Continua il nostro percorso nel mondo del mercato dell'arte. Dopo fiere e case d'aste, oggi affronteremo il tema delle gallerie d'arte e cercheremo di dare un volto alle varie tipologie di collezionisti.
Tony Graffio: Ciao Joe, questa volta da te vorrei sapere: che cosa ti ha spinto a diventare un
gallerista?
Joe Iannuzzi: Fin da piccolo mi piaceva osservare le
cose che avevo attorno, capire come funzionavano. Sai, mio padre era
un collezionista e grazie a lui in gioventù mi appassionai all'arte.
Frequentavo gli studi degli artisti e parlavo con loro. Senza mio
padre e la sua collezione di opere, probabilmente non avrei mai fatto
questo lavoro.
TG: Ci puoi parlare della tua galleria?
JI: A New York, ho uno spazio molto bello e
insieme ai miei collaboratori organizziamo il lavoro: mostre, fiere,
rapporti con artisti, etc.
TG: Che cosa è una galleria d’arte?
JI: E' un’attività commerciale dove si
vendono dei beni: quadri, sculture, disegni, etc, che dovrebbero
avere anche una valenza culturale-storica. E’ anche un luogo di
incontro tra le persone, dove si conosce gente e si instaurano
rapporti d’affari. Per le gallerie più note anche un ritrovo per
la gente “che conta”, un posto alla moda.
TG: Vorrei sapere cosa pensi delle Gallerie
Italiane?
JI: Vedo una realtà molto frammentata:
tante gallerie medio-piccole, tutte a curare la propria nicchia di
mercato. Di gallerie importanti, intendo quelle che partecipano a
fiere internazionali di un certo peso, non sono molte: diciamo che
per contarle bastano due mani o meno. Nonostante ciò ti posso dire
che trattano artisti con alle spalle una storia e/o un mercato.
TG: Perché questa situazione ?
JI: Probabilmente, essendo ormai l’arte
considerata come un qualsiasi bene materiale, tutti possono vendere
tutto, senza nemmeno una competenza così approfondita. Gallerie di
basso livello e con poco supporto economico-finanziario fanno
proposte non valide sia per quanto riguarda il nome degli artisti
esposti che per quanto riguarda la qualità e quantità del lavoro
che svolgono esse stesse. Quelle invece di un certo livello riescono
ad avere relazioni con altre gallerie internazionali e creare una
sinergia sugli artisti. Vedo anche che alcune di queste gallerie più
note stanno aprendo succursali a Parigi, Londra. Una scelta molto
saggia e indirizzata verso mercati più ricettivi.
TG: Ultimamente, in Italia molte gallerie
hanno chiuso, quali sono i motivi?
JI: Oltre alla crisi, e alle cause che già
ho accennato, ritengo che il sistema fiscale non sia di certo
favorevole ad aprire una galleria in Italia: una tassazione troppo
elevata che le rende poco concorrenziali; all'estero non c'è nessuna
agevolazione per chi compra arte, anzi, forse proprio l’opposto. Qui
in Italia ci sono molti artisti validi, ma il vero mercato dove si
vende e compra è altrove: New York, Londra, e sempre più sta aumentando l'interesse per l'arte in Oriente.
TG: Nonostante ciò, assistiamo ad
importanti aggiudicazioni in aste Italiane di diversi artisti
Italiani. Come te lo spieghi?
JI: Diverse opere poi finiscono all'estero,
ma devi sapere che nel mercato dell’arte nulla succede per caso:
certe quotazioni sono date dal lavoro di noi galleristi. Il mercato
non esisterebbe senza di noi. Cogliamo sul nascere le tendenze del
mercato e forniamo quello che i collezionisti chiedono. Le aste
servono a far salire le quotazioni, con rivalutazione delle opere
anche da noi detenute. Qui in Italia poi è probabilmente più facile
creare mode, data la ristrettezza del mercato. Si creano delle
collaborazioni tra galleristi, si valuta su chi lavorare e come, è
importante che l’artista abbia un po’ di storia dietro così è
più semplice, così facendo anche dei comprimari li si riesce a
portare a quotazioni di tutto rispetto. Si investe tempo e denaro per
creare ricchezza e profitti.
JI: Cosa pensi del mercato dell’arte
Italiano?
TG: Vedo nascere sempre più fiere e case
d’asta, mi sembra ormai che pur di vendere tutti facciano di tutto, non
essendoci più ruoli definiti. Le case d’asta fanno anche da
gallerie: organizzano mostre, accettano pagamenti dilazionati,
insomma l’asta non è più quel momento in cui si vede quanto vale
un artista, ma è un altro punto vendita molto simile a quello che
erano le gallerie. Molte di quest’ultime non svolgono più il loro
lavoro di far crescere un’artista: a volte pur di riuscire a
vendere mettono anche in asta le numerose opere del magazzino,
deprezzando le quotazioni dell’artista stesso. Le fiere d’arte
diventano ormai in alcuni periodi quasi eventi settimanali,
diminuendone così l’importanza e l’interesse. Poi, certo tutti
lavorano per guadagnare: uno ha l’opera, l’altro il cliente, e il
gioco è fatto. Insomma per fare affari si è tutti amici. Questo è
quello che mi dicono alcuni colleghi galleristi Italiani.
TG: In Italia sono presenti anche diverse
gallerie d’arte che operano tramite televendite, tu che ne pensi?
JI: E’ un canale come altri per farsi
conoscere, spesso hanno opere in conto vendita da altri galleristi,
quindi devono ricaricare su le loro spese, hanno anche artisti “di
scuderia”. Bisogna vedere cosa propongono e a che prezzi, non mi
sembra il mezzo più adatto per proporre opere d’arte di valore. Le
opere vanno viste dal vivo nei luoghi adatti: le gallerie, le fiere,
le case d’asta. Poi, come ti ho detto qui in Italia tutti mi sembra
si arrangino in qualche modo.
TG: E i musei che ruolo hanno nel sistema
dell’arte?
JI: I musei riescono a storicizzare e rendere istituzionali
alcuni artisti presenti nelle gallerie e nelle aste. Ciò logicamente
aiuta il mercato. Da noi negli Stati Uniti ci sono molti musei
privati, è una cosa che lentamente avverrà anche in Italia e in
Europa. Vedi già alcune Fondazioni come Prada, ed altre che integrano
quella mancanza di “offerta culturale” che i musei istituzionali
non danno, pensa anche a Pinoult in Francia. Sai, poi a volte ai
livelli più alti del mercato può succedere anche che i “mecenati”
diventino degli speculatori.
TG: E dei Critici d’arte che ci puoi
dire?
JI: Sono utili, servono a dare un risvolto
culturale al prodotto artistico. Alcuni sono anche molto preparati,
fino agli anni ottanta erano più considerati, ora il mercato e i
risultati delle aste hanno sicuramente più forza nel guidare le
scelte dei collezionisti. Il valore economico dichiarato e ostentato
nelle aste delle opere di un artista diventa uno strumento di
persuasione, non occulto, per la maggior parte dei compratori.
TG: Ci hai parlato di collezionisti: chi
compra arte? ci puoi dire che caratteristiche hanno?
JI: Il vero collezionista: è quello che
con una preparazione adeguata compra quando vede qualcosa di valido
al giusto prezzo. Di solito lo trovi tra i liberi professionisti.
Il collezionista patologico: compra
qualsiasi cosa pur di comprare e accumula soltanto. Spesso opere di
scarso valore sia economico che artistico.
L'affarista: è quello che solo
quando vede qualcosa di estremamente vantaggioso allora compra. Poi è
pronto a rivendere l’opera appena sale di prezzo. Io lo chiamo:
traffichino o trafficone a seconda di quanto scambia/vende/compra in
un dato periodo.
Il collezionista modaiolo: compra
quando e quello che tutti comprano quasi al prezzo massimo e poi
prova a vendere quando un artista non va più di moda e i prezzi sono
in caduta.
Il collezionista “non si sa mai”:
che compra per diversificare il suo patrimonio, compra qualcosa
d’arte perché gli hanno detto che può aumentare di valore, spesso
si fida dei consigli dell’amico presunto esperto.
Poi ti darei un ultima categoria: “il
collezionista santo”: quello che pur di far felice la moglie,
compra quello che lei vuole, anche se sa che non sta facendo la cosa
giusta!
TG: Grazie Joe per questa piacevole
chiacchierata e buon ritorno a casa negli Stati Uniti.
JI: Grazie anche a te Tony e ai tuoi
lettori.
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