Da quando ho iniziato a muovermi alla ricerca di personaggi che hanno dato un contributo alla cultura fotografica, artistica ed alle tecniche con le quali si realizzano le opere, ho incontrato diversi soggetti interessanti. Con alcuni l'approccio è abbastanza semplice, con altri un po' meno, ma coloro cui tengo particolarmente, perché li considero rappresentativi di qualcosa di speciale, o capaci di raccontare una storia esemplare, spesso restano come in quarantena nei miei pensieri, per capire bene che aspetti toccare delle loro vicende, cosa chiedere loro e come impostare le loro storie.
Da parecchio tempo volevo parlare della figura dello stampatore d'arte che io ritengo un'artista, poiché colui che ha una certa visione del mondo e sa trasformare la materia e motivare le proprie scelte, è un creativo a tutti gli effetti, checché ne dicano i critici, gli esperti o gli storici dell'arte.
Anche i tecnici, gli inventori, coloro che svolgono la parte sporca del lavoro hanno idee ben precise e con il loro modo di sentire le cose spesso sono capaci di compiere grandi gesti, al pari di chi vive con maggior disinteresse il problema della soluzione tecnica da intraprendere, vuoi per snobismo, o per impreparazione culturale.
Lo stampatore ha sempre qualcosa da dire e da lui c'è sempre da imparare, anche se oggi come oggi si stampa sempre meno e si tende a fare tutto da soli.
Conosco molti bravi stampatori, ma ho voluto affrontare questo argomento partendo con chi ha svolto varie mansioni all'interno del processo produttivo ed è capace di trasformare un'immagine registrata su un supporto chimico, o elettrico, nella rappresentazione bidimensionale di quell'immagine.
Se volete ascoltare direttamente la voce di RT:
Roberto Tomasi 59 anni stampatore fine art.
Alla ricerca della perfezione
Tony Graffio: Roberto, che cos'è per te la fotografia?
Roberto Tomasi: Per me la passione per la fotografia
nasce dalla ricerca della tridimensionalità, di conseguenza la
stampa deve riprodurre al meglio il mondo reale.
Io interpreto la fotografia come
immagine tridimensionale e cerco, attraverso la fotografia di
rappresentare il più possibile il reale, il vero, di come vediamo
noi, per questo ricerco anche il massimo della definizione.
TG
Ti ritieni un iperrealista? Ti ci
ritrovi in questa definizione?
RT
Iper-realista, uhmmm, no, realista e
basta.
Ogni immagine ha diversi piani e
diverse profondità, riportare poi questa visione su un supporto,
come può essere la carta, la tela, o quello che vuoi è una sfida
che io cerco di fare al meglio come noi la vediamo con gli occhi, il
più possibile fedele.
TG
Tu cerchi la tridimensionalità su 2
dimensioni?
RT
Esatto.
TG
E tutto il discorso sul 3D ti interessa
ugualmente?
RT
Certo, però io sono fermo,
volutamente, sulla rappresentazione del 3D su due sole dimensioni. Ho
approfondito questo studio per molti anni per potere fare questo
lavoro nel modo migliore. Noi abbiamo a che fare con dei volumi che
quando fotografiamo vogliamo rappresentare. La macchina fotografica,
non è altro che un registratore che registra tutti i valori
dell'immagine, come l'occhio. In seguito poi la mente farà le sue
elaborazioni, cioè riesce, incredibilmente a mettere a fuoco tutto,
dal primo piano all'ultimo. La macchina fotografica invece non riesce
a fare questa operazione di sintesi. Però ci sono degli strumenti,
oggi come oggi è il computer, una volta era l'ingranditore, che ti
aiutano a ricreare questa possibilità di dare nitidezza ai vari
piani della scena. In sostanza, si possono fare più ripresa, in modo
da mettere a fuoco di volta in volta i piani che compongono
l'immagine ed assemblarli in fase di stampa. Con l'ingranditore si
ricorreva a più pose fatte con maschere e contromaschere, per
ottenere un'immagine, di fatto, perfetta.
I primi passi nel mondo
dell'immagine e del foto-ritocco
TG
Roberto, siamo partiti subito entrando
in argomento, proviamo a ricominciare il discorso dall'inizio: chi
sei, come ti chiami, quando sei nato, che formazione hai avuto?
RT
Io sono Roberto Tomasi, sono nato il 7
agosto 1956, ho iniziato la mia carriera come fotolitista, dopo aver
studiato grafica pubblicitaria alla scuola Cova, in Corso Vercelli, a
Milano.
TG
Che cos'è un fotolitista? E che cosa
faceva?
RT
Il fotolitista, potrebbe esistere ancora
adesso, ma non so che nome potrebbe avere, preparava gli impianti per la
stampa, per litografia.
TG
Era un lavoro artistico?
RT
Era un lavoro dove c'era un
ingranditore, delle bacinelle, lo scanner...La retinatura...
Quando ho iniziato io ero solo un
garzone, mi facevano fare le pulizie, però ricordo che a quei tempi
si facevano le incisioni su pietra, le vere litografie. Poi da lì,
per poter imparare sono passato da un posto all'altro, finché sono
arrivato in un posto dove si lavorava con un sistema che si chiamava
“Diretta”. Grazie ad un ingranditore si facevano delle pose
direttamente sulla pellicola ad alto contrasto, perché prima della
lith c'era un retino che trasformava l'immagine in un insieme di
punti che poi venivano incisi su lastre di zinco.
Le pellicole così preparate andavano
in litografia e lì facevano le lastre di zinco.
Eravamo intorno al 1973. Por un po'
sono stato in quell'ambiente, sono partito per il militare e quando
sono tornato al lavoro ci sono stati dei cambiamenti: erano arrivati
i primi scanner. Per restare aggiornato, ho cambiato posto di lavoro
e sono andato dove avevano questi scanner. Stiamo parlando del 1975 o
1976, all'epoca lo scanner, rigorosamente a tamburo, costava
tantissimo, scanner che oggi non esistono neanche più e che
praticamente nessuno conosce.
TG
Dopo l'esperienza con gli scanner che
cosa hai fatto?
RT
Dopo quell'esperienza, ero praticamente
distrutto perché per pagarli si lavorava su tre turni ed io di notte
facevo fatica, perciò, dopo aver imparato bene, mi son cercato un
altro posto senza quei turni.
Trovai un posto da direttore nei
dintorni di Bergamo. Proprio perché facevo il direttore, curavo gli
scanner, ma non dovevo fare i turni. Lavoravo da Campanella, ma non
ricordo come si chiamasse quella ditta.
TG
Spiegami meglio qual era il prodotto
finale sul quale lavoravate.
RT
Erano gli impianti per fare le stampe
litografiche: per libri fatti bene e cose di questo tipo.
I nostri clienti erano editori come
Fabbri, Mondadori, Rusconi, Rizzoli e tutti gli altri, all'epoca
c'era un boom dell'editoria e della stampa artistica, erano bei
tempi, si lavorava, si stava bene e si guadagnava di conseguenza. Si
guadagnava bene, molto bene.
Ad un certo punto ho pensato che volevo
fare qualcosa di mio. Nonostante si stesse molto bene, volevo
guadagnare di più, così ho aperto uno studio di grafica e
pubblicità a Ponte San Pietro, sempre nella bergamasca. Lì avevo
incominciato a fare qualche catalogo ed altri progetti, però alla
fine io mi recavo sempre a Milano per realizzarli ed a elaborare
l'immagine. In quel laboratorio lavorava mio fratello. Ad un certo
punto mio fratello mi disse: <Ma cosa continui ad andare avanti ed
indietro vieni qua con me che facciamo qualcosa insieme e buttiamoci
nel mondo dell'immagine>.
Fu così che entrai nel mondo dell
fotografia.
La ditta che avevamo allora si chiamava
Poliart Color, facevamo solo ed esclusivamente elaborazioni
d'immagini su fotografia, c'erano i duplicati della Kodak di un
formato di cm 30X40.
TG
In pratica facevate della
post-produzione prima dell'avvento del computer?
RT
Sì, si chiamava fotoritocco, non si
chiamava post-produzione. Il termine post-produzione è arrivato col
digitale. Tonino Fodale che era la nostra concorrenza, lavorava
addirittura con l'aerografo. Noi facevamo i ritocchi con il
pennellino, a mano con l'anilina, preparando le maschere,
contromaschere, posa, controposa e tutto quello che serviva per
modificare il soggetto.
Tutto quello che noi oggi vediamo fatto
dal computer con Photoshop, una volta lo si faceva a mano. Nel 1999
con l'arrivo dei primi computer e di Photoshop non si faceva altro
che chiedere a Photoshop di fare quello che noi sapevamo già fare.
Non era Photoshop che chiedeva a noi
d'imparare il suo modo di procedere, ma eravamo noi che chiedevamo a
questo programma di fare con il computer quello che sapevamo già
fare. Non avevamo bisogno di corsi, d'imparare cose nuove o altro,
forse l'unica difficoltà era dover fare questo lavoro in lingua
inglese, perché non esisteva ancora una versione di questo programma
in italiano.
Ecco, in questo modo già si lavorava
per le grosse agenzie pubblicitarie, come la Mc Cann Harrison,
l'Armando Testa, e le altre agenzie che c'erano a Milano.
All'epoca eravamo in pochi, c'era della
concorrenza, ma era minima. Erano gli anni 1980.
Stampatore ed inventore
TG
Quando sei
diventato uno stampatore?
RT
Diciamo che sono
stato sempre uno stampatore, io mi sono sempre occupato di questo,
però l'ho fatto a tempo pieno solo dopo aver fatto il ritoccatore.
Con l'ingranditore ho lavorato poco perché il risultato della stampa
con l'ingranditore non mi soddisfaceva: era una stampa contrastata,
mi si chiudevano i neri, si bruciavano i bianchi, i colori non erano
separati, c'erano dei disturbi.
TG
Per quanto tempo
ti sei occupato della stampa chimica?
RT
Per poco tempo,
perché già nel 1989 misi a punto un mio procedimento di stampa.
Venendo da una
scuola di scanner, mi dissi: <Perché non stampare la fotografia
con lo scanner?>. Facendo così potevo ottenere l'incisione dello
scanner, la separazione dei colori, l'apertura dei neri, una certa
profondità e tutte quelle qualità che adesso si ottengono
abbastanza facilmente con degli strumenti digitali.
Photo Transfer
TG
Scusami Roberto,
lo scanner acquisisce, non serve per stampare, cosa vuol dire quello
che mi stai dicendo?
RT
Lo scanner
all'epoca era un mezzo analogico, nel senso che acquisiva, ma non
trasmetteva i dati nel computer, li trasmetteva comunque su un
supporto. In quel supporto che, dalla mia esperienza di
fotolitista, riconoscevo come un supporto retinato, bastava togliere
quella parte meccanica del retino per ottenere delle pellicole a tono
continuo della misura interessata alla stampa finale.
Io facevo la
scansione creavo queste pellicole, si usava abbastanza la stampa
70X100, si ricavavano le pellicole a tono continuo di quella misura
colore per colore, nei colori primari: il Cyan, il Magenta, il Giallo
ed il Nero. Queste pellicole, sovrapposte a più passaggi con la loro
punzonatura, le posavo su qualsiasi tipo di carta fotografica,
trasparente o non, grazie ad un apposito bromografo a filtri che
avevo fatto costruire per questa nuova tecnica di stampa che chiamai
Photo Transfer.
A me piaceva
molto il Cibachrome, sia lucido che opaco, che era l'unica casa che
mi garantiva la durata maggiore nel tempo del colore che erano 19
anni. Questi circa 20 anni confronto ai 100 o 200 di durata che ci
sono per i prodotti di oggi non sono niente.
TG
Tu così hai
ideato una tua tecnica?
RT
Ho ideato e
brevettato una mia tecnica che si chiamava Photo-Transfer, col PH.
Io ero l'unico
che faceva questi Photo Transfer, in pratica realizzavo queste
matrici e posavo poi col bromografo a luce a tungsteno, a vuoto
d'aria, a contatto, con i vari filtri di correzione colore, il rosso,
il blu ed il verde.
Non solo ho
costruito un bromografo speciale, ho fatto fare le modifiche allo
scanner; avevo comprato quello scanner che all'epoca costava 160
milioni di lire, (marca Hell ndTG).
TG
Come hai fatto a
far conoscere questa tua tecnica?
RT
Inizia a
contattare Fotopratica, Titta Beretta che era il direttore di
Fotopratica, gli raccontai di quello che stavo facendo, lui vide il
risultato dei miei Photo Transfer e mi disse: <Falle vedere subito
a Franco Fontana>.
Andai a Modena a
far vedere i miei lavori a Franco Fontana e da lì, infatti, nacque
subito una collaborazione. Poi andai da Giovanni Gastel ed iniziai
una collaborazione, sono andato da Oliviero Toscani ed iniziai una
collaborazione, sono andato da Gian Paolo Barbieri ed ho iniziato una
collaborazione, poi mi accorsi che ero andato dai massimi autori
della fotografia contemporanea. Da lì mi capitò d'avere la coda di
fotografi fuori dal laboratorio che volevano vedere cosa facevo e mi
facevano i complimenti, ma loro non potevano acquistare i miei
prodotti perché la lavorazione era molto costosa.
Per poter lavorare, visto che all'epoca
il dollaro aveva un cambio altissimo con la lira, io e mio fratello
Gianpaolo Tomasi abbiamo pensato bene d'andare a trovare i fotografi
di New York e proporre loro il nostro lavoro. La prima porta che
abbiamo pensato di bussare è stata quella di Irving Penn.
TG
Cosa ti disse Irving Penn?
RT
Belle, bellissime, complimenti e da lì
abbiamo iniziato a lavorare insieme.
TG
Dopo Penn, da chi sei stato?
RT
Poi, pian, pianino ci son stati i vari
Avedon, Chuck Close, Annie Leibovitz, in seguito anche Hiro (Yasuhiro
Wakabayashi) ed altri.
TG
Che
effetto davano questi tuoi Photo Transfer?
RT
La
prerogativa principale di queste stampe era l'incisione (la
definizione ndTG).
La
loro definizione, già allora, era quella di uno scanner, cosa che in
fotografia non puoi avere perché più alto è il rapporto
d'ingrandimento, meno definizione hai e più si spappola l'immagine,
si velano i neri e viene un disastro, veramente quando stampavo con
l'ingranditore m'incazzavo tutte le volte perché non riuscivo ad
ottenere quello che volevo. Fra l'altro, l'aver scoperto lo scanner è
stata una sfida con un'agenzia che ci chiese delle stampe per
presentare una pubblicità del formaggio Philadelphia, mi ricordo che
era la Mc Harrison. Ci dissero: <Se voi ci farete una stampa
bellissima del nostro prodotto, avrete vinto l'appalto>. Da lì,
ovviamente, ho studiato un sistema diverso da quello che poteva
essere l'ingranditore perché se io facevo una stampa
all'ingranditore, potevo anche mettercela tutta, ma la differenza
dalla stampa che possono fare gli altri è minima.
Così
mi son detto: perché non fare qualcosa di nuovo e mi sono studiato
il Photo Transfer
TG
Possiamo
dire che tu sei arrivato alla qualità delle stampanti digitali a
plotter a getto d'inchiostro già con il tuo Photo Transfer, 10 anni
prima degli altri?
RT
Sì,
10 anni prima.
TG
Quest'esperienza
ti è servita, sei stato riconosciuto per quello che hai fatto?
RT
Sono
stato riconosciuto per i miei risultati, ma poi da lì a poco è nato
il problema che la pellicole di grande formato per usi tipografici
non veniva più prodotta. Per quello ho smesso di fare la mia
tecnica. Eravamo intorno al 1999.
L'avvento
del computer ha spazzato via la pellicola che non aveva più ragione
d'esistere.
Avremmo
dovuto fare degli ordini enormi nell'ordine di milioni di lire per
avere un pacchetto di pellicole sufficienti a smaltire i lavori per i
nostri clienti.
Poi
il lavoro continuava fino ad un certo punto, anche perché costava
caro e nell'ordine dopo ci hanno detto che l'azienda aveva chiuso ed
era l'unica azienda al mondo a produrre quelle pellicole: la Typon.
TG
La
qualità di Ciba vi aiutava nell'ottenere quello che ricercavate?
RT
Ciba
era il massimo che potevamo avere sul mercato, però in Italia c'era
solo la carta lucida ed anche lì dovevamo fare degli ordini
piuttosto sostenuti per riuscire a rifornirci anche con la carta
opaca.
TG
Per
che mercati lavoravate?
RT
Lavoravamo
per il mercato americano, per tutti coloro che contavano un pochino:
per i francesi, i tedeschi, per Londra, poco per i giapponesi.
TG
Cosa
pensavano gli americani che arrivavano da loro un paio d'italiani ad
insegnargli come si facevano le immagini fatte bene?
RT
Loro
avevano in noi la massima fiducia, anche se io l'inglese allora lo
sapevo ancora meno di adesso, non riuscivo ad avere un dialogo molto
chiaro a parole, però c'era interesse e fiducia e loro compravano
senza problemi. Ho avuto Salgado in camera oscura per 5 giorni, a
seguire direttamente il lavoro. Nel colore ci volevano 4 matrici, nel
bianco e nere, ne bastava una.
TG
Per
il bianco e nero che carta usavi?
RT
Anche
lì ci sono stati dei problemi, ho fatto in tempo ad usare l'Agfa
baritata. Col tempo, sono scomparsi i produttori di carta ed alla
fine si lavorava solo con Ilford che tra l'altro non era più carta
graduata, ma c'era un filtro che ne determinava la gradazione. E
venivano ugualmente bene perché solo la matrice dava un aspetto
spettacolare a queste stampe.
TG
C'era
qualcun altro al mondo che utilizzava questo vostra tecnica?
RT
No,
no, nessuno l'ha utilizzata, ma sicuramente avranno preso degli
spunti dal nostro sistema perché subito dopo è arrivato lo scanner
in fotografia, guarda caso...
Noi
eravamo talmente orgogliosi del nostro prodotto che spiegavamo tutto
a tutti. Tutto a Tutti (dice questo con po' di rammarico. Vedi video
intervista originale quando verrà messo online).
TG
Lo
rifaresti?
RT
Di
spiegare? (Ride) Beh lì è stata una lotta continua con mio fratello
perché io venendo da un mondo come quello della fotolito mi avevano
inculcato il segreto professionale, invece mio fratello è sempre
stato uno spirito libero: <Mah no, che segreto professionale! Che
te frega, tanto se sei bravo sei bravo...>.
TG
Secondo
te, perché nessuno s'e dedicato a questa tecnica? Per non pagarvi i
diritti o perché era troppo costosa?
RT
Beh
è durata poco, gli altri non hanno fatto tempo ad accorgersene, poi
lo scanner non era tanto conosciuto: era il periodo in cui tutto
avveniva in camera oscura eh. Il cliente arrivava, ritirava la copia,
diceva: <Che bella!> e basta. Non c'era lo schermo per fare dei
confronti,
non
si chiedeva il perché era così. Adesso entra un cliente in studio,
vede che c'ho il plotter della Epson, lo scanner della Dai Nippon, lo
schermo della Apple...
Il
cliente viene qui vede, e addirittura chiede: <Dove l'hai preso?>.
E si fanno domande per potersi arrangiare da soli, perché il mondo
s'è evoluto in questo senso ed il professionista fa tutto da solo.
TG
Senza
lo stampatore...
RT
Senza
lo stampatore. Anche perché non c'è più questa grande richiesta di
qualità.
TG
Perché
il mondo ha preso questa piega? I costi vengono prima di ogni altra
cosa? O la gente non è più in grado di distinguere la qualità?
RT
Per
entrambi i motivi. I costi sono la cosa più importante, e poi, anche
se la gente capisce ti dice: <Eh, ma quello là costa la metà...>.
Io
ho proprio visto l'evoluzione di questa situazione, quando lavoravo
per Rizzoli o Mondadori mi pagavano l'elaborazione dell'immagine, poi
ad un certo punto, con l'arrivo del computer ed il digitale si sono
ridotti un attimino questi costi e le redazioni hanno iniziato a dire
che quei costi loro non li pagavano più, per poter fare dell'elaborazione
d'immagine, i costi dovevano già essere inclusi nella consegna. Se vuoi, li
paghi tu fotografo.
Il
fotografo, per non pagarli ha iniziato ad arrangiarsi da solo.
Semplice.
Roberto Tomasi al computer, sullo schermo la fotografia di una cliente
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