Nel 1952 la EIAR diventa RAI, Radio Audizioni Italiane e l'8 settembre di 66 anni fa, dallo studio TV2 di Milano, viene mandata in onda la prima trasmissione televisiva ufficiale, anche se bisognerà attendere ancora un anno e mezzo circa prima che partano le prime trasmissioni regolari della Rai. In pochi videro Elda Lanza in onda perché all'epoca in Italia c'erano ancora pochissimi apparecchi televisivi, però molti conoscono il suo nome perché è stata lei la prima giornalista e conduttrice della TV italiana. Recentemente è tornata a far parlare di sé per aver scritto alcuni libri di successo. L'ho incontrata a casa sua in un paese ai confini tra la Lombardia ed il Piemonte; anche se la sua storia è abbastanza nota, ho voluto ascoltarla anch'io e riproporvela oggi per celebrare quella storica data. Credo che qualcosa di nuovo e di interessante ne sia scaturito. TG
Sono stata chiamata in Rai nel 1952 da Attilio Spiller, un autore di riviste radiofoniche e di spettacoli teatrali. All'epoca era molto famoso; non si sa il perché, ma venne messo a dirigere i programmi di una televisione che ancora non c'era. Spiller aveva in mente di realizzare una trasmissione per un pubblico di donne, così mettendosi a leggere e a guardare le riviste femminili, si accorse di me che ero giornalista e scrivevo su: "Grazia". A lui piacque il mio modo di scrivere e decise di chiamarmi in Rai per un colloquio a Milano. Forse, si aspettava di incontrare una donna elegante e molto curata, invece io mi presentai con i capelli lavati in casa e un grembiulino a quadrettini da ragazza. Lui mi guardò e vidi dalla sua espressione che rimase molto sorpreso. Mi disse che avrei dovuto scrivere dei testi per una donna che stavano cercando per la trasmissione. Volevano una donna bellissima, alta e bionda. Spiller proseguì ad elencarmi le doti che ricercavano nella donna che avrebbe dovuto presentare la trasmissione, mentre io gli rispondevo.
Elda Lanza
Ad un certo punto dal fondo dello studio si alzò un giovanotto che io non conoscevo, era il regista Franco Enriquez, che disse: "Io sono Franco Enriquez e lei verrà in video!".
Chiesi: "Perché?". E lui mi disse che la mia voce era bellissima.
Fu così che iniziai a lavorare in televisione. La trasmissione si chiamava: "Prego Signora" e veniva realizzata nello studio TV2 del Centro di Produzione Rai di Milano. Non avevo nemmeno idea di che cosa fosse la televisione, perché in quegli anni non esisteva ancora; erano state fatte delle trasmissioni sperimentali a Torino, ma questa sarebbe stata la prima trasmissione della Rai ad andare in onda ufficialmente. Ho fatto ben 14 provini che servivano anche per farmi capire come muovermi; dovevo stare attenta a non alzarmi di colpo, altrimenti mi avrebbero tagliato la testa (ovviamente sta parlando dell'inquadratura... ndTG). Mi dissero: "Quando si accenderà quel lumino lì dall'altra parte ti guarderanno una, o milioni di persone, quindi arrangiati...". E lì, dovevo cavarmela da sola. Devo dire che una certa emozione mi è arrivata prima di andare in onda, ma poi, una volta iniziata la diretta sono stata me stessa e non ho avuto problemi. Era l'8 settembre del 1952, quando andai in onda con la prima trasmissione sperimentale della televisione italiana. Abbiamo fatto due o tre puntate così, poi sono andata da Sergio Pugliese e gli dissi che quella trasmissione faceva schifo perché la facevano fare a uno che si occupava di rivista che non c'entrava niente con gli argomenti che trattavo. Proposi di farla io e spiegai cosa avevo intenzione cambiare. Il titolo che divenne: "Vetrine"; mandai avanti la trasmissione fino al 1957, quando nacque mio figlio. In quel momento mi tolsi perché allora si usava così, non si andava in televisione col pancione di fuori come si fa oggi...
In seguito, fui chiamata all'improvviso, mi ricordo che stavo mangiando, qualcuno aveva dato forfait perché non se la sentiva di andare in onda in una trasmissione che sarebbe iniziata da lì a mezz'ora. Arrivai in Corso Sempione e trovai Venturi in libreria che mi disse che il testo di cui avrebbe dovuto parlare il presentatore, che io non avevo mai visto né conosciuto, era imperniato su libri che io conoscevo benissimo perché li avevo letti da ragazza eccetera, eccetera. Una volta in onda andai come un treno, perché ormai ero abituata alla telecamera.
Lavorai anche alla radio, per cinque o sei anni, poi mi mandarono a Torino dove mi hanno fatto fare per un bel po': "Avventure in libreria" e poi ad un certo momento decisi che era finita.
Mi dissero che se fossi uscita da quella porta non sarei più potuta rientrare, ma io risposi: "Se avrete bisogno di me, mi chiamerete.". Non avevo più voglia di andare avanti e indietro tra Torino e Milano per fare una trasmissione per le ragazze.
Più tardi, infatti, mi richiamarono a Milano e a Roma perché avevano bisogno di qualcuno che si occupasse di una trasmissione un po' culturale che sapesse parlare in italiano, che sapesse chi era Gabriele d'Annunzio e che magari sapesse anche che cosa aveva scritto...
Dopo la nascita di mio figlio me ne andai anche perché feci la pubblicità dei Pavesini e chi si occupava di televisione non poteva fare pubblicità. Io andai a Roma da Pugliese, che dopo essere stato il direttore del Centro di Produzione di Milano era diventato direttore della Rai, e gli dissi che a me dispiaceva, ma per 6 caroselli io venivo pagata l'equivalente di quello che prendevo lavorando in Rai per 6 anni...
Nel 1958, mi proposero di presentare il Festival di Sanremo, ma io rifiutai. Lo feci perché subito prima di Sanremo, sempre nello stesso teatrino, che non era l'Ariston, ma quello del Casinò, mi fecero presentare il Festival Internazionale del Jazz. Io non sapevo niente di Jazz e così ho fatto di quelle cose da far venire il mal di stomaco. Leggevo dei nomi stranieri senza sapere se fossero inglesi, tedeschi, francesi o cos'altro. Nonostante tutto, alla fine, capii di aver condotto meglio di quello che mi immaginassi, quando mi dissero se volevo condurre anche il festival della canzone italiana. Dissi di no, basta. "Fate quello che volete, ma io su quel palcoscenico a dire delle cose che non so non ci torno.". Il pubblico mi fa paura, avere la gente davanti è molto diverso dall'avere davanti una telecamera che si accende e si spegne. Con la telecamera ho confidenza, con la gente, no. Non me la sono sentita.
Prima della prima trasmissione ufficiale delle Rai a cui ho partecipato, ci sono state altre trasmissioni, tra l'altro una divertentissima, si fa per dire, andata in onda dal Teatro Alla Scala di Milano per la Prima della stagione del 1951. Presentava una certa Jole Giannini (che in altre trasmissioni insegnava l'inglese ai ragazzi con i fumetti), che però non rimase molto sugli schermi. In quella Prima della Scala, finita la trasmissione, spengono la telecamera, ma si dimenticano di togliere l'audio e si sentì qualcuno gridare: "Porca Madonna!". La trasmissione saltò di colpo e quell'episodio passò alla storia. Ogni tanto facevano delle cosette, così, in famiglia... Il primo annuncio ufficiale della tv italiana che precedeva la mia trasmissione fu letto da Fulvia Colombo, una bellissima donna. Mi ricordo che prima di andare in onda stavo piantando un chiodo su una scaletta e dicevo: "Sarà capitato anche a voi di piantare un chiodo e darvi una martellata sulle dita..." e da lì partivo. Quella lucetta rossa della telecamera che a tanti fa impressione a me non mi ha mai spaventato. Quando sono andata a intervistare Totò, al Teatro Nuovo di Milano e si è acceso il lumino della telecamera, l'attore napoletano mi ha visto parlare speditamente; mi ha guardato e mi ha detto: "Ma lei è un mostro. Ma come fa a parlare con un lumino rosso?!". Io risposi: "Di là c'è tanta gente...". E lui: "Ma io non la vedo!". L'attore vuole il pubblico, perché è la gente che lo esalta. Per me è diverso. Poi, ho fatto altre cose.
A Parigi conobbi Simone de Beauvoir. Quando mi mise in mano il suo libro: Le Deuxième Sexe e mi spiegò che cosa aveva scritto in questo libro, tornai in Italia che ero diventata un'altra persona, perché avevo capito che c'era qualcosa che bisognava cambiare. Da lì, poi ho scelto di impegnarmi in politica e di fare quello che ho fatto. Sono sempre stata socialista e vengo da una famiglia di socialisti; mio nonno parlava con Turati, come io sto raccontando a lei la mia storia. La mia educazione è sempre stata influenzata da quelle idee. Solo dopo quello che è accaduto a Craxi nel 1992 ho stracciato la tessera. Quando andai a Roma per incontrare Sandro Pertini, che conoscevo, mentre stavamo mangiando mezza mela insieme, perché lui alle undici del mattino aveva questa abitudine, gli dissi: "Scusa un po', ma che cosa ne pensi di Craxi?". Lui rispose: "Ma mi vuoi mandare di traverso la mela?". Craxi era certamente meglio di tanti altri, però capii che la sua politica stava virando verso una parte in cui non mi riconoscevo più. A me piaceva andare in mezzo alla gente, lui era un po' più aristocratico. Tognoli invece era un bravissimo sindaco; è stato eletto tre volte ed era una bella persona; tutto quello che accadde in quel periodo, infatti, non l'ha nemmeno sfiorato. Sì, hanno provato a sfiorarlo, ma l'hanno lasciato subito stare. Finita quella cosa, dissi a Tognoli che non me la sentivo più di fare politica, lui provò ad insistere per convincermi a continuare a lavorare con lui, ma non ci fu niente da fare.
Da una ventina d'anni vivo una tranquilla vita di paese a Castelnuovo Scrivia, in Piemonte. Mi manca molto Milano, però qui riesco a scrivere e a stare 5 o 6 ore al giorno sul computer, mentre se vivessi in città avrei più distrazioni e gente che mi conosce. Non sono pentita di questa scelta. Elda Lanza
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