeno 6 metri di distanza. E così, in qualche modo, torniamo al Rinascimento e alle dimensioni dei grandi affreschi.

TG: Non le sembra la fotografia in misura extra large sia più degna della cartellonistica da pubblicità che dell'arte?

PR: No, perché i billboard sono sempre stati grandi. La fotografia è qualcosa di intimo; la fotografia di grandi dimensioni diventa una cosa diversa, più vicina all'arte. Un po' di anni fa a Monaco ho visto una mostra di Gursky dove lui aveva ripreso le automobili di Formula 1 al pit-stop. Ho osservato quelle immagini e mi sono detto che era come vedere un Tiziano, perché le immagini trasmettevano una grande forza espressiva.

TG: Lei preferisce collezionare i formati piccoli? O possiede anche qualcosa di grande?

PR: A casa ho appeso una grande fotografia di Ruff perché descrive bene un paesaggio della provincia tedesca, ma bisognerebbe avere lo spazio di un museo per poter esporre diverse opere così grandi. Bisogna anche rispettare la scelta stilistica dell'artista. Ci sono fotografie che richiedono di essere stampate su un grande formato, mentre altre sono più intime e non hanno bisogno di essere di grandi dimensioni. La fotografia di Vincenzo Castella a colori esposta all'ingresso della mostra è della misura giusta. Se fosse più grande perderebbe d'impatto, mentre se fosse più piccola si non la vedresti più.

TG: Però so che ci sono dei collezionisti che, a volte, commissionano una stampa speciale di un formato fuori misura rispetto a quelle che sono i formati abituali utilizzati da un artista. Come vede questo tipo di operazione?

PR: Se l'artista fa quello che gli viene chiesto in queste occasioni, non so se possa essere considerato un artista. Più che altro è un buon venditore dei suoi lavori. Prima di realizzare qualcosa, l'autore ha già in mente la misura giusta.

TG: La maggior parte degli autori esposti sono tedeschi?

PR: Sono tedeschi, perché sono tedeschi i fotografi che maggiormente si sono dedicati alla fotografia industriale.

TG: All'epoca erano documentaristi, non artisti, vero?

PR: Sì, erano documentaristi che vivevano del loro lavoro. Fotografavano su commissione per gli industriali che possedevano le fabbriche.

TG: È un esempio di fotografia che s'è trasformata per acquisire un valore diverso da quello iniziale.

PR: Sì, ma era una fotografia che già allora veniva fatta molto bene. Quei fotografi non seguivano indicazioni, ma soltanto una loro idea estetica.

TG: Erano liberi di creare quello che volevano?

PR: Esatto. Le costruzioni geometriche delle loro fotografie erano bellissime, guarda questa immagine di Albert Renger-Patzsch è talmente perfetta da sembrare un quadro astratto...

TG: È talmente perfetta da sembrare finta.

PR: Sì. Seguimi che ti mostro un'altra immagine... Questa fotografia di Oliver Boberg infatti è finta... Il fotografo ha costruito un modellino di fabbrica e poi l'ha ripreso fotograficamente. Lui fa sempre così: costruisce modellini nel modo più realistico possibile e poi li fotografa.


Oliver Boberg - Parkplatz - 1988 (C print cm 85 X 181)
Oliver Boberg - Parkplatz - 1988 (C print cm 85 X 181)

TG: Interessante. Per un collezionista è importante possedere stampe ai sali d'argento o realizzate con tecniche di difficile riproducibilità, rispetto alla stampa digitale?

PR: La cosa più importante è il soggetto della fotografia. Una stampa in silver-print è meglio di una stampa inkjet, ma anche il silver-print può avere poco valore se il soggetto non è interessante.

TG: Certo. Però mi dicevano che per i galleristi americani è importante che la stampa sia in silver-print.

PR: Non solo per i galleristi, anche per i musei. Rispecchia maggiormente quello che è la fotografia.

TG: Non è una fotocopia, insomma... E dei fotografi che riproducono soggetti con tecniche antiche di più di 100 anni, che cosa ne pensa?

PR: È una ricerca che può avere un fascino estetico, ma è un po' come costruire un'automobile del 1910 per circolare adesso con un mezzo di quell'epoca. Non ha senso fare qualcosa del genere se non si è appassionati di quelle tecniche: è come un gioco. Ma facciamo finta che non l'ho detto...


Tutti i diritti sono riservati

Factory è una mostra fotografica ospitata presso l'ex-scuola d'infanzia di Bruzella, Ticino - CH convertita in spazio espositivo dalla Fondazione Rolla gestita da Rosella e Phil Rolla. 

L'ingresso è gratuito previa prenotazione  telefonica al numero: 0041 774740549, oppure contattando via email Elide Brunati: e.brunati@rolla.info

Indirizzo Stráda Végia (ex via Municipio), 6837 Bruzella - Svizzera. (Arrivati a Chiasso, seguite le indicazioni per la Valle di Muggio)

Periodo di apertura: dal 27.10.18 al 27.01.19.

2 commenti:

  1. Bellissimo articolo come sempre. Una Intervista che diventa narrazione e storia. Le foto della collezione stupende! Un plauso a questa passione, inoltre mi ha molto affascinata la tipologia e il pensiero di Phil Rolla sulla stampa.
    In effetti la stampa extra large si gode da una certa distanza, mi interessa molto questo argomento. La stampa Fine-art ad esempio che diventa una realizzazione pittorica appassionata direi. Una mia sperimentazione da quando non posso più pitturare.
    Bravo Tony!!! Un caro saluto e a presto...

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