lunedì 12 giugno 2017

Biennale di Venezia, un mito decadente

Poiché in questi giorni sono stato un po' impegnato a scrivere di  Filler, non vi ho ancora raccontato che quando giovedì 25 maggio sono stato all'inaugurazione di Out of Tune, una mostra collettiva di fotografi milanesi invitati  a riflettere sul tema: ”Atti di Insana Bellezza”  da Giacomo Spazio e Guido Borso; sorprendentemente ho incrociato da quelle parti anche l'amico Joe Iannuzzi. La lettura del seguente dialogo è consigliata a tutti gli appassionati d'arte. TG

1978, XXXVIII Biennale Internazionale d'Arte di Venezia.
Fotografia di Enrico Cattaneo - Mauro Staccioli davanti al suo Muro.

Tony Graffio: Ciao Joe, hai finalmente deciso di accettare l'invito che ti avevo mandato per venire a vedere la fotografia che espongo alla Galleria Lampo? 

Joe Iannuzzi: No, Tony, sai che io ho degli interessi molto precisi nel mondo dell'arte e la fotografia non è contemplata nelle mie collezioni e nelle mie forme d'investimento.

TG: Ma allora che cosa fai da queste parti? (viale Toscana 31)

JI: Sto andando da un mio amico che mi ha promesso di regalarmi dei bulbi di Tulipano rosso di Taurisano. Amo le cose belle e non posso rinunciare ad una simile occasione.

TG: Se non ti interessa la fotografia, ti faccio un'altra proposta che sicuramente prenderai in considerazione. Qualche settimana fa, il mio amico Federico De Leonardis mi ha chiesto di raggiungerlo all'inaugurazione della sua mostra all'Isola del Lazzaretto Nuovo, ma io non sono andato, pensando di fare un viaggio a Venezia in questi giorni, in modo da visitare anche la Biennale. Ti farebbe piacere andarci insieme?

JI: Ho sentito parlare del De Leonardis, poi ho anche letto sul tuo blog che ha avuto qualche piccola delusione a causa di un ripensamento di chi ha contribuito ad organizzare la sua mostra. Gli hanno rimosso una sua installazione: i "Ravatti" fatta con legni, pietre , ferri etc, trovati sulle rive di fiumi e mari, quindi modellati dal tempo. Lo sai, oggi non tutti capiscono la differenza tra "Arte" e "Non Arte". Per quanto riguarda la Biennale non mi interessa minimamente. 

TG: Perché?

JI: Oggi ci sono molte biennali sparse in giro per l'Europa e al tempo stesso le fiere d'arte che prima non esistevano sono diventate numerosissime, sia in Italia che altrove, e alcune come Art Basel e Frieze hanno ormai un'importanza ben maggiore della Biennale di Venezia. L'offerta culturale e commerciale è davvero notevole e frequentissima, senza tenere conto del web.   

TG: Ma fammi il favore! Le opere vanno viste dal vero, mica sul computer. E poi, la Biennale di Venezia ha un sapore storico ed è sempre prestigioso essere invitati ed esporre lì le proprie opere, non sei d'accordo?

JI: Sicuramente fino agli anni settanta è stato così: ricordo la Biennale del 1964 dove Robert Rauschenberg vinse, non certo senza polemiche. Posso assicurarti che la CIA ha avuto un ruolo importante in questa faccenda. Gli americani dovevano imporre la loro arte, la loro visione del mondo a discapito di altre forme artistiche che sicuramente meritavano più di loro la vittoria. E naturalmente, la loro economia. Oggi sai quanti artisti espongono alla Biennale e l'anno dopo non si sa più che fine hanno fatto? E' un turn-over continuo.

TG: Anche Umberto Mariani mi ha raccontato che le opere degli artisti americani sono state portate a Venezia a bordo di una portaerei della Marina degli USA. Secondo me, la Biennale però ha sempre la sua importanza, quanto meno come evento mondano al quale tutti vogliono partecipare e apparire per fare la loro passerella. Un po' come la Mostra del Cinema.

JI: Non dico che la Biennale di Venezia non abbia valore, ma a volte mi sembra quasi un pacchetto aggiuntivo che oltre alla visita alla città venga proposto ai turisti. Insomma è un evento per tutti, di massa... L'arte è per pochi, non lo dimenticare. Pensa, alla 54a (cinquantaquattresima) Biennale, quella del padiglione Italia tenuta da Vittorio Sgarbi, a Torino. Più di massa di così: trovavi anche il pensionato che incominciava a dipingere.

TG: Quindi tu la snobbi perché è diventato un evento troppo alla portata di tutti? Troppo Pop?

JI: No, vedere non vuol dire guardare, se vuoi capire l’arte contemporanea, o meglio ancora quella attuale, bisogna studiare e frequentare artisti, critici, galleristi, fiera e quant'altro.   

TG: Un po' come faccio io... Mi parlavi della Biennale del 1964, tu eri andato a vederla?   

JI: Sì Tony, ricordo che andai insieme al mio principale, un certo Carlo Riva, con il suo motoscafo "Aquarama", era come l'ultimo modello della Ferrari al giorno d'oggi. Rappresentava esclusività e prestigio. Lo pilotavo essendo un esperto di motori. Fu molto divertente! Navigando per i canali di Venezia eravamo sotto gli occhi dei turisti. Tutti anziché andare a vedere la Pop Art si avvicinavano per farci i complimenti e chiederci informazioni, intanto fotografavano il motoscafo. 

T.G. Immagino. Hai incontrato importanti artisti o galleristi in quell'occasione?   

JI: Si, mi fu presentato Lucio Fontana, la Peggy Guggenhaim, Leo Castelli, e altri ancora. Peggy naturalmente ordinò un Acquarama, e non solo lei. Ricordo anche due attrici: una certa Sophia Loren e Brigitte Bardot, meravigliose! Per non parlare poi del Ferruccio che nel 1968 ci montò su i suoi motori V12.   

T.G. Ferruccio... Lamborghini?   

JI: Naturalmente. Sai, da giovane sulla "Miura" di un cliente ci portai un sacco di belle ragazze!  Riuscii a comprare quell'automobile soltanto parecchi anni dopo, ma fu uno dei migliori acquisti della mia vita. Quanti ricordi! Ora non la guido più, ma quando invito gli amici e gli faccio vedere il "Lambo" mi sembra di tornare ai bei vecchi tempi.

Riva Aquarama-Lamborghini

T.G. Caspita Joe, ma conoscevi proprio tutti?   

JI: Certo Tony, nel nostro giro ci si conosce tutti molto bene e poi, sai come è: gli amici comprano le cose che vedono, per imitazione, dalle barche alle opere d’arte.   

TG: E' così che iniziasti a vendere opere d'arte?   

JI: Sì, poi con le conoscenze che avevo andai in America e lì divenni quello che sono diventato oggi... Ma non credere, è stata dura, non è stato facile farsi rispettare in quel mondo. A volte, bisogna ricorrere a sistemi piuttosto persuasivi... 

TG: Oggi sei un uomo molto rispettato... Della Biennale del 2013 ricordi qualcosa?   

JI: Ho smesso di frequentare la Biennale da molto tempo, però so che nel 2013 l'installazione di Ai Weiwei, con tutti gli sgabelli uno sopra piacque molto. 

TG: Le solite sparate concettuali... Non sai niente di un certo Dario Arcidiacono, che espose alcune sue opera in quella Biennale al Padiglione siriano?   

JI: E' un nome che ho già sentito. Non si tratta forse di un rappresentante dell'Ultrapop milanese? 

TG: Esatto, conosci l'Ultrapop?   

JI: Sì, ritengo che non abbia alcun senso riproporre oggi la Pop Art che è stata fatta negli anni '60. La definiscono Ultrapop, che cosa ha di ultra? Supera dei limiti? Quali? Ritengo che sia una "Ultracagata".   

TG: Non sono per niente d'accordo, a me piace molto la trovo fresca e divertente. E riguardo al fatto che i padiglioni di paesi improbabili vengono poi utilizzati per esporre le opere di artisti italiani che cosa mi dici?   

JI: Sì, sono cose che probabilmente sono successe, succedono e succederanno in futuro. Io non ne ho le prove, ma ho l'impressione che abbiano messo in affitto gli spazi come fanno molti galleristi poco seri. Un mio amico del Kazakistan mi raccontò diverse cose al riguardo, ma non posso dire di più.   

TG: Quali altre Biennali ti sono rimaste impresse? Che ricordi hai?   

JI: Quella del 1966, dove vinse Julio le Parc, ricordo una artista nipponica (Yayoi Kusama) che voleva vendere delle sfere cromate, l'episodio so che fece scalpore poiché nella mostra non si potevano, per regolamento, vendere le opere. Poi, ricordo quella del '68 che fu una Biennale di ricerca, di democratizzazione dell'arte, ci furono delle contestazioni che portarono a coprire le opere con le tele. So che qualche artista non aderì alla protesta. Ma per saperne qualcosa in più dovresti tornare da Enrico Cattaneo e parlargli, mi ricordo che in quell'anno era presente anche lui. Le Biennali degli anni '70 furono caratterizzate dall'Arte Povera, Concettuale e dalla Land Art. In questi due decenni è stata scritta la storia dell’arte per i trentanni che seguirono.   

TG: Quindi questa Biennale del 2017 proprio non ti incuriosisce?   

JI: No Tony, a dirti la verità, un po' temo il caldo e l'umidità di Venezia di questi giorni. Comunque, oggi per un artista vale di più essere rappresentato da un’importante galleria in una fiera internazionale di grosso richiamo che partecipare ad una Biennale. Quest'ultima serve solo a completare il curriculum per poter dire di aver esposto anche alla Biennale di Venezia! Andrò ad ArtBasel, lì ho molti amici galleristi con i loro stand a cui ho affidato diverse mie opere da vendere.   

T.G.: Ma come? Hai deciso di vendere parte delle tue collezioni proprio adesso che il mercato dell'arte è in crisi?

JI: Il mercato dell'arte non è mai in crisi, i ricchi ci sono sempre, se oggi non va un genere artistico, se ne propone un altro e via dicendo; si fanno salire le quotazioni degli artisti creando interesse e così via. Io possiedo opere di tutti i più quotati artisti internazionali.   

TG: Un giorno dovrai spiegarmi meglio in che modo sei entrato in possesso di questa fortuna, ma adesso non vuoi proprio entrare qui in Santeria a vedere le immagini di realtà prodotte da 47 diversi autori?   

JI: Volentieri Tony, facciamo in fretta però, perché poi, oltre a ritirare i tulipani, devo passare dal restauratore per controllare a che punto è arrivato con certi lavori...

TG: Il 15 ed il 16 pensi di essere libero? Vorrei portarti a vedere alcune cose interessanti un po' underground...

JI: Scusami Tony, ma non se ne parla nemmeno, nei prossimi giorni mi aspettano a Basilea, come ti dicevo è lì che puoi incontrare coloro che hanno le vere disponibilità finanziarie.


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