"Arte è comunicazione, ciò significa che senza pubblicità (e/o marketing) non c'è nemmeno arte." Joe Iannuzzi
Mi spiace demolire le convinzioni e le illusioni del pubblico e degli amici, ma attraverso un recentissimo incontro con alcuni street artist ho avuto modo di constatare che il brand "Banski" riesce ad appassionare, pur avendo un comportamento e un orientamento politico poco coerente, anche chi da anni opera in questo settore con impegno e onestà.
Quando ero bambino, come tutti, apprezzavo i dipinti di Van Gogh, ma non riuscivo a capire in cosa consistesse la loro eccezionalità; poi nel corso del tempo ho studiato le vita dell'artista olandese e la corrispondenza intercorsa tra lui ed il fratello ed ho capito che la grandezza di un uomo va letta attraverso il suo vissuto, forse più che su ciò che ha prodotto.
Non reputo Banksy degno di particolari attenzioni artistiche e mi fa sorridere qualcuno che non chiede il permesso a nessuno per realizzare i suoi stencil sulle proprietà altrui quando dice di non autorizzare una mostra organizzata da altri con pezzi che non si sa bene se siano suoi o no. Sicuramente l'interesse per Banksy è un fenomeno simpatico e divertente che riflette la falsità della nostra epoca e fa pensare a molti giovani di poterne emulare la carriera ed i successi, proprio nell'epoca in cui abbiamo assistito perfino alla fine dell'American dream. Oggi è sempre più difficile prendere un ascensore sociale che ci porti dalla strada agli attici di New York, forse per questo a molti può far piacere pensare che Banksy sia una specie di Robin Hood, anche se poi non agisce per depredare i ricchi, ma finisce per convincere il popolino a fare qualche piccolo sacrificio per pagarsi l'ingresso alla sua mostra "non-autorizzata" e tenti perfino di piazzarci qualche multiplo a caro prezzo.
Mi sembra difficile riuscire ad organizzare una mostra che disponga dei "pezzi giusti" attingendo ai prestiti di una cinquantina di collezionisti; molto più semplice ricorrere direttamente a chi realizza le opere. Non mi è mai capitato di vedere opere di Banksy in vendita nelle fiere o nelle gallerie italiane, pertanto suppongo che i collezionisti dell'autore inglese siano residenti soprattutto all'estero o abbiano fatto i loro acquisti quando le grafiche del misterioso artista di Bristol avevano prezzi molto più abbordabili. A Milano, so chi potrebbe avere qualche suo pezzo, prossimamente lo contatterò per sapere se abbia effettivamente prestato qualcosa al Mudec e per avere una sua opinione sull'operazione culturale del Museo delle Culture, ma a mio giudizio, ci sono molti elementi che rendono poco credibile un personaggio venutosi a formare negli anni con un lavoro mirato a farlo apparire gradevole al pubblico e popolare a chi pensa che appoggiandolo e sostenendolo possa opporsi ai cosiddetti poteri forti, che sono anche gli stessi individui, o gruppi, che decidono sul mercato dell'arte.
Queste sono le mie crude impressioni su quello che osservo in un mercato culturale (più che artistico) molto ingannevole e proprio perché Bansksy mi è sempre sembrato un fenomeno costruito non ho mai approfondito più di tanto la sua conoscenza. Non me la sono sentita di offrire 14 euro al Mudec per visionare fotocopie digitali, serigrafie a due colori (a volte eccezionalmente a tre), tre videoproiezioni e qualche stencil su tela... così ho voluto sentire il parere di chi ama visceralmente lo street-artist britannico ed ha visitato di recente: "A Visual Protest".
Vi propongo la sua recensione spontanea, anche perché non mi sembra bello deludere con commenti malevoli chi ha atteso tanto per avere l'occasione di vedere dal vivo le opere grafiche di Banksy.
I Dottor Porkas sono venuti espressamente a Milano per visitare il Mudec, sentiamo come hanno risposto alle domande che gli ho posto, ma prima conosciamoli un pochino.
Il Dr. Porkas è un collettivo artistico dadaista che con interventi situazionisti studiati ad hoc riesce a fermare l'attenzione di un pubblico underground su problematiche sociali, culturali e ambientali in modo intelligente e critico. Il gruppo è nato nel 2000 ed è composto di base da tre elementi nati negli anni '70 che negli anni '90 hanno avuto autonomamente la loro formazione in ambiti artistici specifici, come la auto-produzione di fanzine, le animazioni per street-tv, le prime forme di Street art e la fotografia di strada. Una caratteristica dei Dr. Porkas è quella di non avere un numero prestabilito di componenti che di volta in volta si aggregano per portare a compimento un progetto. Si esprimono attraverso varie forme di comunicazione visiva che ritengo molto interessanti e sento in sintonia al mio modo di fruire di informazioni, capaci di sintetizzare un concetto più vasto attraverso linguaggi che vanno dalla grafica, alla fotografia, all'esperienza-rappresentativa-interattiva documentaristica e talvolta riescono a trovare una formula divulgativa in anticipo sui tempi.
Mi spiace demolire le convinzioni e le illusioni del pubblico e degli amici, ma attraverso un recentissimo incontro con alcuni street artist ho avuto modo di constatare che il brand "Banski" riesce ad appassionare, pur avendo un comportamento e un orientamento politico poco coerente, anche chi da anni opera in questo settore con impegno e onestà.
Quando ero bambino, come tutti, apprezzavo i dipinti di Van Gogh, ma non riuscivo a capire in cosa consistesse la loro eccezionalità; poi nel corso del tempo ho studiato le vita dell'artista olandese e la corrispondenza intercorsa tra lui ed il fratello ed ho capito che la grandezza di un uomo va letta attraverso il suo vissuto, forse più che su ciò che ha prodotto.
Non reputo Banksy degno di particolari attenzioni artistiche e mi fa sorridere qualcuno che non chiede il permesso a nessuno per realizzare i suoi stencil sulle proprietà altrui quando dice di non autorizzare una mostra organizzata da altri con pezzi che non si sa bene se siano suoi o no. Sicuramente l'interesse per Banksy è un fenomeno simpatico e divertente che riflette la falsità della nostra epoca e fa pensare a molti giovani di poterne emulare la carriera ed i successi, proprio nell'epoca in cui abbiamo assistito perfino alla fine dell'American dream. Oggi è sempre più difficile prendere un ascensore sociale che ci porti dalla strada agli attici di New York, forse per questo a molti può far piacere pensare che Banksy sia una specie di Robin Hood, anche se poi non agisce per depredare i ricchi, ma finisce per convincere il popolino a fare qualche piccolo sacrificio per pagarsi l'ingresso alla sua mostra "non-autorizzata" e tenti perfino di piazzarci qualche multiplo a caro prezzo.
Mi sembra difficile riuscire ad organizzare una mostra che disponga dei "pezzi giusti" attingendo ai prestiti di una cinquantina di collezionisti; molto più semplice ricorrere direttamente a chi realizza le opere. Non mi è mai capitato di vedere opere di Banksy in vendita nelle fiere o nelle gallerie italiane, pertanto suppongo che i collezionisti dell'autore inglese siano residenti soprattutto all'estero o abbiano fatto i loro acquisti quando le grafiche del misterioso artista di Bristol avevano prezzi molto più abbordabili. A Milano, so chi potrebbe avere qualche suo pezzo, prossimamente lo contatterò per sapere se abbia effettivamente prestato qualcosa al Mudec e per avere una sua opinione sull'operazione culturale del Museo delle Culture, ma a mio giudizio, ci sono molti elementi che rendono poco credibile un personaggio venutosi a formare negli anni con un lavoro mirato a farlo apparire gradevole al pubblico e popolare a chi pensa che appoggiandolo e sostenendolo possa opporsi ai cosiddetti poteri forti, che sono anche gli stessi individui, o gruppi, che decidono sul mercato dell'arte.
Queste sono le mie crude impressioni su quello che osservo in un mercato culturale (più che artistico) molto ingannevole e proprio perché Bansksy mi è sempre sembrato un fenomeno costruito non ho mai approfondito più di tanto la sua conoscenza. Non me la sono sentita di offrire 14 euro al Mudec per visionare fotocopie digitali, serigrafie a due colori (a volte eccezionalmente a tre), tre videoproiezioni e qualche stencil su tela... così ho voluto sentire il parere di chi ama visceralmente lo street-artist britannico ed ha visitato di recente: "A Visual Protest".
Vi propongo la sua recensione spontanea, anche perché non mi sembra bello deludere con commenti malevoli chi ha atteso tanto per avere l'occasione di vedere dal vivo le opere grafiche di Banksy.
I Dottor Porkas sono venuti espressamente a Milano per visitare il Mudec, sentiamo come hanno risposto alle domande che gli ho posto, ma prima conosciamoli un pochino.
Il Dr. Porkas è un collettivo artistico dadaista che con interventi situazionisti studiati ad hoc riesce a fermare l'attenzione di un pubblico underground su problematiche sociali, culturali e ambientali in modo intelligente e critico. Il gruppo è nato nel 2000 ed è composto di base da tre elementi nati negli anni '70 che negli anni '90 hanno avuto autonomamente la loro formazione in ambiti artistici specifici, come la auto-produzione di fanzine, le animazioni per street-tv, le prime forme di Street art e la fotografia di strada. Una caratteristica dei Dr. Porkas è quella di non avere un numero prestabilito di componenti che di volta in volta si aggregano per portare a compimento un progetto. Si esprimono attraverso varie forme di comunicazione visiva che ritengo molto interessanti e sento in sintonia al mio modo di fruire di informazioni, capaci di sintetizzare un concetto più vasto attraverso linguaggi che vanno dalla grafica, alla fotografia, all'esperienza-rappresentativa-interattiva documentaristica e talvolta riescono a trovare una formula divulgativa in anticipo sui tempi.
Ho incontrato occultamente questo gruppo d'azione culturale a Milano; ci siamo isolati in un bar vicino alla Stazione Centrale dove segretamente mi hanno confessato le loro impressioni su: "A Visual Protest", la mostra retrospettiva curata da Gianni Mercurio sull'artista britannico più chiacchierato dalla comunità internazionale della Street-art. Senza il loro permesso ho registrato il dialogo che abbiamo avuto ed ora mi prendo la totale responsabilità di diffonderlo su queste pagine che stanno diventando sempre più un punto di riferimento per chi non si allinea al pensiero comune delle masse e dei mass media. TG
The bad cop and the sweet rat. Una reinterpretazione Graffiana dei contenuti dei lavori di Banksy.
Tony Graffio intervista i Dr. Porka's sulla Street Art da Galleria e la mostra di Banksy al Mudec di Milano
Tony Graffio: Dr. Porkas, siete venuti a Milano per compiere un blitz artistico?
Dr.Porkas: No, siamo venuti a vedere la criticatissima mostra su Banksy perché ritenevamo che andasse fatto, nonostante questo evento sia molto contestato dalla scena degli street-artist.
TG: Entriamo nel dettaglio, l'ambiente della Street-art che cosa imputa a Gianni Mercurio, al Mudec e indirettamente anche al Comune di Milano?
Dr.Porkas: C'è una grossa polemica in corso legata al fatto che Milano, oltre ad essere la città italiana con la normativa più restrittiva nei confronti degli street-artist che lasciano graffiti sul territorio e operano urbanisticamente in "modo invasivo", sia anche la città che si fregia di una mostra incentrata su caratteristiche di ribellismo e apologie libertarie, cosa che a molti sembra una vera beffa del sistema autoritario capitalistico.
TG: È vero o no che questa mostra non è autorizzata dall'artista? È mai possibile una cosa del genere, secondo Voi? Perché questo fatto ha suscitato scalpore?
Dr.Porkas: La polemica sul fatto che la mostra non sarebbe autorizzata da Banksy noi la riteniamo molto meno consistente, rispetto alla prima polemica a cui abbiamo accennato. In esposizione troviamo stampe originali di Banksy, stencil e serigrafie che sono state vendute dall'artista a privati. La mostra è stata organizzata raccogliendo opere in possesso a vari collezionisti che le hanno destinate a questa esposizione (si parla di almeno 50 collezionisti che avrebbero concesso in prestito al Mudec ndTG). Ci sono molti pezzi belli ed interessanti da osservare. Non si tratta di un atto barbarico che ha sradicato lavori dai muri delle fabbriche o da edifici abbandonati, come era capitato nel caso della mostra di Bologna che presentava le opere di Blu, Ericaeilcane ed altri artisti. Qui nessuno si è impossessato di opere pubbliche per trarre un vantaggio commerciale dalla vendita dei biglietti d'ingresso all'esposizione, ma ha messo in piedi un evento, pur commerciale e costoso, che però richiede una certa organizzazione. Secondo noi l'evento è stato presentato molto bene, sia per l'aspetto teorico introduttivo, sia per la costruzione di un percorso illustrativo che segue tematiche ben precise dell'opera di Banksy, ma questo è il minimo che potesse essere fatto per una mostra così ambiziosa con un prezzo d'ingresso tanto alto.
Banksy è un ribelle o sa fare buon uso del marketing?
TG: Insomma, secondo molti addetti ai lavori, Milano da una parte fa la guerra ai graffiti e dall'altra richiama turisti e visitatori per presentare una mostra che parla del più importante street-artist mondiale in modo svincolato dalla volontà dell'autore che sconfessa questa operazione culturale? Tutto questo è credibile?
Dr.Porkas: Ultimamente, proprio con un caro amico artista di Milano, abbiamo avuto una discussione su questo argomento perché lui ci diceva che avremmo meritato il linciaggio per aver deciso di andare a vedere questa mostra. Il nostro è stato un confronto bonario che però ci ha abbastanza coinvolto e segnato. Non pensiamo che una città che non organizzi qualcosa del genere sia meno ipocrita di Milano. Organizzare queste mostre non vuol dire che si scelga di attuare una politica meno repressiva nei confronti degli street-artist, ma neppure significa che si voglia adottare una strategia di addomesticamento nei confronti di chi vuole esprimersi in piena libertà. Siamo di fronte alla classica operazione ipocrita che tenta di speculare su un fenomeno che è tuttavia molto popolare tra le fasce di appassionati più giovani e più influenzabili della nostra società. Questo modo di fare è tipico dei circuiti istituzionali e del mondo dell'arte. Non ci meraviglia che ci sia chi cerchi di impossessarsi di un linguaggio che non gli appartiene e che una municipalità, o chi per lei, giochi una carta del genere per accaparrarsi simpatie e strizzare l'occhio anche ad un possibile elettorato giovane, oltre che per fare cassa. E ci meraviglia ancor meno che a fare una operazione così ipocrita sia un Comune come quello di Milano che non ha mai mosso un dito per impedire i raduni neofascisti presso i suoi cimiteri, che non si è fatto scrupoli nell'approfittare di un evento come "Expo 2015", nonostante le molte zone grige nelle quali si muovevano fondi ed investimenti per esso, che ha contribuito a condannare Ivan il poeta di strada. I comuni oggi vedono la Street art o come un fenomeno da reprimere anche coprendosi di ridicolo (vedi le recenti affermazioni di un assessore pisano sulla murata di Keith Haring in quella città ndDr.Porkas) o come una scorciatoia per valorizzare zone con problematiche sociali. Non si fa nulla di effettivo per il quartiere se non colorare qualche casa con i "graffiti", magari chiamando il più rinomato street artist del momento o colui che è più richiesto a livello continentale, ma secondo noi non è così che si attua un recupero sociale".
TG: Mi sono impegnato a portare alla ribalta del mio pubblico eventi più sotto tono e persone meno ambigue, pertanto non avrei voluto occuparmi di Banksy che per me rimane un punto di domanda, non sapendo chi effettivamente si nasconda dietro di lui, ma non per questo ho potuto fare a meno di accorgermi che durante le feste natalizie il Mudec è stato letteralmente preso d'assalto dai visitatori. So che c'era chi ha atteso anche tre ore per entrare nelle sale dell'esposizione di Banksy. Ti sei guardato un po' in giro? Che tipo di pubblico è attirato da questo evento?
Dr.Porkas: Noi siamo andati a vedere questa mostra martedì mattina, proprio per evitare la folla del week-end e non essere disturbati durante la nostra visita; oltretutto il biglietto d'ingresso è molto caro, ben 14 euro a persona... Questo è un altro segnale di sciacallaggio che purtroppo caratterizza il mondo dell'arte contemporanea. Oltre a noi, quella mattina c'era soltanto una classe di ragazzi di seconda media che era impegnata in una visita guidata che ci sembra abbia presentato molto bene l'artista ad un pubblico così giovane. Riteniamo che le guide e coloro che si sono occupati dell'ossatura della mostra siano persone molto professionali che stanno portando avanti un ottimo lavoro che regge l'impatto del pubblico e sono rispettose delle tematiche più interessanti affrontate da Banksy, come l'antimilitarismo, la solidarietà nei confronti dei migranti e gli altri elementi che caratterizzano la poetica di questo artista britannico.
C'è chi crede che la mostra organizzata al Mudec con le grafiche ed altri lavori di Banksy sia un atto di violenza nei confronti dell'artista.
TG: Banksy è qualcuno che conosciamo soltanto per quello che ci ha voluto far vedere di se stesso, non per quello che potrebbe realmente essere o per ciò che potrebbe averci detto personalmente in qualche intervista che non ha mai rilasciato; anche se ci sono dozzine di libri su di lui o altri elementi multimediali che portano il suo marchio. Siamo sicuri che lui sia davvero quello che vuole apparire? Come un personaggio di questo tipo può essere credibile? Come può apparirci sincero? E come può suscitare ammirazione in così tante persone? Non vi sembra un personaggio costruito a tavolino? È facile ricevere consensi da una una vasta fetta di pubblico assecondando di volta in volta l'onda di un certo pensiero politico: basta dirsi favorevoli all'integrazione di coloro che per vari motivi abbandonano la loro terra per cercare una vita più dignitosa da noi e molto velocemente si ottengono simpatie e apprezzamenti. Basta schierarsi idealmente con le masse più deboli e poi complottare con i potenti... Non credete che anche questo comportamento possa aiutare a vedere un prodotto artistico?
Dr.Porkas: Quello che dici è verissimo e infatti è uno degli aspetti più importanti da valutare nel momento in cui un neofita si avvicina oggi alla Street-art. Però bisogna considerare che Banksy proponeva questi temi fin dalle sue origini. In molti adesso cavalcano certi argomenti anche tra i giornalisti, i tuttologi e gli scopritori dell'ultima ora della Street-art. Tutti vogliono dire la loro e questo fatto immancabilmente finisce col portare molta spazzatura alla ribalta, non solo tra gli pseudo-artisti, ma anche tra gli artisti di successo che si rifanno alla Street-art per portare avanti un discorso meramente estetico.
TG: La scelta di non volersi mostrare ed evitare di farsi realmente conoscere è una precisa esigenza o una trovata di marketing che tutti, o quasi, già da tempo vogliono adottare e scimmiottare? Non dimentichiamo che anche Cattelan per qualche tempo non rilasciava interviste e non si sapeva bene che faccia avesse e ancora adesso seleziona molto attentamente a chi concedersi mediaticamente.
Dr.Porkas: Purtroppo, Noi non conosciamo personalmente Banksy, pertanto non possiamo dirti con certezza cosa lui sia e quanto lui sia genuino. Quello che possiamo dirti è che un artista andrebbe valutato per il suo lavoro e per il modo in cui svolge il suo lavoro. Riteniamo che il lavoro di Banksy e il modo in cui lo svolga siano assolutamente genuini. Pensa a Dismaland, pensa alle azioni effettuate a New York che non a caso avevano come destinatari e fruitori, anche dal punto di vista economico, le fasce più povere della popolazione. Riteniamo che le sue tematiche siano genuine, nonostante i suoi pezzi vengano battuti ormai a cifre da capogiro.
TG: Possibile che Banksy non abbia un suo canale ufficiale per farsi riconoscere e comunicare con la stampa o le autorità? Come mai da chi vuole non si fa conoscere, ma altri lo trattano come un vecchio amico? Non è che ci lasciamo prendere un po' troppo in giro da qualcuno che probabilmente sfrutta la nostra ingenuità anche per altre questioni? Scusatemi, ma non Vi sembra che debbano essere in troppi a reggere il suo gioco?
Dr.Porkas: Noi riteniamo che abbia, o abbiano sviluppato una forma di protezione perché c'è chi pensa che Banksy sia un collettivo composto da più persone. Noi non abbiamo elementi per esprimere un parere in proposito, diciamo semplicemente che per un artista non sarebbe male avere a disposizione dei collaboratori che ti aiutano e ti fanno da schermo per quello che riguarda tutti gli aspetti pallosi che implica il fatto di essere un artista, come i rapporti con la stampa, i rapporti con le istituzioni, i rapporti con chi ti cerca per imputarti qualche reato e via dicendo. Noi immaginiamo che lui abbia una sua struttura che lo aiuti a interfacciarsi con il resto del mondo e pensiamo che questa sia una forma di protezione che è anche un buon modo per reinvestire parte dei soldi che Banksy guadagna vendendo le sue opere. Questo è il nostro pensiero.
TG: Grazie Dr. Porkas, allora adesso parliamo della mostra e delle opere. Che cosa Vi ha colpito, che cosa c'è d'interessante a Milano e cosa ci può insegnare Banksy?
Dr.Porkas: Abbiamo trovato molto interessanti le sue serigrafie perché anche noi stampiamo serigrafie. Poter osservare il lavoro di Banksy coi propri occhi, o comunque un lavoro che è stato approvato da un artista come lui è una cosa importante. Abbiamo avuto la possibilità di osservare nel dettaglio i retini che sono stati utilizzati, se li utilizza, capire che tipo di disegno è stato fatto, oppure se era una fotografia o uno stencil la base sulla quale poi ha lavorato. Per noi questa visita è stata molto importante dal punto di vista tecnico.
TG: La mostra segue un filo conduttore? Tratta degli argomenti specifici o segue una continuità cronologica?
Dr.Porkas: La mostra inserisce Banksy nella scena della grafica e dell'arte Underground partendo dal Situazionismo del '68 francese. Ci sono alcuni lavori famosissimi realizzati all'Accademia di Belle Arti nel 1969 in cui compaiono poliziotti che brandiscono il manganello o la ragazza che scaglia un mattone... Dopo aver collocato con ironia un certo ambiente controculturale e aver accennato ad alcuni riferimenti ideologici che si sono sviluppati dopo la fine degli anni '60 vengono affrontati alcuni elementi della poetica di Banksy. Oltre soggetti che trattano l'antimilitarismo che è un argomento molto sentito da Banksy, sono esposte altre icone che lo hanno reso celebre, come i suoi onnipresenti topi. Animali sporchi e infestanti che vengono disprezzati dall'opulenta società borghese, ma che in realtà hanno uno stile di vita improntato alla condivisione e alla collettivizzazione. Il simbolo del topo per Banksy rappresenta una società capace di adattarsi a tutto ed è anche associabile alla figura del writer, perché come i roditori, i writer riescono ad intrufolarsi dappertutto, anche nei territori più ostici e nascosti della città. Anche il tema dell'anti-repressione viene ben affrontato. Banksy ha avuto un forte coinvolgimento nel movimento contrario alla guerra in Irak del 2003 e le sue opere sono state in grado di orientare l'opinione di un consistente numero di persone. Banksy ha donato numerosi lavori a quella causa. Altro tema trattato da Banksy in questa mostra è quello del consumismo.
Non è il caso di farne o meno un santo, ma adesso che questo artista maneggia cifre da capogiro è immerso fino al collo nei controsensi del sistema dell'arte. Per come la vediamo noi, il suo modo di agire ed i suoi messaggi sono genuini, nonostante sia uno degli artisti più pagati. È anche molto apprezzabile per la sua scelta di reinvestire gran parte dei suoi guadagni in nuovi progetti, come la provocatoria costruzione di "The Walled Off Hotel", un albergo a Betlemme in territorio palestinese, di fronte al muro eretto dagli israeliani a Gerusalemme Est (In questo lavoro del 2017 Banksy si è dichiarato filo-palestinese, ma prima, nel 2015, aveva invitato tre artisti sionisti a partecipare al progetto di Dismaland ndTG). In quel palazzo sono esposte decine di opere, ma nella mostra al Mudec non c'è un reale approfondimento che descriva accuratamente queste realizzazioni spettacolari di Bansky. In una sezione della mostra si possono osservare questi tipi di interventi politici. Cosa che per noi è molto interessante. Il filo conduttore della mostra esiste e va al di là dei presupposti teorici e culturali di Banksy.
Oltre al Situazionismo e al détournement che fa cambiare significato a certi soggetti - Topolino diventa il torturatore di una bambina vietnamita - ci sono riferimenti anche a Majakóvskij.
TG: Cosa pensate del prezzo del biglietto d'ingresso?
Dr.Porkas: Riteniamo sia immorale far pagare 14 euro per vedere questa mostra. Non tanto perché si paga per accedere ad una mostra, ma perché inevitabilmente i ragazzini, i meno abbienti, che spesso sono i meno acculturati, e altri destinatari del messaggio di Banksy finiscono per essere allontanati da questo ambito. Eppure la grandezza di Banksy è proprio quella di farsi capire dal filosofo segaiolo, come dall'attento clochard.
TG: Che cosa avete capito dall'osservazione delle serigrafie?
Dr.Porkas: È stato fatto un attento lavoro di recupero di tutte le vecchie grafiche che Banksy aveva realizzato a stencil su muro e consapevolmente sono state riprodotte in serigrafia. I pezzi esposti non sono opere di Street art intesa come la si potrebbe concepire comunemente. La Street art è visibile e fruibile solamente in strada. In "A Visual Protest" ci sono stencil su tela, serigrafie che sono arrivate a conservare parte di quella "sporcizia" che si può notare sui muri, per quei soggetti che secondo lui andavano conservati in quel modo, pur essendo destinati ad altri spazi. L'accostamento dei colori e la loro resa su carta sono molto interessanti perché confrontarsi con altri stampatori è l'unico modo per potersi evolvere nel proprio lavoro. Osservare le stampe di Banksy per noi è stato un ottimo esercizio, quasi un workshop, sicuramente un momento di riflessione e di studio.
TG: Se questa mostra è stata pensata e realizzata così bene, Banksy che motivo avrebbe di lamentarsi? Perché non riconoscerle un valore? Sempre che non sia anche questa affermazione una trovata di marketing...
Dr.Porkas: Non credo che Banksy sia venuto qui a Milano per visitare la mostra, ma non credo nemmeno che questo evento lo interessi minimamente. Probabilmente, è contrario a questa esposizione perché non è lui che ne ha pensato il percorso: è normale che un artista si muova così per disconoscere un progetto che non lo ha coinvolto. La sua importanza sta proprio nell'aver realizzato operazioni culturali come Dismaland, come ciò che ha fatto a New York o anche del suo film: Exit Through The Gift Shop. Le sue iniziative non sono passate attraverso curatori, ma sono operazioni autonome che costituiscono lavori di un certo livello. La mostra organizzata dal Mudec è di ottimo livello, ma rientra nella categoria delle mostre, non nella categoria degli eventi pensati loro stessi per essere opere d'arte. Dismaland è stata pensata come un'opera d'arte. Se non si vuole considerare Exit Through The Gift Shop un'opera d'arte è però vero che costituisce un documento importante perché è un saggio di riflessione filosofica per immagini sul concetto di arte contemporanea e sulla speculazione che c'è dietro a questo mondo.
TG: Infatti, forse bisognerebbe riflettere ulteriormente anche su quello che rappresenta Banksy. Ad ogni modo, mi sembra di capire che valga la pena di fare un giro al Mudec per visitare questa mostra...
Dr.Porkas: Sì, anche se sarebbe meglio riuscire a trovare qualcuno che vi faccia entrare gratis... 14 euro sono troppi e noi li abbiamo spesi solo per Banksy.
TG: Era prevedibile che la mostra avrebbe avuto così tanto successo? O il suo successo dipende dal fatto che è stata organizzata a Milano?
Dr.Porkas: Non era difficile indovinare che una mostra di Banksy avrebbe avuto successo. A Milano, come a Napoli o da qualsiasi altra parte: l'importante era che venisse fatta in una grande città con un numero di opere consistente. Banksy è la punta di diamante della Street Art, un movimento artistico che in questi anni suscita molto interesse, non solo tra il pubblico dei giovanissimi.
TG: Io però ho la sensazione che la Street art, rispetto a quasi una dozzina d'anni fa quando era stata accolta al PAC, abbia già raggiunto il suo apice di interesse tra il pubblico. Ultimamente, credo che abbia un po' stancato proprio per tutte queste regole e stereotipi che la rendono poi sempre un uguale a se stessa. Voi cosa ne pensate?
Dr.Porkas: La nostra percezione del fenomeno è che l'operazione di normalizzazione che è stata fatta da parte delle istituzioni sia stato qualcosa di necessario. Tutte le forme d'arte partono da un livello di rottura profondo e completo nei confronti della tradizione e poi, in qualche modo, vengono inglobate da parte della cultura dominante. È normale che adesso questo destino stia toccando anche alla Street art. Siamo ad un punto di svolta: o la Street art saprà rinnovarsi, oppure sarà destinata a morire, così come l'abbiamo conosciuta noi street artist della prima ora. Quando un'idea funziona diventa di moda e finisce nelle gallerie d'arte, ovviamente cessa di essere un'espressione popolare per diventare "arte" e basta. Certo, la galleria è la fine della Street art, anche se ci sono modi assolutamente dignitosi di finire in galleria.
TG: Questa mostra è dignitosa per Banksy?
Dr.Porkas: Sì. Venire a vedere questa mostra non significa applaudire il Comune di Milano che legifera contro i writers, ma avere la possibilità di conoscere più da vicino un artista di fama mondiale. Per il resto, noi crediamo che un treno dipinto illegalmente da un writer è sempre meglio di un treno grigio o che ha sulle fiancate la pubblicità delle mutande o delle marmellate, e di certo un whole car è meglio di una mostra chic e costosa nella galleria più rinomata.
Dr.Porkas: Noi riteniamo che abbia, o abbiano sviluppato una forma di protezione perché c'è chi pensa che Banksy sia un collettivo composto da più persone. Noi non abbiamo elementi per esprimere un parere in proposito, diciamo semplicemente che per un artista non sarebbe male avere a disposizione dei collaboratori che ti aiutano e ti fanno da schermo per quello che riguarda tutti gli aspetti pallosi che implica il fatto di essere un artista, come i rapporti con la stampa, i rapporti con le istituzioni, i rapporti con chi ti cerca per imputarti qualche reato e via dicendo. Noi immaginiamo che lui abbia una sua struttura che lo aiuti a interfacciarsi con il resto del mondo e pensiamo che questa sia una forma di protezione che è anche un buon modo per reinvestire parte dei soldi che Banksy guadagna vendendo le sue opere. Questo è il nostro pensiero.
TG: Grazie Dr. Porkas, allora adesso parliamo della mostra e delle opere. Che cosa Vi ha colpito, che cosa c'è d'interessante a Milano e cosa ci può insegnare Banksy?
Dr.Porkas: Abbiamo trovato molto interessanti le sue serigrafie perché anche noi stampiamo serigrafie. Poter osservare il lavoro di Banksy coi propri occhi, o comunque un lavoro che è stato approvato da un artista come lui è una cosa importante. Abbiamo avuto la possibilità di osservare nel dettaglio i retini che sono stati utilizzati, se li utilizza, capire che tipo di disegno è stato fatto, oppure se era una fotografia o uno stencil la base sulla quale poi ha lavorato. Per noi questa visita è stata molto importante dal punto di vista tecnico.
TG: La mostra segue un filo conduttore? Tratta degli argomenti specifici o segue una continuità cronologica?
Dr.Porkas: La mostra inserisce Banksy nella scena della grafica e dell'arte Underground partendo dal Situazionismo del '68 francese. Ci sono alcuni lavori famosissimi realizzati all'Accademia di Belle Arti nel 1969 in cui compaiono poliziotti che brandiscono il manganello o la ragazza che scaglia un mattone... Dopo aver collocato con ironia un certo ambiente controculturale e aver accennato ad alcuni riferimenti ideologici che si sono sviluppati dopo la fine degli anni '60 vengono affrontati alcuni elementi della poetica di Banksy. Oltre soggetti che trattano l'antimilitarismo che è un argomento molto sentito da Banksy, sono esposte altre icone che lo hanno reso celebre, come i suoi onnipresenti topi. Animali sporchi e infestanti che vengono disprezzati dall'opulenta società borghese, ma che in realtà hanno uno stile di vita improntato alla condivisione e alla collettivizzazione. Il simbolo del topo per Banksy rappresenta una società capace di adattarsi a tutto ed è anche associabile alla figura del writer, perché come i roditori, i writer riescono ad intrufolarsi dappertutto, anche nei territori più ostici e nascosti della città. Anche il tema dell'anti-repressione viene ben affrontato. Banksy ha avuto un forte coinvolgimento nel movimento contrario alla guerra in Irak del 2003 e le sue opere sono state in grado di orientare l'opinione di un consistente numero di persone. Banksy ha donato numerosi lavori a quella causa. Altro tema trattato da Banksy in questa mostra è quello del consumismo.
Non è il caso di farne o meno un santo, ma adesso che questo artista maneggia cifre da capogiro è immerso fino al collo nei controsensi del sistema dell'arte. Per come la vediamo noi, il suo modo di agire ed i suoi messaggi sono genuini, nonostante sia uno degli artisti più pagati. È anche molto apprezzabile per la sua scelta di reinvestire gran parte dei suoi guadagni in nuovi progetti, come la provocatoria costruzione di "The Walled Off Hotel", un albergo a Betlemme in territorio palestinese, di fronte al muro eretto dagli israeliani a Gerusalemme Est (In questo lavoro del 2017 Banksy si è dichiarato filo-palestinese, ma prima, nel 2015, aveva invitato tre artisti sionisti a partecipare al progetto di Dismaland ndTG). In quel palazzo sono esposte decine di opere, ma nella mostra al Mudec non c'è un reale approfondimento che descriva accuratamente queste realizzazioni spettacolari di Bansky. In una sezione della mostra si possono osservare questi tipi di interventi politici. Cosa che per noi è molto interessante. Il filo conduttore della mostra esiste e va al di là dei presupposti teorici e culturali di Banksy.
Oltre al Situazionismo e al détournement che fa cambiare significato a certi soggetti - Topolino diventa il torturatore di una bambina vietnamita - ci sono riferimenti anche a Majakóvskij.
TG: Cosa pensate del prezzo del biglietto d'ingresso?
Dr.Porkas: Riteniamo sia immorale far pagare 14 euro per vedere questa mostra. Non tanto perché si paga per accedere ad una mostra, ma perché inevitabilmente i ragazzini, i meno abbienti, che spesso sono i meno acculturati, e altri destinatari del messaggio di Banksy finiscono per essere allontanati da questo ambito. Eppure la grandezza di Banksy è proprio quella di farsi capire dal filosofo segaiolo, come dall'attento clochard.
TG: Che cosa avete capito dall'osservazione delle serigrafie?
Dr.Porkas: È stato fatto un attento lavoro di recupero di tutte le vecchie grafiche che Banksy aveva realizzato a stencil su muro e consapevolmente sono state riprodotte in serigrafia. I pezzi esposti non sono opere di Street art intesa come la si potrebbe concepire comunemente. La Street art è visibile e fruibile solamente in strada. In "A Visual Protest" ci sono stencil su tela, serigrafie che sono arrivate a conservare parte di quella "sporcizia" che si può notare sui muri, per quei soggetti che secondo lui andavano conservati in quel modo, pur essendo destinati ad altri spazi. L'accostamento dei colori e la loro resa su carta sono molto interessanti perché confrontarsi con altri stampatori è l'unico modo per potersi evolvere nel proprio lavoro. Osservare le stampe di Banksy per noi è stato un ottimo esercizio, quasi un workshop, sicuramente un momento di riflessione e di studio.
TG: Se questa mostra è stata pensata e realizzata così bene, Banksy che motivo avrebbe di lamentarsi? Perché non riconoscerle un valore? Sempre che non sia anche questa affermazione una trovata di marketing...
Dr.Porkas: Non credo che Banksy sia venuto qui a Milano per visitare la mostra, ma non credo nemmeno che questo evento lo interessi minimamente. Probabilmente, è contrario a questa esposizione perché non è lui che ne ha pensato il percorso: è normale che un artista si muova così per disconoscere un progetto che non lo ha coinvolto. La sua importanza sta proprio nell'aver realizzato operazioni culturali come Dismaland, come ciò che ha fatto a New York o anche del suo film: Exit Through The Gift Shop. Le sue iniziative non sono passate attraverso curatori, ma sono operazioni autonome che costituiscono lavori di un certo livello. La mostra organizzata dal Mudec è di ottimo livello, ma rientra nella categoria delle mostre, non nella categoria degli eventi pensati loro stessi per essere opere d'arte. Dismaland è stata pensata come un'opera d'arte. Se non si vuole considerare Exit Through The Gift Shop un'opera d'arte è però vero che costituisce un documento importante perché è un saggio di riflessione filosofica per immagini sul concetto di arte contemporanea e sulla speculazione che c'è dietro a questo mondo.
TG: Infatti, forse bisognerebbe riflettere ulteriormente anche su quello che rappresenta Banksy. Ad ogni modo, mi sembra di capire che valga la pena di fare un giro al Mudec per visitare questa mostra...
Dr.Porkas: Sì, anche se sarebbe meglio riuscire a trovare qualcuno che vi faccia entrare gratis... 14 euro sono troppi e noi li abbiamo spesi solo per Banksy.
TG: Era prevedibile che la mostra avrebbe avuto così tanto successo? O il suo successo dipende dal fatto che è stata organizzata a Milano?
Dr.Porkas: Non era difficile indovinare che una mostra di Banksy avrebbe avuto successo. A Milano, come a Napoli o da qualsiasi altra parte: l'importante era che venisse fatta in una grande città con un numero di opere consistente. Banksy è la punta di diamante della Street Art, un movimento artistico che in questi anni suscita molto interesse, non solo tra il pubblico dei giovanissimi.
TG: Io però ho la sensazione che la Street art, rispetto a quasi una dozzina d'anni fa quando era stata accolta al PAC, abbia già raggiunto il suo apice di interesse tra il pubblico. Ultimamente, credo che abbia un po' stancato proprio per tutte queste regole e stereotipi che la rendono poi sempre un uguale a se stessa. Voi cosa ne pensate?
Dr.Porkas: La nostra percezione del fenomeno è che l'operazione di normalizzazione che è stata fatta da parte delle istituzioni sia stato qualcosa di necessario. Tutte le forme d'arte partono da un livello di rottura profondo e completo nei confronti della tradizione e poi, in qualche modo, vengono inglobate da parte della cultura dominante. È normale che adesso questo destino stia toccando anche alla Street art. Siamo ad un punto di svolta: o la Street art saprà rinnovarsi, oppure sarà destinata a morire, così come l'abbiamo conosciuta noi street artist della prima ora. Quando un'idea funziona diventa di moda e finisce nelle gallerie d'arte, ovviamente cessa di essere un'espressione popolare per diventare "arte" e basta. Certo, la galleria è la fine della Street art, anche se ci sono modi assolutamente dignitosi di finire in galleria.
TG: Questa mostra è dignitosa per Banksy?
Dr.Porkas: Sì. Venire a vedere questa mostra non significa applaudire il Comune di Milano che legifera contro i writers, ma avere la possibilità di conoscere più da vicino un artista di fama mondiale. Per il resto, noi crediamo che un treno dipinto illegalmente da un writer è sempre meglio di un treno grigio o che ha sulle fiancate la pubblicità delle mutande o delle marmellate, e di certo un whole car è meglio di una mostra chic e costosa nella galleria più rinomata.
TV Boy è del parere di Tony Graffio: difficile capire se la mostra del Mudec sia stata organizzata con la collaborazione dell'artista oppure no.
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