domenica 4 ottobre 2015

Roberto Tomasi: la fotografia come ricerca del vero ed espressione di cuore e pensiero (Prima parte)

Da quando ho iniziato a muovermi alla ricerca di personaggi che hanno dato un contributo alla cultura fotografica, artistica ed alle tecniche con le quali si realizzano le opere, ho incontrato diversi soggetti interessanti. Con alcuni l'approccio è abbastanza semplice, con altri un po' meno, ma coloro cui tengo particolarmente, perché li considero rappresentativi di qualcosa di speciale, o capaci di raccontare una storia esemplare, spesso restano come in quarantena nei miei pensieri, per capire bene che aspetti toccare delle loro vicende, cosa chiedere loro e come impostare le loro storie.
Da parecchio tempo volevo parlare della figura dello stampatore d'arte che io ritengo un'artista, poiché colui che ha una certa visione del mondo e sa trasformare la materia e motivare le proprie scelte, è un creativo a tutti gli effetti, checché ne dicano i critici, gli esperti o gli storici dell'arte. 
Anche i tecnici, gli inventori, coloro che svolgono la parte sporca del lavoro hanno idee ben precise e con il loro modo di sentire le cose spesso sono capaci di compiere grandi gesti, al pari di chi vive con maggior disinteresse il problema della soluzione tecnica da intraprendere, vuoi per snobismo, o per impreparazione culturale.
Lo stampatore ha sempre qualcosa da dire e da lui c'è sempre da imparare, anche se oggi come oggi si stampa sempre meno e si tende a fare tutto da soli.
Conosco molti bravi stampatori, ma ho voluto affrontare questo argomento partendo con chi ha svolto varie mansioni all'interno del processo produttivo ed è capace di trasformare un'immagine registrata su un supporto chimico, o elettrico, nella rappresentazione bidimensionale di quell'immagine.

Se volete ascoltare direttamente la voce di RT:

Roberto Tomasi 59 anni stampatore fine art.

Alla ricerca della perfezione

Tony Graffio: Roberto, che cos'è per te la fotografia?

Roberto Tomasi: Per me la passione per la fotografia nasce dalla ricerca della tridimensionalità, di conseguenza la stampa deve riprodurre al meglio il mondo reale.
Io interpreto la fotografia come immagine tridimensionale e cerco, attraverso la fotografia di rappresentare il più possibile il reale, il vero, di come vediamo noi, per questo ricerco anche il massimo della definizione.

TG
Ti ritieni un iperrealista? Ti ci ritrovi in questa definizione?

RT
Iper-realista, uhmmm, no, realista e basta.
Ogni immagine ha diversi piani e diverse profondità, riportare poi questa visione su un supporto, come può essere la carta, la tela, o quello che vuoi è una sfida che io cerco di fare al meglio come noi la vediamo con gli occhi, il più possibile fedele.

TG
Tu cerchi la tridimensionalità su 2 dimensioni?

RT
Esatto.

TG
E tutto il discorso sul 3D ti interessa ugualmente?

RT
Certo, però io sono fermo, volutamente, sulla rappresentazione del 3D su due sole dimensioni. Ho approfondito questo studio per molti anni per potere fare questo lavoro nel modo migliore. Noi abbiamo a che fare con dei volumi che quando fotografiamo vogliamo rappresentare. La macchina fotografica, non è altro che un registratore che registra tutti i valori dell'immagine, come l'occhio. In seguito poi la mente farà le sue elaborazioni, cioè riesce, incredibilmente a mettere a fuoco tutto, dal primo piano all'ultimo. La macchina fotografica invece non riesce a fare questa operazione di sintesi. Però ci sono degli strumenti, oggi come oggi è il computer, una volta era l'ingranditore, che ti aiutano a ricreare questa possibilità di dare nitidezza ai vari piani della scena. In sostanza, si possono fare più ripresa, in modo da mettere a fuoco di volta in volta i piani che compongono l'immagine ed assemblarli in fase di stampa. Con l'ingranditore si ricorreva a più pose fatte con maschere e contromaschere, per ottenere un'immagine, di fatto, perfetta.

I primi passi nel mondo dell'immagine e del foto-ritocco

TG
Roberto, siamo partiti subito entrando in argomento, proviamo a ricominciare il discorso dall'inizio: chi sei, come ti chiami, quando sei nato, che formazione hai avuto?

RT
Io sono Roberto Tomasi, sono nato il 7 agosto 1956, ho iniziato la mia carriera come fotolitista, dopo aver studiato grafica pubblicitaria alla scuola Cova, in Corso Vercelli, a Milano.

TG
Che cos'è un fotolitista? E che cosa faceva?

RT
Il fotolitista, potrebbe esistere ancora adesso, ma non so che nome potrebbe avere, preparava gli impianti per la stampa, per litografia.

TG
Era un lavoro artistico?

RT
Era un lavoro dove c'era un ingranditore, delle bacinelle, lo scanner...La retinatura...
Quando ho iniziato io ero solo un garzone, mi facevano fare le pulizie, però ricordo che a quei tempi si facevano le incisioni su pietra, le vere litografie. Poi da lì, per poter imparare sono passato da un posto all'altro, finché sono arrivato in un posto dove si lavorava con un sistema che si chiamava “Diretta”. Grazie ad un ingranditore si facevano delle pose direttamente sulla pellicola ad alto contrasto, perché prima della lith c'era un retino che trasformava l'immagine in un insieme di punti che poi venivano incisi su lastre di zinco.
Le pellicole così preparate andavano in litografia e lì facevano le lastre di zinco.
Eravamo intorno al 1973. Por un po' sono stato in quell'ambiente, sono partito per il militare e quando sono tornato al lavoro ci sono stati dei cambiamenti: erano arrivati i primi scanner. Per restare aggiornato, ho cambiato posto di lavoro e sono andato dove avevano questi scanner. Stiamo parlando del 1975 o 1976, all'epoca lo scanner, rigorosamente a tamburo, costava tantissimo, scanner che oggi non esistono neanche più e che praticamente nessuno conosce.

TG
Dopo l'esperienza con gli scanner che cosa hai fatto?

RT
Dopo quell'esperienza, ero praticamente distrutto perché per pagarli si lavorava su tre turni ed io di notte facevo fatica, perciò, dopo aver imparato bene, mi son cercato un altro posto senza quei turni.
Trovai un posto da direttore nei dintorni di Bergamo. Proprio perché facevo il direttore, curavo gli scanner, ma non dovevo fare i turni. Lavoravo da Campanella, ma non ricordo come si chiamasse quella ditta.

TG
Spiegami meglio qual era il prodotto finale sul quale lavoravate.

RT
Erano gli impianti per fare le stampe litografiche: per libri fatti bene e cose di questo tipo.
I nostri clienti erano editori come Fabbri, Mondadori, Rusconi, Rizzoli e tutti gli altri, all'epoca c'era un boom dell'editoria e della stampa artistica, erano bei tempi, si lavorava, si stava bene e si guadagnava di conseguenza. Si guadagnava bene, molto bene.
Ad un certo punto ho pensato che volevo fare qualcosa di mio. Nonostante si stesse molto bene, volevo guadagnare di più, così ho aperto uno studio di grafica e pubblicità a Ponte San Pietro, sempre nella bergamasca. Lì avevo incominciato a fare qualche catalogo ed altri progetti, però alla fine io mi recavo sempre a Milano per realizzarli ed a elaborare l'immagine. In quel laboratorio lavorava mio fratello. Ad un certo punto mio fratello mi disse: <Ma cosa continui ad andare avanti ed indietro vieni qua con me che facciamo qualcosa insieme e buttiamoci nel mondo dell'immagine>.
Fu così che entrai nel mondo dell fotografia.
La ditta che avevamo allora si chiamava Poliart Color, facevamo solo ed esclusivamente elaborazioni d'immagini su fotografia, c'erano i duplicati della Kodak di un formato di cm 30X40.

TG
In pratica facevate della post-produzione prima dell'avvento del computer?

RT
Sì, si chiamava fotoritocco, non si chiamava post-produzione. Il termine post-produzione è arrivato col digitale. Tonino Fodale che era la nostra concorrenza, lavorava addirittura con l'aerografo. Noi facevamo i ritocchi con il pennellino, a mano con l'anilina, preparando le maschere, contromaschere, posa, controposa e tutto quello che serviva per modificare il soggetto.
Tutto quello che noi oggi vediamo fatto dal computer con Photoshop, una volta lo si faceva a mano. Nel 1999 con l'arrivo dei primi computer e di Photoshop non si faceva altro che chiedere a Photoshop di fare quello che noi sapevamo già fare.
Non era Photoshop che chiedeva a noi d'imparare il suo modo di procedere, ma eravamo noi che chiedevamo a questo programma di fare con il computer quello che sapevamo già fare. Non avevamo bisogno di corsi, d'imparare cose nuove o altro, forse l'unica difficoltà era dover fare questo lavoro in lingua inglese, perché non esisteva ancora una versione di questo programma in italiano.
Ecco, in questo modo già si lavorava per le grosse agenzie pubblicitarie, come la Mc Cann Harrison, l'Armando Testa, e le altre agenzie che c'erano a Milano.
All'epoca eravamo in pochi, c'era della concorrenza, ma era minima. Erano gli anni 1980.

Stampatore ed inventore

TG
Quando sei diventato uno stampatore?

RT
Diciamo che sono stato sempre uno stampatore, io mi sono sempre occupato di questo, però l'ho fatto a tempo pieno solo dopo aver fatto il ritoccatore. Con l'ingranditore ho lavorato poco perché il risultato della stampa con l'ingranditore non mi soddisfaceva: era una stampa contrastata, mi si chiudevano i neri, si bruciavano i bianchi, i colori non erano separati, c'erano dei disturbi.

TG
Per quanto tempo ti sei occupato della stampa chimica?

RT
Per poco tempo, perché già nel 1989 misi a punto un mio procedimento di stampa.
Venendo da una scuola di scanner, mi dissi: <Perché non stampare la fotografia con lo scanner?>. Facendo così potevo ottenere l'incisione dello scanner, la separazione dei colori, l'apertura dei neri, una certa profondità e tutte quelle qualità che adesso si ottengono abbastanza facilmente con degli strumenti digitali.

Photo Transfer

TG
Scusami Roberto, lo scanner acquisisce, non serve per stampare, cosa vuol dire quello che mi stai dicendo?

RT
Lo scanner all'epoca era un mezzo analogico, nel senso che acquisiva, ma non trasmetteva i dati nel computer, li trasmetteva comunque su un supporto. In quel supporto che, dalla mia esperienza di fotolitista, riconoscevo come un supporto retinato, bastava togliere quella parte meccanica del retino per ottenere delle pellicole a tono continuo della misura interessata alla stampa finale.
Io facevo la scansione creavo queste pellicole, si usava abbastanza la stampa 70X100, si ricavavano le pellicole a tono continuo di quella misura colore per colore, nei colori primari: il Cyan, il Magenta, il Giallo ed il Nero. Queste pellicole, sovrapposte a più passaggi con la loro punzonatura, le posavo su qualsiasi tipo di carta fotografica, trasparente o non, grazie ad un apposito bromografo a filtri che avevo fatto costruire per questa nuova tecnica di stampa che chiamai Photo Transfer.
A me piaceva molto il Cibachrome, sia lucido che opaco, che era l'unica casa che mi garantiva la durata maggiore nel tempo del colore che erano 19 anni. Questi circa 20 anni confronto ai 100 o 200 di durata che ci sono per i prodotti di oggi non sono niente.

TG
Tu così hai ideato una tua tecnica?

RT
Ho ideato e brevettato una mia tecnica che si chiamava Photo-Transfer, col PH.
Io ero l'unico che faceva questi Photo Transfer, in pratica realizzavo queste matrici e posavo poi col bromografo a luce a tungsteno, a vuoto d'aria, a contatto, con i vari filtri di correzione colore, il rosso, il blu ed il verde.
Non solo ho costruito un bromografo speciale, ho fatto fare le modifiche allo scanner; avevo comprato quello scanner che all'epoca costava 160 milioni di lire, (marca Hell ndTG).

TG
Come hai fatto a far conoscere questa tua tecnica?

RT
Inizia a contattare Fotopratica, Titta Beretta che era il direttore di Fotopratica, gli raccontai di quello che stavo facendo, lui vide il risultato dei miei Photo Transfer e mi disse: <Falle vedere subito a Franco Fontana>.
Andai a Modena a far vedere i miei lavori a Franco Fontana e da lì, infatti, nacque subito una collaborazione. Poi andai da Giovanni Gastel ed iniziai una collaborazione, sono andato da Oliviero Toscani ed iniziai una collaborazione, sono andato da Gian Paolo Barbieri ed ho iniziato una collaborazione, poi mi accorsi che ero andato dai massimi autori della fotografia contemporanea. Da lì mi capitò d'avere la coda di fotografi fuori dal laboratorio che volevano vedere cosa facevo e mi facevano i complimenti, ma loro non potevano acquistare i miei prodotti perché la lavorazione era molto costosa.
Per poter lavorare, visto che all'epoca il dollaro aveva un cambio altissimo con la lira, io e mio fratello Gianpaolo Tomasi abbiamo pensato bene d'andare a trovare i fotografi di New York e proporre loro il nostro lavoro. La prima porta che abbiamo pensato di bussare è stata quella di Irving Penn.

TG
Cosa ti disse Irving Penn?

RT
Belle, bellissime, complimenti e da lì abbiamo iniziato a lavorare insieme.

TG
Dopo Penn, da chi sei stato?

RT
Poi, pian, pianino ci son stati i vari Avedon, Chuck Close, Annie Leibovitz, in seguito anche Hiro (Yasuhiro Wakabayashi) ed altri.

TG
Che effetto davano questi tuoi Photo Transfer?

RT
La prerogativa principale di queste stampe era l'incisione (la definizione ndTG).
La loro definizione, già allora, era quella di uno scanner, cosa che in fotografia non puoi avere perché più alto è il rapporto d'ingrandimento, meno definizione hai e più si spappola l'immagine, si velano i neri e viene un disastro, veramente quando stampavo con l'ingranditore m'incazzavo tutte le volte perché non riuscivo ad ottenere quello che volevo. Fra l'altro, l'aver scoperto lo scanner è stata una sfida con un'agenzia che ci chiese delle stampe per presentare una pubblicità del formaggio Philadelphia, mi ricordo che era la Mc Harrison. Ci dissero: <Se voi ci farete una stampa bellissima del nostro prodotto, avrete vinto l'appalto>. Da lì, ovviamente, ho studiato un sistema diverso da quello che poteva essere l'ingranditore perché se io facevo una stampa all'ingranditore, potevo anche mettercela tutta, ma la differenza dalla stampa che possono fare gli altri è minima.
Così mi son detto: perché non fare qualcosa di nuovo e mi sono studiato il Photo Transfer

TG
Possiamo dire che tu sei arrivato alla qualità delle stampanti digitali a plotter a getto d'inchiostro già con il tuo Photo Transfer, 10 anni prima degli altri?

RT
Sì, 10 anni prima.

TG
Quest'esperienza ti è servita, sei stato riconosciuto per quello che hai fatto?

RT
Sono stato riconosciuto per i miei risultati, ma poi da lì a poco è nato il problema che la pellicole di grande formato per usi tipografici non veniva più prodotta. Per quello ho smesso di fare la mia tecnica. Eravamo intorno al 1999.
L'avvento del computer ha spazzato via la pellicola che non aveva più ragione d'esistere.
Avremmo dovuto fare degli ordini enormi nell'ordine di milioni di lire per avere un pacchetto di pellicole sufficienti a smaltire i lavori per i nostri clienti.
Poi il lavoro continuava fino ad un certo punto, anche perché costava caro e nell'ordine dopo ci hanno detto che l'azienda aveva chiuso ed era l'unica azienda al mondo a produrre quelle pellicole: la Typon.

TG
La qualità di Ciba vi aiutava nell'ottenere quello che ricercavate?

RT
Ciba era il massimo che potevamo avere sul mercato, però in Italia c'era solo la carta lucida ed anche lì dovevamo fare degli ordini piuttosto sostenuti per riuscire a rifornirci anche con la carta opaca.

TG
Per che mercati lavoravate?

RT
Lavoravamo per il mercato americano, per tutti coloro che contavano un pochino: per i francesi, i tedeschi, per Londra, poco per i giapponesi.

TG
Cosa pensavano gli americani che arrivavano da loro un paio d'italiani ad insegnargli come si facevano le immagini fatte bene?

RT
Loro avevano in noi la massima fiducia, anche se io l'inglese allora lo sapevo ancora meno di adesso, non riuscivo ad avere un dialogo molto chiaro a parole, però c'era interesse e fiducia e loro compravano senza problemi. Ho avuto Salgado in camera oscura per 5 giorni, a seguire direttamente il lavoro. Nel colore ci volevano 4 matrici, nel bianco e nere, ne bastava una.

TG
Per il bianco e nero che carta usavi?

RT
Anche lì ci sono stati dei problemi, ho fatto in tempo ad usare l'Agfa baritata. Col tempo, sono scomparsi i produttori di carta ed alla fine si lavorava solo con Ilford che tra l'altro non era più carta graduata, ma c'era un filtro che ne determinava la gradazione. E venivano ugualmente bene perché solo la matrice dava un aspetto spettacolare a queste stampe.

TG
C'era qualcun altro al mondo che utilizzava questo vostra tecnica?

RT
No, no, nessuno l'ha utilizzata, ma sicuramente avranno preso degli spunti dal nostro sistema perché subito dopo è arrivato lo scanner in fotografia, guarda caso...
Noi eravamo talmente orgogliosi del nostro prodotto che spiegavamo tutto a tutti. Tutto a Tutti (dice questo con po' di rammarico. Vedi video intervista originale quando verrà messo online).

TG
Lo rifaresti?

RT
Di spiegare? (Ride) Beh lì è stata una lotta continua con mio fratello perché io venendo da un mondo come quello della fotolito mi avevano inculcato il segreto professionale, invece mio fratello è sempre stato uno spirito libero: <Mah no, che segreto professionale! Che te frega, tanto se sei bravo sei bravo...>.

TG
Secondo te, perché nessuno s'e dedicato a questa tecnica? Per non pagarvi i diritti o perché era troppo costosa?

RT
Beh è durata poco, gli altri non hanno fatto tempo ad accorgersene, poi lo scanner non era tanto conosciuto: era il periodo in cui tutto avveniva in camera oscura eh. Il cliente arrivava, ritirava la copia, diceva: <Che bella!> e basta. Non c'era lo schermo per fare dei confronti,
non si chiedeva il perché era così. Adesso entra un cliente in studio, vede che c'ho il plotter della Epson, lo scanner della Dai Nippon, lo schermo della Apple...
Il cliente viene qui vede, e addirittura chiede: <Dove l'hai preso?>. E si fanno domande per potersi arrangiare da soli, perché il mondo s'è evoluto in questo senso ed il professionista fa tutto da solo.

TG
Senza lo stampatore...

RT
Senza lo stampatore. Anche perché non c'è più questa grande richiesta di qualità.

TG
Perché il mondo ha preso questa piega? I costi vengono prima di ogni altra cosa? O la gente non è più in grado di distinguere la qualità?

RT
Per entrambi i motivi. I costi sono la cosa più importante, e poi, anche se la gente capisce ti dice: <Eh, ma quello là costa la metà...>.
Io ho proprio visto l'evoluzione di questa situazione, quando lavoravo per Rizzoli o Mondadori mi pagavano l'elaborazione dell'immagine, poi ad un certo punto, con l'arrivo del computer ed il digitale si sono ridotti un attimino questi costi e le redazioni hanno iniziato a dire che quei costi loro non li pagavano più, per poter fare dell'elaborazione d'immagine, i costi dovevano già essere inclusi nella consegna. Se vuoi, li paghi tu fotografo.
Il fotografo, per non pagarli ha iniziato ad arrangiarsi da solo. Semplice.


Roberto Tomasi stampatore
Roberto Tomasi al computer, sullo schermo la fotografia di una cliente


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